giovedì 29 settembre 2022

SCUOLA E UNIVERSITA' SPAZI D' INTEGRAZIONE

Francesco: scuola e università siano spazi di integrazione per i più vulnerabili

Il Papa riceve i partecipanti al convegno "Iniziative nell'educazione dei rifugiati e dei migranti", concluso alla Gregoriana, e auspica un'offerta accademica fatta di percorsi e incentivi che promuovano l'accoglienza di chi è sradicato dalle proprie terre: "Le diversità etniche, linguistiche e religiose siano considerate una ricchezza e non un ostacolo per il futuro comune"

 - di Antonella Palermo - Città del Vaticano

 Al termine del congresso sulle “Iniziative nell’educazione dei rifugiati e dei migranti” che si è svolto per tre giorni alla Pontificia Università Gregoriana, Francesco riceve i partecipanti evidenziando l'importanza dell'ascolto dei desideri di coloro - giovani in particolare - che sono costretti a emigrare, mediante un vero e proprio sradicamento, dalle proprie terre di origine. Si sofferma sui tre ambiti in merito ai quali si sono concentrate le riflessioni nel corso dei lavori: ricerca, insegnamento, insegnamento, promozione sociale.

Il diritto a non dover emigrare

“È importante riflettere sulle cause dei flussi migratori e sulle forme di violenza che spingono a partire verso altri paesi”

Il Papa si riferisce ai "conflitti che devastano tante regioni del mondo" ma anche "l’abuso della nostra casa comune", definita una vera e propria "violenza". Ricordando che "il pianeta è indebolito dall’eccessivo sfruttamento delle sue risorse e logorato da decenni di inquinamento" - per cui sempre più persone sono costrette a lasciare terre diventate inabitabili - Francesco si appella al mondo accademico, e a quello cattolico nella fattispecie, affinché eserciti un ruolo di primo piano per fornire risposte alle sfide ecologiche.  Sulla base di dati scientifici, potete contribuire a illuminare e indirizzare le scelte dei governanti verso una cura efficace della casa comune.

Le università agevolino il riconoscimento dei titoli di studio

Molto si è fatto, afferma il Papa, nell'educazione dei rifugiati, "ma rimane ancora tanto da fare". Sarà importante continuare a dare priorità ai più vulnerabili. Può risultare efficace, in questo senso, l’offerta di corsi che rispondano alle loro necessità, l’organizzazione di percorsi educativi a distanza, e l’assegnazione di borse di studio che permettano la loro ricollocazione. Il Papa auspica che le università agevolino il riconoscimento dei titoli di studio e le professionalità dei migranti e rifugiati anche a beneficio delle società che li accolgono. Perché, precisa: “La scuola e l’università sono spazi privilegiati non solo di insegnamento, ma anche di incontro e integrazione”

Attenzione al fenomeno migratorio in una prospettiva di giustizia

Citando il Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2022, Francesco invita a formare in modo specifico gli operatori che lavorano con i migranti. Sottolinea l'importanza di organizzare sempre più incontri con i protagonisti delle migrazioni per conoscerne da vicino le storie, ed esprime un ulteriore auspicio: Gli atenei cattolici sono chiamati a educare i propri studenti, che domani saranno amministratori, imprenditori e artefici di cultura, a una lettura attenta del fenomeno migratorio, in una prospettiva di giustizia e corresponsabilità globale e di comunione nella diversità.

Le diversità sono una ricchezza

“Le diversità etniche, linguistiche e religiose siano considerate una ricchezza e non un ostacolo per il futuro comune” Il Papa richiama quanto ha detto domenica scorsa, Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, sulla necessità di costruire insieme con i migranti un futuro. Il Pontefice si augura che venga promosso, soprattutto tra i giovani, il volontariato a favore dei più vulnerabili e conclude con un appello che ricalca le sue parole, scandite per due volte, all'inizio del discorso di oggi:

Tutte le istituzioni educative sono chiamate ad essere luoghi di accoglienza, protezione, promozione e integrazione per tutti, senza escludere nessuno.

 Vatican News

 DISCORSO DEL PAPA

 

PARLARE CON IL CUORE

 


Tema del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 57.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

 

[B0720]

 

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Questo il tema che il Santo Padre Francesco ha scelto per la 57.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà nel 2023:

Testo in lingua italiana

Parlare col cuore: Veritatem facientes in caritate (Ef 4,15)

Il tema si collega idealmente a quello del 2022, “Ascoltare con l’orecchio del cuore”, e vuole inserirsi in particolare nel cammino che condurrà tutta la Chiesa alla celebrazione del Sinodo di ottobre 2023. Parlare con il cuore significa “rendere ragione della speranza che è in noi” (cfr 1Pt 3,14-17) e farlo con mitezza, utilizzando il dono della comunicazione come un ponte e non come un muro. In un tempo contraddistinto – anche nella vita ecclesiale – da polarizzazioni e dibattiti esasperati che esacerbano gli animi, siamo invitati ad andare controcorrente.

Non dobbiamo temere di affermare la verità, a volte scomoda, che trova il suo fondamento nel Vangelo ma non dobbiamo disgiungere questo annuncio da uno stile di misericordia, di sincera partecipazione alle gioie e alle sofferenze dell’uomo del nostro tempo, come ci insegna in modo sublime la pagina evangelica che narra il dialogo tra il misterioso Viandante e i discepoli di Emmaus.

Oggi, nel drammatico contesto di conflitto globale che stiamo vivendo, è quanto mai necessario l’affermarsi di una comunicazione non ostile. Una comunicazione aperta al dialogo con l’altro, che favorisca un “disarmo integrale”, che si adoperi a smontare “la psicosi bellica” che si annida nei nostri cuori, come profeticamente esortava San Giovanni XXIII, 60 anni fa nella Pacem in Terris. È uno sforzo che è richiesto a tutti, ma in particolare agli operatori della comunicazione chiamati a svolgere la propria professione come una missione per costruire un futuro più giusto, più fraterno, più umano.

