Lettera
alle sorelle e ai fratelli
di Comunione e Liberazione
- di
Giuseppe Savagnone
Saluto
Cari
sorelle e fratelli, se mi permetto di scrivevi, a proposito del Meeting di
Rimini, è perché una lettera non è un discorso “su” qualcosa – come
potrebbe essere un articolo – , ma “con” qualcuno, non un giudizio, ma un
appello rispettoso.
Preciso
subito che non rivesto, né a livello politico né a livello ecclesiale, alcun
ruolo ufficiale e che in quanto dico rappresento solo me stesso. Ma poiché per
il battesimo condivido con voi la dignità di re, sacerdote e profeta, penso di
avere il diritto e il dovere di esprimere la mia opinione su un evento che
coinvolge sia la società che la Chiesa di cui tanto voi che io facciamo
parte.
A
condizione – ne sono ben consapevole – di non scadere in quella
sterile e acre polemica che in passato ha diviso e ancora, a volte,
divide sorelle fratelli nella fede.
Aggiungo
di non essere cresciuto né nell’Azione cattolica né in Comunione e
Liberazione, ma in un piccolo gruppo ecclesiale della mia diocesi, Palermo, a
cui devo la mia formazione di laico cristiano. Anche se conto molti amici
sinceri, con cui mantengo rapporti di profonda stima, sia in AC che in CL.
Alcune
osservazioni generali
Un
dialogo o un monologo?
Il
motivo di questa lettera è il profondo disagio che ho provato leggendo sui
giornali che l’edizione di quest’anno del Meeting – una grande
esperienza di popolo importante e significativa (forse l’unica, almeno in
Italia, in cui il mondo cattolico riesce a esprimersi a livello
pubblico) – è stata dalla grande maggioranza degli osservatori considerato
un chiaro endorsement dei cattolici ai partiti di destra oggi
al governo.
In
tempi in cui si parla molto del possibile ritorno dei cattolici alla politica,
questa presa d’atto da parte dei media acquista un significato che
inevitabilmente va al di là di Comunione e Liberazione e chiama in causa il
mondo cattolico in quanto tale. Da qui la rilevanza del problema anche per
un semplice fedele come me e la mia esigenza di verificare quanto
effettivamente è accaduto.
Dico
subito che il mio non è tanto un discorso sul Meeting, ma su ciò
che l’opinione pubblica ed io per primo ne abbiamo colto, attraverso le
semplificazioni dei mezzi di comunicazione.
Mi
rendo conto dell’impossibilità – per me, come per chiunque non abbia
partecipato personalmente, all’evento – di capire la ricchezza e la complessità
di ciò che esso ha rappresentato. Qui, al di là della varietà di
iniziative e di esperienze che hanno giustamente entusiasmato coloro che hanno
vissuto queste giornate, è del volto pubblico di questa edizione del Meeting che
intendo parlare.
E,
a questo livello, l’impressione di una scelta di campo ha un suo innegabile
fondamento. A parte la prolusione di Draghi, tutte le relazioni sono state
affidate a 13 ministri del governo di destra in carica, oltre che alla premier
Giorgia Meloni. Nemmeno una voce dissidente. Era inevitabile, a questo punto,
che il messaggio trasmesso ai partecipanti fosse univoco. Il contrario, a dire
il vero, di quello che implicherebbe il nome “Meeting”, incontro tra diversi.
La
mia meraviglia è aumentata quando ho sentito un’intervista del presidente della
Fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi, che dichiarava di aver
voluto garantire la maggior varietà possibile di voci.
Può
darsi che ci sia stata, ma posso assicurare che dall’esterno si è sentita solo quella
dei ministri che vantavano, senza contraddittorio, i loro successi. Ripeto
che con questo non intendo assolutamente minimizzare la bella
testimonianza di creatività, di impegno e di sacrificio data dagli
organizzatori e dai partecipanti anche quest’anno. Ma l’impressione di un
monologo, invece che di un dialogo, rimane.
Mattoni
nuovi?
Viviamo
in un momento in cui la società occidentale, e quella italiana in particolare,
assomiglia veramente a un deserto, come il felicissimo
titolo del Meeting evidenziava.
I
«luoghi deserti», ha osservato Giorgia Meloni nella sua relazione, sono «una
potente metafora della nostra epoca, un’epoca nella quale si vorrebbe omologare
tutto, trasformare ognuno di noi in un consumatore perfetto, un vuoto a rendere
che può essere riempito da qualsiasi cosa si voglia.
