venerdì 31 gennaio 2020

LA LONGEVITA', UN BENE DA VALORIZZARE

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL I CONGRESSO INTERNAZIONALE DI
PASTORALE DEGLI ANZIANI SUL TEMA
"LA RICCHEZZA DEGLI ANNI"
Venerdì, 31 gennaio 2020


Cari fratelli e sorelle,
do il mio cordiale benvenuto a voi, partecipanti al primo Congresso internazionale di pastorale degli anziani – “La ricchezza degli anni” –, organizzato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita; e ringrazio il Cardinale Farrell per le sue cortesi parole.
La “ricchezza degli anni” è ricchezza delle persone, di ogni singola persona che ha alle spalle tanti anni di vita, di esperienza e di storia. È il tesoro prezioso che prende forma nel cammino della vita di ogni uomo e donna, qualunque siano le sue origini, la sua provenienza, le sue condizioni economiche o sociali. Poiché la vita è un dono, e quando è lunga è un privilegio, per sé stessi e per gli altri. Sempre, sempre è così.

Nel 21° secolo, la vecchiaia è divenuta uno dei tratti distintivi dell’umanità. Nel giro di pochi decenni, la piramide demografica – che un tempo poggiava su un gran numero di bambini e giovani e aveva al suo vertice pochi anziani – si è invertita. Se un tempo gli anziani avrebbero potuto popolare un piccolo stato, oggi potrebbero popolare un intero continente. In tal senso, l’ingente presenza degli anziani costituisce una novità per ogni ambiente sociale e geografico del mondo. Inoltre, alla vecchiaia oggi corrispondono stagioni differenti della vita: per molti è l’età in cui cessa l’impegno produttivo, le forze declinano e compaiono i segni della malattia, del bisogno di aiuto e l’isolamento sociale; ma per tanti è l’inizio di un lungo periodo di benessere psico-fisico e di libertà dagli obblighi lavorativi.  ...


UNO STATO DA RI-COSTRUIRE. Il 32° Rapporto Eurispes

Un Progetto ambizioso per il Paese: la Politica ha la responsabilità di affrontare una nuova fase costituente e ricollegare Sistema e Paese

Il Rapporto Italia, giunto quest’anno alla 32a edizione, come da tradizione, ruota attorno a 6 dicotomie, illustrate attraverso altrettanti saggi e 60 schede fenomenologiche. Vengono affrontati, quindi, attraverso una lettura duale della realtà, temi che l’Istituto ritiene rappresentativi della attualità politica, economica e sociale del nostro Paese.
Le dicotomie tematiche individuate per il Rapporto Italia 2020 sono:
Valori/Comportamenti • Creazione/Distruzione • Episteme/Doxa
Eguaglianza/Disuguaglianza• Libertà/Soggezione • Hostis/Hospes
Ad arricchire il Rapporto, le indagini campionarie che, nell’edizione di quest’anno, hanno sondato alcuni dei temi tradizionalmente proposti dall’Eurispes e altri di recente interesse: la fiducia nelle Istituzioni, l’opinione su alcune delle misure proposte o introdotte dal Governo, la situazione economica delle famiglie e i consumi, l’immigrazione e l’accoglienza, la legalizzazione della cannabis, il mondo degli animali, le nuove abitudini alimentari, il carico fiscale e i servizi al cittadino, l’evasione, l’uso delle sigarette elettroniche e dei nuovi dispositivi senza combustione, i consumi alimentari di qualità, la sicurezza nelle città, lo stalking e il revenge porn, la sensibilità ambientale, la salute e l’uso dei farmaci, l’informazione attraverso i media, l’antisemitismo, l’educazione e la memoria storica.
Nel Rapporto vengono, inoltre, affrontati attraverso le schede fenomenologiche diversi altri temi di stretta attualità come, ad esempio, il caporalato e la tratta degli esseri umani, i fenomeni migratori, la capacità di innovazione del Made in Italy, la moda sostenibile, l’evoluzione tecnologica in medicina e i suoi riflessi sulla salute delle persone, l’agricoltura 4.0, l’artigianato, le energie rinnovabili “condivise”, il fenomeno dell’usura, la digitalizzazione del mercato dei giocattoli, l’editoria, i giovani e la musica, i cambiamenti climatici, la comunicazione veicolata attraverso i Social Network, gli investimenti Italia-Cina, gli E-Sport, la questione meridionale.
Due anni fa avevamo affidato al Rapporto il concetto di RESPONSABILITÀ, scelto come “parola chiave”, per sottolineare, in particolare per la sua mancanza, ciò che ci pareva contraddistinguere le tendenze sociali, economiche, politiche e culturali in atto nel Paese. Oggi più che mai questo concetto rimane di estrema attualità.
Non solo, il concetto di “responsabilità” chiama in causa ognuno di noi, tutti devono sentirsi chiamati ad averne. Responsabilità verso se stessi, i propri figli, il Paese nel suo insieme.



martedì 28 gennaio 2020

GLOBAL COMPACT EDUCATION : DIALOGUE - DIALOGO - In preparazione all'incontro mondiale di maggio

 


