martedì 21 gennaio 2025

EDUCAZIONE CIVICA A SCUOLA

 


FORUM  DELLE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI DELLA SCUOLA

AIMC, AMDZ, ANDIS, ANFIS, CIDI, LEGAMBIENTE Scuola e Formazione, MCE, PROTEO FARE SAPERE

 Coordinatore  Antonio Giacobbi  - agiacobbi2010@libero.it

 Le nuove linee guida di educazione civica: una forzatura ideologica

Prima di emanare le nuove Linee guida di educazione civica, il ministro avrebbe dovuto, come previsto dal DM 35/92, ascoltare le scuole e fare un serio lavoro per comprendere come integrare quelle precedenti. Non lo ha fatto. Ha deciso invece dì riscrivere il testo. Perché? Sono le stesse ragioni per cui ha affidato alla commissione Perla la revisione delle Indicazioni nazionali del primo ciclo: virare decisamente su una curvatura ideologica e identitaria.

Avviene ormai con troppa frequenza che un cambiamento di governo porti con sé la voglia di intervenire sulla scuola marcando la differenza con ciò che è stato fatto in precedenza. Si pensi alla valutazione nella scuola primaria, alla “ispirazione” suggerita per le nuove indicazioni nazionali del primo ciclo, ai provvedimenti sul rapporto tra scuola a e lavoro, al voto in condotta e alle misure punitive. Al di là del merito, non va bene: la scuola non è un ufficio in cui applicare pratiche, ha bisogno di tempi più lunghi di formazione, di elaborazione, di esperienze. E di rispetto per il lavoro dei docenti che richiede anche di non gettare alle ortiche il lavoro fatto negli anni.

Rinviamo per approfondimenti ai contributi sui siti nazionali delle nostre Associazioni. E inoltre: L. Rondanini su Scuola7 del 23 settembre 2024 e il sito www.gessetticolorati.it

 1)    Il nuovo testo ha preso atto di alcune integrazioni alla legge originaria dovute alla L. 21/2024: “Interventi a sostegno della competitività dei capitali ecc.”. E così prevede, ad esempio, “…l’educazione finanziaria e assicurativa e la pianificazione previdenziale”. Non possono essere queste le finalità dell’educazione civica previste dalla legge istitutiva che recita: “L'educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”.

2) 2) I tre nuclei concettuali sono confermati: Costituzione, Sviluppo sostenibile, Cittadinanza digitale. Il testo definisce anche i traguardi di competenza e gli obiettivi di apprendimento, lo richiede la legge 92/2019.

Accanto ai valori della Costituzione, vi sono alcuni elementi che “marcano” una concezione dell’educazione civica molto discutibile che non condividiamo. a) L’idea di Patria come elemento identitario. È sottolineata in diversi punti. Ne riportiamo uno. Le Linee guida promuovono obiettivi di apprendimento “coerenti con quel sentimento di appartenenza che deriva dal nascere, crescere e convivere in un paese chiamato Italia” e ancora una “comune identità italiana come parte della civiltà europea e occidentale e della sua storia”. La visione che propone il testo è fortemente ideologica, italocentrica e nazionalistica, e va ben oltre quanto leggiamo in Costituzione, dove la parola Patria, sicuramente importante, è citata solo due volte. Le Linee Guida oscurano o, meglio, trascurano volutamente un fatto: l’idea di Patria ha un senso solo se non prevede recinti e confini che impediscono la comprensione, l’azione e la formazione dei cittadini del mondo.

Come non ricordare Don Milani:” Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro” (Da L’0bbedienza non è più una virtù).

b) È incredibile: vi sono 56 conflitti nel mondo, due dei quali drammatici ai confini dell’Europa, ma un documento del ministero che deve “guidare” le scuole nell’insegnamento dell’educazione civica, non contiene mai la parola “pace”

c) L’art. 9 della Costituzione è citato solo per la scuola secondaria di secondo grado; sono poco presenti sviluppo sostenibile, responsabilità sociale e personale, contrasto alla povertà alle disuguaglianze, lotta alla fame e contrasto al cambiamento climatico.

Perché e come l’educazione civica

È fondamentale. Anche come disciplina. Ma non servono i voti, tanto meno in itinere.

 Proponiamo alcuni riferimenti.

1. Nel 2025 ricorre l’80° Anniversario della Liberazione: studiare la Costituzione significa anche conoscere come è nata a partire dalla Resistenza come valore unificante e dall’educazione alla convivenza democratica

2. Costruire comunità di apprendimento, nella convinzione che l’apprendimento è un fatto sociale

3. Assumere il paradigma della complessità (Morin) per comprendere le differenze e non far sentire “stranieri” gli alunni provenienti da altri paesi 4. Educare al “bene comune” e alla cittadinanza consapevole e attiva (che non è sudditanza), come contrasto all’interesse individuale.

5. Assumere come valore l’Etica pubblica che poggia sulla responsabilità e non sul senso di colpa come la morale privata.

6. Costruire percorsi di partecipazione democratica degli allievi, fin dalla scuola dell’infanzia, a partire dalla elaborazione di regole condivise per “abitare insieme” la scuola e dall’organizzazione cooperativa dell’apprendimento;

valorizzare la cultura del confronto anche con la pratica delle assemblee e delle consulte degli studenti.

7. Avere attenzione, in questi tempi di forte disregolazione emotiva e di mancanza di senso del limite, alla costruzione di esperienza di socializzazione anche esterna alla scuola.

