sabato 15 novembre 2025

FIDARSI DI DIO

 


Di fronte alle insidie della storia 

occorre fidarsi 

della promessa di Dio. 


Commento al Vangelo nella XXXIII domenica del Tempo ordinario - Anno C

di Padre Gianpiero Tavolaro, Comunità Monastica di Ruviano

Mal 3,3-19-20a; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19


Quando l’evangelista Luca compone la sua opera si mostra molto attento a cogliere la vita della comunità dei credenti in Cristo all’interno del ben più vasto orizzonte della storia. Diversi sono gli eventi ai quali, in modo più o meno esplicito, egli fa riferimento: il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto (e questo è un segno potente della novità che è Cristo e del “salto” che egli realizza rispetto alla prima economia della salvezza); la vita della Chiesa è fiorente, ma esposta a delle minacce; il sangue dei primi testimoni è stato versato (come, in Atti, attestano le morti violente di Stefano e di Giacomo). È dentro questo quadro di riferimento che si inserisce il discorso che Gesù fa, al capitolo 21, sollecitato dall’ammirazione di alcuni per la grandiosità del Tempio e per le sue bellezze: alla cosiddetta piccola apocalisse del capitolo 17 (riguardante il “destino” personale), segue ora la grande apocalisse (riguardante il corso della storia tutta). Si tratta di una rivelazione che riguarda le ultime cose: non tanto la fine della storia, quanto piuttosto il suo fine.

Di fronte alle paure, alle derive e ai possibili inganni degli uomini sull’attraversamento della storia, Gesù afferma, in modo inequivocabile, che la storia ha un senso, cioè una direzione, per cogliere la quale, senza indulgere a facili e banali allarmismi, occorrono la fedeltà e la perseveranza, attraverso cui si manifesta la disponibilità ad attraversare la storia fidandosi della promessa stessa di Dio. Per quanto difficile e segnato da contraddizioni interne ed esterne, il camminare della Chiesa nella storia richiede che tutto vada assunto con verità, ma anche nella lucida consapevolezza che tutto è “relativo” a un più grande progetto di Dio, non perché “le cose di quaggiù” non abbiano valore, ma perché, al contrario, in Dio può acquisire senso anche ciò che può sembrare non averne: solo così è possibile sottrarsi al rischio di vivere in un’illusione che anestetizza i credenti, facendoli vivere “fuori” dalla storia, o in una delusione che, producendo smarrimento, li trasforma in uomini disperati, prigionieri dei non-sensi dell’oggi. 

l cammino del credente, secondo Luca, è esposto al rischio di trappole che il mondo tende e in cui si può cadere e Gesù ne individua tre attraverso cui il male cerca di aggredire chi crede. La prima trappola è costituita dalla menzogna e dall’inganno, che pretendono perfino di indossare le maschere del volto di Dio. Gesù che, fin dal principio dell’evangelo, ha chiamato alla sequela (cf. Lc 5,11.27; 9,59; 14,27), qui mette in guardia dalle sequele sbagliate, che portano morte. Tremendo, a tale proposito, è l’uso del suo nome: il credente può essere intrappolato perfino da chi si serve del nome di Cristo, invece di farsene servo. Per questo, più avanti, sempre in questa grande apocalisse, Gesù presenta la sua Chiesa come fatta da coloro che saranno perseguitati «a causa del mio nome».

La seconda trappola che il mondo tende nella storia alla comunità dei credenti è la persecuzione, quella stessa cui è stato sottoposto il Maestro. Se la Chiesa pronunzierà parole di mondano “buon senso”, essa avrà l’applauso dei sapienti secondo il mondo e non patirà persecuzione; se, al contrario, annuncerà con forza e parresía la parola scomoda del Vangelo («la parola della croce», 1Cor 1,18), allora patirà persecuzione e accanimento. Nella persecuzione, però, in maniera paradossale, sperimenterà la potenza della presenza del Signore, che è fedele compagno di viaggio nel cammino della Chiesa nella storia. La terza trappola che il mondo tende alla Chiesa è quella della divisione, che penetra nelle relazioni più sacre che l’uomo può vivere: «Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici». L’odio del mondo per le vie che lo contraddicono può arrivare fino a questo punto, dal momento che il mondo non tollera chi gli si oppone, in qualunque modo.

Di fronte a tutto questo occorre perseverare, essere pazienti: questa è stata la via percorsa da Gesù di fronte al rifiuto del mondo e questa è la via che egli propone ai suoi. La storia sarà salvata e custodita da un piccolo resto, capace di resistere agli inganni, alle divisioni, alle persecuzioni: un piccolo resto capace di pagare di persona. Questa è parola di speranza e di consolazione, che dà ai passi dei credenti la forza e il coraggio di attraversare la storia senza fuggirla, ma vivendola portando in essa la bellezza del Vangelo.

Clarusoonline

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SENZA FILTRI

 


Il 41,8% 

degli adolescenti

 quando è

 triste, solo e ansioso

 chiede aiuto

 aIl’Intelligenza

 Artificiale

Oltre il 42% dei ragazzi e delle ragazze tra i 15 e i 19 anni si è rivolto all'intelligenza artificiale per chiedere consigli su scelte importanti da fare che riguardavano relazioni, sentimenti, scuola, lavoro. Il 92,5% degli adolescenti ascoltati utilizza strumenti di IA, contro il 46,7% degli adulti. Questi sono solo alcuni dei dati contenuti nella XVI edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia, dal titolo “Senza filtri”, diffuso da Save the Children

