martedì 27 febbraio 2018

UN DIO DALLE MANI BUCATE

Questa splendida definizione mi è stata offerta recentemente  da  una  emittente  cattolica  e, considerata  la  sua  valenza  speculativa,  mi  è sembrato opportuno condividere fraternamente la seguente  intuizione  con  eventuali  lettori interessati  ad  individuare  piste  di  riflessione  perarricchire  il  proprio  bagaglio  spirituale:  un  Dio che,  nella  persona  di  Gesù,  sceglie  di  morire  su una  croce  per  esprimere  senza  riserve  il  suo amore per ogni uomo. Un Gesù che si ritrova le mani  bucate  dai  chiodi  che  le  hanno  fissate  alla croce.
       In  questo  periodo  di  Quaresima,  nella  nostre chiese e lungo le nostre strade si cerca, con il rito della Via Crucis, di far rivivere intensamente tutti i momenti della Passione e morte di Gesù.
      All’interno  del  servizio  radiofonico,  questa  stupenda  pennellata  metteva  in  rilievo  l’estrema  e  totale offerta  dell’Uomo-Dio  che  aveva  scelto  una  croce  come  cattedra  per  manifestare quanto incommensurabile sia il suo amore per l’umanità. personalmente ho intravisto l’occasione di prendere lo spunto da queste “mani bucate” per liberare qualcheriflessione mirata non solo a far crescere la nostra riconoscenza per il dono d’amore di Gesù, ma anche a scuotere il nostro cuore per indirizzarlo a svolgere, nei confronti del nostro prossimo, azioni consequenziali.
     Gesù, partendo dalla lavanda dei piedi fino alla suamorte in croce, ci ha offerto tutte le coordinate per diventare costruttori di quel Regno di Dio la cui profezia è tutta incastonata all’interno della preghiera del Padre Nostro.
     Le “mani bucate” nell’accezione del nostro linguaggio quotidiano vanno ad indicare una persona portata a non seguire la logica del risparmio e di una accorta previdenza che ci invita a non percorrere il sentiero di uno spreco irrazionale. Le mani bucate dall’amore non trattengono, si svuotano facilmente e puntanosempre sulla certezza della Provvidenza. Quella stessa Provvidenza che non ha lasciata sulla carta nessun progetto sbocciato nel cuore dai tanti Santi che sono riusciti, rinnegando se stessi, a diventare strumenti docili a servizio della volontà di Dio.
Dio, con le sue mani bucate, entra nel personaggio di un innamorato, pazzo della sua creatura, pronto a darci la beata speranza di una vita eterna immersa in una appagante felicità.
       Un  Dio  dalle  mani  bucate,  sempre  alla  ricerca  di  discepoli  che,  scegliendo  la  sua  sequela,  possono trasformare il mondo, possono aprire le proprie mani per condividere ed essere così pronti ad interpretare il  ruolo  di  cirenei,  per  rendere  meno  difficoltoso  il  cammino  dei  nostri  compagni  di  viaggio.  Gesù  ci chiama sempre ad essere uomini di buona volontà che, con le mani bucate, riescono a dare tutto; mani di uomini felici perché convinti che l’amore di Dio è capace di sostituirsi a tutti i nostri beni.
       Questa la strada percorsa da San Francesco e da tutti gli altri Santi, persone fragili come noi, ma di  noi più furbe, perché hanno capito quali sono le cose importanti per le quali vale la pena vivere.          Persone che, soffermandosi a contemplare questo Dio dalle mani bucate, sono riuscite a trovare l’orientamento giusto, sono riuscite a vedere in quelle mani aperte e bucate tutto lo splendore della Verità portata dal messaggio cristiano.

Nicola Sajeva

La SCUOLA dell'INFANZIA SI VALUTA

In fase di avvio una sperimentazione nazionale 
 Tra breve inizierà una sperimentazione nazionale sul Rapporto di autovalutazione (RAV) per la scuola dell’infanzia. 
Le istituzioni scolastiche, che intendono attivarsi in tal senso, dovranno collegarsi al sito INVALSI per aggiornarsi sulle modalità di adesione on line alla sperimentazione. 
Per il Coordinamento nazionale riallineare la scuola dell’infanzia ai processi di autovalutazione, già introdotti nell’intero sistema scolastico, è la  modalità per colmare distanziamenti ordinamentali sempre in agguato, e per evitare il rischio di indebolirne i legami con gli altri segmenti dell’istruzione, da più parti registrato.
IRapporto di Autovalutazione per la scuola dell'infanzia (RAV Infanzia) è uno strumento che l'INVALSI mette a disposizione per facilitare la riflessione delle scuole durante il loro percorso di auto-analisi dagli obiettivi ai risultati. 
Il RAV Infanzia s’inserisce nelle iniziative sulla qualità del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) e del Sistema integrato infanzia, istituito dalla Legge 107/2015 sulla Buona Scuola. 
Il RAV Infanzia intende rispecchiare un concetto di qualità di ogni scuola e del sistema infanzia nel suo complesso e pone concretamente al centro tre ingredienti fondamentali: sviluppo integrale della persona, benessere e apprendimento per assicurare a ciascun bambino una buona partenza nella vita. 
Lo schema che segue sintetizza la visione di qualità proposta nel RAV Infanzia, al cui centro ci sono gli effetti positivi per i bambini in termini di sviluppo, benessere e apprendimento.
                  INVALSI - Area Infanzia