8. Promuovere l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, anche nella pratica educativa (Legge 107/2015, art 1, comma  16)

b) È incredibile: vi sono 56 conflitti nel mondo, due dei quali drammatici ai confini dell’Europa, ma un documento del ministero che deve “guidare” le scuole nell’insegnamento dell’educazione civica, non contiene mai la parola “pace” c) L’art. 9 della Costituzione è citato solo per la scuola secondaria di secondo grado; sono poco presenti sviluppo sostenibile, responsabilità sociale e personale, contrasto alla povertà alle disuguaglianze, lotta alla fame e contrasto al cambiamento climatico.

Perché e come l’educazione civica

È fondamentale. Anche come disciplina. Ma non servono i voti, tanto meno in itinere. Proponiamo alcuni riferimenti.

1. Nel 2025 ricorre l’80° Anniversario della Liberazione: studiare la Costituzione significa anche conoscere come è nata a partire dalla Resistenza come valore unificante e dall’educazione alla convivenza democratica

2. Costruire comunità di apprendimento, nella convinzione che l’apprendimento è un fatto sociale

3. Assumere il paradigma della complessità (Morin) per comprendere le differenze e non far sentire “stranieri” gli alunni provenienti da altri paesi 4. Educare al “bene comune” e alla cittadinanza consapevole e attiva (che non è sudditanza), come contrasto all’interesse individuale.

5. Assumere come valore l’Etica pubblica che poggia sulla responsabilità e non sul senso di colpa come la morale privata.

6. Costruire percorsi di partecipazione democratica degli allievi, fin dalla scuola dell’infanzia, a partire dalla elaborazione di regole condivise per “abitare insieme” la scuola e dall’organizzazione cooperativa dell’apprendimento; valorizzare la cultura del confronto anche con la pratica delle assemblee e delle consulte degli studenti.

7. Avere attenzione, in questi tempi di forte disregolazione emotiva e di mancanza di senso del limite, alla costruzione di esperienza di socializzazione anche esterna alla scuola.

8. Promuovere l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, anche nella pratica educativa (Legge 107/2015, art 1, comma 16)

Prima di Prima di tutto la Costituzione

I moltissimi traguardi per lo sviluppo delle competenze e obiettivi di apprendimento possono produrre dispersione e ostacolare la messa a fuoco di ciò che è prevalente. Spetta ai collegi dei docenti rivedere il curricolo di istituto e sono il consiglio di classe e il team docenti che devono effettuare le scelte conseguenti per i loro alunni.

Le scuole siano dunque protagoniste dell’autonomia organizzativa e didattica.

Nel rispetto della legge individueranno alcune priorità per ciascun anno di corso, perché non è possibile fare tutto e la scuola non può essere un contenitore di tutto. Pensiamo che la priorità possa essere data alle competenze e ai traguardi del nucleo concettuale “Costituzione”. Degli altri, invitiamo a valorizzare quelli che hanno a fondamento il concetto di “bene comune” e di responsabilità. E, soprattutto, a “praticare l’educazione civica” nell’insegnamento e nelle relazioni come rispetto e valorizzazione di ciascuno e di tutti, docenti e studenti.

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COSI' CAMBIO' IL MONDO


 TRUMP, 

GLI STATI UNITI, 

IL MONDO



- di Elena Molinari -    

Nel suo primo discorso da 47esimo presidente annuncia l'inizio di una nuova era dell'oro per l'America. Militari anti-migranti alle frontiere, stop al green deal, la bandiera Usa su Marte.

«Inizia una nuova era, l'età dell’oro dell’America comincia in questo momento».

Lo ripete due volte, Donald Trump, all’inizio e alla fine del discorso d’inaugurazione che ha celebrato la rinascita di un Paese «forte, ricco, sicuro, in crescita e in espansione territoriale, e che nessuno potrà fermare».

Il nuovo presidente ieri dal Campidoglio di Washington ha anche promesso un’epoca di unità mondiale alle spalle della «più grande civilizzazione della storia», ma la ha dipinta come una coesione di fatto obbligata, imposta da atti di aggressione e divisione da parte di un Paese ultra-militarizzato che progetterà all’esterno un potere incontrastato e all’interno una «rivoluzione del buon senso» senza alternative.

L’obiettivo è accrescere il benessere degli Stati Uniti rispetto agli altri Paesi del mondo e dei suoi cittadini allineati all’ideologia di potere rispetto a quelli che la respingeranno.

Fra i primi atti annunciati pochi minuti dopo aver giurato fedeltà alla costituzione sulla Bibbia di Lincoln, Trump ha elencato infatti l’eliminazione dello ius soli (sancito dalla stessa Costituzione), lo schieramento delle truppe al confine meridionale Usa per fermare «l’invasione di criminali e malati di mente» e l’uso degli stessi militari per combattere, per le strade delle città americane, le gang della droga.

Poi ha invocato la pena di morte per i reati capitali commessi da immigrati clandestini.

Trump ha anche promesso di «riprendersi il canale di Panama”» che gli Stati Uniti hanno restituito al Paese centroamericano nel 2000, di mettere fine alle politiche ecologiche del New deal verde (e alle quote di veicoli elettrici fissate da Joe Biden) per dichiarare una «emergenza energetica nazionale» che autorizzerà la più grande trivellazione di petrolio e gas della storia.

Questo ondata di «oro liquido» finanzierà a sua volta un’espansione dell’apparato militare americano che metterà gli Stati Uniti in condizione di «vincere come non mai».