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L'ARTE DI DIRIGERE

 Le persone non si possono gestire. Dovunque si tratti con donne e uomini – in azienda o in monastero –, il management deve tradursi in direzione. Ma l’arte di dirigere le persone si può imparare? Probabilmente no e le qualità dirigenziali sono per lo più dono di natura. Tuttavia, chi arriva ad assumere un tale ruolo può abusare del proprio carisma e rivolgere la propria autorità contro i collaboratori. In questa prospettiva, Notker Wolf è certo che la regola di san Benedetto sia stata per lui di grande aiuto: essa «porta l’impronta di un uomo che è convinto dell’importanza della libertà e del valore dell’individuo. Ciò la rende inossidabile». 
Benedetto infatti non ha lasciato norme minuziosamente precise, che consentissero a quanti nell’Ordine svolgono funzioni direttive di trincerarsi dietro le sue prescrizioni, ma li ha ‘costretti’ a interrogarsi continuamente per trovare la giusta misura nel pensare, nel parlare e nell’agire. 
In un libro a due voci, forti di esperienze e prospettive che si completano a vicenda, gli autori mettono in luce gli errori più diffusi e che cosa è veramente importante nel dirigere le persone. L’accento è posto dapprima sull’impresa e la politica, poi sulla scuola e l’educazione.

Sommario

1. Dare sempre il buon esempio e fungere da modello. Sull’attualità della regola di san Benedetto (N. Wolf).  2. Le tentazioni del potere. La personalità decide (N. Wolf).  3. Bisogna voler bene alle persone. L’impresa come spazio libero dalla paura (N. Wolf).  4. Chi è in grado di fare, lo può fare. La direzione collaborativa (N. Wolf).  5. Nessuna paura dell’uomo forte. I capi veri e falsi (N. Wolf).  6. La difficile «arte» del governo. Cosa mi aspetto da un dirigente (E. Rosanna).  7. Si sente dire che… Come si superano le crisi e si compongono gli scontri (N. Wolf).  8. Beato chi è in grado di distinguere un granello di sabbia da una montagna. Lodare, criticare e motivare (N. Wolf).  9. Per una cultura a due voci. Mettere a disposizione il dono della femminilità (E. Rosanna).  10. Mentalità riassicurativa. Coraggio e viltà nel quotidiano aziendale (N. Wolf).  11. Una forza magica. L’ascolto e la concentrazione sull’essenziale (N. Wolf).  12. Coraggio di resistere. Cosa ci si aspetta dagli educatori (N. Wolf).  13. Il coraggio di educare in un tempo di cambiamento. Come contribuire al superamento della crisi educativa (E. Rosanna).  14. Il dialogo esistenziale. Come aiutiamo i figli a ritrovare se stessi (N. Wolf).  15. Giocare alla buona fatina non basta. Che cosa dobbiamo ai nostri figli (N. Wolf).  16. Risvegliare l’interesse latente. Guidare le persone nell’insegnamento scolastico. 

Note sugli autori:

Notker Wolf osb (Bad Grönebach [Germania], 1940) ha studiato filosofia, teologia e scienze naturali a Roma e Monaco di Baviera. Nel 1961 entra nell’abbazia benedettina di Sankt Ottilien am Ammersee e nel 1977 viene eletto abate. Dal 2000 è abate primate dell’Ordine dei Benedettini e risiede a Roma.

Enrica Rosanna, della Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice (salesiane), è nata a Busto Arsizio (VA) ed è sottosegretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (prima donna a ricoprire tale incarico). A coronamento degli studi accademici in scienze religiose e in sociologia, ha conseguito il dottorato di ricerca in scienze sociali presso la Pontificia Università Gregoriana. Ha insegnato alla Pontificia Università Salesiana, alla Pontificia Università Lateranense e alla Pontificia Facoltà di scienze dell’educazione Auxilium, ove è stata preside per 9 anni. Ha pubblicato una dozzina di volumi su temi di sociologia applicata alla vita religiosa e su aspetti della formazione, oltre a numerosi articoli e saggi.

GIOVANI INVISIBILI E POVERTA' EDUCATIVA

“Giovani invisibili” di Giuseppe di Fazio: storie di iniziative e incontri che liberano i giovani dalla solitudine e dalla dispersione

 

- di Teresa Scacciante

 

Mentre gli appartenenti al Gruppo di lavoro nominato alcuni mesi fa dal dicastero dell’Istruzione sulla povertà educativa, tra cui Franco Lorenzoni, Marco Rossi-Doria e Chiara Saraceno, lavorano da mesi per trovare le strategie migliori per l’utilizzo dei fondi del Pnrr, in sinergia con scuole, enti pubblici e del terzo settore italiano, è utile leggere – per accompagnare gli aggiornamenti su tale attività così cruciale per il bene del nostro Paese – il recente saggio del giornalista Giuseppe Di Fazio, consigliato da Rai per il Sociale e pubblicato da Sicilian post.

Sfogliando le pagine del libro Giovani invisibili si rimane colpiti anzitutto dai dati del problema, che attanagliano in particolare le aree dell’Italia centro-meridionale, in cui non solo la percentuale della dispersione scolastica aumenta di parecchi punti, ma arriva a toccare percentuali del 25% in aree metropolitane come Catania o altri capoluoghi in cui quasi un bambino su 4 non frequenta il percorso di studi previsto dalle leggi. E considerando anche la cosiddetta “dispersione implicita”, la percentuale sale complessivamente al 35%! È anche impressionante constatare che, nelle stesse aree metropolitane popolose, poco più del 50% degli abitanti possiede la licenza media come titolo massimo di studi, mentre nelle città più grandi del Centro-Nord la stessa categoria si abbassa al 35%.

D’altro canto, già l’inizio della carriera scolastica appare pregiudicata nelle regioni del Sud Italia, in quanto meno del 10% degli istituti comprensivi è dotato di mensa o riesce ad offrire questo servizio, che permetterebbe alle famiglie più povere sia di poter garantire almeno un pasto completo al giorno per i propri figli, sia di poter utilizzare un tempo-scuola più disteso per trovare opportunità lavorative rispondenti alle richieste di lavoro più comuni.

Ma nel saggio Giovani invisibili l’analisi della triste realtà del Meridione non è fine a se stessa, vuole solo fornire il giusto contesto alle preziose storie di lotta contro le povertà educative, da cui i protagonisti tentano un riscatto con l’aiuto di imprevedibili incontri e aiuti che, giorno dopo giorno, imprimono una direzione diversa alle loro esistenze. Prendono così vita dalle pagine, l’uno dopo l’altro, i racconti dell’attività, a Brancaccio, di don Pino Puglisi, tratteggiato attraverso il suo operato di educatore, dimesso e impopolare, sempre lontano dai riflettori; la storia professionale e umana del giudice Roberto Di Bella, che nel lungo servizio come presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria non si arrende allo status quo dei figli delle famiglie della ’ndrangheta, e tra mille ostacoli riesce ad allontanarli dal territorio di origine che li avrebbe lasciati retaggio della criminalità, inventando il progetto “Liberi di scegliere”, che tutt’ora dà frutti consistenti anche in altre realtà.