di Redazione

Il 41,8% dei ragazzi e delle ragazze tra i 15 e i 19 anni intervistati afferma di essersi rivolto a strumenti di Intelligenza artificiale per chiedere aiuto in momenti in cui si sentiva triste, solo o ansioso. Una percentuale simile, oltre il 42%, per chiedere consigli su scelte importanti da fare (relazioni, sentimenti, scuola, lavoro). Il 92,5% degli adolescenti ascoltati utilizza strumenti di IA, contro il 46,7% degli adulti. Il 30,9% – quasi un ragazzo su tre – tutti i giorni o quasi, il 43,3% qualche volta a settimana, solo il 7,5% non la utilizza mai. Sono alcuni dei principali risultati di un sondaggio inedito sul rapporto tra adolescenti e Intelligenza artificiale dal quale emerge anche la funzione di conforto emotivo degli strumenti dell’IA, contenuto nella XVI edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia, dal titolo “Senza filtri”, curato dal giornalista Daniele Biella, e diffuso oggi da Save the Children a pochi giorni dalla Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Quest’anno l’Atlante ha voluto indagare l’età dell’adolescenza, attraverso un’analisi dei dati e un viaggio in ascolto delle voci di ragazze e ragazzi. Il risultato è una fotografia ricca e complessa, di adolescenti onlife, da una parte consapevoli delle difficoltà della fase che attraversano e alla ricerca di nuove strade e spazi di condivisione, dall’altra a rischio di isolamento. 

Il 60% degli adolescenti è soddisfatto o molto soddisfatto di sé, con percentuali più elevate tra i ragazzi (71%) rispetto alle ragazze (50%); al 9% è capitato di isolarsi volontariamente anche per brevi periodi per problemi di natura psicologica; quasi uno su 8 ha usato psicofarmaci senza prescrizione nell’ultimo anno, con una percentuale più alta tra le ragazze (16,3%). Un gap di genere che si riscontra anche quando li si interroga sul proprio benessere psicologico: poco più di una ragazza su tre mostra di avere un buon equilibrio psicologico (34%), contro il 66% dei ragazzi, la più ampia differenza di genere rilevata tra tutti i Paesi europei (oltre 30 punti percentuali). In totale, meno della metà dei ragazzi e delle ragazze (49,6%) mostra un buon livello di benessere psicologico. 

La vita dei nativi digitali si svolge in una dimensione onlife, in cui non ci sono più barriere tra mondo fisico e virtuale. Il 38% dei 15­-19enni afferma di guardare spesso il cellulare in presenza di amici o parenti, il fenomeno del ‘phubbing’ , e il 27% si sente nervoso quando non lo ha con sé. Più di uno su 8 è iperconnesso,  cioè risponde ad indicatori che rilevano un profilo di uso problematico di internet  (13%) e il 47,1% è stato/a vittima di cyberbullismo, un dato in aumento dal 2018, quando le vittime erano il 31,1%. Il 30% ha fatto ghosting, bloccando una persona improvvisamente senza fornire spiegazioni. Il 37% dei 15-19enni trascorre tempo sui siti porno per adulti, percentuale che sale al 54,5 % nel caso dei ragazzi, rispetto al 19,1% delle ragazze.

Quanto alla dimensione off-line, un adolescente su due non ha mai visitato mostre o musei nel 2024 (oltre il 60% nel Mezzogiorno), il 21,2% non è mai andato al cinemail 46,2% non legge libri al di là di quelli scolastici. Il 18,1% non fa nessuna attività fisica, percentuale che sale al 29,2% nel Mezzogiorno. Meno della metà (47,6%) dei giovani tra i 15 e i 24 anni ha fatto una gita o una vacanza di almeno una notte, in Italia o all’estero, rispetto all’81% dei giovani spagnoli e il 90% degli olandesi. 

Sul fronte delle relazioni, gli amici restano per i ragazzi e le ragazze un punto fermo nelle acque incerte dell’adolescenza: più di 8 su dieci sono soddisfatti del loro rapporto con gli amici (il 40% soddisfatti, il 42,5% molto soddisfatti). Pochissimi, solo l’1,6% non sono per nulla soddisfatti. Positiva anche la relazione con i genitori, il 78% se ne dichiara soddisfatto o molto soddisfatto (84% i ragazzi, 73% le ragazze), anche se il 31% dichiara di aver avuto gravi problemi nel rapporto con loro

«L’Atlante fotografa le tante, diverse, adolescenze vissute in Italia da una generazione che è stata duramente segnata dall’emergenza Covid, in termini di uso problematico di internet e di rischi di isolamento, ma che oggi cerca con forza nuovi spazi di protagonismo», ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice del Polo Ricerche di Save the Children. «Le disuguaglianze economiche, educative e sociali si fanno più pesanti proprio in questa fase cruciale della crescita, rischiando di compromettere il futuro. È necessario colmare questi divari e garantire a tutti gli adolescenti l’opportunità di studiare, viaggiare, fare sport, sperimentarsi, come loro stessi ci chiedono a gran voce». 

 Vita

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LA SPERANZA NASCE DALL'IMPREVISTO

 

Nel grande viaggio 
della vita 

la speranza

 nasce dall’imprevisto


Spesso, ad esempio alla fine della terza media, si ha il terrore di sbagliare scuola. A far paura è ciò che può spezzare la linea già tracciata