«Oggi è il giorno della liberazione», ha affermato il neo-commander in chief davanti ai suoi ministri e a una triade di miliardari (Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg) che per la prima volta a un giuramento hanno preso posto davanti ai membri della stessa Amministrazione.

Liberazione dalle politiche di diversità, uguaglianza e inclusione, ha promesso Trump, dall’ideologia di genere, che verrà dimenticata per riaffermare l’esistenza dei soli sessi maschile e femminile, dai principi ambientalisti, dalle politiche anti-discriminazione e dall’accoglienza dei richiedenti asilo.

Il tutto senza alcun dubbio di essere sulla buona strada, perché, a detta di Trump, è quella voluta da Dio.

«La mia vita è stata salvata da Dio – ha detto riferendosi all’attentato subito l’estate scorsa – perché possa rendere l’America di nuovo grande».

Come gesti simbolici per ribadire la «grandezza americana» il 47esimo presidente Usa ha cambiato il nome del Golfo del Messico a «Golfo d’America» e quello del monte Denali (come lo ha sempre chiamato la nazione indigena Koyukon) in Alaska a monte McKinley.

E come primo atto per riaffermare l’indipendenza Usa da vincoli di ogni genere, ieri Trump ha sfilato Washington dall’Accordo di Parigi sul clima, aprendo la strada a un ritorno al massimo sfruttamento degli idrocarburi.

«Metterò sempre l’America prima, in ogni secondo della mia Amministrazione.

La nostra sovranità, la nostra sicurezza saranno ristabilite», ha continuato Trump, garantendo anche un ritorno alla «giustizia» che a suo dire è stata usata contro di lui «come arma politica», senza riuscire a fermarlo.

Molti non credono a questa promessa di giustizia imparziale, a partire dal presidente uscente, il cui ultimo atto prima di lasciare la Casa Bianca è stata una grazia preventiva per tutte le persone che Trump potrebbe prendere di mira per vie legali, come i capi militari e tutti i parlamentari che hanno fatto parte del comitato del Congresso che ha indagato sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 da parte dei sostenitori di Trump, «ostaggi» per i quali ci saranno novità.

Grazia, quella ai funzionari, che davanti alla folla della “Rotunda” Trump ha condannato come «una vergogna».

Per ora il nuovo presidente si è vendicato del potere uscente a parole, denunciando un governo inetto che «non sa affrontare un semplice emergenza domestica come gli uragani o gli incendi a Los Angeles, nei quali molti fra i nostri cittadini più abbienti, che sono qui oggi, hanno perso la casa, e ora non hanno più una casa».

Fra questi non certo Musk, che ora ha anche un ufficio nel complesso della Casa Bianca e che ieri ha puntato i pollici in alto approvando l’idea di Trump di «piantare la bandiera americana su Marte». Fra i primi decreti firmati ieri dal repubblicano non hanno figurato le tariffe punitive sulle importazioni, ma Trump non le ha dimenticate.

Nel suo discorso le ha nuovamente promesse, annunciando la nascita di un nuovo ente, il «servizio delle entrate esterne», che farà il paio con quello delle entrate interne (l’agenzie delle tasse) per riscuotere i dazi dai Paesi che vogliono avere il privilegio di commerciare con gli Stati Uniti.

 

www.avvenire.it

 

 

LEGGERE E SCRIVERE

L'UMANO 

NON E' 

NE' DI DESTRA

 NE' DI SINISTRA 

La riforma della scuola

Aggiungiamo alla riforma la cura della scrittura manuale e ore di lettura ad alta voce per tutto il percorso scolastico.

 

-di Alessandro D’Avenia

 

La riforma dei programmi nella scuola elementare e media di cui si è parlato la scorsa settimana è stata subito cannibalizzata dalla semplificazione binaria: che cosa è di destra o di sinistra? 

La Bibbia, la storia dell'Occidente, la musica, l'epica, il latino? Quando saremo meno ostaggi di questo moralismo ideologico che impedisce di capire che cosa serve in un luogo, la scuola, il cui scopo è mettere i nuovi arrivati in condizione di coltivare autonomamente la vita e cercare la verità, invece di renderli preda del pensiero non pensato e dominante, che il filosofo Bacone chiamava già secoli fa idoli della conoscenza, illusioni ideologiche? Lo scopo della cultura non è fare campagna elettorale, ma diminuire lo spazio della paura e dell'ignoranza per conquistarlo alla libertà e al coraggio della verità. La domanda non è se il latino sia proprio di una formazione conservatrice o progressista, ma se serva a liberarsi da falsi automatismi del pensiero, dalla incapacità di leggere se stessi e la realtà, dalla difficoltà di attingere alla sorgente inesauribile di vita e di bene comune che è la propria unicità, perché «ciò che è vivo non ha copie. Due persone, due arbusti di rosa canina, non possono essere uguali... E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne» (V. Grossman, Vita e Destino). L'umano nell'uomo non è a destra né a sinistra. È oltre. Dove? 