Ancora colpisce la storia di redenzione di Davide Cerullo, miracolosamente uscito dalle reti della droga e della camorra, il quale in più libri racconta personalmente la sua storia, intrecciata con varie altre realtà di riscatto sorte nei quartieri più difficili di Napoli, come ad esempio la “Casa Luisa” a Forcella, il “Centro Gridas” e “L’albero delle storie” a Scampia: Davide sottolinea come – in tutte le storie come la sua – sono degli incontri preziosi, provvidenziali, a dare la forza, passo dopo passo, di far cambiare la vita a chi non ha avuto l’opportunità di essere cresciuto in ambienti accoglienti e moralmente sani.

Le dinamiche descritte da Davide Cerullo risuonano anche nelle storie di tanti giovani catanesi, incontrati dai volontari dell’associazione “Cappuccini” dell’omonimo quartiere, presenti nel capoluogo etneo da ben 25 anni. Le decine di volontari che hanno operato fin dai primi anni, tra le viuzze del quartiere disagiato del centro storico catanese, hanno incontrato e accompagnato centinaia di giovani nei loro anni più delicati e vulnerabili: li hanno sostenuti aiutandoli negli studi, portando i pacchi della spesa nelle loro case grazie alla collaborazione del Banco alimentare, aiutando i genitori a districarsi tra burocrazia, problemi lavorativi, sfratti e tanto altro. Spesso non hanno risolto i problemi più grossi, ma hanno offerto la loro personale compagnia che ha saputo mantenere desta la speranza; un ragazzo ha definito l’amicizia ricevuta dai volontari “tanto semplice da essere eccezionale”, e anche dopo decenni l’impronta lasciata in molti è così sincera che non è difficile ritrovarsi e sperimentare nuove forme di condivisione.

Come il recentissimo progetto “Di bellezza si vive” (a cura dell’impresa sociale ON), che sta coinvolgendo una quarantina di giovani di due quartieri disagiati di Catania e che, pur non essendo raccontato nel volume Giovani invisibili, ne rappresenta una continuazione concreta; resa possibile grazie alla dedizione, alla cura per il bene comune e alla speranza nel riscatto dei più fragili: qualità sempre vive nei volontari che condividono tempo, energie e sentimenti con chi incontrano sui loro passi.

 

Il Sussidiario

 


mercoledì 28 settembre 2022

IL CELLULARE NEL CASSETTO

 La preside: così ho convinto prof e alunni a mettere i cellulari nel cassetto
Una positiva iniziativa per educare i ragazzi a non divenire schiavi dei cellulari: i cellulari degli alunni e degli stessi insegnanti  sono silenziati e riposti in un cassetto. Si insegna e si apprende con maggiore serenità e profitto. E... se c'é qualche emergenza? C'è il telefono della scuola! 
Lo stesso dovrebbero fare (con coraggio e costanza) i genitori a casa: niente cellulari mentre si studia o (peggio ancora) mentre si dorme. 
Il cellulare accanto al letto rende il sonno inquieto e fragile (quanti ragazzi arrivano a scuola assonnati perché la notte  hanno spesso vegliato a causa del cellulare!
Bisogna garantire ai ragazzi l'adeguato e sereno sonno almeno dalle ore 22 sino al mattino .... 
Gli stessi adulti debbono dare l'esempio se vogliono una serena e buona maturazione dei ragazzi.
Il buon esempio degli adulti (in particolare quello dei genitori !) educa e trascina.

 - di Paolo Ferrario

 «Tra il vietare l’utilizzo del cellulare in classe, per altro già previsto da un regolamento ministeriale del 2007 e responsabilizzare i ragazzi all’utilizzo degli smartphone, abbiamo scelto una terza via: aiutarci a vicenda a vivere e far diventare la scuola un luogo significativo, più bello e interessante per tutti».

Una settimana dopo l’inaugurazione dei cassetti dove studenti e insegnanti depositano gli smarphone all’arrivo a scuola e li ritirano quando suona l’ultima campanella della giornata, la rettrice degli istituti paritari “Malpighi” di Bologna, Elena Ugolini, traccia un bilancio positivo dell’iniziativa. E si stupisce del clamore mediatico che ha suscitato, visto che, come ricorda un sondaggio di Studenti.it, l’iniziativa è in atto in almeno il 26% delle scuole superiori italiane.

Come sono andati questi primi giorni “senza connessione”?

Bene. La differenza più rilevante, rispetto a prima, è stata vedere i ragazzi, ma anche i professori, parlarsi e guardarsi negli occhi durante l’intervallo. Tempo che, prima, tutti, giovani e adulti, passavano con lo sguardo fisso sullo schermo dello smartphone.

Perché avete voluto coinvolgere anche gli insegnanti?

Perché i primi a prendere consapevolezza che il cellulare inibisce le relazioni dobbiamo essere noi adulti. Io per prima, visto che, per lavoro, passo gran parte della giornata col telefono in mano e, per questo, sono a volte ripresa dai miei figli.

Non basterebbe tenerlo spento?

C’è poco da fare: una classe con i telefonini negli zaini o sulla cattedra è una classe che scivola inesorabilmente verso la distrazione. E i docenti sono educatori, non guardiani. Con questa iniziativa, per altro già sperimentata, con buoni risultati, l’anno scorso in una classe con problemi di bullismo, vogliamo aiutarci tutti a non essere distratti e ad avere uno spazio di lavoro in cui la presenza, il rapporto e la concentrazione siano facilitati. Aiutandoci tutti insieme a creare un rapporto fatto anche di silenzio e di presenza, per riempire di contenuto le mille ore che passiamo, ogni anno, a scuola con i nostri studenti.

I ragazzi come l’hanno presa?

Ci hanno dato fiducia perché hanno capito che in gioco non c’è il rispetto di una regola o di una circolare ministeriale, ma un aiuto reciproco, giovani e adulti insieme, per rendere più belle e intense le ore di lezione.

E come fate senza l’aiuto della tecnologia?

Chiudere gli smartphone in un cassetto non significa affatto rinunciare ad usare la tecnologia e Internet per la didattica. Le Lim funzionano ancora e la Rete è quotidianamente consultata durante le lezioni. Vogliamo che la tecnologia resti uno strumento per potenziare la nostra capacità di apprendimento e non una distrazione. E i primi a farcelo capire sono stati proprio gli studenti, quando, a precisa domanda, hanno risposto che lo smartphone non aiuta la concentrazione in classe. Se, come confermano tante ricerche, davvero il telefonino distrae e toglie energia al rapporto e alla relazione, togliamolo di mezzo.

