del ruolo internazionale
della democrazia
--di Giuseppe Savagnone*
Il
comprensibile entusiasmo dei giornali e dell’opinione pubblica per la
liberazione di Cecilia Sala rischia di far perdere di vista la
problematicità del contesto in cui è maturato il successo dell’operazione
diplomatica della nostra premier, sulla linea del suo proposito di ridare
all’Italia il prestigio che, secondo lei, aveva perduto a livello
internazionale.
Un
richiamo a tale contesto viene dal fatto che quel successo è stato reso
possibile dall’incontro cordiale della Meloni col presidente eletto degli Stati
Uniti e dalla voce – subito smentita da Palazzo Chigi – che in questa occasione
sia stato stretto un accordo con Elon Musk per aderire al sistema satellitare
di SpaceX.
Ciò
che è in gioco, però, va ben al di là delle singole questioni e riguarda la
posizione dell’Italia di fronte alla rivoluzione che si è verificata nello
scenario mondiale con l’ascesa di Donald Trump al vertice del paese-guida
dell’Occidente e del ruolo assunto dal suo ormai inseparabile partner Elon
Musk.
Nel
suo primo discorso da presidente eletto, Trump ha fatto delle dichiarazioni che
è molto difficile situare nel quadro della prassi delle democrazie occidentali
così come finora le si è concepite.
Particolare
impressione ha suscitato la sua risposta a un giornalista che gli chiedeva se
il suo progetto di annessione della Groenlandia e di riconquista del canale di
Panama escludesse comunque l’uso della forza militare. «Non posso dare
assicurazioni su nessuna delle due questioni», ha risposto.
Riguardo
alla Groenlandia, Trump ha spiegato che gli USA devono ottenerne il controllo
per motivi di «sicurezza nazionale», affermando che «nessuno sa se la
Danimarca» – lo Stato di cui la Groenlandia fa parte – «ha un diritto legale»
su di essa. Ha inoltre dichiarato che la popolazione dell’isola potrà
«decidere sull’indipendenza».
Quanto
a Panama, nel suo discorso il neopresidente americano ha giustificato l’ipotesi
dell’uso della forza per la sua riconquista dicendo: «Abbiamo bisogno di
sicurezza economica, il canale di Panama è stato costruito dai militari,
non mi impegno ora a fare questo, ma potrebbe essere quello che dovremo fare»,
e sottolineando che il canale di Panama «è vitale per il nostro Paese, ora è
gestito dalla Cina. Noi abbiamo dato il canale a Panama non alla Cina, e loro
ne hanno abusato».
Forse
ancora più impressionante è stata la presa di posizione nei confronti del
Canada. Il prossimo inquilino della Casa Bianca ha detto di aver
l’intenzione di usare la «forza economica» (applicando dazi) nei confronti
dello Stato vicino. Ma l’obiettivo è che esso diventi il 51° Stato
americano.
«Potremmo
liberarci di quella linea di confine costruita artificialmente e sarebbe anche
molto meglio per la sicurezza nazionale». Un progetto confermato da fatto che
Trump ha pubblicato, sul suo social «Truth», una mappa in cui il Canada far
parte degli Stati Uniti.
Il
neo-presidente ha anche voluto lanciare un avvertimento al Messico,
responsabile, a suo avviso dell’immigrazione irregolare e della penetrazione
della droga. «Cambierò il nome al Golfo, lo chiamerò Golfo d’America. Come
suona bene!», ha detto.
Ma
i suoi strali sono stati rivolti anche agli alleati della NATO, ai quali
ha ribadito la necessità di aumentare le spese per la difesa se non vogliono
perdere l’ombrello americano con l’uscita degli Stati Uniti dall’Alleanza. «Se
lo possono permettere tutti», ha sostenuto Trump, «ma dovrebbero pagare il 5%
del PIL, non solo il 2%».
È
la logica del sovranismo: «Ci stiamo avvicinando all’alba dell’età dell’oro
dell’America», ha concluso, davanti ai suoi sostenitori in delirio.