 Tra i regali che mia nipote settenne ha chiesto a Natale è apparsa una scacchiera. Mi sono stupito, io alla sua età non l'avrei mai chiesta, ma poi ho scoperto che nella sua scuola dedicano tempo curricolare agli scacchi, come allenamento alla riflessione e al pensiero logico e strategico. Un gioco antico come gli scacchi non è di sicuro di destra o di sinistra, è gioia di stare al mondo e una bambina lo sente. Quella scacchiera è «scuola»: un'intercapedine tra io e pressione mondana (tutti fan così), un luogo in cui l'anima respira tanto da avvertire subito se in quello che tutti fanno manca l'aria che serve alla propria unicità. La scacchiera mi ha ricordato che all'inizio di 1984 di Orwell, la ribellione del protagonista, Winston, al controllo psico-politico del Grande Fratello comincia da un quaderno comprato di nascosto: «un quaderno di rara bellezza, con la carta liscia e vellutata, di un tipo che non si produceva da almeno quarant'anni. Era entrato di soppiatto nella bottega e lo aveva comprato. Non sapeva neanche per quale motivo particolare lo desiderasse tanto. Se l'era portato a casa con un certo senso di colpa: anche se non vi era scritto niente, era un oggetto compromettente. Ciò che ora stava per fare era iniziare un diario, un atto che, se lo avessero scoperto, avrebbero punito con la morte o, nella migliore delle ipotesi, con venticinque anni di lavori forzati». Winston non sa più scrivere a mano e ricominciare lo risveglia: «Intinse la penna nell'inchiostro, poi ebbe un attimo di esitazione. Tremava fin nelle viscere. Segnare quella carta era un atto definitivo, cruciale». Quel diario scritto a mano è l'inizio della sua liberazione, e comincia a ricordare, capire, vedere, agire, anche a costo di perdere la vita. Per affrancarsi dal controllo odierno, in cui la psico-politica è l'algoritmo di profilazione (il capitalismo della sorveglianza operato da aziende che, in cambio di servizi apparentemente gratuiti, ci schedano per vendere dati che servono a orientare i nostri consumi), bisogna tornare al diario scritto a mano. Per questo, ispirato non da romanticherie ma dall'osservatorio di 25 anni di insegnamento, propongo di aggiungere alla riforma la cura della scrittura manuale per tutto il percorso scolastico, istituendo un'ora di «calligrafia», in cui il bello (calli-) riguarda forma e contenuto come un tutt'uno. Il motivo (che la cultura orientale mostra da secoli) è scientificamente accertato: scrivere a mano, per un essere corporeo, è un gesto più efficace della digitazione o del solo input visivo (quanti schermi sono entrati nelle classi in questi anni a scapito delle penne). Un recente studio, di cui ha dato conto il Corriere, ha confrontato i risultati di due gruppi di undicenni: alcuni dovevano imparare delle parole scrivendole a mano, altri tramite lettura visiva, per poi riconoscerle e spiegarle. Il primo gruppo ha avuto risultati nettamente migliori: accuratezza, risposte corrette e rapide. La scrittura manuale infatti, coinvolgendo il corpo in modo più completo e lento (che poi lento non è), consente di prestare attenzione ai dettagli, cioè la memoria a lungo termine che definisce chi siamo. Che un'attenzione multisensoriale lenta renda più attenti è l'acqua calda, ma noi crediamo che l'acqua calda siano rapidità e schermi. Eppure, la difficoltà dei ragazzi delle superiori nello scrivere a mano (grafie illeggibili, corsivo zoppicante, spazi non rispettati) va di pari passo con la debolezza di attenzione, ragionamento e presa sulla realtà, tanto che con quelli del primo anno è necessario un lavoro dedicato proprio alla (calli-)grafia. Mi piacerebbe un Maestro di Calligrafia che, per l'intero percorso scolastico, alleni l'intelligenza attraverso il gesto accurato applicandolo alla scrittura diaristica che si evolverà di anno in anno in modi diversi: 13 anni di diario ben (forma e contenuto sono tutt'uno) scritto sono un allenamento formidabile alla ricerca della verità e una difesa dalle menzogne dell'informazione, basti pensare ai Diari passati alla storia e che ancora leggiamo per la verità che hanno conservato in un mondo che pensava e faceva tutt'altro. Quello di Winston mi porta a un altro gesto liberatorio dal controllo delle masse, in un altro romanzo profetico pubblicato nel 1953, quattro anni dopo quello di Orwell. In Fahrenheit 451 di Ray Bradbury infatti i libri vengono bruciati perché la gente si abbandoni totalmente all'intrattenimento di massa (nelle case non ci sono scaffali ma schermi giganti e media interattivi). La decadenza della libertà non è cominciata col bruciare i libri, ma con il disinteresse per la lettura. Altro che distopia: in tema di lettura in Italia è più distopico l'ultimo rapporto Censis. Montag, il protagonista del romanzo, troverà un gruppo di cittadini che hanno inventato un modo di resistere, imparare i libri a memoria tanto da identificarsi con essi: «Voglio presentarti Jonathan Swift, autore di quel malvagio libro politico, I Viaggi di Gulliver! E quest'altro è Charles Darwin, e questo è Schopenhauer, e questo è Einstein. Qui ci siamo tutti, Montag: Aristofane, Gandhi, Buddha, Confucio. Siamo anche Matteo, Marco, Luca e Giovanni... Trasmetteremo i libri ai nostri figli, oralmente, e lasceremo loro il compito di fare altrettanto coi loro discendenti. Naturalmente molte cose andranno perdute con questo sistema. Ma non puoi obbligare la gente ad ascoltare, se non vuole. Dovrà tuttavia venire a noi a suo tempo, chiedendosi che cosa esattamente sia accaduto e perché il mondo sia scoppiato in aria sotto il suo governo». 

