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L’unanimismo
consolante – ma un po’ sospetto – con cui è stato accolto il messaggio di fine
anno di Sergio Mattarella riporta alla mente le parole di una vecchia canzone
di Fabrizio de André: «Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre
coinvolti». Il contesto, certo, è molto diverso.
Il
cantautore genovese si inseriva nell’ambito della Contestazione e prendeva di
mira la tendenza perbenista della borghesia di non sentirsi mai chiamata in
causa. Qui invece ci troviamo a commentare il messaggio numero 10 del Capo
dello Stato, e un po’ c’entra sicuramente anche il record di Giorgio
Napolitano, superato quest’anno. Come con il nonno al cenone di fine anno, c’è
quasi l’obbligo morale di partecipare tutti all’applauso, senza però farsi
scalfire dalle sue parole. Di più. Si coglie, come nelle parole di De André, un
intento auto-assolutorio, una sorta di rito collettivo della classe politica (e
non solo). In sé è certo un fatto positivo che affiorino valori condivisi e
super partes in un dibattito politico consegnato alla perenne contrapposizione,
senza esclusione di colpi.
Ma l’operazione, per avere una sua utilità, dovrebbe portare, ognuno per parte sua, ad assumersi il compito di un cambio di passo, di un’assunzione di responsabilità per mandare avanti il bene comune del Paese e della Repubblica evocati nella parte conclusiva del messaggio. E se la parola “speranza” è certamente quella centrale, nel rigo finale c’è il passaggio che tiene dentro tutto: l’invito a non restare in una «attesa inoperosa», perché «la speranza siamo noi. Il nostro impegno. Le nostre scelte».
Il
messaggio, come nello stile di Mattarella, ha il pregio di rimettere in
positivo, in chiave costruttiva, tutti i limiti e i malesseri che
caratterizzano l’attuale dibattito politico e la società italiana.
Invece
di parlare di astensionismo, il Presidente preferisce indicare l’esigenza di
una «ampia partecipazione al voto che rafforza la democrazia». Ma al di là del
garbo istituzionale, si dovrebbe avere tutti il coraggio (e l’umiltà) di
cogliere lo stesso le potenzialità di autocritica che il discorso contiene.
Anzitutto una classe politica che, con il suo linguaggio guerreggiato, riesce
ormai a intercettare – all’apertura delle urne – solo una porzione minoritaria
di elettori. Ma non si può nemmeno gettare tutta la croce addosso alla
politica: «La positiva mediazione delle istituzioni verso il bene comune, il
bene della Repubblica» è compito che in quota parte riguarda tutti,
nessuno escluso. Dai medici agli insegnanti, dagli studenti ai
volontari, dagli anziani che svolgono una funzione di welfare in famiglia agli
stranieri “trapiantati” nello Stivale che amano l’Italia forse più di noi: la
galleria di “piccoli eroi del quotidiano” consente a Mattarella di delineare
una mappa inedita di sano “patriottismo” fatto di comportamenti concreti e non
di proclami ideologici.
Ma
l’invito a un cambio di passo nell’affronto di temi scottanti si coglie lo
stesso, se non si lascia prevalere la logica autoassolutoria, si diceva, come
nei versi di De André. Quando parla delle «condizioni inammissibili» delle
nostre carceri e ricorda le « norme imprescindibili » della Costituzione, è
davvero contraddittorio applaudire Mattarella senza farne derivare la necessità
di individuare soluzioni strutturali o almeno gesti di clemenza in
coincidenza con il Giubileo. Da Mattarella sono venute anche parole
in assoluta controtendenza sulla sicurezza, citando una ricerca recente del
Censis che descrive in calo – all’opposto di narrazioni ricorrenti – omicidi,
rapine e furti negli appartamenti. Nell’indicare invece i dati preoccupanti
relativi a bullismo, morti sul lavoro e femminicidi, il Capo dello Stato
ha sollecitato ancora una volta l’urgenza di un impegno comune, anche in tema
di sicurezza, che punti sulla responsabilità, sull’educazione e sulla
prevenzione al posto del cinico scaricabarile sui migranti.
Anche
sulla pace, uno dei punti fondamentali da cui ha preso le mosse il messaggio, è
davvero impossibile non trarre implicazioni concrete quando Mattarella
definisce una «sconfortante sproporzione» il fatto che le spese in armamenti
sono salite a 2.443 miliardi di dollari, superando di 8 volte quelle per la
sostenibilità ambientale.
Su
ogni tema si fa strada la speranza. Una speranza foriera di dialogo, rifuggendo
da toni in grado di “scaldare” i cuori delle opposte tifoserie. La
speranza, unita alla trepidazione, per Cecilia Sala. O quella che ci ha
lasciato in eredità Sammy Basso, «che ci invita a vivere una vita piena,
nonostante le difficoltà». La speranza nel futuro da garantire ai giovani, che
nella precarietà e incertezza trovano invece ostacoli che costituiscono «causa
rilevante della crisi delle nascite che stiamo vivendo». E la speranza, nel
messaggio di Mattarella, parte dalle parole pronunciate la notte di Natale dal
Pontefice all’apertura della Porta Santa del Giubileo. Parole di speranza per
le quali il Presidente sente di dover ringraziare Francesco.
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