DIDATTICA MENTALISTA ED ESERCIZI DI STILE


 di Mariangela Angeloni

         Dopo aver tradotto dal francese il libro di Raymond Queneau “Esercizi di stile” (Ed. Einaudi, 2014), Umberto Eco ne ha curato anche l’introduzione. In essa il grande semiologo sottolinea come questa opera, partendo dalla narrazione di un fatto banale, possa assurgere addirittura a vero capolavoro letterario tanto da competere con le migliori opere della letteratura francese.
            Il libro narra in prima persona un fatto di per sé insignificante: un signore sale su un autobus e il suo sguardo coglie alcuni elementi dell’ambiente circostante. Lo stesso evento viene successivamente narrato utilizzando 99 stili letterari diversi come per dare adito a un infinito ripetersi di eventi della storia che nella loro identica, ma diversa successione narrativa, finiscono per costituirne la trama. 
            In questo gioco linguistico ripetitivo e vario cambia solo la “sensibilità” fenomenologica del protagonista che ripropone lo stesso fatto con modalità narrative differenti. Più che un esercizio di stile sembra di essere di fronte ad un’esercitazione mentale che, come una struttura cristallina poliedrica, restituisce la rifrazione della realtà sotto una luce diversa. La dimensione ontica è sempre la stessa, è la sua rielaborazione mentale che cambia perché incarnata sul piano della coscienza in modo differente attraverso molteplici sfaccettature. 
           Sorge allora spontanea la domanda: “Quali sono gli “esercizi di stile” ossia i punti di vista dei nostri alunni?” Spesso la nostra attenzione di insegnanti si rivolge ai programmi e ai contenuti disciplinari più che alle modalità interpretative adottate dai bambini. 
Forse cambiare la prospettiva di analisi sarebbe già un interessante esercizio di personalizzazione verso la realizzazione di una scuola veramente inclusiva!

INSEGNANTI DI RELIGIONE: FORMAZIONE IN SERVIZIO E CURA DEL SE PROFESSIONALE

di Mons. Mariano Crociata

" ........ La formazione in servizio contiene in sé un’idea che è molto feconda prima che per la adeguata professionalità, per la stessa personalità del docente. Essa può essere riferita, infatti, solo per un verso alle attività di aggiornamento inerente a quelli che vengono considerati i tre ambiti fondamentali della competenza della professione docente, e cioè l’ambito didattico-pedagogico, l’ambito delle scienze umane e quello inerente la capacità comunicativa.
Naturalmente, accanto all’aspetto della metodologia e della tecnica della professione docente, si colloca l’aggiornamento circa i contenuti disciplinari e la loro articolazione interna, adombrato nell’ambito delle scienze umane ma non solo, tenendo presenti in particolare gli sviluppi che la ricerca teologica e religiosa conosce, nonché la correlazione e l’intreccio con altre discipline.

Per altro verso, la formula della formazione in servizio rimanda all’esercizio dell’attività docente nell’atto di compiersi. Suggerisce, cioè, l’idea che l’esercizio di tale attività, con il solo fatto di essere svolta e nell’atto stesso di compierla produce un effetto formativo. A me sembra un’idea illuminante se non la si dissocia dal primo versante di cui dicevamo prima. Essa consiste nel fatto che il docente nell’atto di insegnare, con tutti i generi di attività che tale atto abbraccia, dà forma a se stesso come docente, come soggetto di una relazione educativa e come persona.
L’attività docente dà via via forma alla persona, come del resto ogni attività svolta dall’uomo lo plasma lentamente; ma inoltre lo fa crescere, perché lo fa entrare in un possesso sempre più pieno delle competenze sia metodologiche che contenutistiche, e non meno anche delle competenze relazionali e pedagogiche.
Un insegnante che svolge con dedizione il suo lavoro, con la consapevolezza adeguata e corrispondente di sé, oltre che dell’oggettività del servizio docente che presta, forma sempre più compiutamente se stesso e cresce verso una figura umana, personale e professionale sempre più alta e compiuta.

In questo senso trovo stimolante la formula, che ho raccolto frequentando questi temi, della cura del sé professionale, là dove il ‘sé professionale’ non è una astrazione dalla persona concreta e nemmeno una sezione tra le altre molteplici attività umane, ma il momento di sintesi personale a cui vuole e deve condurre una appropriata conduzione della professione docente.

Non può esistere una estraniante professionalità che astragga dalla persona e che non diventi sintesi nella e della persona, la quale nell’unità umana e spirituale che le è propria, si vive e cresce come soggetto educativo, in modo particolare nel mondo della scuola, senza finire di sperimentare le implicazioni che la coscienza di tale ruolo esercita sulla totalità della sua vita interamente chiamata a relazionarsi, senza lasciarsi assorbire e annullare, con quella dimensione professionale........