Che cosa fa scoppiare il mondo e che cosa invece lo salva? È una idea, anche questa frutto di questi anni di esperienza, per la lettura a scuola: non fare i libri «a brani» ma incarnarli. E allora ben vengano i libri-mondo, impegnativi e necessari, come la Bibbia, l'Odissea, l'Eneide... e non per ragioni identitarie ma perché offrono le parole per dire tutto, per definire noi stessi e quindi raccontarci agli altri. Senza parole precise siamo in balia di Babele: il potere e la guerra. 

Per questo propongo ore di lettura per tutto il percorso scolastico, con persone capaci di interpretare i libri ad alta voce, Maestri di Lettura con qualifica drammaturgica. Due ore a settimana, ad alta voce, per 13 anni di scuola (750 ore di lettura per 30 pagine l'ora) regalerebbero ai nostri studenti quasi 25.000 pagine (50 libri da 500 pagine, 3 libri essenziali all'anno), senza interrogazioni, solo ascolto, qualche brano da imparare a memoria e domande dei ragazzi, perché i testi non siano pre-testi, ma messa a fuoco delle parole meglio dette sul mondo. 

Grazie a questa «scuola di lettura e di scrittura» forse avremmo più studenti che, come una bambina con la scacchiera, preferirebbero la libertà alle dipendenze, la verità alla sottomissione. E questo non è di destra, né di sinistra. È oltre: è umano. 

 

 Alzogliocchiversoilcielo



domenica 19 gennaio 2025

RIFORMA SCUOLA. QUESTIONE DI DIDATTICA

 


Scuola. 

Più dei programmi

 pesa la didattica: 

il tema è 

fare appassionare 

i ragazzi


-        - di Eraldo Affinati

La cosa peggiore che potremmo fare nel riflettere sulle nuove indicazioni nazionali appena presentate dal ministro Giuseppe Valditara per il primo ciclo di istruzione, ovvero dalla scuola dell’infanzia alle superiori di I grado, sarebbe quella di strumentalizzare l’auspicato dibattito alimentando in modo precostituito le pur inevitabili contrapposizioni. Se c’è un luogo dove dovremmo trovare punti d’intesa cercando una sintesi complessiva, a partire dai fondamenti del sapere, è proprio questo. Senza dimenticare, è ovvio, la natura convenzionale dei programmi scolastici che non rappresentano una verità assoluta, bensì soltanto ipotesi di lavoro conoscitive.

Stiamo parlando, non dimentichiamolo, della formazione culturale delle future generazioni, umanistica dal momento che su quella scientifica si è già legiferato, tenendo presente che si tratta di criteri generali di massima, i quali dovranno poi calarsi nelle realtà particolari degli istituti: il che può fare tutta la differenza del mondo. Spesso e volentieri le singole scuole, grazie al regime dell’autonomia, praticano sperimentazioni che sono in linea con tali indicazioni: pensiamo, ad esempio, allo studio del latino come materia opzionale; oppure al maggiore spazio da riservare alla musica e alle arti: in tale direzione nell’istruzione italiana esistono eccellenze che potrebbero essere prese a modello.

Ma, al di là di questo, ciò che davvero conta, prima ancora delle enunciazioni programmatiche, è la concreta ricaduta nell’attività didattica quotidiana. Ad esempio, chi potrebbe non essere d’accordo sull’intensificazione della letteratura e della grammatica? Epica e saghe nordiche: certo, questi sono da sempre campi privilegiati per ogni maestro consapevole, ben sapendo quanto i più piccoli possono essere trascinati così nell’apprendimento creativo.

Filastrocche e poesie da imparare a memoria? Perché no? Ma bisogna saper appassionare bambini e ragazzi. Come si fa? Qui dovrebbe cominciare la nostra discussione. Formare i docenti resta decisivo. Scrivere i titoli dei programmi da svolgere rappresenta soltanto il primo passo, peraltro con il rischio di risultare fuorvianti. Pensiamo alla ventilata abolizione della cosiddetta geostoria nelle superiori. Se con questo si vuole intendere il ripristino dello studio della geografia siamo assolutamente favorevoli: lo riteniamo anzi fondamentale.

Tuttavia privilegiare la storia d’Italia, dell’Europa e dell’Occidente, può nascondere qualche insidia. Ho ancora negli occhi lo sguardo stupefatto di una bambina di scuola media che cercava di tracciare sul mappamondo il viaggio compiuto da un suo compagno di classe appena arrivato dall’Africa: un’esperienza entusiasmante a cui ogni insegnante vorrebbe assistere, in quanto avrebbe la possibilità di spiegare ai propri alunni il tema affascinante dell’origine.

Qual è la stazione da cui partiamo? Tu pensi che la tradizione da cui discendi appartenga solo a te, poi ti accorgi che noi esseri umani siamo sempre cresciuti intrecciati gli uni agli altri, collegati da nessi imperscrutabili, ma persistenti: tocchi una nervatura, fai vibrare l’intera pianta. I bambini lo intuiscono in modo istintivo: sta a noi farglielo comprendere davvero. Raccontare la storia come se fosse una grande favola? Attenzione a non banalizzare: bisogna insegnare a utilizzare le fonti. Se, sin dalla più tenera età, cominciassimo a fare semplice divulgazione, come se la scuola fosse un programma televisivo, non renderemmo un buon servizio ai nostri figli. Soprattutto oggi che, di fronte alla rivoluzione digitale, siamo chiamati a ripristinare le gerarchie di valore nel grande mare della Rete.

