DIVENTARE CHI?
-
-di Alessandro D’Avenia
È
la neolingua tecnologica: abbiamo affidato alle macchine l’umanissimo sogno di
non morire, perché l’umano, così com’è, sembra una versione superata del
vivere. Infatti «ultima generazione» non indica più i nuovi nati, ma i nuovi
telefoni o pc. Eppure, noi non stacchiamo la spina, riposiamo come i campi per
dare frutto; non ci ricarichiamo, noi rinforziamo i legami con la vita come
l’albero con la terra e la luce; non ci esauriamo come batterie, ma come
sorgenti d’acqua. Barattando il discorso naturale con quello artificiale,
abbiamo scelto: macchina ti dici, macchina diventi. Ma funzionare è il nostro
destino? Il frullatore frulla, la lavatrice lava, il calcolatore calcola. E
l’umano come «umana»? Sente e sa di essere vivo perché sente e sa che morirà: siamo
un limite aperto, libero, creativo; siamo tempo incarnato, respiro e desiderio,
sangue e sogno, destino e destinazione. Eppure, invidiamo alla macchina il
contrario: non sentire né sapere di sé, non dover scegliere né morire.
Funzionare ci rende più sicuri, ma non felici, perché «umanare» non è
funzionare, ma diventare. Diventare chi?
La
felicità
Ogni
cultura immagina la felicità in una forma compiuta dell’umano, per questo tutte
hanno la loro «formazione»: il metodo educativo per avere quella «forma». Una
cultura che punta alla forma-macchina fa, per esempio, una scuola-macchina,
dove si eseguono «programmi» su memorie da riempire di dati. La didattica (dal
greco indicare: ciò che è vero, giusto, bello) diventa «didatica»
(fornire dati), la formazione formattazione (a tutti gli stessi dati). Lo ha
reso palese il confinamento: abbiamo creduto di far scuola mantenendo intatti
ore e programmi ma attraverso lo schermo, perché formare è in-formare memorie
(soft-disk) senza corpo. Non c’erano vite ma programmi da eseguire, e infatti
le vite sono rimaste ferite.
L’uomo
del futuro
Già
nel 1958 la filosofa Hannah Arendt aveva colto la deriva: «Quest’uomo del
futuro, che gli scienziati pensano di produrre nel giro di un secolo, sembra
posseduto da una sorta di ribellione contro l’esistenza umana come gli è stata
data, un dono gratuito proveniente da non so dove, che desidera scambiare con
qualcosa che lui stesso abbia fatto» (Hannah Arendt, Vita Activa. La condizione
umana). Al «diventare ciò che siamo» dei Greci (sei portatore di un destino) e
patrimonio di molte altre culture, preferiamo «l’essere programmati»: è più
sicuro e alleggerisce il peso della libertà. Però prima o poi ci rompiamo come
telefoni che, a forza di «ultimi aggiornamenti», non reggono più il «programma»
divenuto troppo «pesante».
Essere
figlio
Essere
figlio significa sentirsi voluti nella vita ora e sempre: non mi sono dato la
vita e questo mi mette in condizione di scoprire se la vita viene dal nulla o
da un amore che mi vuole esistente, ora e dopo la morte. La relazione con
questo amore è via per la forma umana più compiuta. Non si tratta quindi di
diventare immortali, privilegio di pochi, ma «filiali», possibile a tutti:
rafforzare l’appartenenza alla vita e unire gli uomini. È infatti in ambito
cristiano che nascono idee come la redistribuzione dei beni in eccesso, i Monti
di pietà (il piccolo credito senza usura), gli ospedali, le università...
La
cultura oggi dominante «forma» l’uomo-potenza, lo spinge a funzionare, a
programmarsi, ad avere successo. Il corpo è un hardware e la coscienza un
software (la cosiddetta intelligenza artificiale non è l’evoluzione del
computer ma la nostra, ciò che noi vogliamo diventare: pensiero meccanico che
risolve problemi in pochissimo tempo, ma è inconsapevole di sé). È divino chi
si libera dai limiti, chi funziona meglio e non si pone più inutili domande di
senso. La «formazione» greca dice «diventa ciò che sei, costi quel che costi,
c’è un destino»; la cristiana «ricevi ciò che sei, sei un dono per te e per il
mondo, c’è una chiamata»; quella contemporanea «funziona meglio che puoi, sarai
al sicuro, c’è un programma». Di conseguenza per la cultura greca la forma-modello
dell’umano è l’eroe, Achille; per quella cristiana il figlio, Cristo; per
quella moderna il risultato, IA.
Ringrazio Dio. E la memoria di tutto questo non mi servirà a risolvere nessun problema, ma a sapere che sono vivo e da vivo un giorno morirò. Continuerò a servirmi delle macchine e della loro potenza, senza mai invidiare la loro incoscienza.
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