domenica 25 febbraio 2018

ARMARE GLI INSEGNANTI? LA FOLLIA DI UNA PROPOSTA

LA LEGGE 
DELLA VIOLENZA
La soluzione ipotizzata dal presidente Trump per rendere più sicure le scuole americane, dopo il massacro di San Valentino – armare gli insegnanti, piuttosto che limitare la vendita delle armi –, piacerà sicuramente a quanti, in Italia, sono da anni sostenitori del diritto all’auto-difesa armata da parte dei cittadini. E non si tratta di pochi esaltati. Gli orientamenti elettorali rivelati dai sondaggi dicono che una parte consistente dell’opinione pubblica è ossessionata dall’idea della sicurezza e intende sostenere chi, in politica, ne fa il proprio “cavallo di battaglia”. Come la Lega. Da anni il partito di Salvini insiste perché venga eliminato dalla nostra legislazione penale la clausola per cui l’autodifesa, in caso di violazione del proprio domicilio o del proprio esercizio commerciale da parte di un intruso, deve essere sempre proporzionata alla minaccia e all'offesa. In altri termini, per il diritto di sparare al ladro ed eventualmente di ucciderlo, anche se non sta aggredendo fisicamente nessuno. Così come da anni si batte a favore dell’istituzione di “associazioni di volontariato per l’osservazione del territorio”, eufemismo per evitare il termine “ronde”, che possano affiancare le forze dell’ordine nel garantire la sicurezza.
Dove però, per comprendere il senso che questo termine sta sempre più assumendo, bisogna leggere il recentissimo rapporto 2018 sui diritti umani di Amnesty International, dove si segnala che, rispetto al 2014, quando l’Italia era un paese «orgoglioso di salvare le vite dei rifugiati, che considerava l’accoglienza un valore importante», il clima è profondamente cambiato e, in nome della sicurezza, va ogni giorno di più verso atteggiamenti di diffidenza e di ostilità nei confronti degli stranieri. Non per nulla lo stesso governo Gentiloni, che pure, su questo tema, è immensamente più moderato della Lega, annovera tra i suoi successi l’aver risolto il problema degli sbarchi in modo civile non cambiando la legge Bossi-Fini – che ha determinato o almeno incrementato, con le sue clausole restrittive, il commercio di carne umana da parte degli scafisti – , bensì avallando in realtà l’uso sistematico della violenza nei lager libici.
         Peraltro, l’idea di difendersi e di farsi giustizia da soli è ormai sempre più presente in ambienti sia della destra che della sinistra, come dimostrano i recenti episodi di violenza che scandiscono ormai quasi quotidianamente le cronache: dagli spari contro gli inermi nigeriani di Macerata, agli scontri di Piacenza in cui giovani dei centri sociali hanno pestato un carabiniere, al blitz di un gruppo di attivisti di Forza Nuova negli studi televisivi de La7, all’aggressione, a Palermo, del segretario provinciale di Forza Nuova da parte di militanti dei centri sociali, al ferimento, a Perugia, di un militante di Potere al popolo, fino alla sassaiola degli “antagonisti”, a Torino, contro CasaPound…
Viene in mente ciò che ha evidenziato, nei suoi studi sulla violenza, un noto antropologo, René Girard, sottolineando che essa si basa su una perversa reciprocità, per cui i contendenti si scontrano ciecamente, ribattendo, simmetricamente, colpo su colpo, in una rivalità tragica che li fa diventare l’uno lo specchio dell’altro, e omologandoli perfettamente come “fratelli nemici” destinati ad uccidersi l’un l’altro. La storia ne riferisce alcuni esempi significativi, da Caino e Abele, a Eteocle e Polinice, a Romolo e Remo.
Secondo Girard questa – che egli chiama «la crisi delle differenze» – «getta gli uomini in un perpetuo affrontarsi che li priva di ogni carattere distintivo, di ogni ‘identità’. Non si può neanche più parlare di avversari nel senso pieno del termine, solo di ‘cose’ appena nominabili che cozzano tra di loro con stupida caparbietà».
È la logica della faida, il cui esito inevitabile è la distruzione della comunità ad opera delle opposte violenze. È interessante notare come, da antropologo, Girard abbia individuato nel messaggio evangelico la sola via d’uscita a questa logica suicida, per cui le identità si inabissano in un «diluvio universale» che le annulla sia moralmente che fisicamente. È la legge del “porgere l’altra guancia”, enunciata da Cristo nel “discorso della Montagna”, che rompe la cattiva simmetria della violenza, rifiutando di restituire il colpo ricevuto e interrompendo, così, la serie ripetitiva degli atti violenti.
Quella che solitamente viene considerata, anche da molti credenti, un’utopia ed è citata come esempio della irrealizzabilità della proposta cristiana, diventa, in questa prospettiva rigorosamente “laica”, il solo modo di “salvare” la comunità civile. Ma anche la dignità delle persone, perché in questo modo, invece di appiattirsi sul suo aggressore, la vittima si sottrae alla sua imitazione e valorizza la propria identità: «Il vero soggetto umano può emergere soltanto dalla regola del Regno; al di fuori di questa regola non c’è altro che il mimetismo».
Colpisce che un personaggio non ascrivibile alla tradizione cristiana, come Gandhi, abbia avvertito il fascino di questa prospettiva e l’abbia fatta diventare una vera e propria “dottrina della nonviolenza”. Che non esclude affatto i conflitti – essi sono non solo inevitabili, ma fisiologici, a cominciare da quelli che ognuno ha con se stesso, con i genitori e i figli, con il partner – , ma quella cattiva simmetria per cui degenerano in violenza e distruzione reciproca. Il senso della nonviolenza è di dare luogo a una asimmetria, a una non-reciprocità nell’infliggersi il male, ma non per limitarsi a subirlo, bensì per determinare, attraverso questa scelta provocatrice, una situazione nuova, che impedisca alla violenza di perpetuarsi e che può dar luogo a una reciprocità nel rispetto l’uno dell’altro e, forse, nell’amore.
Questo significa che, invece di trasformare i professori in pistoleri, a immagine e somiglianza di quelli che sparano ai loro allievi; invece di puntare su un’auto-difesa che omologa la vittima al suo aggressore o addirittura la trasforma nel suo carnefice; invece di identificare coloro che vengono a chiedere la nostra solidarietà in barbari invasori, da cui difenderci lasciandoli affogare o delegando ai libici il “lavoro sporco” di eliminarli; invece di tutto questo, si tratterebbe di rinunziare a somigliare al nostro aggressore (o a chi attribuiamo questo ruolo nella nostra immaginazione) e di fare ciò che la nostra vera identità ci suggerisce, per provare a risolvere correttamente i problemi reali che ci stanno davanti.
       In quest’ottica, nel caso delle scuole americane, la misura ovvia sarebbe di disarmare gli aggressori, limitando il commercio delle armi, almeno di quelle d’assalto; nel caso della sicurezza in Italia sarebbe di aiutare gli stranieri ad integrarsi, uscendo dalla emarginazione in cui i nostri cattivi sistemi di accoglienza li mantengono; nel caso della delinquenza comune, di combatterla prosciugandone il retroterra di ignoranza, di povertà e di discriminazione sociale.
Sono rimedi insufficienti? Per saperlo bisognerebbe decidere di adottarli e valutarne poi gli effetti. L’alternativa è di continuare sulla strada che abbiamo intrapreso e di cui tutti ci lamentiamo, senza neppure renderci conto che la violenza la stiamo creando noi.