Un discorso a parte va riservato al giusto richiamo nei confronti dei testi sacri. In Israele la Bibbia è una materia vera e propria che ogni alunno impara a conoscere sin da piccolo. Nelle nostre scuole invece viene spesso ridotta a schema frettoloso, appunto estemporaneo, scheda riassuntiva. Quando va bene, l'insegnante, dopo averne letto alcune pagine dall'antologia di epica, passa subito all'Iliade e all'Odissea. 

Esistono profonde ragioni storiche che spiegano questa falla clamorosa, sulle quali sarebbe lungo discettare, ma il paradosso culturale persiste e, nella sua gravità, continua a interrogare tutti noi: stiamo parlando della radice dell’Occidente. 

Pensiamo soltanto ai generi letterari presenti nella Bibbia: scrittura sapienziale, vicenda storica, racconto genealogico, annuncio profetico, tavola legislativa, inno poetico. 

I sentimenti umani, così come noi li concepiamo, derivano da quei testi; il nostro modo di stare assieme, anche; perfino i sogni che facciamo e faremo sono custoditi lì.

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sabato 18 gennaio 2025

ACQUA e VINO

 



 Is 62,1-5; Sal 95 (96); 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11

 

 Commento di Matias Augé

 

In questa domenica ci viene proposta la scena semplice e toccante del miracolo delle nozze di Cana. Gesù si trova con sua madre Maria ed i suoi discepoli ad una festa di nozze nella cittadina di Cana di Galilea. Venendo a mancare il vino, Gesù cambia sei giare d’acqua in vino. Ciò che sembra interessare particolarmente a san Giovanni, che racconta il fatto, è che con questo primo miracolo Gesù ha manifestato la sua gloria ed i discepoli hanno creduto in lui. Questo prodigio, come i restanti miracoli compiuti da Gesù, sono chiamati da san Giovanni “segni”, in quanto mostrano che Gesù è il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore atteso.

 La presenza di Maria non è una presenza di contorno, ma determinante e attiva. È Lei infatti a provocare l’intervento di Gesù. Alle parole di Maria “Non hanno più vino”, Gesù risponde: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Ma quale ora? Con Gesù giunge l’ “ora” attesa annunciata dai profeti: in lui Dio manifesta la sua gloria afferma san Giovanni, facendo eco alle parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”. Secondo il vangelo di Giovanni, la gloria nascosta di Dio è apparsa nel Cristo fra gli uomini (cf. Gv 1,14; 11,4.40) ed è riconoscibile attraverso la fede (cf. Gv 2,11). Il dono della fede fa sì che i discepoli intravedano nel miracolo o “segno” operato da Gesù a Cana la presenza di Dio che salva. Il gesto compiuto da Gesù alle nozze di Cana è quindi una “epifania” messianica, cioè una manifestazione di ciò che egli è e della sua missione salvifica.

 Nell’Antico Testamento la felicità promessa da Dio ai suoi fedeli è espressa sovente sotto la forma di una grande abbondanza di vino, come si vede negli oracoli di consolazione dei profeti d’Israele. Gesù, col miracolo dell’acqua cambiata in vino mostra che è cominciata l’era messianica in cui Dio comunica in abbondanza i suoi beni. Il momento culminante di quest’era sarà costituito dalla morte e risurrezione di Cristo, cioè dal mistero della sua pasqua. A questa fase culminante della sua opera si riferisce Gesù quando dice a Maria sua madre: “Non è ancora giunta la mia ora” (cf. Gv 7,30; 8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1). In ogni caso, il vino nuovo che egli fornisce miracolosamente a Cana è già segno del dono completo della redenzione offerto sulla croce e perennemente presente nel sacrificio dell’altare: il vino distribuito in abbondanza è segno del sangue che sgorga dal costato di Gesù in croce, sangue della nuova ed eterna alleanza, versato per noi e per tutti in remissione dei peccati.

 La salvezza attesa dai profeti e compiuta da Cristo è sempre presente in mezzo a noi nei segni del pane e del vino dell’Eucaristia che celebriamo in obbedienza alle parole del Salvatore: “Fate questo in memoria di me”. Ci possiamo domandare se per noi la partecipazione alla santa Messa è veramente un incontro di fede con il nostro Salvatore, un momento in cui riscopriamo il senso della nostra vita cristiana come vita di comunione con Dio e con i fratelli e sorelle, un momento di gioia e di grazia.

 Alzogliocchiversoilcielo


 

L'UNICA POSSIBILITA'



 La fraternità 

come via 

per superare la guerra.


 «L’unica possibilità». 



Ad affermarlo è fratel Enzo Bianchi

«Siamo alla vigilia di una grande guerra mondiale.

La fraternità è da vivere con lo stesso impegno 

avuto per la libertà e l’uguaglianza, 

come qualcosa di politico per cui combattere.