E quali altre “scoperte” avete fatto questa settimana?

La principale è che si può vivere bene anche senza tenere costantemente lo sguardo fisso sullo schermo. L’altro giorno, al termine delle lezioni, ho incrociato una studentessa che aveva in mano lo smartphone spento. Mi ha stupito e le ho chiesto il motivo. Mi ha risposto che non se n’era nemmeno accorta. E mi ha sorriso, aggiungendo che, anche senza cellulare, a scuola non si annoia. Ecco, forse dovremmo chiederci perché, invece, tanti studenti a scuola si annoiano. Questa è la sfida vera: farli sentire coinvolti e protagonisti. E, invece, ci sono esperti psicologi, come Daniela Lucangeli, che ci dicono, dati alla mano, che il cellulare crea dipendenza e la sua sola presenza, anche se spento, riduce le capacità cognitive.

 

www.avvenire.it

 

martedì 27 settembre 2022

LETTERA AI POLITICI


 CHIAMATI A SERVIRE

Coraggio, miei cari amici. Abbiate la percezione del compito straordinario che vi è stato affidato, quale che sia la vostra estrazione ideologica e culturale.

“La politica – diceva La Pira - è l’attività religiosa più alta dopo quella dell’unione intima con Dio. Perché è la guida dei popoli, una responsabilità immensa, un severissimo servizio”.

Non vi scoraggiate. Chiedete al Cielo il dono di una genialità nuova che vi metta in grado di esprimere il vissuto dell’uomo contemporaneo. E non lasciatevi cadere le braccia quando, nonostante il vostro impegno personale, improntato a trasparenza ed a rettitudine, vi vedrete destinatari di sospetti da parte di chi, non comprendendo la vostra fatica, spara nel mucchio con raffiche ingenerose di luoghi comuni. Non demordete: la coerenza paga, anche se con qualche ritardo. Paga anche l’onestà. E la speranza non delude!

Tanti auguri. Siate portatori della pubblica gratitudine presso le vostre famiglie, costrette spesso, per il bene di tutti, a rinunciare alla vostra presenza in casa: Possiate trovare nel vostro duro lavoro il sostegno dei cittadini, la solidarietà dei collaboratori, il rispetto degli avversari, il consenso degli ultimi, la benedizione di Dio.

 La Vergine Maria vi preservi dal pianto. Ma vi conceda il privilegio di intenerirvi davanti alle sofferenze dei poveri. Fino alle lacrime.

sabato 24 settembre 2022

I LAZZARI DEI NOSTRI GIORNI

 
-  Dal Vangelo secondo Luca : Lc 16, 19-31

 In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Commento di p. Ernesto Balducci

 " ...Che cosa possiamo dire come cristiani, di fronte a questa contrapposizione, ormai di misura mondiale, tra l’Epulone e Lazzaro? Il giudizio di Dio è un giudizio di condanna e il giudizio di condanna non si risolve, come abbiamo detto, in una pura enunciazione di deplorazioni. Dobbiamo chiederci piuttosto come dovrà essere l’assetto della società del futuro. Il primo principio è che le ricchezze della terra sono, lo riconoscevano perfino i teologi del medioevo, un bene comune dell’umanità. Non c’è nessun fondamento all’abusivo privilegio degli ‘ Epuloni ‘: gli uomini tutti hanno il diritto di appropriarsi dei beni della terra. E da qualche anno già lo stanno facendo: essi cominciano a tagliare i rifornimenti di energia che erano e sono la condizione essenziale perché lo stato di privilegio possa sopravvivere. E siamo appena agli inizi. Una ragionevole prospettiva del futuro ci porta a prevedere situazioni di conflitto estreme tra gli ‘Epuloni’ e i ‘Lazzari’. 

Una visione politica, realistica, che tenga conto. del quadro generale dell’umanità, dove si collocano gli obiettivi particolari delle politiche delle nazioni, ci obbliga a tener conto di un processo che ha i caratteri della necessità storica, oltre che della necessità morale. Questo processo è, per dirla in parole semplici e chiare, un progressivo impoverimento del mondo a cui noi apparteniamo e un progressivo elevamento del tenore di vita della sterminata moltitudine dei ‘Lazzari’, che sono numericamente la maggioranza dell’umanità. Questo processo, assunto come criterio di misura delle .politiche particolari, fa appello alla coscienza di ogni uomo di buona volontà, e – essendo qui noi raccolti per meditare, diciamolo con parola esplicita – ai credenti nel Vangelo di Gesù Cristo, che contiene una così formale condanna degli ‘Epuloni’ e una così formale esaltazione dei ‘Lazzari’. Qual è quest’appello? Occorre modificare, si suol dire, la qualità della vita. E va bene: ma diciamo, prima ancora della qualità, il progetto di vita, un progetto di vita incentrato non. sul consumo dei beni della terra, ma sullo scambio tra gli uomini, sulla comune partecipazione ai beni della terra ed ai prodotti conseguenti della tecnica umana. Occorre, quindi, una politica di partecipazione al banchetto, che porta con sé la necessità di un’ascetica, la necessità di una modifica della tavola dei valori a cui si è ispirata la nostra vita fino ad oggi. E questo mutamento della tavola dei valori stranamente, rievoca il messaggio del Vangelo, dove ‘i beni non vengono disprezzati con ascetismo di tipo pagano ma vengono indicati come mezzi di comunione fra gli uomini, come strumenti di scambio fra gli uomini, come comune possesso della famiglia umana. Da quest’idea, è evidente, deriva l’obbligo di un esame delle complicità storiche che noi possiamo: avere con iI mondo degli ‘ Epuloni ‘. 

