-di Alfonso Berardinelli*
Credo che non sia bene
evitare il caso, perché a volte suggerisce come affrontare un problema.
Nel giorno di Natale,
ospite in casa di amici, sono stato costretto a constatare per l’ennesima volta
che gli adolescenti (ma l’adolescenza, a quanto pare, si prolunga fino ai
trent’anni) non comunicano con i presenti ma sono impegnati interrottamente con
il cellulare.
Per ore una bella e
sorridente ventenne, iscritta alla facoltà di “Scienza della comunicazione”,
non ha comunicato con nessuno dei presenti. È stata assente, estraniata,
alienata nel suo silenzioso comunicare con non si sa chi digitando sul suo
smartphone.
Più tardi, riflettendo con un amico sul
comunicare, siamo partiti dal fatto che i lunghi discorsi dei professionisti
del parlare in pubblico hanno un grave difetto: non prevedere, né tollerare
interruzioni, intrusioni. Meglio, invece, lasciare ogni tanto la parola a uno o
più interlocutori, secondo il metodo del “pensare in presenza”, a voce alta,
scambiandosi idee in via di formazione.
Il giorno dopo il caso ha
voluto che, aprendo le Memorie di Robert Louis Stevenson, mi siano venute in
aiuto queste parole: «Non può esserci ambizione più bella di quella di
eccellere nella conversazione; di essere affabile, gaio, pronto, chiaro e
quindi ben accetto (…)
La letteratura non è, in molti dei suoi rami,
se non l’ombra della buona conversazione, ma l’imitazione è lungi dal
corrispondere all’originale nella vivacità, nella libertà e nel risultato. In
una conversazione ci sono sempre due interlocutori che danno e che prendono,
che mettono a confronto delle esperienze per accordarsi sulle conclusioni.
La conversazione è
fluida, sperimentale, continuamente in via di ricerca e di progresso, mentre le
parole scritte restano ferme, diventano gli idoli dello scrittore, come legnosi
dogmatismi».
Conversare non è mettere
a confronto e scontro idee prefabbricate; è piuttosto dare forma a nuove idee
che si inventano insieme a poco a poco.
La polemica di Socrate
contro i Sofisti, specializzati in discorsi lunghi e perfettamente compiuti,
consisteva nel fatto che una verità si può raggiungere e formulare solo se un
“io” e un “tu” si interrompono dialogando e scartando in accordo ogni affermazione
che venga giudicata falsa.
Questo modo di parlarsi è
oggi pochissimo praticato sia fra adulti che fra ragazzi. Ma è uno dei
fondamenti di una vera e buona socialità, una pratica virtuosa da coltivare
quotidianamente.
Se ciò non avviene, il
rapporto fra un “io” e un “tu” si impoverisce e atrofizza. Si vive covando nel
chiuso della propria testa idee fisse che avranno sempre meno rapporto con la
realtà e la verità.
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