Battesimo
del Signore
Luc
3, 15-16.21-22
Commento di Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme
La
festa dell’Epifania, che abbiamo da poco celebrato, ci dice qualcosa di
fondamentale per la nostra fede.
Ci
dice che Dio si rivela, che non rimane nascosto: il suo mistero d’amore, che
era rimasto nascosto nei secoli, ora è rivelato, ed è rivelato pienamente.
Gesù, il Verbo che ha preso la nostra carne, ci svela questo mistero, ci svela
il Volto del Padre.
Tutta
la storia della salvezza è costellata di piccole e di grandi teofanie. Ora
tutto si condensa nella storia di Gesù: guardando a Lui noi vediamo, per quanto
possiamo, il Volto del Padre, cioè la sua stessa essenza, il suo modo di
essere.
Abbiamo
visto nell’Epifania che il modo di rivelarsi di Dio è paradossale. Normalmente,
chi vuole rivelarsi si mostra. Dio, invece, per rivelarsi si nasconde. Si
nasconde non per il gusto di farsi cercare, ma perché la carità è così, è
qualcosa che accade nel segreto, che si consegna senza clamore.
La
festa del Battesimo, che celebriamo oggi, ci conferma in questa direzione.
Gesù
scende al Giordano, dove Giovanni sta battezzando e, nascosto in mezzo a tutti
gli altri, come tutti gli altri, riceve il battesimo (“Ed ecco, mentre
tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo,
stava in preghiera, il cielo si aprì” - Lc 3,21). Dal racconto di Luca
sembra proprio che nessuno se ne accorge, nessuno reagisce, nemmeno Giovanni il
Battista. Accade, in fondo, quanto abbiamo ascoltato nel Prologo di Giovanni: è
venuto in mezzo ai suoi, ma i suoi non lo hanno riconosciuto (Gv 1,11).
Uno
solo vede quanto sta accadendo, cioè il Padre: solo Lui si accorge che il
Figlio, sottomettendosi a questo gesto penitenziale, ha sposato in tutto la
nostra umanità ferita.
Si
è accorto ed ha esultato (“e discese sopra di lui lo Spirito Santo in
forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio
mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»” - Lc 3,22). Ha
esultato perché l’uomo che si era perso all’inizio dei tempi e che il Padre
incessantemente aveva cercato, ora, finalmente, è stato ritrovato. Il Padre lo
ritrova proprio qui, immerso nel Giordano.
Sono
tanti i significati legati al luogo e al momento. Qui, ad esempio, Gesù è
presentato anche come il nuovo Mosè, che riparte dal Giordano il cammino di
liberazione. Ma oggi ci soffermiamo su un altro aspetto, sempre legato al
luogo.
Il
fiume Giordano è il più misero dei fiumi.
Scorre
sotto il livello del mare, e sfocia nel mar Morto, in un luogo dove come tutti
sanno non ci può essere vita. Proprio nel capitolo successivo a questo capitolo
terzo che stiamo leggendo, Gesù cita Naaman, il Siro (Lc 4,27). Naaman è un
funzionario arameo, malato di lebbra: viene in Israele per farsi guarire, e il
profeta Eliseo lo manda a bagnarsi sette volte nel fiume Giordano (2Re 5,1-19).
Davanti a questa proposta, Naaman rimane scandalizzato, perché anche i più
sconosciuti fiumi di Damasco sono migliori di tutte le acque di Israele, del
Giordano e dei suoi miseri affluenti.
In
questo fiume, invece, Gesù non ha vergogna di immergersi: si immerge
nell’abisso della nostra umanità fragile, povera, e vi porta tutta la bellezza
della sua vita filiale, al punto che le due cose diventano inseparabili e
inscindibili. La nostra umanità diventa il luogo della vita di Dio.
Non
ci deve sfuggire questa cosa: immergendosi nella nostra umanità, Gesù la
trasforma, la porta a compimento, la rivolge verso il suo fine ultimo.
E
c’è un salmo, il salmo 114, che dice bene questo cambiamento di corso, questa
trasformazione: è un salmo che ricorda l’esodo, la liberazione dall’Egitto, che
viene descritta con immagini simboliche e poetiche.
Una
di queste immagini riguarda proprio il fiume Giordano, che, al passaggio del
Signore, si volge indietro, cambia corso (“Che hai tu, mare, per
fuggire, e tu, Giordano, per volgerti indietro?” - Sl 114,5). È così:
quando il Signore si immerge nel Giordano, il Giordano cambia corso; non corre
più verso la morte, ma ritorna verso la sua sorgente, verso Colui che gli dà
vita.
La
stessa cosa vale per noi: quando il Signore si immerge nella nostra vita, noi
non siamo più in cammino verso la morte, la nostra storia non è più una storia
destinata al nulla. Al contrario, camminiamo verso il nostro Principio, e
diveniamo via via sempre più vivi, della vita stessa di Dio.
Ogni
giorno ci è semplicemente chiesto di assecondare questo movimento, di
partecipare a questo cammino, di ritornare alla sorgente, a ciò che ci fa
veramente vivere.
+
Pierbattista
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