Giuseppe Savagnone

venerdì 23 febbraio 2018

Vangelo della domenica. GESÙ' SI TRASFIGURA

Seconda domenica di Quaresima, anno di Marco.  Mc 9,2 -10

Metamorfosi
Sul monte Gesù si trasfigura. Non come un super-eroe che si toglie l’abito da lavoro per mostrare chi è veramente.
È lo sguardo dei discepoli che vede Gesù in maniera nuova, luminosa.
Come se, finalmente, si accorgessero della possente luce interiore che emerge dalla persona di Gesù. Oltre il rabbino, il Maestro, il profeta, per la prima volta vedono con uno sguardo nuovo il volto di Gesù.
Trasfigurato.
Anche se, nell'originale, si parla di metamorfosi.
Un cambiamento della condizione in cui si viene a trovare Gesù. Colmo di luce.
Fa strano, ad essere sinceri, ritrovare questo vangelo così strabordante di gioia durante il percorso di quaresima che, invece, rappresentiamo come una mesta processione di penitenti dalla faccia lunga ed emaciata.
È pieno il mondo e sono piene le chiese di cristiani seriosi e depressi, tormentati e rassegnati.
Abbiamo perso lungo la strada la straordinaria novità del Vangelo, la sua diffusione dilagante ad opera degli sguardi pieni di gioia di coloro che hanno incontrato il Dio di Gesù.
Ma è proprio il Tabor la meta del nostro cammino. Per sopportare e superare il Golgota abbiamo bisogno di impregnarci di luce, di fare memoria della gioia, di inebriarci di festa, di lasciarci abbracciare dall’infinita bellezza del Dio di Gesù.
Il dolore lo si può affrontare solo se le nostre sporte di speranza sono colme.
Ma c’è una condizione necessaria per contemplare la bellezza di Dio.
Salire.
Dalla pianura Gesù prende con sé tre dei suoi discepoli per salire sul Tabor.
Per vedere la bellezza di Dio dobbiamo osare ed abbandonare la pianura della quotidianità della ripetitività, dell’assuefazione. La vita ormai ci divora l’anima, la fagocita, la svilisce. Tanti giorni ripetitivi passati a correre per sopravvivere, per sbrigare le troppe cose che dobbiamo fare.
Questo grande dono che è il tempo della Quaresima ci aiuta ad andare oltre, più in alto.

Alzare lo sguardo magari prendendoci mezza giornata vera di pausa, di silenzio, di pace. Le nostre anime languono se non abbiamo il coraggio di porre una diga al delirio delle cose da fare……


M'ILLUMINO DI MENO - IL DECALOGO

Il 23 febbraio 2018 Radio2 invita tutti a partecipare alla giornata del risparmio energetico.
Come? Spegnendo le luci, andando al lavoro a piedi, cucinando a basso impatto ambientale, diffondendo il messaggio.

Il decalogo di M’illumino di Meno
1. spegnere le luci quando non servono.
2. spegnere e non lasciare in stand by gli apparecchi elettronici.
3. sbrinare frequentemente il frigorifero; tenere la serpentina pulita e distanziata dal muro in modo che possa circolare l’aria.
4. mettere il coperchio sulle pentole quando si bolle l’acqua ed evitare sempre che la fiamma sia più ampia del fondo della pentola.
5. se si ha troppo caldo abbassare i termosifoni invece di aprire le finestre.
6. ridurre gli spifferi degli infissi riempiendoli di materiale che non lascia passare aria.
7. utilizzare le tende per creare intercapedini davanti ai vetri, gli infissi, le porte esterne.
8. non lasciare tende chiuse davanti ai termosifoni.
9. inserire apposite pellicole isolanti e riflettenti tra i muri esterni e i termosifoni.
10. utilizzare l’automobile il meno possibile, condividerla con chi fa lo stesso tragitto. Utilizzare la bicicletta per gli spostamenti in città.



giovedì 22 febbraio 2018

ZERO-SEI ANNI - Primi orientamenti operativi

Attuazione del Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 65 "Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni"
Primi orientamenti operativ iper gli UfficiScolasticiRegionali.

 La presente nota intende porre all'attenzione dei Direttori Generali degli Uffici scolastici regionali alcuni primi orientamenti operativi e linee di sviluppo, utili a dare attuazione al decreto legislativo n. 65/2017 (di seguito decreto) per la realizzazione del sistema educativo integrato"zerosei". Il provvedimento riveste un notevole significato culturale, istituzionalee civile in relazione alle attese socialie agli obiettivi educativi di qualità da raggiungere. Si chiede di farne oggetto di specifica attenzione, coinvolgendo i soggetti direttamente interessati (Regioni, Comuni, privati), nel rispetto delle reciproche competenze, e sensibilizzandoi dirigenti scolastici per una doverosa conoscenzadelle opportunità che il citato decreto offre all'azione quotidiana delle istituzioni scolastiche. Per agevolare tali azioni, è stato istituito - in via temporanea - un Gruppo di supporto operante presso l'Ufficio di Gabinetto del Ministro,con il compito di predisporre un primo quadro di riferimento,al quale le indicazioni che seguono si ispirano,per le azioni che poi saranno assunte in carico dagli organismi previsti dalle norme, cioè dalla Commissione per il sistema integrato di cui all'art. 10 del decreto, recentemente costituita con decreto ministeriale n. 48 del 26 gennaio 2018,per compiti di orientamento  culturale e pedagogico, e dalla Cabina di regia (di cui al Piano di azione pluriennale deliberato dal Consiglio dei Ministri in data 11 dicembre 2017) per la definizione e la verifica delle linee di sviluppo dell'intero sistema ......


INDICAZIONI NAZIONALI E NUOVI SCENARI

Educazione alla sostenibilità, Costituzione, digitale, pensiero computazionale, lingue: nelle Indicazioni nazionali di infanzia e primo ciclo. Più attenzione alle competenze di cittadinanza


Fedeli: “Diamo a studentesse e studenti gli strumenti per affrontare i cambiamenti del presente e proiettarsi al meglio nel futuro”