Una delle parole chiave del messaggio di Papa Francesco nell'invito al Global Compact on Education è "dialogo".
«Il nostro mondo è diventato un villaggio globale con molteplici processi di interazione, dove ogni persona appartiene all'umanità e condivide la speranza di un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli. 
Nello stesso tempo, purtroppo, ci sono tante forme di violenza, povertà, sfruttamento, discriminazione, emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali che creano una cultura dello scarto. In tale contesto gli istituti educativi sono chiamati in prima linea a praticare la grammatica del dialogo che forma all’incontro e alla valorizzazione delle diversità culturali e religiose
Il dialogo, infatti, educa quando la persona si relaziona con rispetto, stima, sincerità d’ascolto e si esprime con autenticità, senza offuscare o mitigare la propria identità nutrita dall’ispirazione evangelica. 
Ci incoraggia la convinzione che le nuove generazioni, educate cristianamente al dialogo, usciranno dalle aule scolastiche e universitarie motivate a costruire ponti e, quindi, a trovare nuove risposte alle molte sfide del nostro tempo. In senso più specifico, le scuole e le università sono chiamate ad insegnare un metodo di dialogo intellettuale finalizzato alla ricerca della verità. 
San Tommaso è stato ed è tuttora maestro in questo metodo, che consiste nel prendere sul serio l’altro, l’interlocutore, cercando di cogliere fino in fondo le sue ragioni, le sue obiezioni, per poter rispondere in modo non superficiale ma adeguato. Solo così si può veramente avanzare insieme nella conoscenza della verità».
Papa Francesco



domenica 26 gennaio 2020

ADOLESCENTI, L'ARTE DI ACCOMPAGNARLI


Servono più genitori ed educatori 
e meno psichiatri

 


Bellezza, denaro, morte, corpi, vecchiaia, attesa, le droghe che sono una maschera. Lo psichiatra racconta con onestà gli adolescenti di oggi. «La soluzione migliore per lavorare con loro è accettare e dire che non sappiamo chi sono. E aggiungo: essere adolescenti significa, prima di tutto,"essere contro". Preoccupatevi quindi di quelli che non hanno conflitti»

 

Vittorino Andreoli, psichiatra, è intervenuto durante il seminario “Adolescenti e dipendenze” organizzato dalla Fondazione Exodus di don Mazzi. Andreoli restituisce un’immagine degli adolescenti inedita. E per farlo parte della dipendenza: «Il problema della dipendenza è grande. Ma per parlarne dovremmo partire dalla nostra vita e della società, solo così possiamo capire quella dei nostri figli».
Chi sono gli adolescenti di oggi?
Non c’è nessuna dottrina in grado di spiegare chi è l’adolescente. Vive dentro la società ma muta continuamente. La soluzione migliore per lavorare con loro è accettare e dire che non sappiamo chi sono, solo cosi potremmo conoscerli meglio. Poi, bisogna guardare all’adolescenza nel mondo e nell’ambiente. Non è possibile separare i ragazzi, decontestualizzarli. Mi chiedete chi sono gli adolescenti? Per me giovani che vivono in un’età difficile ma piena di fascino e che meritano di essere non aiutati ma capiti. Io non ho formule, sia chiaro, ma solo alcune considerazioni.
Quali?
La prima – fondamentale – è che l’adolescenza non è una malattia. Sembrerà banale sottolinearlo, ma ormai c’è la tendenza a considerarla tale appena si presenta un problema, anche minimo. L’adolescenza è una fase dell’esistenza che ha delle caratteristiche precise. Come la vecchiaia d’altronde, che pure è una fase straordinaria dell’esistenza con caratteristiche proprie da cui non bisogna scappare, anzi bisogna viverle perché hanno grande senso e valore nel mondo sociale. Ecco la vecchiaia c’entra molto con l’adolescenza. Questi giovani hanno bisogno dei vecchi, del rapporto con i nonni: perché la figura del nonno rappresenta la storia e bisogna far sentire all’adolescente che anche lui si inserisce in una storia, e la storia si capisce solo in relazione a chi è più grande. Adolescenza e vecchiaia non sono diversissime tra loro.
In alcuni adolescenti la bellezza è diventata un trauma. Se non sei bello sei da buttare.
Da cosa è caratterizzata questa età?
Essere adolescenti significa, prima di tutto, essere contro. E questo dipende da una percezione del mondo che vorrebbero diverso. Ma non perché non gli piaccia la famiglia, la mammà, il papà, o la casa. Ma perché in qualche modo devono trovare un equilibrio, una sincronia tra il loro mondo che sta cambiando e quello che hanno attorno. “Sono contro” perché non si sentono più simmetrici: l’adolescenza è una metamorfosi. E sono conviti che sia il modo a dover cambiare e non loro ad aspettare di cambiare, di trasformarsi appunto.