Intervista a ENZO BIANCHI

di Chiara Genisio

 La fraternità deve tradursi in istituti politici, giuridici com’è avvenuto in Sudafrica per la riconciliazione. Finché la fraternità resta un augurio, anche la libertà e l’uguaglianza saranno fragili, come scrivo nel mio libro ». Si intitola proprio così, semplicemente Fraternità (Einaudi Editore), il suo ultimo libro. Un testo che era già pronto anni fa, poco prima dell’uscita dell’Enciclica sociale Fratelli tutti di papa Francesco. Ha scelto di attendere a pubblicare, nonostante i solleciti del suo editore. Ma ora ha sentito che il tema doveva “assolutamente” essere approfondito e divulgato. «Ne ho sentito l’urgenza», afferma, «la società è sempre più rancorosa, più diffidente con la mancanza di fiducia. Un clima in cui viene sempre meno soprattutto la fraternità e, di conseguenza, la solidarietà, lo stare insieme. Ciò mi ha spaventato e mi ha indotto a pubblicare questo libro; con la guerra ormai ai confini dell’Europa e nel Medio Oriente la fraternità diventa l’orizzonte dell’umanità e non più l’orizzonte di cui parlare come se riguardasse solo i cristiani o una parte del mondo». 

 Papa Francesco nella Prefazione scrive che nel libro lei mostra che «la fraternità è la vocazione dell’umanità». Quanto è importante che papa Bergoglio abbia scritto la Prefazione? 

«Molto importante. Non ho mai perso la consapevolezza di essere figlio di uno stagnino, di venire dal Monferrato da una famiglia povera; nella mia vita avrei mai pensato di stringere la mano a un Papa, di diventare poi con Benedetto XVI e con Francesco, in un certo senso, un amico. La Prefazione mi è giunta come un dono grande, un segno di affetto di papa Francesco, di un suo riconoscimento soprattutto dopo un periodo burrascoso, in cui sembrava che ci fossero molte diffidenze verso di me. Quindi, non solo ringrazio Francesco che, in tutto questo tempo, con lettere e messaggi mi ha dato segni di affetto, di confidenza, di rassicurazione, ma lo ringrazio perché ha messo anche un sigillo su quello che scrivo, su quello che può essere il mio insegnamento, la mia eredità». 

Lei a un certo punto cita che Francesco identifica la questione della fraternità come una cosa dei credenti di tutte le religioni, ma lei dice no: è una questione dell’umano... 

«E aggiungo anche dei non credenti. Secondo me la fraternità è universale. Dobbiamo stare attenti a non fare una specie di “Onu dei credenti” in cui al centro ci sarebbero i monoteismi, poi le altre religioni e le altre spiritualità ai bordi. L’uomo non è definito dal credere o dal non credere, ma dal suo operare». 

 C’è, quindi, un’unica fraternità per tutti? 

«Sì. Noi certamente ci sentiamo confermati nella fraternità, perché diciamo che l’unico nostro padre è Dio. Ma i non credenti possono sentire la fraternità come imperativo avvertito dalla coscienza umana come decisivo; è un cammino al quale sono chiamati tutti gli uomini e le donne della terra. L’umanità è una: ciascuno o si colloca in relazione con altri e si umanizza o sperimenta un cammino individualistico che ha come esito la barbarie». 

 Possiamo affermare che un credente dovrebbe avere una spinta in più verso la fraternità? 

«Una responsabilità in più». 

 La Chiesa italiana come vive la fraternità? 

«La Chiesa o è una fraternità oppure non è Chiesa di Cristo. La Chiesa italiana non sempre sente quello che dice Francesco, non sempre ascolta le voci più vive. È una Chiesa ancora troppo lenta; al Sinodo non c’è un vero tema di rinnovamento, manca l’invenzione, la scoperta di un segno dei tempi nuovi... Non si percepisce un’urgenza nuova nella Chiesa italiana. Sono ancora valide le indicazioni pastorali dell’inizio del 2000». 

 Di cosa c’è bisogno? 

«Occorre avere del coraggio». 

 La questione femminile affiora nel dibattito anche al Sinodo: nella Chiesa italiana c’è un problema femminile? 

«C’è in tutta la Chiesa, forse un po’ meno nelle Chiese del Nord. Le donne non sono ancora valorizzate come dovrebbero. Abbiamo un Papa che è più profeta e più avanti di quel che è il popolo di Dio». 

 Come sono i giovani che incontra? 

«I giovani non sentono neanche la Chiesa lontano, per loro non esiste più. Viviamo un tempo di esculturazione del cristianesimo A volte parlando con loro mi dicono che la Chiesa non sanno cosa sia. Vivono nell’indifferenza verso tutto, con l’obiettivo di stare bene con sé stessi. Ci mancano dei corridoi di formazione per i giovani. Sono preoccupato, in questo periodo sto lavorando con gli Scout, un’agenzia che fa formazione e che aiuta a crescere umanamente e fornisce una grammatica umana». 

 Da mesi è impegnato con conferenze e iniziative, a parlare non solo di fraternità ma anche di vita, sentimenti, cuore, cibo. Tutta questa vitalità le arriva da “Casa Madia”, la sua nuova casa? 

«No. Io credo che la fonte sia l’assiduità alla parola di Dio. Io sperimento che l’assiduità alla parola di Dio mi infonde un coraggio, una forza per cui non temo nulla. Mi fa dire quello che devo dire a chiunque; non ho paura e affronto anche quelli che mi calunniano o mi hanno calunniato. Se la parola di Dio viene meno anche per un giorno, io mi sento smarrito e mi sento debole». 

 L’invito è a pregare di più? 

«Sì, a leggere di più la parola di Dio. Attaccarsi al Vangelo perché il Vangelo è Gesù Cristo e Gesù Cristo è il Vangelo».

 Alzogliocchiversoilcielo

AL CUORE DELLA RIFORMA DELLA SCUOLA


 Il problema non è la Bibbia, ma la rinuncia alla interdisciplinarità

 Il ministro Valditara ha svelato i contenuti delle nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione. Tra le novità ci sono l’inserimento facoltativo del latino, l’abolizione della geostoria, il maggior spazio allo studio della storia dei popoli italici. Ma cosa c'è di veramente nuovo nella proposta?