Garantire a tutte le studentesse e a tutti gli studenti le competenze chiave per affrontare i cambiamenti e le sfide del loro presente, per proiettarsi al meglio nel futuro, per diventare cittadine e cittadini attivi e consapevoli, capaci di condividere valori comuni e di confrontarsi positivamente con l’altro. È l’obiettivo che si prefigge il documento “Indicazioni nazionali e nuovi scenari”, presentato oggi al MIUR e frutto del lavoro del Comitato scientifico per le Indicazioni nazionali della scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di istruzione, coordinato dal professor Italo Fiorin.
Il documento propone alle scuole una rilettura delle Indicazioni nazionali emanate nel 2012 ed entrate in vigore dall’anno scolastico 2013/2014 (sono il  punto di riferimento per la progettazione del curricolo da parte delle istituzioni scolastiche) attraverso la lente delle competenze di cittadinanza, di cui si propone il rilancio e il rafforzamento. Dalle lingue (quella madre e quelle straniere), al digitale, all’educazione alla sostenibilità, ai temi della Costituzione. Passando in maniera trasversale per le arti, la geografia, la storia, il pensiero matematico e computazionale. Questo anche in ragione delle novità che saranno introdotte nell’Esame finale del I ciclo in cui già da quest’anno si terrà maggiore conto, nel colloquio orale, delle competenze connesse alle attività svolte nell’ambito di Cittadinanza e Costituzione.
“Ci stiamo ritrovando, oggi, a riflettere sulle competenze e sulle conoscenze che ciascuno deve possedere per vivere, muoversi in modo attivo nella società, costruire una cultura della democrazia. Per partecipare con protagonismo alla vita del proprio Paese e del mondo – ha dichiarato la Ministra Valeria Fedeli -. Stiamo ragionando sulla questione in termini innovativi: guardiamo alle competenze quali processi dinamici, in evoluzione. Espressioni di valori, atteggiamenti, attitudini e conoscenze. Credo sia un punto di vista necessario e innovativo: una competenza non è acquisita una volta nella vita. Va aggiornata e approfondita, rinnovata ed esercitata all’interno delle comunità in cui viviamo. In questo processo di acquisizione di competenze, di costruzione di forme di cittadinanza attiva la filiera educativa riveste un ruolo di primo piano. La scuola è il luogo in cui le giovani e i giovani vengono educati al rispetto dei diritti degli altri, all’apertura nei confronti della diversità personale e culturale, al senso civico, all’equità, al senso di giustizia, alla conoscenza di sé e all’attitudine al dialogo e al confronto. Parlare di competenze di cittadinanza vuol dire anche rinnovata attenzione all’educazione linguistica, artistica, storica, geografica, al pensiero computazionale. Vuol dire offrire strumenti per affrontare il mondo globale”, ha concluso la Ministra.
Il documento presentato oggi non è una integrazione né una riscrittura delle Indicazioni nazionali. Non si tratta, si legge nel testo illustrato al MIUR, “di ‘aggiungere’ nuovi insegnamenti, ma di ricalibrare quelli esistenti”, rileggendo le Indicazioni del 2012, alla luce dei nuovi spunti offerti che guideranno le scuole nella predisposizione della loro offerta formativa, della loro progettazione. Il tema della cittadinanza viene affrontato come il “vero sfondo integratore e punto di riferimento di tutte le discipline che concorrono a definire il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione in una prospettiva verticale. Cittadinanza che riguarda tutte le grandi aree del sapere, sia per il contributo che possono offrire i singoli ambiti disciplinari, sia, e ancora di più, per le molteplici connessioni che le discipline hanno tra di loro”. Con riferimento, in particolare all’educazione al rispetto e alla cittadinanza consapevole, ad una più sicura padronanza delle competenze di base (comprese le competenze linguistiche e quelle digitali), all’incontro con saperi e discipline che rispondono all’esigenza di uno sviluppo orientato alla sostenibilità in tutte le sue dimensioni, con l’acquisizione dei contenuti dell’Agenda 2030.
Questi temi sono già presenti nel testo programmatico del 2012, che mantiene intatto il suo valore culturale, pedagogico e giuridico, ma richiedono ulteriori attenzioni e approfondimenti che vengono affidati alla ricerca e all'elaborazione curricolare delle scuole e degli insegnanti. Si tratta di dare, si legge nel testo presentato oggi, una ancor più concreta risposta all’istanza, già presente nelle Indicazioni nazionali, quando affermano che è “decisiva una nuova alleanza fra scienze, storia, discipline umanistiche, arti e tecnologia, in grado di delineare la prospettiva di un nuovo umanesimo.”
Il documento sarà ora consegnato alle scuole, sarà messo alla ‘prova sul campo’, sarà oggetto di consultazione e confronto con le istituzioni scolastiche e la comunità scientifica nazionale per un eventuale intervento di regolazione sulle Indicazioni nazionali. La Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e la Valutazione del Sistema Nazionale di Istruzione del MIUR assicurerà misure di accompagnamento avvalendosi della collaborazione del Comitato scientifico nazionale per Indicazioni. Saranno organizzati seminari nazionali su tre ambiti tematici: Cittadinanza e Costituzione, Cittadinanza digitale, Cittadinanza e sostenibilità. Saranno poi raccolte le esperienze più significative per costituire un archivio dinamico delle innovazioni metodologiche e didattiche, come base utile per alimentare la ricerca sul curricolo, la formazione in servizio e l’evoluzione delle Indicazioni.


22 febbraio 2018










DOTTRINA SOCIALE. DOVE VA L'EUROPA?

Dottrina Sociale in Europa, 

è davvero la fine delle illusioni?