Non sanno aspettare?
Bisogna amarla l’attesa. Oggi, e questo non riguarda più solo gli adolescenti, nessuno sa più aspettare. Si vuole tutto subito. Invece l’attesa vuol dire poter vedere che cos’è la crescita, la curiosità. Attesa significa saper immaginare. Quello che dobbiamo insegnare è la pazienza. Ma “essere contro” non significa conflitto, non è una patologia. Abbiamo considerato il conflitto una patologia per molti anni. Senza accettare che esiste anche un conflitto positivo, che alla fine è quello che si verifica con più frequenza negli anni dell’adolescenza. “Essere contro” è fondamentale, preoccupatevi di quelli che non hanno conflitti.
Quali sono le altre possibilità?
Poi ci sono le adolescenze difficili e quelle malate, ma non sono la regola. È questo che dobbiamo capire.
In quanti modi si può essere contro?
Io ne riconosco tre. Utilizzando la trasgressione, i ragazzi che seguono le regole e in maniera ritmica le infrangono per poi rientrarci. Poi si può essere oppositivi. Oppositivo è il ragazzo che dice sempre no a tutto, dice di no anche quando vorrebbe dire sì. L’opposizione è una dipendenza al contrario e in questo caso il ragazzo va aiutato.
Le droghe sono le maschere che gli adolescenti usano perché non si piacciono, con le droghe l’adolescente si percepisce diverso
Vittorino Andreoli
Come si supportano i ragazzi durante gli anni dell’adolescenza?
Nella nostra società c’è bisogno di sicurezza. La nostra è la società della paura. Ogni giorno ci facciamo sollecitare, oltre che da quella esistenziale, anche da tante altre paure. La paura è uno strumento difensivo che ci permette di riconoscere i rischi ma noi la stiamo esasperando. E allora come facciamo da insicuri a supportare gli adolescenti nelle loro insicurezze? Nell’adolescente l’insicurezza ha una via potentissima e privilegiata.
E il rapporto con le dipendenze?
Tutto è cambiato e continua a cambiare velocemente. In 10 anni si sono diffuse altre 600 nuove sostanze. E il rapporto tra gli adolescenti e le sostanze è molto cambiato.
In che senso?
Partiamo dalla bellezza, occupiamoci della bellezza. Ormai è diventata un trauma. Una specie di imperativo. Se non sei bello sei da buttare. Ma sentirsi orrendi è la condizione più ricorrente nell’adolescenza. Proprio perché è una condizione di trasformazione. E gli adolescenti non sanno come cambierà il corpo e se sarà uguale all’immagine stabilita dai giornali di moda. Domina la bellezza di superficie in questa società dei sacerdoti della dieta. Questa società sta ossessionando l’adolescenza. Ma la bellezza è un’altra cosa. C’è la bellezza del modo di fare, del sorriso, dello sguardo. Quindi per evitare che i ragazzi cadano nel circolo delle dipendenze, la prima cosa, è aiutarli parlando con loro della bellezza. Discutere con loro su che cos’è essere belli. Altrimenti si corre il rischio di buttarsi via, e ci sono tanti modi per farlo: usando le sostanze per non sentirsi più brutti, bere cinque bicchieri di vino alla volta perché così si sballano e non si sentono più preoccupati per il naso o non so che cosa. Il secondo tema è il denaro, che è un vero problema per l’adolescente. Perché se non hai quei venti euro li devi avere, diventa una questione di vita o di morte, di morte sociale. Poi se non hai denaro e avverti la bruttezza è difficile girare per strada. Ci sono persone brutte che vogliono morire e la droga si inserisce in questo malessere per essere la maschera. Le droghe sono le maschere che gli adolescenti usano perché non si piacciono, con le droghe l’adolescente si percepisce diverso. Attenua il dolore. La terza parola è la morte. Non si parla mai di morte, la morte è un tabù. Eppure se parliamo di morte possiamo spiegare ai ragazzi che cosa significa essere in questo mondo, e che la vita è un’esperienza straordinaria, basta superare delle difficoltà e non credere che tutto sia legato al denaro.
Dobbiamo dire della bellezza di vivere, raccontare la gioia di vivere. L’amore è una grande cosa e anche il corpo è una cosa meravigliosa, le persone con il corpo si devono amare. Il corpo l’ha dato il Padreterno quindi basta con questi tabù. Basta vederlo come qualcosa di osceno. Il corpo è un’espressione straordinaria, gli educatori la devono raccontare questa cosa ai loro ragazzi. Perché non dire dell’umanità straordinaria e della bellissima storia di essere amati e che se perdiamo – attraverso le sostanze – la sensazione della nostra fragilità queste cose non possiamo ricordarcele.