Individui
senza identità, senza memoria, senza appartenenza nazionale, familiare o
religiosa. Individui in cui desideri cambiano in continuazione e che quindi non
amano più nulla. Individui in sostanza nella cui esistenza non c’è più nulla,
per cui valga la pena impegnarsi, costruire o combattere».
In
Italia questa cultura si è affermata con la crisi della Prima Repubblica e nel
corso della Seconda, di cui l’attuale classe politica, maggioranza e
opposizione, è l’ultima espressione.
Basti
pensare alla crisi ideologica della Sinistra che, orfana del marxismo, ha
finito per abbracciare la visione individualista radicale, che è ancora la sua
bandiera. Ma non si possono neppure chiudere gli occhi sul ruolo che ha avuto
nello stravolgimento dei valori – a livello sia privato che pubblico
– l’avvento delle televisioni commerciali e l’immagine privata
e pubblica di Silvio Berlusconi, che i nostri partiti di governo considerano
una figura di riferimento.
Chiamare
al Meeting esponenti di questa Seconda Repubblica, come
Salvini o Tajani (e lo stesso varrebbe per la Schlein o Conte) significa
davvero costruire con “mattoni nuovi”? O – al di là dei singoli
personaggi, al di là anche della usurata dialettica Destra-Sinistra – oggi non
sarebbe necessario proporre idee nuove, che non possono venire da persone
“vecchie” (il deserto di cui si parlava)?
La
relazione di Giorgia Meloni alla prova dei fatti
Probabilmente
un senso autentico di novità il popolo del Meeting l’ha
provato davanti alla giovanile e appassionata figura di Giorgia Meloni, a cui
ha riservato, secondo i media, un’entusiastica, commovente accoglienza.
E
davvero la sua relazione è sembrata prospettare una politica tesa a
«ricostruire con i mattoni nuovi della verità», «con metodi nuovi»,
ispirati all’«umanesimo cristiano», riportando al centro gli esseri umani nella
loro unicità e irripetibilità, contro tutte le falsificazioni ideologiche.
Perché,
ha detto la premier, «mille miliardi di idee non valgono una sola persona. Noi
dobbiamo amare le persone, è per loro che bisogna vivere e morire».
Soprattutto i più deboli e poveri, perché «la vita è sacra e la cura per i più
fragili è un valore assoluto» .
Insomma, il
messaggio cristiano che finalmente si fa politica non in sogno, ma nei fatti,
poiché la relatrice ha rivendicato, «con orgoglio», di aver costruito
con questi «mattoni nuovi» la sua opera di governo.
Ma
è veramente così? E qui vi chiedo, fratelli e sorelle, ché forse avete anche
voi condiviso l’entusiasmo per le cose che Giorgia Meloni ha detto, di
provare a guardare insieme a me quelle che non ha detto e
che mi sembra smentiscano drasticamente la sua pretesa di stare portando
nella politica i valori dell’umanesimo cristiano.
L’accoglienza
dei migranti
Potrei
indicarvene tante quanti sono i punti trattati nella relazione. Ma sono troppe.
Mi limito, a titolo di esempio, al tema dei migranti: «Abbiamo posato
mattoni nuovi sul fronte delle migrazioni, contrastando gli arrivi irregolari,
ampliando quelli regolari in una cornice di serietà e rigore, come non era mai
avvenuto prima».
Discorso
a prima vista ragionevole, perché nessuno potrebbe pensare (e nessuno ha
mai pensato) ad una apertura indiscriminata. Eppure, a ben vedere, è
significativo che il primo punto – in piena coerenza col programma elettorale
della Destra, centrato sulla «difesa dei confini nazionali ed europei» – si
quello del “contrastare”, come si fa con gli invasori.
Una
linea ben diversa da quella proposta da papa Francesco che, nel suo «Messaggio
per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato» del 2018, la riassumeva
in quattro verbi: «accogliere», «proteggere», «promuovere» «integrare».
A
questo programma Francesco ha ispirato tutto il suo pontificato, in deciso
contrasto con un governo fedele alla linea della Lega, che ha sempre
rivendicato la sua fedeltà al messaggio cristiano (Salvini si è spesso
presentato ai suoi comizi con il vangelo in mano), ma precisando che il
comandamento dell’amore del prossimo vale solo per i più vicini e «non è
estendibile al vù cumprà o al vù lavà, certamente
prossimi di molte altre persone, ma non del sottoscritto. Grazie a Dio» (M.
Borghezio).