                                                                                                       di Andrea Gagliarducci
Un continente in crisi, creato artificialmente e retto solo da accordi economici, che ha rinnegato le sue radici e per questo manca di identità: il Nono Rapporto dell’Osservatorio Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa è dedicato all’Europa, e ad una crisi che sembra essere prima di tutto identitaria.
Il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, ha più volte parlato della volontà di costruire “un ordine mondiale senza Dio”. E questo ordine mondiale senza Dio ha la sua prima espressione nella decisione di privare l’Europa della sua identità, non citando le sue radici giudaico cristiane.
Ne consegue – è l’analisi del Rapporto – che l’Europa appare come un continente di immigrati, con varie storie ma senza una Storia comune. Un continente poi unificato improvvisamente sotto l’idea dell’Illuminismo, che viene fuori all’improvviso nella storia europea, come se non ci fosse stato un prima e un dopo.
Dal rapporto vengono fuori anche domande sostanziali, che fanno comprendere quanto, in realtà, il progetto europeo abbia rappresentato una omologazione dei popoli, non certo l’esaltazione della loro diversità e delle loro storie. E così, mentre il Regno di Francia aveva diversi possedimenti, sparsi, con una certa autonomia anche storica, succede che la Repubblica Francese crea uno Stato unitario, che taglia le province amministrative diverse in favore di un territorio più omogeneo e omologato.
La distinzione tra Stati e Imperi non va sottovalutata. Perché uno Stato è una identità burocratica, centralizzata, mentre l’impero ha una visione più sussidiaria, unisce più popoli senza la necessità di una unità culturale. Anzi, creando una sintesi.
Dopo il tema della migrazioni che rappresentò la “case history” dell’Ottavo Rapporto sulla Dottrina Sociale della Chiesa, l’ Osservatorio Van Thuan punta così gli proprio su un continente, l’Europa, che con le migrazioni sta vivendo una sorta di sostituzione.
E certo – ammette l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, presidente dell’Osservatorio – può sembrare un controsenso che un rapporto che guarda ai cinque continenti, con centri di ricerca che stanno anche fuori dai confini europei, si dedichi ad uno solo di essi. Ma la scelta è giustificata dal fatto che “se l’Europa, dal punto di vista geografico, ha dei confini, e se dal punto di vista geopolitico essa sembra compressa e relativizzata da altre potenze sia ad occidente che ad oriente, come idea esprime una civiltà potenzialmente universale”.
Lo aveva detto anche Papa Francesco, parlando con gli intellettuali francesi di Poisson Rose, che l’Europa era l’unico continente in grado di portare l’unità, ed è stato questo un tema generale dei vari discorsi del Papa sull’Europa, da quelli al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa a quelli per i 60 anni dell’Unione fino al discorso per il Premio Carlo Magno.
Insomma, se c’è una crisi dell’Europa, “quella interessa tutto il mondo”, anche perché “per la Dottrina Sociale della Chiesa l’Europa non rappresenta un punto di riferimento casuale”, perché lì essa “è stata originariamente incarnata e per molti versi il rapporto tra Chiesa e mondo così come è stato realizzato in territorio europeo ha un significato ben più vasto”, continua l’arcivescovo Crepaldi.
In pratica, se “l’evangelizzazione del sociale frena significativamente o si arresta qui in Europa, ciò accadrà in tutto l’Occidente”.
Ci vuole – secondo l’arcivescovo Crepaldi – “un radicale ripensamento di metodi e soprattutto di contenuti”, perché è vero che “lungo la sua storia, il processo di unificazione europea ha preso strade sbagliate”, ma è anche vero che ha avuto “le occasioni per fare ammenda e rimettersi sulla giusta strada”, in particolare dopo il disfacimento dell’impero comunista dell’Est europeo.
Ma quell’“occasione storica”, è l’amara conclusione dell’arcivescovo Crepaldi, è andata perduta.
Eppure, i segnali di un risveglio di identità cristiana europea ci sono proprio ad Est. Gianfranco Battisti, nel saggio del Rapporto intitolato “Europa, le molte ragioni di una crisi epocale”, sottolinea “l’opposizione che giunge dai popoli e dai Parlamenti ai diktat che giungono da Bruxelles in materia di controllo delle nascite, di definizione di famiglia, di svalutazione della nazionalità”, e fa l’esempio della “Ungheria ha messo nella Costituzione il carattere cattolico della nazione”, della “Croazia vi ha fissato la definizione di matrimonio”, della Lettonia che vieta matrimonio omosessuale.
Ma la spaccatura di Europa c’è anche sulla questione migranti: il Gruppo di Visegrad, composto da Ungheria, Cechia, Slovacchia e Polonia cui si aggiungono Austria, Slovenia e Craozia, va quasi a riproporre la versione aggiornata dell’impero asburgico.
L’Europa è andata al di là dell’idea politica, giungendo a siglare un trattato di Maastricht che proponeva una unione economica, ma con “basi dottrinali, valoriali e religiose” troppo fragile.
E così, è l’amara analisi dell’arcivescovo Crepaldi, “prevalse la ‘ragione strumentale’, prevalse il convenzionalismo dei diritti umani, prevalse l’accentramento e la normalizzazione dall’alto, anziché la sapienza politica della costruzione articolata e sussidiaria dal basso. E questo è continuato anche in seguito, anche con l’ingresso dei nuovi Paesi dell’Europa orientale, creando oggi una nuova frattura al’interno dell’Unione”.
Per questo, l’idea di Europa, nata per “congedarsi dagli Stati ideologici”, è diventata preda di pressioni ideologiche, e in particolare mosse dai Lumi e dal “predominio della nomneklatura intellettuale e politica secondo l’ideologia del Manifesto di Ventotene”, vale a dire “da una concezione astratta dei diritti senza una visione condivisa dei doveri”.

“L’errore di fondo – conclude l’arcivescovo Crepaldi - è di aver pensato di aver vinto le ideologie del XX secolo con la democrazia formale, procedurale, tollerante tutto fino ad essere intollerante con chi dica che non si può tollerare tutto. E questo errore di fondo continua ad essere presente, anzi si irrobustisce, segno di una insipienza che continua nel tempo. E’ qui che l’Europa dimostra di essere ancora una illusione. Non è certo se sia una illusione finita, è certo che siamo davanti alla fine delle illusioni”.