Testo raccolto durante il seminario “Adolescenti e dipendenze” organizzato dalla Fondazione Exodus di don Mazzi



sabato 25 gennaio 2020

VENITE DIETRO A ME!

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 4, 12-23

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!  Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

Commento di p. Paolo Curtaz

Eccoci
Hanno arrestato il Battista, tira una brutta aria per profeti e affini.
Gesù dovrebbe prudentemente scappare, tornare nel suo buco di paese, a Nazareth.
Meglio non farsi vedere in giro, meglio non essere associato a certe compagnie.
Così faremmo noi. Così farei io.
Non così opera il Figlio dell’uomo che è venuto a gettare il fuoco sulla terra.
Che brucia di desiderio. Che arde.
Non fugge, inizia la sua missione.
Partendo dagli ultimi. Da quelle due parti di Israele, Zabulon e Neftali, fra le prime a soccombere alla protervia delle nazioni, ad opere degli Assiri, sei secoli prima.
Una terra meticcia, straniera, contaminata, perduta.
Vero.
Ma non è venuto esattamente per salvare chi è perduto, il Signore?
E, oso, per chi nemmeno sa più di esserlo?
Abita le tenebre, la luce. Viene a rischiararla.
Pagina che mi scuote, che mi spinge. In questo nostro tempo in cui corriamo il rischio di scoraggiarci, di chiuderci dentro le nostre sacrestie, in cui ci sentiamo ignorati, sviliti, Gesù propone un’alternativa: svegliati, reagisci, esci, riparti, osa.
Seguiamo il Maestro, andiamo ad abitare là dove non c’è nemmeno più speranza.
Torniamo ad essere illuminati, per portare luce.
Accorgetevi
Parla, il Maestro. Inizia a dire.
Parla, la Parola.
E sono parole che consolano e scuotono.
Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino.
Dio ti si è fatto vicino, è venuto lui, lui viene da te. Accorgitene. Solleva lo sguardo. Svegliati.
È qui, Dio. Smettila di piangerti addosso. Finisci di lamentarti.
È qui, non lo vedi? Allora cambia direzione, cambia strada, ferma l’auto che altri conducono e prendi il tuo posto al volante della tua vita e inverti la rotta. Guidala verso il Signore.
Prega, ama, medita, opera.
Svegliati. Non aspettare che altri lo facciano per te. Nemmeno Dio.
Tuo è il sangue che serve per le analisi. Nessuno si può sostituire a te.
Allora, dice il Signore, datti una mossa.
Dobbiamo annunciare il Vangelo. A volte anche con le parole.
Meglio se con le nostre scelte.
Discepoli
Vede due fratelli. Poi altri due.
Sembrano pescatori, sono identificati, come noi, da ciò che fanno.
Ma lo sguardo di Gesù è diverso, vede oltre, legge oltre l’apparenza.
Simone il cocciuto non sa ancora di essere Pietro. Giovanni non sa ancora di essere un boanerghes, capace di far tuonare la Parola.
Nemmeno noi sappiamo bene cosa siamo finché non ci mettiamo alla sequela del Signore, finché non abbiamo il coraggio di lasciare tutto, di osare, di credere, di vedere anche noi ciò che Dio solo vede. Il meglio di noi stessi. Il meglio di me.
Quando scopriamo con che sguardo siamo amati, mettiamo le ali e spicchiamo il volo.
Venite dietro di me, ci ripete, oggi, il Signore. Anche se non ne siamo degni, anche se abbiamo affondato i nostri sogni nel profondo del mare dell’abitudine, anche se ci siamo rasseganti a restare con le reti vuote.
Venite dietro di me, ci dice colui che ci conosce fino in fondo.
Il solo, forse, che ci conosce. Il solo che ci ama senza condizioni, senza misura, senza tentennamenti.
Si fida di noi, di me. Potrebbe farne a meno, ma chiede il nostro aiuto. Il mio.
Siamo fragili, certo. E inadeguati.
 Paolo rimprovera e scuote i suoi fratelli nella fede. Si dividono in gruppi, in caste, seguono ognuno un guru invece di ascoltare il Maestro.
Siamo credenti credibili se abbiamo il coraggio di lasciar prevalere il Signore nelle nostre azioni. Se usciamo dalle nostre piccole logiche per bruciare d’amore come il Cristo.
Il Regno
Venite dietro di me.
Per raccontare l’essenziale.
Poche frasi, pochi concetti. Dio si è fatto presente, si è reso accessibile, è vicino, si fa vicino, accorgitene, convertiti. Cioè: cambia sguardo, prospettiva, direzione, opinione.
Cambia perché Dio è diverso e la tua vita è diversa, tu sei diverso.
Il Regno si è fatto vicino, è a portata di mano.
Il Regno che è la scoperta dell’amore come unica e somma legge che regola l’Universo e le nostre vite. L’amore che regge ogni cosa. E l’amore, allora guarisce. Gesù parla e la sua Parola guarisce, mi guarisce, ci guarisce.
Perché è una Parola creativa, nuova e inattesa, gravida e feconda.
Così cominciamo questo anno.
Da discepoli.
Venite dietro di me.
Eccoci, Signore, se ancora ci vuoi,
fragili e deboli, feriti e claudicanti, eccoci.
Pronti a raggiungere le periferie che tu ami abitare, perché, buon Dio!, le conosciamo così bene quelle periferie! Ci abbiamo vissuto da tempo. Le abbiamo esplorate, ci abitano, ci danno identità.
Eccoci, Signore, fragili come Pietro e Andrea, come Giacomo e Giovanni, eppure ancora disposti a diventare pescatori di umanità, a far germogliare tutta l’umanità che portiamo nel cuore e che tu hai onorato e santificato diventando uomo.
Eccoci.


venerdì 24 gennaio 2020

UN’ECONOMIA A MISURA D’UOMO CONTRO LA CRISI CLIMATICA

MANIFESTO DI ASSISI

Costruire un'economia e una società più a misura d'uomo in grado di affrontare con coraggio la crisi climatica, grazie ad una nuova alleanza tra istituzioni, mondo economico, politica, società e cultura: è l'obiettivo del 'Manifesto di Assisì, documento «contro la crisi climatica» che ha raccolto diverse migliaia di firme di autorità, scienziati e semplici cittadini.

IL MANIFESTO :


Affrontare con CORAGGIO la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di FUTURO. È una sfida di enorme portata che richiede il contributo delle migliori energie tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali. Il contributo di tutti i mondi economici e produttivi e soprattutto la PARTECIPAZIONE dei cittadini. Importante è stato ed è in questa direzione il ruolo dell’ENCICLICA LAUDATO SI’ di Papa Francesco.

Siamo convinti che, in presenza di politiche serie e lungimiranti, sia possibile azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra entro il 2050. Questa SFIDA può rinnovare la missione dell’Europa dandole forza e centralità. E può vedere un’Italia in prima fila. Già oggi in molti settori, dall’industria all’agricoltura, dall’artigianato ai servizi, dal design alla ricerca, siamo protagonisti nel campo dell’ECONOMIA CIRCOLARE E SOSTENIBILE. Siamo, ad esempio, primi in Europa come percentuale di riciclo dei rifiuti prodotti.