Il « mondo Cristiano» è nella giurisdizione del ricco Epulone, Il mondo non Cristiano e nella giurisdizione di Lazzaro. Perciò il giudizio di Dio è contro di noi. La collera dei ‘Lazzari’ si muove contro di noi. Non è possibile oggi essere cristiani se non accettiamo questo giudizio, se non ce ne facciamo colpire fin nel profondo, per modificare il nostro atteggiamento all’interno della realtà storica a cui apparteniamo. Noi non possiamo essere che contro il mondo a cui apparteniamo e non possiamo non essere a favore del movimento ascensionale dei poveri estromessi dal banchetto. Questa scelta porta con sé situazioni di conflitto all’interno del nostro mondo. Quando io sento, ad esempio, in certe circostanze, i pastori fare appello ad un uso del voto politico che sia di difesa dei valori cristiani, io mi domando se non dovrebbe esser detto esplicitamente che il valore cristiano fondamentale è la comune partecipazione degli uomini al banchetto che la natura e l’industria ci offrono. Questo è il valore principale. Tutto il resto è interno a questo principio fondamentale. In realtà i valori cristiani vengono ritagliati dentro una mappa culturale che è quella appunto, di gente dentro la giurisdizione del ricco Epulone. Questa necessità di una visione planetaria dei risultati delle nostre scelte politiche, per quanto particolari, e, viceversa, questa necessità di far valere all’interno delle nostre scelte particolari le richieste di un progetto planetario, costituiscono a mio giudizio una differenza specifica di una coscienza cristiana odierna, che dovrà essere fatalmente cosmopolita, dovrà essere necessariamente solidale con l’ascesa delle classi oppresse ed emarginate, dovrà essere strenuamente contraria alla sopravvivenza dell’economia dello sfruttamento, dovrà essere inventiva per quanto riguarda la creazione di uno stile di vita nel quale i beni non sono strumenti di distinzione e di sopraffazione, ma mezzi di scambio, umanizzati anch’essi perché ricomposti dentro la comunità umana. Ogni esperienza anticipatrice al riguardo è un dono all’umanità intera. 

Pensiamo ad esempio, ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi, alla perdita di significato che ormai hanno raggiunto nell’occidente gli Ordini religiosi, che pure si caratterizzano tutti per il voto di povertà. E che significa il voto di povertà collocato nel quadro planetario che ho descritto prima? Non può trattarsi di una povertà individuale, basata sull’ascetica, sulla mancanza personale di disponibilità economiche. Tutto questo non ha più nessun senso. Un voto di povertà, oggi, non può che essere un impegno – tale da caratterizzare la vita intera – di solidarietà con i « minores » – vorrei usare la parola che usava Francesco – di questo mondo, cioè con i « Lazzari ». È una solidarietà che non si ferma ad un certo punto, ma va fino in fondo. Ma non basta questa solidarietà: ed ecco dove viene in luce una possibilità storica straordinaria, non solo per gli Ordini religiosi, ma in genere per i cristiani. 

Occorre liberare i « Lazzari » dalla volontà di prendere al banchetto il posto lasciato libero eventualmente dai vecchi commensali o dalla semplice volontà di allargare la sala del banchetto. Perché una conseguenza drammatica, e la vediamo sotto gli occhi, della ripartizione delle ricchezze è che gli esclusi hanno adottato il modello di vita degli oppressori. Lazzaro sogna di diventare un Epulone. Ed è questa l’ultima iniqua vittoria dei potenti, dei privilegiati: è l’annientamento della coscienza degli oppressi. Un compito delle comunità cristiane dovrebbe essere quello di mostrare la possibilità di forme di esistenza che scartino radicalmente il modello propagato dagli « Epuloni », e in cui il rapporto con la natura e il rapporto con gli uomini e l’uso dei beni diventino espressioni e garanzie di autentica umanità. È qui che la fede, se ha fantasia creativa, dovrebbe manifestarsi. Se su questo punto la fede è sterile, allora non ci resta che quel che ci resta oggi: la possibilità di predicare all’infinito lo stesso Vangelo all’interno di un mondo che vive come se il Vangelo non fosse mai da nessuno stato annunziato prima.

 Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 3


IL VOTO NON BASTA

*La politica non è solo votare:

 il fine giusto è dedicarsi al prossimo*


L'impegno costante, responsabile, competente nelle associazioni e nei vari ambiti di volontariato - qualsiasi ruolo si svolga- è un modo efficace per servire il prossimo. Votare è giusto e necessario, ma se il voto non è inserito in un cammino serve ben poco.

La vita associativa, se ben vissuta, è spazio fecondo di maturazione civica e di cittadinanza attiva.

 - di Gian Maria Zanoni e Federica Fasciolo


E’ necessario educarci e educare ad essere cittadini attivi attraverso l’assunzione personale e comunitaria delle responsabilità che la realtà ci presenta (Dal Patto Educativo Agesci).

Cinquant’anni fa, don Lorenzo Milani scriveva con gli alunni di Barbiana “Lettera a una professoressa”.  Barbiana era una sperduta località del Mugello dove don Lorenzo aveva fondato una scuola per i figli dei contadini e dei montanari, abbandonati, in vario modo, dalla scuola ufficiale.  Quella professoressa rappresentava l’istituzione scolastica.

La lettera è una denuncia e un invito: la denuncia di una scuola sbagliata e l’invito a migliorarla con slancio autenticamente cristiano, pedagogico e politico.

“Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte.” (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria ed. Fiorentina, Firenze, 1967, p.94)

Il fine giusto è dedicarsi al prossimo.  Questo è un buon punto di partenza per pensare alla politica. Consente subito di liberare il campo da idee diffuse e fuorvianti.

La politica è l’arte di “interessarsi" al prossimo, ma può e deve diventare l’arte di “dedicarsi” al prossimo.

E’ facile capire la differenza.

Nel primo caso è possibile che ci si” interessi” degli altri strumentalmente, nel secondo no. Se noi ci dedichiamo a qualcosa, essa appare e rimane come una finalità superiore, non manipolabile né sacrificabile all’interesse personale o a qualche idolatrica idealità.

Nei secoli passati, la politica era pensata come strumento di difesa dell’individuo, timoroso della ferocia di quanti lo circondavano: doveva garantire pace e incolumità, perché ognuno potesse dedicarsi al suo lavoro senza rischi né incertezze e pensare tranquillamente ai propri interessi. Una sorta di egoismo illuminato: la solidarietà era un problema privato, di religione e di coscienza. L’interessarsi al prossimo era un fatto puramente strumentale e la politica appariva come un male necessario.

A questa idea di politica si aggiunge oggi il giudizio, ancora peggiore, molto frequente:” La politica è una cosa sporca”, e, se non lo è, è comunque l’attività di alcuni “impallinati”; “la politica la fanno i partiti”, “la politica non è della gente…e tanto vale allora, fare qualche altra cosa”. Ad esempio, il volontariato o l’impegno sociale.

Ma la politica è proprio lì!

Perché se il volontariato, se l’impegno sociale non diventano politici, rimangono sempre marginali, incapaci di modificare la profonda struttura civica, una sorta di giardino fiorito che adorna il palazzo dove si decide realmente del destino dell’uomo e della società.  