INTELLIGENTE .... QUINDI SPIRITUALE

L’ipotesi di una capacità intellettiva superiore che sincronizza i due emisferi del cervello

di ANDREA VACCARO

La premurosa misurazione delle capacità cognitive dei bimbi in difficoltà con la scuola da parte dello psicologo Alfred Binet, nei primi del Novecento, potrebbe segnare l’inizio di una 'storia dell’intelligenza' dell’età moderna. A tale metodo, infatti, intorno agli anni ’40, David Wechsler s’ispirò per la costruzione delle prime versioni del cosiddetto test del 'QI' (quoziente intellettivo), basato fondamentalmente su quesiti di natura logico- matematica. Quando comparve sulla scena l’intelligenza artificiale che presto, proprio sul piano dell’esecuzione di regole e calcoli, prese a umiliare gli umani, si cominciò a congetturare che l’intelligenza non fosse propriamente o esclusivamente, soluzione di problemi di segni. Howard Gardner coniò l’espressione «intelligenza multipla» e individuò ben sette tipi specifici di intelligenza, che poi estese al numero di otto e mezzo (quella accettata solo a metà riguarda proprio l’oggetto di questo articolo). Daniel Goleman, con un’opzione poi assai diffusa, contrappose più schematicamente all’intelligenza logica, specifica dell’emisfero sinistro del cervello, l’intelligenza emotiva, lobo destro. E cosa accadrebbe, si è poi chiesto, qualora potessimo pensare nella sinergia dei due lobi? La risposta di oggi, piuttosto sorprendente e beneaugurante, suona: si accenderebbe l’intelligenza spirituale, un superprocesso di pensiero che, come spiega Richard Griffiths, è correlato alla sincronizzazione emisferica e all’attivazione dell’intero cervello.
Così, da qualche anno, si assiste a un fitto e intricato indagare sulla possibilità di una tale intelligenza che tutti ormai convengono nel denominare 'spirituale', con una scelta degna d’interesse. Il territorio vergine ha attirato già diversi esploratori. Cindy Wigglesworth in SQ21 (Armenia 2015) ne ha disposto una mappa in quattro quadranti e 21 abilità. Robert Emmons in Spirituality& Intelligence ne ha identificato le quattro componenti: senso della trascendenza, senso del sacro, stati di coscienza profondi e uso pratico della spiritualità. Danah Zohar ne ha esposto, in Spiritual Quotient, i 12 principi; ha riportato, in Spiritual Capital, la crisi economica dei nostri tempi a una più grave crisi spirituale e ha elaborato un test di misurazione, il 'SIQ', capostipite di una discreta serie di succedanei. Anche Stephen Covey, l’ideatore del 'principio 10/90' - per cui la nostra vita è composta per un 10% da eventi e per un 90% dalla nostra rielaborazione interiore degli eventi stessi - aveva elogiato l’intelligenza spirituale quale «guida» che dirige tutte le altre intelligenze verso la felicità. Victor Selman in Spiritual Intelligence/ Quotient propone un confronto chiarificante: i computer hanno un 'QI' altissimo perché seguono le regole senza errori; gli animali hanno un 'QE' (quoziente d’intelligenza emotiva) elevatissimo perché hanno uno speciale senso della situazione; gli umani sono inferiori in entrambi i quozienti, ma sono anche gli unici in grado di farsi domande sulle regole e immaginare situazioni differenti. Computer e animali si muovono benissimo all’interno del gioco; gli umani, grazie all’intelligenza spirituale, possono oltrepassare le delimitazioni e praticare un 'gioco infinito'.
Yosi Amram, dell’Istituto di psicologia transpersonale di Palo Alto, ha coinvolto nell’indagine 71 maestri di diverse tradizioni spirituali (monaci buddisti e cristiani, yogi, sciamani…) riscontrando una convergenza di contenuto oltre le aspettative e giungendo a ratificare ciò che è indicato dal titolo della ricerca: Le sette dimensioni dell’intelligenza spirituale. Esse sono: ascolto della coscienza, senso del sacro, sentimento di gratitudine e commozione, ricerca del senso degli eventi, elaborazione /accettazione del negativo, senso di fiducioso abbandono, auto-direzionalità. In questo modo, Amram ha offerto le linee per una 'teoria dell’intelligenza spirituale fondata ecumenicamente'. Colui che è capace di praticare l’insieme di queste dimensioni può dirsi un Einstein della spiritualità.
In pressoché tutti gli studi, poi, torna, come elemento qualificante, l’espressione bigger picture, la percezione di essere inscritti in un disegno più ampio, in cui tutto è collegato e ciò che accade a una parte risuona organicamente, nel bene e nel male, in tutto il resto. Poi sono sopraggiunti gli studi neurologici del fenomeno, gli immancabili corsi di intelligenza spirituale e leadership, i rapporti tra 'IS' e benessere psicofisico, lo spiritual coaching … 
E tornano alla mente anche lontani preconizzatori come quell’Eucherio di Lione, padre della Chiesa, che aveva incentrato le sue formule d’intelligenza spirituale sulla capacità di scoprire i sensi molteplici custoditi nelle sacre Scritture. Perché ogni volta che scaturisce un significato in qualunque ambito, là è un soffio dello Spirito. Una volta scongiurato il rischio di naturalizzare lo spirituale, ovvero di voler riportare a terra ciò che dal basso si eleva (e ci eleva), la nuova area di ricerca può aprire orizzonti e stimolare riflessioni. Specie se, come precisa Francesc Torralba nel suo Inteligencia Espiritual, essa è volta, in un’epoca di 'anemia spirituale' come la nostra, a stimolare le nuove generazioni con un’educazione integrale, attenta a cogliere tutte le sfumature e i rimandi dell’esistenza.




martedì 20 febbraio 2018

INFANZIA e PRIMO CICLO. In arrivo le nuove INDICAZIONI NAZIONALI

Dalle lingue
 all’educazione alla sostenibilità:
nelle Indicazioni nazionali 
del primo ciclo
più attenzione
 alle competenze di cittadinanza