La nostra GREEN ECONOMY rende più competitive le nostre imprese e produce posti di lavoro affondando le radici, spesso secolari, in un modo di produrre legato alla qualità, alla BELLEZZA, all’efficienza, alla storia delle città, alle esperienze positive di COMUNITÀ e territori. Fa della COESIONE SOCIALE un fattore produttivo e coniuga EMPATIA e tecnologia. Larga parte della nostra economia dipende da questo.

I nostri problemi sono grandi e antichi: non solo il debito pubblico ma le DISEGUAGLIANZE sociali e territoriali, l’illegalità e l’economia in nero, una burocrazia spesso inefficiente e soffocante, l’incertezza per il presente e il futuro che alimenta paure. Ma l’ITALIA è anche in grado di mettere in campo risorse ed esperienze che spesso non siamo in grado di valorizzare. Noi siamo convinti che non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia.

La SFIDA DELLA CRISI CLIMATICA può essere l’occasione per mettere in movimento il nostro Paese in nome di un futuro comune e migliore.
Noi, in ogni caso, nei limiti delle nostre possibilità, lavoreremo in questa direzione, senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno. Un’Italia che fa l’Italia, a partire dalle nostre tradizioni migliori, è essenziale per questa sfida e può dare un importante contributo per provare a costruire un MONDO PIÙ SICURO, CIVILE, GENTILE.





ONU. GIORNATA MONDIALE DELL'EDUCAZIONE

L’educazione è un diritto per tutti negato a troppi da non dimenticare

Si celebra oggi la Giornata internazionale dell’Educazione 2020, proclamata dalle Nazioni Unite per sensibilizzare governi e popoli sul ruolo chiave dell’istruzione per lo sviluppo dell’umanità, la pace e la giustizia

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

“Imparare per le persone, il pianeta, la prosperità e la pace”: è il tema della seconda Giornata internazionale dell’educazione, celebrata oggi nella sede dell’Unesco a Parigi e nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York e con eventi in tutto il mondo, per sottolineare – come suggerisce l’Onu - “la natura integrata dell’istruzione, i suoi obiettivi umanistici nonché la sua centralità rispetto alle ambizioni di sviluppo collettivo”.
Educazione inclusiva, equa, permanente
“Dobbiamo fare di più – sollecita infatti il segretario generale dell’Onu Antonio Guterrez – per assicurare un’educazione inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”, così come previsto nell’Agenda degli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030.
Istruzione gratuita, obbligatoria, accessibile
Da ricordare che la stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1948, prevede all’art. 26 che “ogni individuo ha diritto all’istruzione”, che “deve essere gratuita” e obbligatorio almeno per “le classi elementari e di base”, mentre l’istruzione tecnica e professionale deve essere “alla portata di tutti” e l’istruzione superiore “accessibile a tutti sulla base del merito”. Già negli anni del secondo dopoguerra l’Onu raccomandava che l’istruzione fosse indirizzata “al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali” e che dovesse promuovere “la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le nazioni, i gruppi razziali e religiosi” e “favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”; nella stessa Dichiarazione si indica che “i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”.
265 milioni di scolari assenti dai banchi
Sono passati oltre 70 anni da allora ma ancora oggi - denuncia l’Onu - 265 milioni di bambini e adolescenti nel mondo sono assenti da scuola e 617 milioni non sanno leggere e scrivere e fare operazione matematiche di base. Le più svantaggiate sono le bambine e le ragazze. Una adolescente su tre nelle famiglie più povere, nei Paesi più arretrati, non è mai andata a scuola; nell’Africa subsahariana meno del 40 per cento completa la scuola secondaria inferiore. Sono dati tratti dall’ultimo rapporto dell’Unicef, che mette in luce “la crisi dell'apprendimento ed il bisogno urgente di migliorare i fondi per l'istruzione dei bambini più poveri”. Tra i 42 Paesi presi in esame è risultato che i fondi per l’istruzione dei figli del 20 per cento delle famiglie più ricche sono il doppio di quelli destinati ai figli del 20 per cento delle famiglie più povere. Come a dire che quanto più si è poveri tanto più si è esclusi dai programmi educativi!
Investire in modo equo e diffuso
“Gli Stati ovunque – avverte Henrietta Fore, direttore generale dell’Unicef - stanno fallendo nel prendersi cura dei bambini più poveri del mondo, e per questo, anche nel prendersi cura del benessere stesso del Paese”. “Siamo in un momento critico” ammonisce Fore e se non investiremo “in modo equo e diffuso sull’istruzione dei bambini”, questi “avranno poche speranze di affrancarsi dalla povertà, acquisire le competenze di cui hanno bisogno, avere successo nel mondo di oggi e contribuire alle economie dei loro Paesi”.
Dimezzare la povertà con i libri
L’Unesco rammenta che centrando il quarto Obiettivo dello sviluppo sostenibile - “garantire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento permanente per tutti” - potrebbe essere dimezzata la povertà nel mondo intero. E’ infatti dimostrato che ogni anno istruzione porta in media un incremento medio del 10 per cento del reddito, percentuale che cresce di molto nei Paesi più poveri, che hanno carenza di lavoratori qualificati.
Cultura per tutti porta pace e stabilità  
L’istruzione è anche la chiave di volta per creare condizioni di politica partecipata, inclusione sociale, democrazia diffusa, stabilità e pace. Una recente ricerca condotta in 100 Paesi con almeno 50 anni di storia ha dimostrato che un maggiore divario educativo è portatore di maggiori conflitti. Le iniziative educative rivolte alle fasce di popolazioni più povere ed emarginate ne favoriscono l’emancipazione e l’accesso alla giustizia, contribuendo alla riconciliazione nelle società.  
  