 Ma le crisi sono sempre anche opportunità

-         di MARCO ERBA

Filippo è giovane, esplode di entusiasmo, parla del suo lavoro con gli occhi pieni di luce. Lo incontro a un matrimonio, dopo qualche anno che non ci vediamo. È gioviale e accogliente come sempre. Ha un’energia contagiosa; una simpatia innata, che gioca sull’autoironia e ti mette a tuo agio. Filippo fa il prof di lettere. Insegna in un istituto tecnico. Parla volentieri del suo lavoro. È aggiornato, sul pezzo: ci racconta come usa l’intelligenza artificiale nella didattica, ma ne mostra anche i limiti. D iscutiamo di gestione della classe: lui ci parla dei suoi allievi più oppositivi, di come cerca di gestire la situazione entrando in relazione con loro, mettendocela tutta. Vede del buono in loro, crede nelle loro potenzialità. Vede del buono ovunque, in realtà, e il suo non è ingenuo ottimismo, è capacità di leggere le cose in profondità. Parliamo di letteratura e di cinema: lui si segna qualche titolo, me ne consiglia altri: vive la nostra chiacchierata come un’occasione preziosa, di arricchimento reciproco. Non è facile incontrare persone con cui confrontarsi con una tale intensità. Si finisce, tra prof di lettere, a parlare di Dante, ovviamente. Lui lo venera: atteggiamento molto comune nella nostra categoria. Poi butta lì quella frase, che apre uno squarcio inatteso: « Pensa che Dante lo odiavo con tutto me stesso. Odiavo Dante, ho scelto Lettere all’università per Dante!». « In che senso, scusa?» S i spiega meglio: « Alle superiori mi hanno bocciato due volte».

La bocciatura

Penso di aver capito male: «Come? Tu sei stato bocciato?» «Sì, due volte» ripete. E col sorriso, con leggerezza, racconta quel periodo così faticoso della sua vita. Era svogliato, faceva apposta a non studiare. Si trovava bene con i compagni e i prof ma, deliberatamente, non combinava nulla. Dante non gli piaceva per niente; anzi, lo detestava. Alle spalle aveva una situazione famigliare molto difficile: una rabbia e un dolore dentro che trasformava in superficialità, che scagliava contro sé stesso, che lo portava a danneggiarsi da solo. Poi, la svolta. Dopo la seconda bocciatura, si trova in una classe dove conosce un amico vero. Uno che lo accompagna, che diventa un punto di riferimento. « M i ha fatto da guida» dice, e fa strano pensare che quella guida era un ragazzo più giovane di lui. Conosce anche un prof appassionato di Dante, che non si capacita di come Filippo possa non amarlo. Un prof di lettere che gli testimonia una passione, che accende in lui una domanda. Che si apre alla relazione, che entra nella sua vita. E qualcosa si sblocca. « L e persone che ho incontrato mi hanno salvato» racconta oggi Filippo. « I miei problemi non si sono risolti con un colpo di bacchetta magica, ma quell’amico e quel prof mi hanno fatto capire che il mondo non era contro di me». E quando capisci che il mondo non è contro di te, smetti di distruggere e inizi a costruire, a partire dalla tua vita. Forse anche Sofia, una mia ex allieva, aveva la sensazione che il mondo fosse contro di lei. A scuola faceva molta fatica. Era una ragazza intelligente, capace, dotata di una sensibilità molto elevata, di una empatia preziosa. A scuola, però, continuava ad arrancare. Alla fine di uno scrutinio, noi docenti decidemmo all’unanimità di suggerirle un cambio di indirizzo. La proposta non fu presa bene né capita. Sofia si impegnava al massimo, era seria e rispettosa: perché prospettarle una cosa del genere?

Il successo

Alla fine il suggerimento fu accolto, anche se non fu un passaggio sereno. Sofia, nella nuova scuola, rifiorì. Sperimentò il successo, mise a frutto le sue potenzialità, imparò a credere sempre di più in sé stessa, trovò la sua strada. Tempo addietro, partendo da quella sua spiccata empatia, l’avevo invitata a pensare al proprio lavoro futuro in un ambito di cura degli altri. Lei mi aveva detto di amare i bambini, tanto che aveva pensato di fare l’insegnante. L a incontrai anni dopo, per caso. Aveva davvero intrapreso quella strada: dopo un tirocinio in una scuola elementare, la avevano assunta per alcune ore, faceva l’insegnante di sostegno. Era felicissima: andare al lavoro per lei era un piacere, prendersi cura dei bambini che le erano affidati era una gioia. Filippo e Sofia: due giovani insegnanti, pieni di passione e di fiducia, capaci di generare futuro. Filippo e Sofia, due persone che hanno trovato il loro posto nel mondo dopo anni travagliati. Sarebbero le persone che sono oggi senza quelle fatiche passate, senza le loro cadute, senza i loro insuccessi, senza le loro crisi? La domanda è probabilmente fuori luogo: i se e i ma non fanno la storia. Io credo però che molto della loro sensibilità, che tanto dei loro doni, sia frutto anche dei loro incidenti di percorso.

Il futuro

Spesso, quando sento gli allievi e i loro genitori parlare di futuro, mi rendo contro che ne parlano come di una costruzione lineare, come di un progetto da disegnare sulla carta e poi da eseguire esattamente così come è stato pensato. Come quando si costruisce una casa: l’architetto la disegna, pensa tutto, fino al dettaglio più piccolo, e poi la si realizza. P er questo così spesso, ad esempio alla fine della terza media, si ha il terrore di sbagliare, di non finire nella scuola giusta. Ciò che può spezzare il progetto fa paura, ciò che può mettere in crisi la linea già tracciata spaventa. Ma la crisi è sempre anche opportunità. In una bellissima poesia, « Prima del viaggio», Eugenio Montale racconta i numerosissimi preparativi che si fanno nel progettare ciò che accadrà, forse metafora del modo in cui noi tentiamo di controllare il futuro: « Si scrutano gli orari, / le coincidenze, le soste, le pernottazioni / e le prenotazioni »; e ancora «si consultano le guide», «si controllano / valigie e passaporti»; addirittura «si dà un’occhiata al testamento, pura / scaramanzia ». E poi? « E si parte e tutto è OK e tutto / è per il meglio e inutile ». Inutile, perché il futuro non si può mai dominare, pianificandolo. Il poeta conclude con una domanda: « E ora che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l’ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo ». Un imprevisto è la sola speranza. Il futuro non è uno schema: è una strada tortuosa di cadute, di incidenti che generano gioie inattese e incontri decisivi; una strada fatta anche di dolori che ci scavano dentro e ci rendono più profondi, più capaci di accogliere i nostri compagni di viaggio.