In dialogo con il pedagogista Italo Fiorin

 

di Rossana Certini

 Perché sono state presentate come nuove proposte delle indicazioni che sono già presenti nella scuola italiana?». Questa la domanda che si pone Italo Fiorin dopo che il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ha anticipato i contenuti delle nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione, messe a punto da una commissione di esperti coordinata da Loredana Perla e che dovrebbero essere introdotte dall’anno scolastico 2026-27. Fiorin, pedagogista, presiede la Scuola di alta formazione Educare alla solidarietà e all’incontro – Eis della Lumsa di Roma ed è stato il coordinatore della commissione che ha steso le indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione nel 2007 e presidente del Comitato scientifico nazionale delle Indicazioni nazionali nel 2012. La sintesi giornalistica del “Dio, patria, Bibbia e latino” con lui non tiene, ma pure a lui sfugge la preoccupazione che «le “nuove” indicazioni avessero solo l’intento di imprimere alla scuola una direzione nazionalistica e nostalgica».

Proposte interessanti ma non nuove

Tra le novità annunciate dal ministro c’è l’inserimento del latino nel curricolo a partire dalla scuola secondaria di primo grado, l’abolizione della geostoria, la centralità dello studio della letteratura italiana, filastrocche e grammatica alla primaria, più spazio alla storia e ai popoli italici.

«Fino ad oggi», prosegue Fiorin, «nulla ha mai vietato agli insegnanti di introdurre letteratura e racconti nelle classi della scuola dell’infanzia. Perfino il latino può essere già inserito nei programmi scolastici del primo ciclo. Tra i temi annunciati dal ministro ci sono proposte interessanti, che però non sono nuove. E ce ne sono altre che si auspica non siano così come appaiono dalle parole di un’intervista».

Abolizione della geostoria o dell’interdisciplinarità?

Per quanto riguarda l’abolizione della geostoria, per esempio, Fiorin osserva che «non è chiaro a cosa si riferisca il ministro, visto che già oggi nel primo ciclo geografia e storia sono due materie distinte. La materia geostoria non è presente nel primo ciclo, ma solo alla secondaria di secondo grado. Viene allora il dubbio che il ministro si riferisca all’approccio interdisciplinare tra storia e geografia». E allora sì che Fiorin vede un problema: «Valditara ci sta dicendo che si prevede un ritorno all’insegnamento di una geografia descrittiva solo del territorio? Perché questo è un approccio ormai superato. La geografia moderna deve necessariamente presentare il paesaggio nell’interazione con l’uomo. Conoscere il deserto in sé ha poco significato. Invece, conoscere le condizioni umane che questo paesaggio desertico genera è un modo contemporaneo di trasmettere la geografia, che però non può prescindere dalla storia». Il timore allora è che si stia immaginando il superamento dell’approccio multidisciplinare, orientato al dialogo tra le discipline, a favore di una semplificazione della didattica che – sottolinea Fiorin – «nei fatti è una frammentazione che riporterebbe la scuola indietro di anni».

Un altro tema che si legge in filigrana nelle parole del ministro è quello della cittadinanza che, osserva Fiorin, «sembra essere ancorata all’italianità. Ma nella realtà del quotidiano la cittadinanza è mondiale o addirittura planetaria. Voglio dire che oggi esistono cittadinanze interconnesse, che hanno il grande valore di consentire di condividere le responsabilità individuali verso la comunità che abita il nostro pianeta. Quindi non è la presenza del tema della cittadinanza nelle parole del ministro a preoccupare ma, nuovamente, come il tema è posto».

Nel nostro sistema scolastico, che riconosce l’autonomia degli istituti, le indicazioni nazionali hanno la funzione di essere il riferimento per la programmazione di ogni singolo docente. L’insegnante, spiega Fiorin, «è un professionista che – guidato dalle Indicazioni nazionali – stila il programma per la sua classe tenendo conto anche del contesto territoriale. Trovo, quindi, improprio che le indicazioni nazionali, così come descritte dal ministro, entrino nel dettaglio della didattica, invitando per esempio ad imparare a memoria poesie e filastrocche. Per non parlare del fatto che questi sarebbero metodi di insegnamento che appartengono al passato».

Testi sacri non come appartenenza, ma come riflessione

Sul tema della conoscenza della Bibbia inteso «come testo della nostra tradizione, che tra l’altro ha ispirato numerose opere di letteratura, musica, pittura e influenzato il patrimonio culturale di molte civiltà» (sono parole della sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, che fa parte della Commissione che sta definendo le Indicazioni nazionali) Fiorin osserva che «ovviamente non c’è nulla di sbagliato nell’introdurre testi di natura religiosa che sono, anche, di rilevanza culturale e letteraria. Il problema è, anche questa volta, il modo in cui viene presentata l’introduzione dei testi biblici. Sembra una proposta che ha l’obiettivo di affermare l’identità e l’appartenenza specifica. Invece avremmo bisogno di far leggere ai nostri ragazzi diversi testi religiosi per confrontarli, riflettere e lavorare insieme per superare le differenze».

Infine, conclude Fiorin: «la sensazione è che nelle parole del ministro il grande cambiamento sia quello di un ritorno a una visione nazionalista

Ora attendiamo di leggere il documento ufficiale».

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