La politica allora è l’azione permanente della comunità che costruisce il suo cammino in un dato momento storico, una comunità che vive territorialmente il suo destino e che persegue il suo bene comune, bene che riguarda tutti.

Questa politica coincide con la dignità dell’uomo e con la democrazia: la qualità della vita, la difesa dei diritti, la vivibilità, non spettano a qualcuno, ma spettano a tutti.

E tutti dobbiamo essere realmente coinvolti in quello che avviene nel nostro territorio.

Se viviamo la vera politica non possiamo allora mitizzare momenti come quello delle elezioni. L’elezione è solo un momento della politica: le elezioni per noi dovrebbero durare tutto l’anno, perché tutti dovremmo essere coinvolti nel determinare il ritmo di vita della comunità. La tecnica dell’elezione, che può richiedere scelte “strategiche” (per non far vincere questo o far vincere quello), è giustificata se inserita nell’idealità e nell’impegno. Altrimenti è un semplice dilemma machiavellico che denuncia tutta l’ipocrisia della prassi cosiddetta democratica, usualmente concepita.

Allora è nostro dovere “fare politica”, non delegando, ma impegnandosi in prima persona, sempre, con senso di responsabilità e di civismo.

Questo significa dedicarsi al prossimo.

 RS-Servire


venerdì 23 settembre 2022

SCUOLA E PARTITI

  

- Docenti, libertà di scelta e autonomia: 

tre temi in “soccorso” dei partiti -

 

-di  Luisa Ribolzi

I programmi elettorali di tutti i partiti, da destra a sinistra e centro, sono semplici cerotti applicati su ferite molto più grandi. Ma una soluzione c’è.

 Se un programma è, come recita il dizionario, “Enunciazione particolareggiata di ciò che si vuole fare, d’una linea di condotta da seguire, degli obiettivi cui si mira e dei mezzi coi quali si ritiene di poterli raggiungere”, una lettura anche attenta di quanto i partiti intendono fare per la scuola e per l’istruzione nella prossima legislatura porta ad affermare che un “programma” in questo senso non esiste proprio. I partiti elencano una serie di proposte che dovrebbero piacere agli elettori, ma non si accenna né ai mezzi né ai tempi: ora, la  scuola ha bisogno di tempi lunghi, non di enunciazioni di principio, per trovare il modo di costruire il tessuto delle relazioni che consentono ad un Paese di crescere anche economicamente, ma soprattutto come comunità coesa intorno ad un sistema di valori, e al tempo stesso inclusiva.

Per migliorare la scuola, e non solo per cambiarla, sarebbe opportuno avere chiare in mente poche cose, e realizzarle secondo la metodologia della ricerca: analisi del problema, progettazione, realizzazione, valutazione, ri-progettazione. Gli inglesi la chiamano rolling reform, riforma capace di modificarsi senza rimettere tutto in discussione, ma in Italia si preferisce procedere con grandi enunciazioni teoriche, o con  “contentini” che non portano da nessuna parte.

Un’ipotesi di intervento nella scuola deve avere una vision e una mission: in altre parole, deve partire da un’idea del ruolo della scuola nella società, e deve avere un’immagine precisa non solo di dove andare, ma di come andarci e con quali mezzi. Altrimenti, come diceva Seneca duemila anni fa, “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.

Vediamo comunque qualche proposta, a partire dal sito di Tuttoscuola che descrive minutamente le circa quaranta proposte presentate dai vari partiti, che per la loro genericità costituiscono un vero e proprio “libro dei sogni”: nei programmi dell’intero arco costituzionale si proclama la centralità della scuola, ma si mette al massimo un  cerotto sulle ferite più gravi (vi ricordate la toppa nuova su di un vestito vecchio?), così che la scuola non pare messa in grado di far fronte alle richieste di una società in sempre più rapida trasformazione, e alle prese con problemi gravi e imprevedibili; ma nemmeno a problemi altrettanto gravi e prevedibilissimi, come l’insuccesso scolastico, la diffusione dell’analfabetismo funzionale, lo scollamento fra competenze richieste e offerte e l’esistenza di una profonda spaccatura fra le diverse zone del Paese.

Per esemplificare che cosa intendiamo per “assenza di un progetto” prendiamo ad esempio la proposta del Pd di estendere l’obbligo scolastico gratuito dai 3 ai d18 anni, che comporterebbe l’entrata nella scuola dell’infanzia di circa 150mila bambini in più, l’istituzione di nuove sezioni, il reclutamento di almeno 9mila insegnanti, la costruzione di nuove aule, la mensa, i servizi integrativi. Tuttoscuola stima che “l’introduzione dell’obbligo scolastico interamente gratuito comporterebbe un onere complessivo di 3 miliardi e 616 milioni di euro all’anno”, e non si è parlato di quel 12% circa di ragazzi di 15 e di 18 anni che hanno abbandonato la scuola o la  formazione professionale. Quanto ai tempi di attuazione, gli insegnanti in più non sono certamente disponibili sul mercato, e andranno formati; le strutture edilizie, anche incrementate con i fondi Pon, richiedono tempi di realizzazione, e via dicendo. Considerazioni simili valgono per riforme onerose come la realizzazione del tempo pieno per tutti nella scuola primaria, la riduzione del numero di studenti per classe (che si attuerà automaticamente, visto che stiamo perdendo circa 80mila studenti ogni anno), l’aumento degli stipendi a livello europeo. Forse i nostri politici potrebbero incominciare a ragionare in termini di qualità, e non solo quantità, degli insegnanti.

L’inversione di tendenza per la riduzione dei fondi stanziati per l’istruzione in percentuale del Pil è certamente auspicabile, ma dove verrebbero reperiti questi fondi, tagliando che cosa? Le pensioni? La sanità? La risposta non è semplice e richiederebbe di individuare le priorità non con un approccio ideologico, ma per rispondere ai gravi e sempre uguali problemi della scuola italiana. Nelle promesse elettorali, lo schieramento di sinistra tende più a misure di accrescimento dell’equità (non a caso il paragrafo si intitola “conoscenza è potere”) come l’estensione dell’obbligo e del tempo pieno, misura questa auspicata anche da Azione-Italia viva, mentre la coalizione di destra punta piuttosto a valorizzare il merito.