Insegnante e scrittore

Il futuro non è uno schema: è una strada tortuosa di cadute, di incidenti che generano gioie inattese e incontri decisivi. Una strada fatta anche di dolori che ci scavano dentro e ci rendono più profondi, più capaci di accogliere i nostri compagni nel cammino

 

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STUDENTI PROTAGONISTI

 Educare alla speranza:

 studenti protagonisti
 
di dignità e futuro




Il 17 novembre è la Giornata internazionale degli studenti, un appuntamento annuale che invita a riflettere sul valore universale dell’educazione, innanzitutto come diritto allo studio. Istituita nel 1941 per ricordare gli studenti e i professori di Praga giustiziati dai nazisti il 17 novembre del 1939, questa ricorrenza è oggi un’occasione per ripensare la scuola come luogo in cui costruire pace e giustizia.

In un mondo attraversato da conflitti e disuguaglianze, l’educazione diventa così un laboratorio dove immaginare il futuro. Nella sua recente Lettera apostolica Disegnare nuove mappe di speranza, papa Leone XIV scrive che «educare è un atto di speranza e una passione che si rinnova perché manifesta la promessa che vediamo nel futuro dell’umanità. La specificità, la profondità e l’ampiezza dell’azione educativa è quell’opera – tanto misteriosa quanto reale – di “far fiorire l’essere […] è prendersi cura dell’anima” come si legge nell’ Apologia di Socrate di Platone. È un “mestiere di promesse”: si promette tempo, fiducia, competenza; si promette giustizia e misericordia, si promette il coraggio della verità e il balsamo della consolazione. Educare è un compito d’amore che si tramanda di generazione in generazione, ricucendo il tessuto lacerato delle relazioni e restituendo alle parole il peso della promessa: “Ogni uomo è capace della verità, tuttavia, è molto sopportabile il cammino quando si va avanti con l’aiuto dell’altro”. La verità si ricerca in comunità».

Un cammino che possiamo affrontare prendendo come bussola, ha ricordato il Pontefice, la Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis sull’estrema importanza e attualità dell’educazione nella vita della persona umana, di cui quest’anno ricorre il 60° anniversario. Una Dichiarazione che mette al primo punto «Il diritto di ogni uomo all’educazione». «Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona hanno il diritto inalienabile ad una educazione – si legge nel testo -, che risponda alla loro vocazione propria e sia conforme al loro temperamento, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, ed insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l’uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere».

La dichiarazione conciliare, aggiunge papa Leone XIV, «riafferma il diritto di ciascuno all’educazione e indica la famiglia come prima scuola di umanità. La comunità ecclesiale è chiamata a sostenere ambienti che integrino fede e cultura, rispettino la dignità di tutti, dialoghino con la società. Il documento mette in guardia da ogni riduzione dell’educazione a addestramento funzionale o strumento economico: una persona non è un “profilo di competenze”, non si riduce a un algoritmo previsibile, ma un volto, una storia, una vocazione».

Fede e identità: un binomio generativo

In questo contesto, anche l’educazione cattolica sta attraversando una fase di ripensamento profondo, come si legge in un nostro articolo del 2024, «Fede, identità, scuola. Una sfida da affrontare».  La sfida, infatti, non è semplicemente “insegnare religione”, ma restituire alla fede il suo carattere vitale, non come obbligo o ornamento, bensì come necessità antropologica e spazio di identità. «In questa ricerca della propria ragion d’essere, la sfida non passa soltanto attraverso la necessaria innovazione pedagogica, l’imprescindibile attenzione per le lingue straniere o la proposta in termini umani e valoriali – si legge nell’articolo -. Non si tratta nemmeno di proporre un ritorno al passato, di ripristinare modalità ottocentesche. Lo spirito della tradizione, bisogna dirlo chiaramente, è un’altra cosa. È una ricerca che dev’essere inquadrata nella stessa identità cristiana e che chiama in causa il ruolo dei cristiani e delle loro istituzioni nel XXI secolo, non in altre epoche. Non dobbiamo dimenticare che, mentre molte parrocchie si svuotano di giovani, nelle scuole la Chiesa continua a mantenere un notevole spazio di contatto con i ragazzi. Il che non significa necessariamente che il compito sia facile, ma questo non ci esenta dalla responsabilità di cercare di interpretare i “segni dei tempi” e di adattarci ai cambiamenti della società e della Chiesa, e ai venti dello Spirito Santo».

L’università come ponte globale

Anche le Università cattoliche sono chiamate a questo ripensamento profondo, soprattutto per l’internazionalizzazione e la globalizzazione dell’istruzione superiore. Oggi, infatti, solo negli Strati Uniti, sono oltre un milione gli studenti internazionali, ma il dato è in crescita un po’ ovunque, come si legge nell’articolo «L’assistenza pastorale agli studenti internazionali». In questo contesto, il compito primario di una missione universitaria e di una cappellania, è quello di «preservare e rafforzare l’identità cattolica dell’università, promuovendo questa missione fra tutti i membri della comunità universitaria. Attraverso le proprie attività di ministero nel campus, la cappellania universitaria potrebbe diventare un punto di contatto centrale per fornire assistenza pastorale agli studenti internazionali, organizzando per loro regolari attività e collaborando con il personale universitario, le facoltà e altre componenti interessate. Tale attività può comprendere l’avvio di programmi di assistenza pastorale in collaborazione con uffici di sensibilizzazione diocesani locali, parrocchie e altri gruppi impegnati a sostenere questi studenti. Facilitando tali iniziative, la cappellania universitaria aiuta a creare un ambiente inclusivo, in cui gli studenti internazionali siano in grado di progredire sotto i profili accademico, spirituale e sociale».