L'UOMO, UN ESSERE NARRANTE

"Ritrovare il senso 
della storia e del racconto"

Editoriale del Prefetto del Dicastero per la Comunicazione sul messaggio di Papa Francesco per la cinquantaquattresima giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali

PAOLO RUFFINI

«Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita».
«Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio».
Con queste due frasi, l’una posta subito dopo l’inizio e l’altra verso la fine del suo Messaggio per la cinquantaquattresima giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, Papa Francesco ci riporta con le sue parole all’essenza di un tema intorno al quale da tanto tempo giriamo in tondo. Come in un vortice che rischia di farci perdere la bussola, la stella polare, la direzione; con il paradosso che l’era della comunicazione rischia di coincidere con quella della incomunicabilità; e il trionfo dei big data con la sconfitta della sapienza necessaria per leggere e raccontare il senso di ogni storia, e con esso il significato della Storia.
Narrare viene da gnarus, fare esperienza. Ma senza la capacità di ricondurre l’esperienza a unità, non c’è sapienza, e nemmeno conoscenza; tutto si riduce a una elencazione senza senso.
A questo serve narrare.
Solo il racconto (sempre, anche nella scienza, serve una ipotesi di ricerca, una chiave di lettura delle cose) è capace di rivelare ciò che non è immediatamente visibile agli occhi, ciò che è nascosto, ciò che richiede il tempo della conoscenza per essere svelato.
Con il suo messaggio il Papa parla ai comunicatori, certo; ai giornalisti, sicuramente; ma parla in generale a tutti. Perché tutti comunichiamo. Tutti siamo responsabili del mondo che la nostra narrazione ricama.
I nostri racconti sono infiniti. Sono scritti, parlati, filmati; tessuti di parole, immagini, musica; memoria del passato e visione di futuro.
I nostri racconti sono la vita che tramandiamo.
E a tutti il Papa chiede qual è la storia che ci raccontiamo? Quanto l’abbiamo davvero vissuta, meditata, riflettuta, capita, prima di raccontarla? È una storia vera? È una storia dinamica? O è una storia falsa? È una storia immobile? È una storia dove c’è l’uomo, e c’è il mistero che lo racchiude o è una storia che cancella la nostra umanità? È una storia raccontata bene o è una storia raccontata male? È una storia aperta alla speranza o una storia chiusa? Una storia che si compiace del male o che cerca sempre, in ogni situazione, la scintilla di bene capace di riscattarla?
Tutte le storie si comprendono solo alla fine. Qual è la fine delle nostre storie? Quale spazio è lasciato al mistero di Dio, alla possibilità della redenzione?
Dov’è la sapienza del racconto? «I grandi sapienti del passato — ha scritto il Papa nella Laudato si’ — correrebbero il rischio di vedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore dispersivo dell’informazione. …La vera sapienza, frutto della riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso fra le persone, non si acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale».
Non sempre ci rendiamo conto di quanto importante sia il ruolo della comunicazione (e in essa di ognuno di noi quando comunica) nell’essere strumenti di comprensione o di fraintendimento, nel costruire o nel distruggere una consapevolezza responsabile, nel nutrire o nel mal-nutrire le nostre identità in divenire.
Da queste domande, da questa assunzione di responsabilità che ci riguarda tutti, possiamo riprendere il cammino. E riprenderlo, da credenti, con la consapevolezza di un evento che ha cambiato la storia, illuminandola nel mistero di Dio che si fa uomo proprio per redimerla. Di fronte a questo mistero i Re Magi, sapienti di quella sapienza che rischiamo di perdere nel trambusto delle nostre vite, per proteggere la storia che era stata loro rivelata e il Dio Bambino che la incarnava, furono avvertiti in sogno che per tornare a casa occorreva scegliere un altro cammino. Conviene anche a noi, per ritrovare il luogo che custodisce il senso della storia e del racconto, scegliere un cammino diverso rispetto a quello che ci ha portato sin qui. Per ripartire serve un altro cammino, un’altra storia, un altro modo di vedere, di raccontare, di fare memoria, di costruire — narrandolo — il futuro.









sabato 18 gennaio 2020

ECCO L'AGNELLO DI DIO !