La
Destra ha risposto squalificando Francesco come un pericoloso utopista. Ma
in realtà la posizione di papa Bergoglio è semplicemente quella del magistero
della Chiesa. San Giovanni Paolo II (citato da Meloni al Meeting),
nell’Esortazione apostolica «Ecclesia in Europa», del 2003, scriveva: «Di
fronte al fenomeno migratorio, è in gioco la capacità, per l’Europa, di dare
spazio a forme di intelligente accoglienza e ospitalità. È la visione
“universalistica” del bene comune ad esigerlo: occorre dilatare lo sguardo sino
ad abbracciare le esigenze dell’intera famiglia umana» (n.101).
Sottolineando,
subito dopo, la necessità di una «matura cultura dell’accoglienza che, tenendo
conto della pari dignità di ogni persona e della doverosa solidarietà verso i
più deboli, richiede che ad ogni migrante siano riconosciuti i diritti
fondamentali» (ivi). In conformità, del resto, a quel testo del vangelo in cui
Gesù si identifica con lo straniero che chiede di essere accolto: «Ero
forestiero e mi avete ospitato» (Mt 25,35).
In
tutto il discorso di Giorgia Meloni la sola volta che si parla di “accoglienza”
è quando ringrazia per quella che le è stata riservata al Meeeting. E,
contrapponendosi – senza rendersene conto – proprio alle parole di Giovanni
Paolo II, ha rivendicato il ruolo, «che io considero decisivo, del governo
italiano per cambiare anche l’approccio europeo» inducendo tutta l’UE a
considerare prioritari «la difesa dei confini esterni» e «il rafforzamento
della politica dei rimpatri».
Il
cimitero del Mediterraneo
Ma
il problema non è di parole. Ad esse sono corrisposti, in questi tre anni, dei
fatti gravissimi. Come il decreto-legge del 28 dicembre 2022, che ha reso molto
più difficile alle navi delle ONG operanti nel Mediterraneo salvare i
migranti vittime di naufragi, vietando loro di effettuare più di un’operazione
di salvataggio e imponendo di sbarcare i naufraghi in porti spesso lontani,
allontanandole dalle zone critiche. Proprio in questi ultimi giorni due
sono state trattenute in stato di fermo per non aver rispettano queste
regole assolutamente arbitrarie.
Si
vogliono scoraggiare le partenze rendendo più alte, per chi vi si avventura, le
probabilità di morire. Le possibilità di salvezza indeboliscono il divieto. Lo
ha detto, senza i giri di parole dei diplomatici, il ministro Piantedosi
(un altro invitato applaudito al Meeting) all’indomani del disastro
di Cutro, il 26 febbraio 2023, rispondendo a chi gli chiedeva se si poteva di
più per salvare le 180 persone perite nel naufragio: «L’unica vera cosa che va
detta e affermata è: “Non devono partire”. [Non si può] immaginare che ci
siano alternative da mettere sullo stesso piano – salvare, non salvare…». La
sola vera alternativa al restare nella propria condizione di miseria o di
pericolo, è la morte. Questa la filosofia che sta dietro i provvedimenti
anti-Ong.
E
che non si tratti di una mia lettura «ideologica», lo dicono le parole di papa
Francesco nell’Udienza generale del 28 agosto 2024: «Il mare nostrum (…) è
diventato un cimitero. E la tragedia è che molti, la maggior parte di questi
morti, potevano essere salvati. Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera
sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti – per respingere i
migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato
grave».
Tornano
alla mente le parole della premier al Meeting: «Non c’è niente di
più importante che salvare una vita umana».
Gli
accordi con la Libia
E
poi ci sono gli accordi con la Libia. Meloni non vi ha fatto cenno, e con
ragione. Perché avrebbe dovuto dire che, almeno in questo caso, non solo il
nostro attuale governo non si è discostato da quelli precedenti, come lei
spesso ha sottolineato, ma ne ha continuato la politica nella sua espressione
più disumana.
È
stato infatti il ministro dell’Interno del governo di centrosinistra guidato da
Paolo Gentiloni, Marco Minniti, che nel febbraio del 2017, con l’accordo della
UE, ha firmato un “Memorandum d’intesa” col governo libico in cui si
concedevano aiuti economici e supporto tecnico, in cambio dell’impegno di
quel governo di controllare più strettamente le partenze dei migranti dalle sue
coste, facendone bloccare i barconi dalla sua Guardia costiera e trattenendo le
persone in appositi “centri d’accoglienza”.
«Nei
miei ventidue anni in Medici Senza Frontiere non avevo mai incontrato
un’incarnazione così estrema della crudeltà umana», dice Joanne Liu, la
presidente internazionale di “Medici senza frontiere”, in un’intervista al
«Corriere della Sera» del 1 febbraio 2018. E non è una denunzia isolata.