Inaugurare una nuova stagione

Da queste prospettive emerge una visione comune: educare è atto di pace e di fiducia, è costruire mappe di speranza nel cuore della storia. La Giornata internazionale degli studenti ricorda che il diritto di studiare non può essere dato per scontato e oggi più che mai, come ricorda papa Leone XIV sempre nella Lettera apostolica, siamo chiamati a «inaugurare una stagione che parli al cuore delle nuove generazioni, ricomponendo conoscenza e senso, competenza e responsabilità, fede e vita». 

La Civiltà Cattolica

Immagine: foto:iStock/rawpixel

 

INCLUSIONE SCOLASTICA . ALLARME

Allarme rosso per l’inclusione dei disabili: 27% dei prof favorevole alle classi speciali


Se ne parla in questi giorni a Rimini, durante il 15° Convegno internazionale Erickson “La qualità dell’inclusione scolastica e sociale”.

-         di PAOLO FERRARIO

A quasi cinquant’anni dall’abolizione delle classi differenziali (prevista dalla legge 517 del 1977), circa un insegnante su tre (il 27% per l’esattezza) è favorevole alla riapertura delle scuole e delle classi speciali. E questa percentuale è in aumento di 10 punti rispetto soltanto a due anni fa. Segno che la fatica dell’inclusione scolastica si fa via via sempre più pesante e insostenibile dagli insegnanti. Almeno a giudicare dalle risposte di un campione di 833 docenti, di ogni ordine e grado e di tutte le regioni italiane, intervistato dal centro studi Erickson di Trento, che presenterà i risultati completi dell’indagine Le voci dell’inclusione nel corso del 15° Convegno Internazionale “La qualità dell’inclusione scolastica e sociale”, in programma da oggi a domenica al Palacongressi di Rimini. Alla tre giorni riminese, che nelle edizioni precedenti ha coinvolto più di 35mila professionisti della scuola, sono attesi, tra gli altri, Stefano Massini, con la sua “Lettera a una scuola che non esclude”, Alberto Pellai in dialogo con Gino Cecchettin, Stefania Auci, che porterà la sua esperienza di insegnante di sostegno ed Espérance Hakuzwimana sulla necessità di una scuola plurale. Per la prima volta, interverrà un rappresentante del Governo. Domenica mattina, infatti, sarà presente la ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli. Attualmente, ricorda Erickson, gli studenti con disabilità certificata nella scuola italiana sono circa 325mila, pari al 4% del totale, ma soltanto poco più di un insegnante di sostegno (il 36%) è di ruolo e appena il 41% delle scuole ha a disposizione ausili tecnologici che permettono la partecipazione attiva degli alunni con disabilità. Un quadro per nulla confortante, a cui si aggiunge, ora, una percentuale consistente di insegnanti che, almeno a parole, dimostra di aver perso la speranza circa un’effettiva inclusione scolastica, preferendo il Modello a tre vie: scuole solo per alunni con disabilità (casi di disabilità grave), classi per alunni con disabilità nelle scuole normali (casi di disabilità media), inclusione piena in classe (casi di disabilità lieve).

Soltanto nel 2023, sempre in occasione del Convegno di Rimini, Erickson aveva posto la stessa domanda al campione di insegnanti, ottenendo il 10% di risposte in meno tra quanti allora si dichiaravano favorevoli alla riapertura delle classi speciali, Ventiquattro mesi dopo, il problema è esploso in tutta la sua cruda drammaticità. E, nota Erickson, «i più separatisti (quindi favorevoli) sono gli insegnanti di II grado e quelli con più anni di esperienza».

Nella scuola italiana, insomma, cresce la disponibilità a considerare soluzioni differenziate. « In termini di clima culturale generale – si legge nella ricerca - ciò indica un minore consenso all’inclusione piena e una maggiore accettazione di modelli che possono assumere caratteristiche separative. In assenza di test inferenziali:  +26%

Aumento degli alunni con disabilità negli ultimi cinque anni, secondo l’Istat (anno scolastico 2023-2024). In termini assoluti, si tratta di 359mila persone: 40,3%

Alunni con disabilità intellettiva. Il 34,8% soffre di disturbo dello sviluppo psicologico e il 18,2% di disturbo dell’apprendimento (Dsa).

Il 27% insegnanti di sostegno privi di formazione specifica. Ma negli ultimi quattro anni, la quota di docenti specializzati è cresciuta di 10 punti percentuali di intervalli di confidenza, la lettura resta descrittiva, ma il segnale è rilevante». Tra gli elementi che maggiormente ostacolano l’inclusione scolastica, gli insegnanti sottolineano la «mancata collaborazione tra figure adulte, anche con la famiglia dell’alunno con disabilità» e «le condizioni di gravità (o bisogno di supporto) dell’alunno» stesso. Naturalmente, non mancano i punti di forza. Tra i più importanti, i docenti segnalano «le relazioni tra colleghi, tra gli alunni e le alunne e con le famiglie. Purtroppo – prosegue la nota di Erickson – le competenze professionali in materia di inclusione, come la conoscenza e l’uso di metodologie didattiche inclusive, non sono considerate fattori decisivi per una buona inclusione». Un dato, quest’ultimo, «non certo confortante», in considerazione del fatto che «la ricerca ormai da tempo segnala la rilevanza delle didattiche inclusive per una piena partecipazione, appartenenza e apprendimento» degli alunni con disabilità. Un aspetto su cui, indubbiamente, la scuola deve ancora lavorare. Facendo leva e valorizzando le «emozioni positive» manifestate dai docenti, concentrate, soprattutto, sugli «aspetti relazionali e collaborativi, sia tra figure adulte sia tra alunni», appunto «come leva positiva di una piena inclusione».