*     “In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». 
Gv 1, 29-34

Commento al Vangelo del 19 Gennaio 2020 – p. Ermes Ronchi

Un agnello che porta la tenerezza divina
Giovanni vedendo Gesù venire… Poter avere, come lui, occhi di profeta e so che non è impossibile perché «vi è un pizzico di profeta nei recessi di ogni esistenza umana» (A.J. Heschel); vedere Gesù mentre viene, eternamente incamminato lungo il fiume dei giorni, carico di tutta la lontananza; mentre viene negli occhi dei fratelli uccisi come agnelli; mentre viene lungo il confine tra bene e male dove si gioca il tuo e, in te, il destino del mondo. Vederlo venire (come ci è stato concesso a Natale) pellegrino dell’eternità, nella polvere dei nostri sentieri, sparpagliato per tutta la terra, rabdomante d’amore dentro l’accampamento umano, da dove non se ne andrà mai più. Ecco l’agnello, il piccolo del gregge, l’ultimo nato che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore, che vuole crescere con noi e in mezzo a noi.
Non è il «leone di Giuda», che viene a sistemare i malvagi e i prepotenti, ma un piccolo Dio che non può e non vuole far paura a nessuno; che non si impone, ma si propone e domanda solo di essere accolto. Accolto come il racconto della tenerezza di Dio. Viene e porta la rivoluzione della tenerezza, porta un altro modo possibile di abitare la terra, vivendo una vita libera da inganno e da violenza. Amatevi, dirà, altrimenti vi distruggerete, è tutto qui il Vangelo. Ecco l’agnello, inerme e più forte di tutti gli Erodi della terra. Una sfida a viso aperto alla violenza, alla sua logica, al disamore che è la radice di ogni peccato.
Viene l’Agnello di Dio, e porta molto di più del perdono, porta se stesso: Dio nella carne, il cromosoma divino nel nostro Dna, il suo cuore dentro il nostro cuore, respiro dentro il respiro, per sempre. E toglie il peccato del mondo. Il verbo è al declinato al presente: ecco Colui che instancabilmente, infallibilmente, giorno per giorno, continua a togliere, a raschiare via, adesso ancora, il male dell’uomo. E in che modo toglie il male? Con la minaccia e il castigo?
No, ma con lo stesso metodo vitale, positivo con cui opera nella creazione. Per vincere il buio della notte Dio incomincia a soffiare sulla luce del giorno; per vincere il gelo accende il suo sole; per vincere la steppa semina milioni di semi; per vincere la zizzania del campo si prende cura del buon grano; per demolire la menzogna Lui passa libero, disarmato, amorevole fra le creature. Il peccato è tolto: nel Vangelo il peccato è presente e tuttavia è assente.
Gesù ne parla solo per dirci: è tolto, è perdonabile sempre! E come Lui, il discepolo non condanna, ma annuncia un Dio che dimentica se stesso dietro una pecora smarrita, un bambino, un’adultera. Che muore per loro e tutti li catturerà dentro la sua risurrezione.



venerdì 17 gennaio 2020

I DUE PAPI. FRANCESCO E BENEDETTO

UN 'CONFLITTO'  FECONDO


di Giuseppe Savagnone *

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La Chiesa in prima pagina

Chi lo dice che la Chiesa ormai non interessa più a nessuno? Proprio in questi giorni, le prime pagine dei quotidiani sono state dominate da titoli che proprio di essa parlavano. Naturalmente con stili diversi, che riflettono la diversa serietà delle rispettive testate. Si va, così dallo scandalismo di giornali come «Il Tempo», (13 gennaio), che parla di due papi che “se le danno” o come «La Verità» (15 gennaio), che grida al tentativo di “imbavagliare” il papa emerito, alla più sobria enunciazione del problema offerta da «La Stampa» (14 gennaio), per arrivare, infine, a quello che campeggia su «La Repubblica» (16 gennaio), in cui addirittura si dà la parola al papa, intervistato da Eugenio Scalfari, dove il sommario rende l’idea di un problema ormai risolto.

“Destra” e “sinistra” in campo

Al di là della questione del buon gusto e della correttezza nel dare un’informazione, è evidente che l’intento dei quotidiani che vengono solitamente definiti “di destra” è stato di enfatizzare il conflitto tra il papa in carica e quello emerito, con una forte tendenza a presentare il secondo nei panni di una vittima del primo, mentre, all’estremo opposto, un giornale solitamente considerato “di sinistra”, come «Repubblica», lo ha ridimensionato.
È il paradosso che sta caratterizzando questo pontificato. Il mondo cattolico vede una sua importante componente, legata alla destra politica, in aperta rottura con papa Francesco, mentre fuori di esso, tra quanti non si riconoscono nella Chiesa istituzionale, e che sono spesso legati alla sinistra, egli suscita simpatia e solidarietà.
Il piano religioso e quello politico si trovano, su entrambi i fronti, intimamente legati e a volte addirittura confusi. Anche per la chiara difesa, da parte di Bergoglio, dei diritti dei migranti in quanto esseri umani, bisognosi di aiuto e di accoglienza. Una difesa fatta in nome dei princìpi evangelici, ma considerata da molti suoi critici una indebita intromissione nella sfera politica.
A questo ha corrisposto la forte accentuazione religiosa data al suo impegno politico dalla Lega, fin dal suo nascere, accentuazione oggi ribadita e rafforzata dal suo attuale leader, che non ha nascosto l’intenzione di interpretare i sentimenti dei credenti meglio della gerarchia ecclesiastica (i “vescovoni”) e soprattutto di papa Francesco, il cui nome è stato apertamente fischiato (come mai era avvenuto nei confronti di un pontefice), in piazza del Duomo, a Milano, dalle folle leghiste.

Il papa emerito e il suo ruolo

In questo quadro, il ruolo del papa emerito è apparso fin dall’inizio delicatissimo. A lui si sono rivolti con grande insistenza gli oppositori – religiosi e politici – di Bergoglio, negando il valore giuridico delle sue dimissioni e conseguentemente della elezione di papa Francesco. In realtà Ratzinger ha mantenuto in questi anni una costante distanza da questi inviti a “prendere posizione”. L’unico caso in cui ha parlato è stato nell’aprile scorso, pubblicando un articolo in cui esponeva la sua spiegazione del fenomeno degli abusi sessuali dentro la Chiesa. La diversità del suo punto di vista da quello del successore, in materia di teologia morale, era abbastanza evidente, tra le righe, ma non prendeva mai la forma di una critica.