Quasi tutti propongono la soppressione del precariato – impossibile finché saranno in vigore gli attuali metodi di reclutamento –, anche se con un certo buon senso Azione-Italia viva pensa di ridurlo ai livelli fisiologici;  l’aumento degli stipendi; l’estensione generalizzata o selettiva (al Sud) del tempo pieno. A parte i costi, ci sono problemi supplementari, per esempio se si ipotizza l’entrata in ruolo degli attuali supplenti, nessuno fa cenno a come valutare la loro preparazione, e questo in una situazione in cui molti posti restano scoperti perché i candidati non riescono a superare le prove di esame. Le proposte, oltre a essere generiche, non tengono conto di quel che viene considerato urgente e necessario da chi nella scuola lavora, cioè la modifica del soffocante apparato burocratico, la realizzazione della piena autonomia, una valorizzazione del merito che consenta anche di differenziare compiti e retribuzioni.

Tutti intendono investire in formazione e aggiornamento degli insegnanti: il centrodestra mira a  valorizzare le scuole tecniche e professionali, sostenere gli studenti meritevoli o “incapienti” (forse per metterli in grado di capire che cosa significa “incapienti”), sviluppare l’edilizia scolastica e generalizzare il buono scuola per favorire la scelta educativa. Compare un modesto interesse per la scelta famigliare e per gli 800mila studenti e 60mila insegnanti circa delle scuole paritarie e nel programma del Pd si accenna al costo standard di sostenibilità per promuovere il pluralismo educativo, senza rinvii diretti alle scuole paritarie, ma solo a una generica “offerta formativa per il diritto allo studio”.

 Il centrodestra intende anche favorire il rientro degli italiani “altamente specializzati” dall’estero, ma questa non è una misura di politica scolastica, come non lo è la proposta dello jus scholae fatta dal centrosinistra e dal M5s. Oltre alla scuola dell’infanzia obbligatoria e gratuita e alla crescita professionale per i docenti attraverso la formazione iniziale e in servizio, il Pd propone l’istituzione di “aree di priorità educativa” nelle zone svantaggiate, forse sulla falsariga delle ZEP istituite in Francia nel 1981 e  trasformate nel 1999 in “reti di educazione prioritaria”.

Il terzo polo propone di elevare l’obbligo a 18 anni, riducendo la durata degli studi da 13 a 12 anni, allineandosi così alla maggior parte dei Paesi europei, e recuperando una parte dei costi. Estensione del tempo pieno nelle scuole primarie, creazione di una carriera docente con differenziazione delle funzioni e dei salari, accresciuti forse in collegamento alla funzione, riforma degli Its con una maggiore integrazione delle imprese e presenza di docenti qualificati nelle aree di crisi. Si parla esplicitamente di misure per accrescere la libertà di scelta delle famiglie (misure fiscali, buono scuola, costo standard). Il M5s esprime la sua creatività aggiungendo alle richieste standard quella dell’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva, di una “scuola dei mestieri” per supportare l’artigianato, e di un maggior numero di psicologi e pedagogisti.

Le misure proposte non si esauriscono in quelle che ho portato ad esempio: credo però che chiunque vinca le elezioni dovrebbe accantonare tutte le promesse/proposte su cui ha basato la campagna elettorale, e lavorare seriamente su tre temi: gli insegnanti, la libertà di scelta e l’autonomia. Se le scuole saranno veramente e seriamente autonome, e valutate in base ai risultati, se gli insegnanti saranno veramente e seriamente professionisti, se le famiglie potranno scegliere la scuola dei figli in un sistema veramente e seriamente pubblico, non ci sarà bisogno di grandi riforme, perché sarà la scuola stessa a cambiare per rispondere ai bisogni della società.

 Il Sussidiario


IL BUIO OLTRE LA SIEPE


 - di  Giuseppe Savagnone *

 - Un futuro già scritto? -

Sembrerebbe, alla vigilia di queste elezioni che i giochi siano fatti. Maggioranze chiare, strade definite. Un quadro molto diverso da quello delle consultazioni del 2018, da cui venne fuori, a sorpresa, un governo che univa partiti fino a quel momento fortemente contrapposti, come erano 5stelle e Lega, sull’onda di un successo elettorale – soprattutto dei primi – da cui ci si aspettava un profondo rinnovamento dello stile stesso della politica.

Sappiamo tutti come andò a finire: il socio di minoranza, Matteo Salvini, prese in mano le redini del potere e lo gestì a suo uso e consumo, aumentando in modo esponenziale il proprio consenso popolare e mettendo in ombra l’alleato e lo stesso presidente del Consiglio. Fino al momento in cui, accecato dall’ebbrezza dei sondaggi favorevoli, che lo vedevano avviato al 40%, non fece il passo falso di determinare la caduta del primo governo Conte e di puntare su nuove elezioni, restando scornato dall’imprevista e imprevedibile convergenza dei 5stelle col PD per dar vita al Conte 2.

A prima vista può sembrare che oggi le cose stiano molto diversamente. I partiti della destra – Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia – si sono compattati in un fronte comune che, secondo i sondaggi, potrebbe conquistare addirittura i due terzi dei seggi parlamentari.

Nella manifestazione di chiusura della campagna elettorale, a piazza del Popolo, che ha voluto esibire la saldezza della coalizione, Giorgia Meloni ha evocato questa prospettiva alludendo alla proposta che più le sta a cuore, quella della modifica della Costituzione nel senso del presidenzialismo, una riforma per cui sarebbe necessaria, appunto, la maggioranza dei due terzi.

«Se gli italiani ci daranno la maggioranza, faremo una riforma in senso presidenziale e saremo felici se la sinistra vorrà darci una mano a efficientare le nostre istituzioni, ma se gli italiani ci daranno i numeri noi lo faremo lo stesso», ha detto la leader di Fratelli d’Italia.

Qui il futuro, a differenza che nelle precedenti elezioni, sembra chiaro. Lo ha sottolineato Salvini, quando, nel corso della stessa manifestazione, si è rallegrato di vedere in piazza «gente di tradizioni diverse che hanno deciso di essere insieme con un destino comune e un impegno che prendiamo noi tutti: governare bene e insieme per 5 anni. Ci troviamo qui tra 5 anni».

Due opposte tradizioni ideologiche

In realtà le cose sono un po’ più complicate. Basta leggere con attenzione i quindici punti che costituiscono il programma dei partiti della destra per rendersi conto che, dietro l’apparente neutralità delle formulazioni sintetiche, si nascondono punti di vista molto diversi, espressione delle rispettive tradizioni ideologiche.