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venerdì 14 novembre 2025

LA MORALE SESSUALE E I POTENTI DEL MONDO

SCANDALI 
IN 
CORSO



di Giuseppe Savagnone 


Un nuovo scandalo a carico del presidente

La pubblicazione di alcune email, scambiate da Jeffrey Epstein, con la sua collaboratrice ed ex amante Ghislaine Maxwell e con l’opinionista Michael Wolff, ha dato nuovo impulso a un dibattito che coinvolge la figura del presidente Trump e che già da tempo si prolungava, in modo strisciante, sui media  statunitensi.

Oggetto della polemica sono i rapporti di Trump col finanziere miliardario Jeffrey Epstein, arrestato, il 6 luglio 2019, per abusi sessuali e traffico internazionale di minorenni e morto in carcere presso il Metropolitan Correctional Center di New York il successivo 10 agosto.

Secondo la versione ufficiale, si sarebbe suicidato impiccandosi, ma una serie di elementi ha giustificato inchieste successive sulla possibilità che in realtà sia stato strangolato.

In un’email del 2011 a Maxwell – poi condannata anche lei a vent’anni di carcere per il suo ruolo nell’adescamento e reclutamento delle vittime –  il finanziere scriveva che Trump aveva «passato ore» a casa sua con una delle ragazze che la squallida coppia, dopo averne abusato, cedeva come oggetti di piacere a personaggi potenti e danarosi. 

Sembra si trattasse di Virginia Giuffre, che nel recente passato ha denunciato gli abusi subiti, quando ancora aveva 17 anni, da Jeffrey Epstein e dal principe Andrea, secondogenito di Elisabetta II, (per questo poi spogliato di tutti i suoi titoli dalla Corona inglese), senza peraltro riuscire a liberarsi dei propri fantasmi, visto che ha concluso la sua disgraziata esistenza suicidandosi, a 41 anni, nell’aprile scorso.

In un’altra email, questa volta indirizzata, nel gennaio del 2019, pochi mesi prima dell’arresto, a Wolff, Epstein dice che il presidente – ormai giunto alla Casa Bianca due anni prima, nel gennaio 2017 – «ovviamente sapeva delle ragazze poiché ha chiesto a Ghislaine di smettere».

I democratici chiedono ora la piena divulgazione dei cosiddetti “Epstein files”, i documenti che potrebbero contenere nomi, contatti e registri delle frequentazioni del miliardario con esponenti del mondo politico, economico e culturale. Proposta cui la Casa Bianca continua a opporsi fermamente, ma che invece viene appoggiata da un numero sempre maggiore di deputati e senatori repubblicani.

Non si tratta, peraltro, del primo scandalo in cui Trump si trova coinvolto, anche se il fatto che in questo caso si tratti di minorenni costituisce un’aggravante dal punto di vista sia etico che giuiridico.

Che la sua vita sessuale, fuori del matrimonio, fosse movimentata era noto. Ma a evidenziare il suo approccio al mondo femminile era stato, nel 2016, prima ancora del suo primo mandato, un fuori onda di Access Hollywood, in cui Trump illustrava con un linguaggio volgare la sua visione del sesso e parlava dei palpeggiamenti a cui, forte del suo potere economico, usava sottoporre le donne.

Ma il caso che con più clamore ha portato alla luce lo stile del Tychoon è stato quello della pornostar Stormy Daniels che Trump, allora sessantenne, più volte divorziato e da poco sposato con Melania, aveva incontrato nel 2006, avendo con lei per un certo periodo frequenti rapporti sessuali. 

Durante le elezioni presidenziali del 2016, la pornostar aveva minacciato di rendere pubblica questa storia e Trump, per tacitarla, aveva pagato il suo silenzio con 130.000 dollari – fattile avere tramite il proprio avvocato Michael Cohen – sottratti illegalmente ai finanziamenti destinati alla campagna elettorale repubblicana.

Quando la vicenda è emersa, a elezioni avvenute, Cohen si è dichiarato colpevole e, nel dicembre 2018, è stato condannato a tre anni di prigione. L’incriminazione di Trump è arrivata, più tardi, nel marzo 2023, e ha portato a un processo penale conclusosi il 30 maggio 2024, quando la giuria popolare lo ha dichiarato colpevole di tutti i 34 capi d’imputazione di cui era accusato. La sentenza finale è stata emessa il 5 gennaio 2025. Ma il condannato era stato appena eletto, a novembre, presidente, cosicché il giudice ha stabilito che, – pur avendo ora la fedina penale macchiata dalla condanna – non sarebbe andato in prigione e non avrebbe dovuto pagare alcuna multa.

La coerenza di Trump

Siamo davanti, dunque, a un personaggio che, nella più blanda delle possibili valutazioni, non è certo un modello di moralità. Nulla di eccezionale, a dire il vero, se non fosse che il personaggio di cui parliamo è stato assunto dalla destra religiosa – soprattutto evangelica, ma in parte anche cattolica – degli Stati Uniti come il simbolo della difesa dei valori cristiani e in qualche caso addirittura investito dell’aura del messia

A dire il vero, ci sono anche altri e più gravi motivi per mettere in discussione questa pretesa, dalla sospensione degli aiuti ai paesi poveri alla deportazione dei clandestini, in modalità particolarmente violente ed umilianti, al sostegno dato a Netanyahu nella sua politica di sterminio sistematico nella Striscia di Gaza, col dichiarato intento di sfruttare questo territorio per costruirvi un resort di lusso.

Significativo anche il fatto che dopo la sua elezione a presidente Trump abbia chiamato a guidare il Faith Office, un dipartimento che  esisteva dal 2001, una telepredicatrice milionaria, Paula White, adepta della “teologia della prosperità”, movimento religioso fondato da Oral Roberts che ritiene che più un fedele prega più otterrà benefici economici.