Il 22 la presentazione al MIUR del documento per le scuole

Il rafforzamento delle competenze di cittadinanza nelle Indicazioni nazionali del I ciclo di istruzione. Sarà questo il tema al centro dell’evento che si terrà il prossimo 22 febbraio al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, a partire dalle ore 14.30.
Nella Sala della Comunicazione sarà presentato il documento “Indicazioni nazionali e nuovi scenari”, predisposto dal Comitato scientifico nazionale per le Indicazioni nazionali della scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di istruzione, coordinato dal professor Italo Fiorin.
Nel corso dell’evento interverranno anche altri due componenti del Comitato:  Giancarlo Cerini e  Sergio Cicatelli. Alla presentazione parteciperanno la Ministra Valeria Fedeli, la Capo Dipartimento per il Sistema educativo di istruzione e formazione, Rosa De Pasquale, la Capo Dipartimento per la Programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, Carmela Palumbo, il Direttore Generale per gli Ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, Maria Assunta Palermo.
Le Indicazioni nazionali, emanate nel 2012,  sono il documento di riferimento per la progettazione del curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione. Fissano in maniera prescrittiva le finalità e i traguardi che vanno garantiti a tutte le alunne e a tutti gli alunni. A più di cinque anni dalla loro pubblicazione, le Indicazioni vengono rilanciate e rilette dando maggiore centralità e trasversalità al tema della cittadinanza che attraverserà tutte le discipline per offrire a studentesse e studenti le necessarie competenze per affrontare le sfide dell’oggi e del domani, dei cambiamenti in atto, attraverso la valorizzazione dell’educazione alla sostenibilità, delle lingue, del pensiero matematico e computazionale, del digitale, delle arti.
Il documento che viene consegnato alle scuole del primo ciclo sarà messo alla prova e sarà oggetto di consultazione con le istituzioni scolastiche statali e paritarie e con la comunità scientifica nazionale prima dell’adozione definitiva.
L’evento del 22 potrà essere seguito in diretta streaming sul sito del Ministero, www.miur.gov.it.

Per accrediti stampa: uffstampa@istruzione.it

Documenti Allegati

sabato 17 febbraio 2018

Prima domenica di Quaresima: LA TENTAZIONE E' SEMPRE UNA SCELTA TRA DUE AMORI

"In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
 
    La prima lettura racconta di un Dio che inventa l'arcobaleno, questo abbraccio lucente tra cielo e terra, che reinventa la comunione con ogni essere che vive in ogni carne. Questo Dio non ti lascerà mai. Tu lo puoi lasciare, ma lui no, non ti lascerà mai.
     Il Vangelo di Marco non riporta, a differenza di Luca e Matteo, il contenuto delle tentazioni di Gesù, ma ci ricorda l'essenziale: e subito lo Spirito lo sospinse nel deserto, e nel deserto rimase quaranta giorni tentato da Satana. In questo luogo simbolico Gesù gioca la partita decisiva, questione di vita o di morte. Che tipo di Messia sarà? Venuto per essere servito o per servire? Per avere, salire, comandare, o per scendere, avvicinarsi, offrire?
     La tentazione è sempre una scelta tra due vite, anzi tra due amori. E, senza scegliere, non vivi. «Togliete le tentazioni e nessuno si salverà più» (Abba Antonio del deserto), perché verrebbe a mancare il grande gioco della libertà. Quello che apre tutta la sezione della legge nella Bibbia: io metto davanti a te la vita e la morte, scegli! Il primo di tutti i comandamento è un decreto di libertà: scegli! Non restare inerte, passivo, sdraiato. Ed è come una supplica che Dio stesso rivolge all'uomo: scegli, ti prego, la vita! (Dt 30,19).
    Che poi significa «scegli sempre l'umano contro il disumano» (David Maria Turoldo), scegli sempre ciò che costruisce e fa crescere la vita tua e degli altri in umanità e dignità. Dal deserto prende avvio l'annuncio di Gesù, il suo sogno di vita. La primavera, nostra e di Dio, non si lascia sgomentare da nessun deserto, da nessun abisso di pietre. Dopo che Giovanni fu arrestato Gesù andò nella Galilea proclamando il Vangelo di Dio. E diceva: il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo.
    Il contenuto dell'annuncio è il Vangelo di Dio. Dio come una bella notizia. Non era ovvio per niente. Non tutta la Bibbia è Vangelo; non tutta è bella, gioiosa notizia; alle volte è minaccia e giudizio, spesso è precetto e ingiunzione. Ma la caratteristica originale del rabbi di Nazaret è annunciare il Vangelo, una parola che conforta la vita: Dio si è fatto vicino, e con lui sono possibili cieli e terra nuovi.
      Gesù passa e dietro di lui, sulle strade e nei villaggi, resta una scia di pollini di Vangelo, un'eco in cui vibra il sapore bello e buono della gioia: è possibile vivere meglio, un mondo come Dio lo sogna, una storia altra e quel rabbi sembra conoscerne il segreto. Convertitevi... Come a dire: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Ed è come il movimento continuo del girasole, il suo orientarsi tenace verso la pazienza e la bellezza della luce. Verso il Dio di Gesù, e il suo volto di luce.
(Letture: Genesi 9,8-15; Salmo 24; 1 Pietro 3,18-22; Marco 1,12-15)
 Ermes Ronchi 
 (tratto da www.avvenire.it)

Di seguito il commento di p. Alberto Maggi.
 
    Il vangelo di Marco nel primo capitolo dal versetto 14 presenta l’inizio dell’attività di Gesù. Vediamo, sono due versetti, ma molto ricchi ed efficaci. Scrive l’evangelista Dopo che Giovanni, è Giovanni Battista, fu arrestato, perché fu arrestato Giovanni Battista?
       Nel capitolo sesto poi Marco racconterà il perché Giovanni il Battista che denunciava il re che s’era preso per moglie la sposa legittima di suo fratello, ma c’è un’altra versione che non contrasta, ma anzi la completa, e la troviamo nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio ed è molto molto interessante, ci fa comprendere il motivo, il perché dell’uccisione di Giovanni Battista.
     Scrive Giuseppe Flavio che “Quando altri si affollavano attorno a lui perché con i suoi sermoni erano giunti al più alto grado”, quindi l’annuncio di Giovanni Battista ha raggiunto tutti i gradi della società, “Erode si allarmò”. Giovanni ha annunciato un messaggio di cambiamento, e chi detiene il potere non desidera cambiare, è la gente che vuole cambiare, ma i potenti no, perché?
    “Un’eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi poteva portare a qualche forma di sedizione perché pareva che volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero”. Ed ecco il motivo che ci dice Giuseppe Flavio “Erode perciò decise che sarebbe stato molto meglio colpire in anticipo e liberarsi di lui prima che la sua attività portasse a una sollevazione, piuttosto che aspettare uno sconvolgimento e trovarsi in una situazione così difficile da pentirsene”.....