In
realtà già poche settimane dopo quegli accordi, il 28 settembre 2017, il
commissario dei Diritti umani presso il Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks,
aveva scritto al nostro ministro degli Interni Marco Minniti, una lettera,
«consegnare individui alle autorità libiche o altri gruppi in Libia li
esporrebbe a un rischio reale di torturao
trattamento inumano o degradante e il fatto che queste azioni siano condotte in
acque territoriali libiche non assolve l’Italia dagli obblighi previsti dalla
Convenzione sui diritti umani».
Così,
non stupisce che, a metà novembre 2017, dopo il Consiglio d’Europa, anche
l’ONU sia intervenuta. Durante la riunione del comitato delle Nazioni Unite a
Ginevra l’Alto commissario ONU per i diritti umani Zeid Raad al Hussein ha
bollato con parole durissime il patto stretto con Tripoli dal governo Gentiloni
per conto dell’Unione Europea: «La politica UE di assistere le autorità libiche
nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti
prigioni in Libia è disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un
oltraggio alla coscienza dell’umanità».
«Non
possiamo», ha sottolineato l’Alto commissario, «rimanere in silenzio di fronte
a episodi di schiavitù moderna, uccisioni, stupri e altre forme di violenza
sessuale pur di gestire il fenomeno migratorio e pur di evitare che persone
disperate e traumatizzate raggiungano le coste dell’Europa».
Incurante
di questi moniti, il nuovo governo di destra ha rinnovato l’accordo. Anzi, a
suggellarne la continuità, la nostra premier, il 28 gennaio 2023, in occasione
della sua visita in Libia, ha concordato la consegna di cinque modernissime
motovedette alla Guardia costiera (una delle quali, recentemente ha anche
sparato, in acque internazionali, alla nave Ocean Viking, mentre
stava soccorrendo un gruppo di migranti in mare).
E
anche ultimamente Meloni è tornata a Tripoli per confermare e consolidare gli
accordi, che anzi sono stati estesi, nel quadro del piano Mattei, alla Tunisia,
dove il presidente Kaïs Saïed sta imponendo un regime autoritario e, in cambio
di ingenti fondi italiani ed europei, si è impegnato a bloccare, con i mezzi
che gli sono propri, i migranti in procinto di partire per l’Italia.
Davanti
a questo quadro di inaudite violenze, decise a tavolino contro poveri esseri
umani, colpevoli solo di essere assetati di un po’ di felicità, rileggiamo le
parole di Meloni nella sua bella relazione: «Noi dobbiamo amare le persone,
è per loro che bisogna vivere e morire». Perché «la vita è sacra e la
cura per i più fragili è un valore assoluto».
Ci
si può entusiasmare per il male minore?
Mi
fermo qui. Era solo un esempio tra i tanti della totale dissonanza tra le
nobili affermazioni di principio della premier e la prassi reale del suo
governo e solo per ragioni di spazio ho preferito soffermarmi su questo. Ma
spero almeno di aver fatto capire i motivi del mio disorientamento nel
vedere la nostra presidente del Consiglio non solo invitata – questo
potrebbe essere un modo per mantenere i buoni rapporti con le istituzioni – ,
non solo cortesemente ricevuta – questo rientrerebbe nella buona educazione
verso un’ospite – , ma entusiasticamente applaudita e acclamata (tra l’altro,
in particolare quando ha parlato dei migranti).
Perché
ad aver fatto questo sono persone a cui mi sento unito dalla profonda
convinzione che “i mattoni nuovi” per costruire in questo deserto possono
venire solo da una visione della persona e della società che si ispiri
all’insegnamento sociale della Chiesa e, soprattutto, al Vangelo.
Si
può capire – anzi credo che in questo momento capiti a tutti i cattolici
– che qualcuno, in mancanza di meglio, voti per un partito che, pur compromettendo
alcuni valori, ne salva però altri e che per questo può, a malincuore, essere
considerato un male minore. Ma se Elly Schlein ricevesse un’accoglienza
trionfale in un consesso di cattolici mi stupirei e mi addolorerei molto.
Esattamente come mi stupisce e mi addolora che questo sia accaduto nei
confronti di Giorgia Meloni.
Sorelle
e fratelli, ringrazio chi di voi ha avuto la pazienza e la gentilezza di
arrivare alla fine di questa lettera. Non chiedo che alla fine ci troviamo
d’accordo su tutto, ma che siano chiare le ragioni per cui mi sono sentito a
disagio, come cristiano, di quello che del Meeting ho appreso
dai media.
E
che consideriate l’averlo comunicato non un attacco, ma un atto di sincerità
fraterna, nello stile del vangelo che ci unisce tutti.
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