I fatti

È in questo quadro che si situa la vicenda di questi giorni. Può essere utile ricordare lo svolgimento dei fatti. Il 13 gennaio scorso si diffonde la notizia che sta pere uscire in Francia un libro del card. Sarah, Prefetto della Congregazione per il culto, noto per le sue posizioni “conservatrici” (il termine è inadeguato, quando si parla di problemi teologici, ma non ne trovo altri), scritto insieme al papa emerito Benedetto XVI e firmato da entrambi. Nel libro Benedetto avrebbe espresso la sua netta opposizione ad ogni riforma che metta in dubbio il celibato dei preti, anticipando così – e ovviamente condizionando – la pronunzia che su questo tema dovrebbe venire a breve da papa Francesco in risposta alle esplicite richieste fatte nel Sinodo per l’Amazzonia.
In serata si diffondono voci, filtrate dalla residenza di Benedetto, che escludono che questi abbia mai scritto un libro a quattro mani col card. Sarah, il quale però, a sua volta, rende note delle lettere in cui Ratzinger dava il proprio benestare alla pubblicazione di alcune sue pagine nel libro.
Arriva poi la dichiarazione ufficiale di monsignor Georg Gänsweinprefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del papa emerito, che definisce la vicenda frutto di «un malinteso» e chiede, a nome di Benedetto, il ritiro della firma dalla copertina del libro e dalle sue conclusioni: «Posso confermare che questa mattina su indicazione del Papa emerito ho chiesto al cardinale Robert Sarah di contattare gli editori del libro pregandoli di togliere il nome di Benedetto XVI come coautore del libro stesso e di togliere anche la sua firma dall’introduzione e dalle conclusioni».

Una spiegazione plausibile del “pasticcio”

La spiegazione più plausibile di questo “pasticcio” è che Ratzinger abbia veramente dato un suo testo al card. Sarah perché lo pubblicasse sul suo libro, ma non pensasse che questo contributo di poche pagine potesse dar luogo a una co-intestazione dell’opera, conferendogli il rilievo di una presa di posizione pubblica. Quando, dalle reazioni che stava suscitando la pubblicazione del libro, se ne è reso conto, ha capito che si stava configurando un contrasto con il papa in carica, a cui Benedetto ha sempre manifestato la propria assoluta fedeltà, e che una sua iniziativa, sicuramente incauta ma priva di secondi fini, rischiava di essere strumentalizzata da coloro che ormai da molto tempo cercano di cucirgli addosso l’abito del “vero papa” contro quello “falso”, che sarebbe Bergoglio. Da qui la precipitosa “marcia indietro” o, nel migliore delle ipotesi, la “precisazione” da parte di Ratzinger.
Una giravolta certamente discutibile, dal punto di vista dell’eleganza, e che lascia diversi punti interrogativi in sospeso su aspetti particolari, ma che ha sicuramente il valore di una netta smentita nei confronti di tutti i tentativi di arruolare il papa emerito nel ruolo di anti-Francesco.

Un film che può servire a capire

Nessun “bavaglio”, dunque, ma una scelta responsabile del papa emerito. Una interpretazione corretta di essa potrebbe venire, a mio avviso, utilizzando come chiave di lettura un bel film del regista brasiliano Fernando Meirelles, «I due papi» (2019), dove due grandi attori come Antony Hopkins e Jonathan Price (rispettivamente papa Ratzinger e il cardinale Bergoglio) vengono messi a confronto, in un incontro nella realtà mai avvenuto, ma del tutto plausibile spiritualmente e artisticamente, nell’ultima fase del pontificato di Benedetto XVI.
Il film non minimizza il profondo conflitto tra i caratteri, e soprattutto tra i punti di vista di queste due personalità. Ma fornisce un magnifico esempio di come il conflitto non implichi una guerra senza quartiere, volta a distruggere l’altro, bensì possa costituire un’occasione preziosa per conoscersi meglio e capirsi, pur nelle diversità.

Nessuno va demonizzato

Così, contrariamente a quello che oggi molti sostenitori dell’uno o dell’altro papa pensano e dicono, emerge da questo difficile tentativo di scambio di venute un quadro senza “cattivi” e senza “buoni”, in cui le ragioni dell’uno e quelle dell’altro appaiono tutt’altro che cecità (in Benedetto) o avventurismo (in Bergoglio) e mostrano i loro aspetti di validità.
Il che non significa che non si debbano fare delle scelte, come, nel film, fa Benedetto XVI affidando moralmente la guida della Chiesa, dopo di lui, a un uomo come Bergoglio, del tutto diverso da lui. Ma non è una resa. È un atto di fiducia nello Spirito, che chiede di leggere senza chiusure i segni dei empi e di sperare nel futuro, invece di arroccarsi nel passato. Perciò i due personaggi, nel film possono rispettarsi a vicenda, anzi perfino guardarsi con simpatia. Come è avvenuto nella realtà in questi anni, in cui i “due papi”, sicuramente in conflitto, hanno sempre manifestato cordialmente la loro profonda stima reciproca.
Se proviamo ad applicare a ciò che è accaduto questa lezione – il film di Meirelles ha una saggezza che trascende i confini dell’invenzione artistica –comprendiamo che non ha senso né misconoscere il disaccordo del papa emerito rispetto alla linea del suo successore, né farne l’oppositore pronto a guidare la rivolta contro di lui. La Chiesa ha bisogno di entrambi, ma ognuno nel suo ruolo. In un frammento dell’antico filosofo Eraclito si legge che «l’armonia nascosta è migliore di quella che appare». La diversità non va demonizzata nemmeno dentro la Chiesa. Se viene vissuta con rispetto reciproco e umiltà, essa è la forza che le permette di crescere nel tempo.

Direttore Ufficio Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo.
Scrittore ed Editorialista