Come si diviene fratelli e sorelle al di là del mito della consanguineità?
Si tratta di realizzare un legame solidale discreto senza la pretesa che tutto sia condiviso.
Senza annullare l’esistenza separata dell’altro.
Senza voler a tutti costi costringere il reale del Due
dentro il recinto chiuso dell’Uno.
- di Massimo Recalcati
A
proposito del conflitto israeliano-palestinese diversi commentatori politici
hanno fatto notare come uno degli ostacoli maggiori di fronte all’ipotesi dei
Due popoli in Due Stati sia la presenza di spinte fondamentaliste di tipo
religioso attive da ambo le parti. È una osservazione che condivido perché il
discorso religioso quando viene sequestrato dal fanatismo fondamentalista tende
sempre a imporre l’Uno sul Due. In questo senso esso sarebbe strutturalmente
allergico al principio della democrazia che è invece sempre un’esperienza
radicale del lutto dell’Uno nel nome del Due.
Varrebbe
la pena a questo proposito ricordare che il primo moto che orienta i legami tra
i fratelli non è quello della fratellanza ma quello dell’odio e
dell’inimicizia: l’odio è più antico dell’amore, il ripudio del fratello o
della sorella più originario rispetto alla loro accoglienza. Questo per una
ragione evidente: la nascita del fratello o della sorella impone un
decentramento inevitabile alla vita del figlio, il quale è costretto a esporsi
giocoforza al regime plurale del Due, all’impossibilità di essere un Uno tutto
solo.
Non
a caso Franco Fornari, che fu mio professore all’Università Statale di Milano
nei primi anni Ottanta, quando qualche studente indugiava troppo nel formulare
in aula domande che assomigliavano più a veri e propri interventi, usava
chiedere loro, con aria un po’ maliziosa: «Mi scusi, ma lei è figlio
unico?».
Sapeva
bene il mio vecchio professore quanto l’esistenza di un fratello o di una
sorella introduca nella vita del figlio l’esperienza benefica, sebbene
traumatica, di un limite e quanto sia difficile accettarne l’esistenza.
Nella
prospettiva della psicoanalisi i legami fraterni o di sorellanza rischiano da
una parte la fusione incestuosa, la spinta a costituire un solo tragico corpo
come accade ai gemelli ginecologi raccontati da Cronenberg negli Inseparabili.
L’illusione della consanguineità favorisce questa distorsione perversa: il Due
sarebbe solo una manifestazione apparente della sostanza inscalfibile
dell’Uno.
Non
a caso tutti i deliri totalitari sono ossessionati dalla negazione di ogni
forma di plurilinguismo.
Per
un’altra parte però i fratelli e le sorelle rischiano il conflitto aperto, la
lotta senza esclusione di colpi, l’aggressività inesausta di una rivalità
irriducibile (Romolo e Remo, Caino e Abele, Giacobbe e Esaù, ecc). È l’altra
faccia della stessa medaglia poiché sia la follia della fusione sia quella
della rivalità fratricida vorrebbero sopprimere il Due.
Il
mito di Narciso che si specchia nella rappresentazione ideale di se stesso
converge in questo senso con quello di Caino che uccide il fratello Abele, mosso
dall’invidia nei confronti di chi incarnava il proprio ideale. Invece di
intraprendere il lutto dell’Uno imposto dall’esistenza del Due, Caino vorrebbe,
infatti, cancellare per sempre il Due al fine di continuare a essere “l’unico”
e il “solo” figlio.
È
questo uno dei complessi psichici a fondamento del fenomeno collettivo della
guerra: difesa a oltranza dell’Uno di fronte alla minaccia destabilizzante del
Due. Non a caso i vissuti che scaturiscono dalla nascita di un fratello e di
una sorella non sono mai solo di gioia, ma evocano sempre anche l’intrusione e
l’esclusione. Il fratello e la sorella incarnano, infatti, la minaccia sempre
possibile della nostra sostituzione. Si tratta di una esperienza di intrusione
che ha come effetto principale una espropriazione: “il mio posto è stato preso
da un altro”.
Ma
come si diviene fratelli e sorelle al di là del mito della consanguineità che
sostiene l’illusione fondamentalista dell’Uno che vorrebbe escludere il Due?
Come si realizza una fratellanza e una sorellanza che non siano preda
dell’odio? Si tratta di realizzare un legame solidale discreto senza la pretesa
che tutto sia condiviso, senza annullare l’esistenza separata dell’altro, senza
voler a tutti costi costringere il reale del Due dentro il recinto chiuso
dell’Uno.
È
quello che possiamo trovare nel gesto solo apparentemente enigmatico con il
quale Esaù e Giacobbe si abbracciano lasciandosi alle spalle la lotta a morte
per il loro prestigio, decidendo però di seguire due cammini differenti, di
rimanere Due.
Ne
L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio è quello che viene descritto attraverso
l’amore della protagonista per una sorella la cui differenza radicale
assomiglia all’estraneità anarchica del mare.
Accade,
insomma, ogni volta che la nostra vita sceglie la vertigine del Due rinunciando
a volere fare e essere: Uno con l’altro.
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