 Salvini e la Lega hanno soprattutto a cuore l’attuazione delle autonomie regionali, menzionate infatti in questo programma. In particolare di Emilia a Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto, prime quattro Regioni ad aver fatto richiesta dell’autonomia differenziata. È un progetto che risale alle origini della Lega Nord, e che rimane prioritario in un partito la cui forza elettorale è nelle regioni settentrionali.

La tesi ufficiale, molto ripetuta dagli esponenti della Lega, è che questa autonomia in realtà gioverà anche alle regioni del Sud. Non è chiarissimo in che modo. Intanto, però, quel che è certo e che essa è stata rivendicata da quelle più ricche d’Italia e che la prospettiva di una loro maggiore autonomia non è rassicurante per quella parte del Paese, il Meridione, che, dall’Unità in poi, ha pagato sulla propria pelle il decollo economico del Settentrione e che ora, da tempo, dipende in larga misura dal suo sostegno.

Sta di fatto, in ogni caso, che la prospettiva di Fratelli d’Italia – eredi, al contrario della Lega, di una tradizione statalista che ha sempre valorizzato l’unità del Paese – non mira certamente a favorirne la disgregazione in regioni sempre più autonome. Va in questo senso, del resto, il già citato progetto del rafforzamento del potere esecutivo con la riforma del governo in senso presidenzialista.

Autonomia e presidenzialismo, possono certamente coesistere, come del resto accade negli Stati Uniti, ma là si tratta di un assetto presente fin dalle origini, mentre per un Paese come il nostro, estraneo finora a entrambe queste formule, il loro accordo appare assai più problematico. Si deve forse anche a questi differenti punti di vista se, a fronte dell’ossessiva insistenza di Lega e Forza Italia per una diminuzione delle tasse con l’introduzione della flat tax, la proposta della Meloni è assai più cauta, prevedendola solo per la parte di reddito eccedente rispetto a quanto dichiarato l’anno prima.

Una misura destinata a favorire soprattutto i redditi più alti e a favorire così il ricorso a servizi privati a spese di quelli pubblici è probabilmente più in linea con gli interessi del Nord benestante che con quelli del Sud e, più in generale, del Paese considerato nel suo insieme come una unità inscindibile.

Ombre sulle convergenze

Anche per quanto riguarda i punti su cui sembrerebbe esservi un sostanziale accordo, come l’atlantismo e la condanna della guerra scatenata dalla Russia, emergono improvvisamente crepe che distanziano gli alleati, se non sulla sostanza, almeno sul modo di manifestarla.

Intervistato da Bruno Vespa in una trasmissione televisiva Berlusconi ha fornito una lettura della guerra destinata a mettere fortemente in imbarazzo i suoi alleati, impegnati a rassicurare l’opinione pubblica italiana e quella mondiale sulla loro fedeltà alla linea dell’Occidente. «Putin», ha detto Berlusconi, «è stato spinto dalla popolazione russa, dal suo partito e dai suoi ministri a inventarsi questa operazione speciale (…). Le truppe dovevano entrare, in una settimana raggiungere Kiev, sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky ed in una settimana tornare indietro».

Non sembra esattamente la ricostruzione dei fatti che ne danno gli Stati Uniti e l’Alleanza atlantica – soprattutto a proposito di quel «governo di persone perbene», scelte da Putin, che avrebbe dovuto sostituire Zelensky – , con cui pure Berlusconi, come pure Salvini e Meloni, si affannano a ripetere di essere in piena sintonia.

Anche la perfetta intesa, che invece sicuramente c’è, sulla «difesa delle frontiere» dall’«invasione» dei migranti non riesce a nascondere sottolineature diverse. Per la Meloni è una necessità, per Salvini è una passione: «Chi sceglie il simbolo della Lega dà fiducia ad un quarantanovenne che è a processo perché ha bloccato gli sbarchi clandestini. L’ho fatto e non vedo l’ora di farlo. Da presidente del Consiglio se gli italiani lo vorranno, o da umile servitore dello Stato», ha detto il leader della Lega a piazza del Popolo.

A queste incognite, legate alla linea politica, se ne aggiungono altre, più prosaiche ma molto concrete, che nascono dalle ambizioni personali di Salvini e della Meloni. Come l’ultima frase del leader del Carroccio lascia trapelare, i numeri sfavorevoli dei sondaggi non sono bastati a farlo desistere dalla speranza di essere lui il premier del nuovo governo.

Giorgia Meloni, da parte sua, sta già preparando la lista dei ministri e trapela la sua difficoltà nell’assegnare un posto al suo alleato. In ogni caso ha in più occasioni lasciato capire che non ne accetterebbe mai un ritorno al ministero degli Interni, che gli permise, nel primo governo Conte, di occupare il centro della scena e fu il trampolino per la sua ascesa esponenziale nei consensi degli italiani.

Molto dipenderà, naturalmente, dal responso delle urne. Ma è difficile immaginare che, quale esso sia, Salvini accetterà di far parte di un governo che lo releghi in un ruolo secondario.

Alte ipotesi, ancora più problematiche

Come si vede, il margine delle incognite, nel caso in cui le previsioni di vittoria della destra si avverassero, è molto più ampio di quanto si lasci credere agli elettori. Ma forse ancora maggiori sono quelle che si intravedono in caso di una buona affermazione della sinistra.

La fatwa di Enrico Letta nei confronti dei 5stelle esclude una loro possibile alleanza, che rinnovi quella del secondo governo Conte. E, a meno di una grossa sorpresa, il centro di Azione/Iv non sembra in grado di andare in Parlamento con dei numeri sufficienti a dar vita a un governo di centro-sinistra.

Si potrà verificare la previsione, fatta da Calenda, di un secondo governo di solidarietà nazionale la cui guida sia nuovamente affidata a Draghi? Alla luce delle posizioni attuali di destra e sinistra una simile soluzione sembra da escludere nel modo più drastico.

E allora? L’autunno e l’inverno che si prospettano, stando alle previsioni, come tra i più difficili della nostra storia repubblicana. Affrontarli in un clima di litigiosità irrisolte e con un governo debole sarebbe un suicidio (il secondo, dopo quello che ha portato alla crisi del governo Draghi) che non ci possiamo permettere. Nel vecchio film di Robert Mulligan «Il buio oltre la siepe» si assiste in realtà a un lieto fine. Il «buio» che faceva tanta paura viene alla fine dissipato dal corso delle vicende. Possiamo solo augurarci sinceramente che lo stesso accada per le ombre che si prospettano dietro le urne di domenica.

 * Responsabile del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo,  
Scrittore ed Editorialista.

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