Siamo agli antipodi del vangelo e i vescovi americani, che pur erano stati in gran parte favorevoli all’elezione di Trump – per reazione alla campagna dei Kamala Harris, incentrata tutta sulla libertà di aborto – , alla fine ne stanno prendendo atto

Ma nella tradizione cristiana il sesto comandamento – «Non commettere adulterio» (Es 20,14) – ha sempre avuto un particolare valore simbolico. E chiudere gli occhi sui trascorsi di Trump è stato difficile per la base dell’elettorato Maga (l’acronimo di Make again great America), che ha accettato solo davanti alla promessa che, un volta rieletto, il Tychoon avrebbe portato alla luce e smantellato la rete di magnati e personaggi pubblici che gravitavano intorno ad Epstein.

Ora invece si trova di fronte a nuove prove del coinvolgimento di Trump in questa rete e – ciò che forse agli occhi degli americani è ancora più grave (come ha dimostrato il Watergate al tempo di Nixon) – al tentativo di nasconderlo e negarlo. Anche in questo caso, infatti, la portavoce della Casa Binca Karoline Leavitt ha dichiarato che «queste email non dimostrano assolutamente nulla, se non il fatto che il presidente non ha fatto nulla di sbagliato».

E non si tratta solo della sua persona: tra i suoi sostenitori, c’è la sensazione che Trump, più che se stesso, stia cercando di proteggere personaggi ricchi e famosi, contraddicendo platealmente il principio fondamentale della fede Maga, che è la lotta alla casta dei privilegiati. Da qui un malessere che ormai rischia di diventare una frattura.

Trump e Berlusconi

La fede nel presidente americano sembra invece intangibile presso la destra italiana. Troppo forte è il legame che si è stabilito fra lui e Giorgia Meloni, basato non solo su una sintonia ideologica, ma anche su un reciproco apprezzamento, più volte ribadito pubblicamente da entrambi.

Del resto, che il problema dell’immoralità sessuale dei politici non impressioni più di tanto la nostra premier lo dimostra la sua disponibilità a fare di Silvio Berlusconi il “padre” ispiratore del suo governo.

Dalla proclamazione del lutto nazionale per la sua scomparsa, prolungato per una settimana, alla dedica della recente riforma della giustizia, questa “beatificazione” del cavaliere è stata una costante in questi tre anni. Per non parlare del temerario accostamento – ricorrente nei discorsi del vicepremier Tajani – tra la sua figura a quella di De Gasperi, che invece era davvero un cristiano.

L’associazione che viene spontaneo fare è invece fra Berlusconi e Trump, entrambi imprenditori scesi in politica con il chiaro intento di tutelare e promuovere interessi personali, entrambi pervenuti al successo in una battaglia contro il “comunismo” dei loro oppositori ed entrambi tutt’altro che restii a esibire loro spregiudicatezza nell’ambito sessuale, malgrado i loro legami coniugali.

Nel caso di Berlusconi, più che in quello di Trump, il successo sessuale – si vantava di non accontentarsi di una donna per notte –  è stato addirittura, insieme quello economico e a quello politico, un fattore importante del fascino che ha esercitato su milioni di italiani, molti dei quali hanno visto in lui la proiezione dei loro sogni. E anche il cavaliere, come Trump, ha ampiamente fatto ricorso al suo potere e al suo denaro per soddisfare i propri impulsi sessuali, creando un vero e proprio harem di escort.

Anche lui non ha disdegnato le minorenni, come dimostra il caso che nel maggio 2010 lo vide intervenire presso la questura di Milano per il rilascio della diciassettenne marocchina Karima El Mahroug, soprannominata “Ruby Rubacuori”,  sostenendo che si trattava della nipote del presidente egiziano Mubarak.

Resta agli atti della storia del nostro parlamento la mozione, approvata dalla maggioranza di destra, in cui non si negava che il cavaliere avesse approfittato del suo ruolo pubblico per ottenere il proprio scopo, ma ci si diceva certi che lo avesse fatto perché davvero convinto che ci fosse il pericolo di una crisi internazionale.

È inevitabile il confronto tra questa esaltazione di un personaggio  indiscutibilmente responsabile di una condotta sessuale gravemente immorale, con ricadute pubbliche, e le continue dichiarazioni della destra al governo di voler difendere a tutti i costi la tradizione cristiana, con particolare riferimento ai valori della famiglia.

In un discorso tenuto a Budapest nel settembre del 2023 Meloni ha ricordato una sua dichiarazione precedente a questo proposito: «Con il mio discorso ormai celebre “sono una donna, una madre, sono cristiana” volevo dire che viviamo in un’era in cui tutto ciò che ci definisce è sotto attacco e questo è pericoloso per la nostra identità nazionale di famiglia e di religione. Senza questa identità siamo solo numeri».  E ha parlato della necessità di «una grande battaglia» per «difendere la famiglia», perché questo significa «difendere Dio, la nostra identità e tutto quello che ha contribuito a costruire la nostra civiltà».

Sono Trump e Berlusconi i modelli di questa “difesa”? Posto che il problema del sesso non è il centro della questione e che anche per il governo italiano si possono citare altri elementi, ancora più significativi, che evidenziano la sua lontananza dalla prospettiva di un umanesimo ispirato cristianamente – dalla politica migratoria al favore nei confronti dei ceti privilegiati al sostegno a Netanyahu – ,  resta il fatto che la coniugazione tra sesso, denaro e potere, di cui sono simboli le figure di Trump e di Berlusconi, è il contrario di ciò a cui un vero rinnovamento del nostro paese e dell’Occidente deve mirare.

Attendiamo con speranza dei leader che nella loro vita privata – ormai inevitabilmente destinata ad essere anche pubblica – esprimano la rottura con questo modello squallido.

