PER L'ITALIA
L’eredità di Aldo Moro, Vittorio Bachelet e Piersanti Mattarella i quali, con la loro “originale intelligenza degli avvenimenti” dialogarono con tutti
-
di VINCENZO PAGLIA*
Piersanti
Mattarella, Aldo Moro, Vittorio Bachelet erano tre cristiani. Certo, tra le
vittime del terrorismo o della mafia non ci sono stati solo cristiani ma anche
laici, comunisti, socialisti … Pio La Torre, Walter Tobagi, Emilio
Alessandrini, Ezio Tarantelli, Carlo Alberto dalla Chiesa e molti altri. La
democrazia, infatti, non è monopolio di nessuno e vive se è animata da uomini e
donne con culture, ideologie, sensibilità diverse.
Ecco
perché sono state tanto importanti quelle che una volta chiamavamo “culture
politiche”, di cui oggi sentiamo tanto la mancanza. Tra esse vi era quella
rappresentata in modo degno da Piersanti Mattarella, Aldo Moro, Vittorio
Bachelet. Possiamo chiamarli martiri civili spinti da un’ispirazione religiosa.
La fede cristiana non è rimasta a monte del loro impegno; ha plasmato in
profondità la loro cultura politica e le scelte che ne hanno fatto conseguire.
È la stessa cultura politica alla cui elaborazione, prima di loro, avevano già
contribuito in tanti, come Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e molti altri, gran
parte dei quali non così famosi, forse addirittura dimenticati.
Quella
che chiamiamo cultura politica cattolico-democratica è stata popolare, ampia,
corale, con radici antiche e capacità di confrontarsi con le sfide del mondo
contemporaneo. Tale cultura – sconfitta nel primo dopoguerra – nel secondo
dopoguerra ha orientato gran parte del cattolicesimo italiano, pur restando
minoritaria. E comunque - insieme ad altre culture democratiche – è stata
determinante nella elaborazione della Costituzione italiana, un documento
giuridico-politico che resta ancora oggi una bussola che accompagna quando si
deve andare verso un di più di libertà, di uguaglianza, di giustizia, di pace…
La Costituzione italiana è stata scritta con uno spirito inclusivo: doveva
essere una Carta per un paese che fosse per tutti, che fosse aperto al futuro e
disponibile a superare ciò che invecchia e affrontare in maniera conseguente le
nuove sfide che si sarebbero presentate. Moro, Mattarella, Bachelet sono stati
in senso profondo uomini di questa Costituzione. Moro perché contribuì anche a
scriverla e, con agli due, ne rispettavano la lettera e ne custodivano lo
spirito. Tutti e tre, assieme a tanti altri, hanno condiviso della Costituzione
il sogno di una Italia che progredisse nella giustizia sociale e nella pace. E
quindi, un’Italia più bella, più solidale, con un a tensione umanistica
universale.
Negli
anni Settanta e nei primi anni Ottanta si sentiva nel Paese il bisogno di un
nuovo slancio che fosse radicato nella lettera e soprattutto nello spirito
della Costituzione. Il Paese doveva affrontare le nuove sfide che il tempo
poneva. Il dibattito pervadeva l’intera società italiana. Chi ha la mia età
ricorda, ad esempio, il fervore dei cattolici italiani nell’attuare il
Concilio, appena terminato, in Italia. Come non ricordare il Convegno della
Chiesa di Roma del febbraio ’74 e quello successivo della Chiesa italiana del
’76 sul tema “Evangelizzazione e promozione umana”? E ricordo – faccio solo due
esempi – la sorpresa mia e degli amici di Sant’Egidio nel vedere Aldo Moro
prendere contatto con diversi nuovi movimenti cattolici che cercavano le strade
per un cristianesimo più legato al Vangelo e alla società. E Vittorio Bachelet
che fu tra i protagonisti di questa stagione di rinnovamento della Chiesa e
dell’associazionismo cattolico anche con quella “scelta religiosa” – che oggi
va certamente ripensata – ma che allora cercò di liberare milioni di cattolici
italiani da una triste logica di conservazione e di contrapposizione. Piersanti
Mattarella non l’ho conosciuto ma ci colpiva la coraggiosa lotta contro la
mafia, che apriva una nuova stagione per la Sicilia e per l’Italia
intera: se tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta la
mafia ha subito una sconfitta storica, grazie a Falcone, Borsellino e tanti
altri, è stato anche soprattutto per merito suo. Moro, Mattarella,
Bachelet sono stati tutti e tre profondamente democratici, aperti al confronto
e alla collaborazione con forze politiche di tutt’altro orientamento
ideologico. Ciò non ha mai significato per loro cedere a ciò che di
inaccettabile c’era in tali ideologie. Non esitarono nel condannare le
persecuzioni anticristiane nei paesi dell’Europa orientale e in Urss, che
certamente nessuno dei tre ha mai condiviso. E non è stato un caso se nel 1977
il segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, scrisse una lettera
ad un vescovo, monsignor Luigi Bettazzi, che il suo partito si professava
«non teista, non ateista, non antiteista». Bensì «laico e democratico».
Tutto ciò era il risultato di una profonda evoluzione maturata anche perché
uomini come Moro, Mattarella e Bachelet seppero condurre con i comunisti
italiani un lungo dialogo rispettoso, profondo, tenace. Cattolicesimo
democratico, infatti, vuol dire dialogo per un paese che fosse democratico per
tutti. Dialogo: cioè confronto, comprensione reciproca, riconoscimento della
parte di verità di cui ogni uomo è portatore, collaborazione.