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giovedì 13 novembre 2025

ESSERE GENTILI SI PUO'

 

Il 13 novembre si celebra la “Giornata mondiale della gentilezza” nata in Giappone nel 1988 ad opera del gruppo Small Kindness Movement sulla scia del Movimento mondiale per la gentilezza. Da lì si è rapidamente diffusa in tutto il mondo e viene festeggiata proprio in questa data. Ovviamente si tratta di una data celebrativa, in quanto siamo chiamati a praticare e ad educare alla gentilezza ogni giorno dell’anno.

- di di 

È possibile educare alla gentilezza? Certamente è un compito e una sfida complessa, ma non impossibile. Quindi gentili si può nascere, ma si può anche diventare, seguendo la raccomandazione di Seneca che “ovunque ci sia un essere umano, vi è la possibilità per una gentilezza”.

Essere gentili implica un’apertura e un’attenzione all’altro per comprenderlo empaticamente, ma anche capacità di riflettere su se stessi cogliendo i propri bisogni e quelli altrui, per essere poi in grado di pensare, agire e comunicare attraverso parole e azioni gentili.

Educare bambini/e, ragazzi/e ad essere gentili nella vita di oggi contribuirà a fare di loro degli adulti migliori nella vita di domani. Potremmo dire che la gentilezza non passa mai di moda, anche se oggi sembra sempre più rara e poco praticata.

L’attenzione e il rispetto dell’altro, l’accoglienza e la valorizzazione di tutte le differenze che caratterizzano le persone, praticare con pazienza la cura e l’ascolto dei bisogni degli altri, sono tutte “posture” e azioni che siamo chiamati ad agire ogni giorno, partendo proprio dalle piccole cose che caratterizzano il nostro quotidiano nei nostri vari e diversificati contesti di vita. Si tratta quindi di assumere un approccio altruistico che non solo fa bene agli altri ma anche a noi stessi.

Parole come grazie, prego, scusa, per favore, ecc. non devono appartenere a frasi fatte e convenzionali di buona educazione, quanto piuttosto far parte di un’attenta pratica relazionale verso l’altro basata su un sentimento di generosità altruistica, una disponibilità a porsi in ascolto, per poter poi agire e comunicare in modo adeguato.

Ma come è possibile educare bambini/e, ragazzi/e alla gentilezza? Ci sono strategie e indicazioni metodologiche utili per coloro che ricoprono ruoli educativi nella scuola, nell’extrascuola e in famiglia?

Una prima indicazione ci proviene dalla teoria dello psicologo Albert Bandura che si potrebbe riassumere nel motto “se vuoi educare un bambino ad essere gentile, sii gentile tu stesso”.

Con i suoi studi a partire dagli anni Sessanta nell’ambito dell’apprendimento sociale, Bandura ha evidenziato come l’apprendimento di determinati comportamenti e modi di agire non implichi esclusivamente il contatto diretto con determinate situazioni specifiche, ma avvenga anche attraverso esperienze indirette, sviluppate tramite l’osservazione e la successiva imitazione del comportamento di altre persone.

Si può quindi imparare anche in situazioni e attraverso esperienze indirette, in cui non si agisce in prima persona, ma si osserva un’altra persona in azione. Si tratta dell’imitazione di un modello di riferimento e del successivo modellamento del proprio comportamento sulla base del comportamento osservato in altre persone e tramutandolo, poi, in azioni e atteggiamenti ben precisi.

Le persone apprendono quindi tramite modelli di comportamento; solitamente tale modello è rappresentato dalle persone di riferimento più importanti e salienti in un determinato contesto.

Grazie a questi studi oggi sappiamo con certezza che il comportamento di una figura adulta è una delle principali fonti di apprendimento per bambine/e e ragazzi/e. Questo fa assumere quindi una posizione di ancora maggiore responsabilità alle figure di riferimento educativo che possono realmente fare la differenza, proprio a partire dal loro agire quotidiano che fungerà da esempio.

Un esempio molto semplice in questa direzione è quello di prediligere sempre un dialogo pacato e rispettoso piuttosto che grida e atteggiamenti aggressivi.

Allargando lo sguardo a quelle che possono essere le metodologie educativo-didattiche da utilizzare a scuola per promuovere la gentilezza e lo sviluppo di competenze prosociali c’è indubbiamente il cooperative learning (apprendimento cooperativo).

Creare un ambiente di apprendimento cooperativo e collaborativo, in cui gli altri sono accolti, rispettati e con i quali ci si relaziona con gentilezza è alla base di un apprendimento significativo anche sul piano emotivo, sociale e interpersonale.

L'apprendimento cooperativo è un approccio che si basa sull’interazione all’interno di un gruppo di alunni/e che collaborano al fine di raggiungere un obiettivo comune, attraverso un lavoro di co-costruzione, responsabilità e interdipendenza reciproca.

 Ogni studente è quindi indispensabile per la realizzazione del lavoro complessivo e il raggiungimento degli obiettivi di tutto il gruppo.

Quasi certamente un alunno/a che ha avuto modo di partecipare ad esperienze di lavoro cooperativo nel suo percorso scolastico, sarà un adulto maggiormente predisposto a cooperare nella vita lavorativa e sociale, e a relazionarsi con rispetto e gentilezza.

Inoltre, sarà importante anche impostare un intervento educativo-didattico mirato allo sviluppo delle social skills (competenze sociali), tanto richieste oggi praticamente in tutte le professioni lavorative.

Si tratta dell’insieme di abilità e competenze personali riconducibili alla sfera sociale e relazionale, che usiamo per comunicare e interagire verbalmente e non verbalmente (attraverso i gesti e il linguaggio corporeo).

Anche queste sono fortunatamente competenze che possono essere insegnate e apprese e che vanno adeguatamente sviluppate e “allenate” fin da piccoli.

 Erikson