Di
questa cultura politica voglio ricordare – di grande attualità
oggi – anche la capacità di coniugare le esigenze della difesa e
quelle della cooperazione internazionale. Al fondo, anche su
questo terreno, c’è stato un sogno, che la loro ispirazione cristiana
ha contribuito potentemente ad alimentare: il sogno della pace. I cristiani
sanno bene la pace è anzitutto un dono di Dio. E non cessano di invocarla.
Ma senza la coltivazione di questo sogno è facile smarrire la strada della pace
accettando, rassegnati, la guerra come inevitabile. È il desolante e crudele
panorama di questo tempo! I cattolici, che dopo la Seconda guerra mondiale si
sono impegnati a fondo per la democrazia in Italia, hanno avuto il sogno della
pace e hanno operato per realizzarla. Lo hanno fatto con realismo, consapevoli
della complessità del mondo, ma nello stesso tempo convinti che un Paese come
l’Italia ha bisogno di alleati forti delle cui decisioni è ovviamente
necessario tener conto. La scelta atlantica è in questo senso. Ma questi
cattolici – che hanno pagato con la vita la loro scelta - non hanno mai smesso
di cercare una terza via tra subordinazione e conflitto nei confronti di tali
alleati, facendo valere, nella lealtà, le proprie ragioni, sulla base di
una «originale intelligenza degli avvenimenti», come diceva Moro. Per questo
hanno occupato una posizione strategica nei rapporti tra l’Occidente e il
blocco sovietico, tra l’Occidente e i Paesi allora definiti del Terzo mondo.
Per questo la loro idea di Europa era legata alla pace e ad un nuovo ordine
internazionale. Tale prospettiva è oggi ancor più urgente di allora. Ha ragione
papa Francesco nel parlare di terza guerra mondiale a pezzetti. In realtà, il
mondo lo stiamo davvero facendo a pezzi!
Con
l’omicidio di Moro, di Mattarella, di Bachelet (e di altri ancora), terrorismo,
mafia, forze eversive e occulte, volevano abbattere quella democrazia che
questi tre uomini rappresentavano, difendevano e promuovevano. Li hanno uccisi,
ma il loro sacrificio non è stato inutile: quel disegno terroristico di
abbattere la democrazia è stato sconfitto.
Il
terrorismo italiano era il colpo di coda di un mondo dominato da grandi
ideologie: chi ha ucciso Moro e Bachelet, credeva ancora in quelle ideologie e
non sopportava chi cercava, come loro e come Mattarella, di appianare i
conflitti, conciliare le opposizioni, cambiare concretamente la realtà senza
proclami astratti. Siamo entrati in questo nuovo mondo senza Moro, Mattarella,
Bachelet, essendo più deboli e più incerti. Il cattolicesimo politico italiano
– negli anni Ottanta – ha perso quel rapporto con la Chiesa – a tratti
difficile per la necessità di affermare la giusta autonomia dei laici in campo
politico, ma necessario per pensare in grande – così importante per le
generazioni precedenti. Anche il riferimento all’ispirazione cristiana si è
affievolito. Sarebbe sbagliato dire che il cattolicesimo politico italiano è
diventato più laico, perché laicità significa cercare un giusto rapporto tra
Chiesa e Stato, non disinteressarsi di uno dei due, e mantenere l’ispirazione
cristiana nel pluralismo delle tendenze ideologiche e politiche e non perderla.
Direi che si è in parte smarrita la strada tracciata dal cattolicesimo
democratico nei decenni precedenti e questo patrimonio politico-culturale ha
stentato a trovare interpreti adeguati alle nuove sfide. Sì, una cultura
politica più povera non solo sul versante cattolico, ma dell’intero Paese. La
stessa crisi dei partiti ne è una conseguenza.
Oggi
viviamo in una nuova epoca storica che, purtroppo, è priva di visioni unitive.
Emerge sempre più quella che possiamo chiamare una sorta di “dittatura dell’io”
– o, con Guicciardini, il primato del “particulare” – che sta sgretolando il
“Noi” ch’è condizione indispensabile per ispirare una globalizzazione dai
tratti di quell’umanesimo universale che è l’anima stessa del cattolicesimo.
L’eredità di Moro, Mattarella e Bachelet, costituisce un patrimonio da cui si
deve attingere anche per l’oggi. Abbiamo bisogno del loro spirito, del loro
sogno. Che era lo stesso dei padri costituenti.
Ascoltando
le parole del Capo dello Stato nell’ultimo giorno dell’anno, ho colto in esse
la forza del sogno che guidava i testimoni di allora: il sogno di una
democrazia larga e inclusiva. Le tante cose che il Presidente ha detto erano
legate le une alle altre da un grande disegno: quello di un’Italia più umana,
più giusta e più felice. Appunto, lo stesso di Moro, di suo fratello Piersanti
e di Bachelet. Mi chiedo: non dobbiamo – noi cattolici, anzitutto – augurarci
uno scatto di pensiero da parte di spiriti “liberi e forti” – per dirla con don
Sturzo – che riprendano il coraggio e l’audacia di una cultura politica per
un’Italia, anzi, per un’Europa che aiuti il mondo a disegnare una visione che
conduca ad un nuovo ordine internazionale? Certo, non possiamo stare a
guardare!
Nessun commento:
Posta un commento