Il
sovranismo e l’Occidente
Siamo
davanti a una visione che, secondo la valutazione di un osservatore acuto
come Vittorio Parsi, «seppellisce il concetto di Occidente, che è quello invece
che ha costruito il mondo del secondo dopoguerra e fino all’altro ieri». Ma
che, soprattutto, cancella ogni riferimento al diritto internazionale e al suo
fondamento etico, in nome del primato assoluto della «sicurezza nazionale»
degli Stati Uniti e dei loro interessi economici.
Le
risposte dei potenziali aggrediti
Le
risposte a questo discorso non hanno tardato ad arrivare. «La Groenlandia
appartiene ai groenlandesi e non è in vendita», ha avvertito la premier danese
Mette Frederiksen, mentre re Frederik ha cambiato appositamente lo stemma reale
per inserirvi i simboli di Groenlandia e isole Faroe.
E
il ministro degli Esteri panamense Javier Martinez-Acha ha ribadito che la
sovranità del Canale di Panama «non è negoziabile (…). Il Canale
appartiene ai panamensi e continuerà ad essere così».
Anche
il Canada ha risposto alle minacce di dazi da parte di Donald Trump dichiarando
che non «farà nessun passo indietro. Le dichiarazioni del presidente eletto
Trump dimostrano una totale incomprensione di ciò che rende il Canada un paese
forte. Non ci arrenderemo mai di fronte alle minacce», ha dichiarato su X la
ministra degli Esteri Melanie Jolie. Poco dopo, il primo ministro dimissionario
Justin Trudeau ha aggiunto: «Mai e poi mai il Canada farà parte degli Stati
Uniti» .
L’appoggio
di Musk al neonazismo tedesco
Di
questo sovranismo senza regole morali Musk è, da parte sua, il profeta a
livello mediatico, con la sua rete di comunicazione appoggiata su 67.000
satelliti, a cui anche l’altro grande padrone del mondo mediatico, Mark
Zuckerberg, si è ultimamente allineato, con quella che molti quotidiani
hanno definito una «resa» all’ex concorrente ormai onnipotente.
Perché
Musk non è ormai solo un imprenditore, ma un soggetto politico che
interferisce, col suo potere economico e mediatico, nella vita interna di vari
Stati. Come abbiamo già visto nelle critiche a quei magistrati italiani che
ostacolano i progetti del governo italiano in tema di migrazioni.
Recentissime,
poi, sono le prese di posizione di Musk a favore di Aletrnative für Deutchland,
il partito tedesco di estrema destra, con forti ascendenze neonaziste, che
attualmente è in Germania al secondo posto.
In
una conversazione di 75 minuti con la candidata alla Cancelleria, Alice Weidel,
trasmessa in questi giorni sulla propria piattaforma X – a poco più di mese
dalle imminenti elezioni tedesche – , il tecnomiliardario ha collegato la linea
di Trump a quella di Alternative für Deutchland: «I tedeschi devono votare per
il cambiamento, come hanno fatto gli americani, e per questo raccomando con
forza di votare la Afd, è puro buon senso. Solo Afd può salvare la Germania,
fine della storia». La stessa logica che sta portando Musk a sostenere con
ingenti finanziamenti l’estrema destra britannica, come aveva fatto con
Trump nella campagna per la Casa Bianca.
Siamo
davanti, insomma, a un dichiarato progetto politico-ideologico, di cui Trump,
negli Stati Uniti, è l’espressione istituzionale – qualcuno, maliziosamente,
dice “il braccio” – , e Musk, a livello planetario, quella culturale e
finanziaria (“la mente” e il “portafoglio”).
La
posizione della Meloni
Questo
è il contesto in cui si è svolta la celebrata “missione” della Meloni, della
cui visita Trump ha peraltro parlato come di un atto di omaggio: «La premier
italiana Meloni è volata fin qui per poche ore solo per vedermi».
Non
sono parole che definiscono una partnership e che sembrano piuttosto
indicare un vassallaggio. E in effetti uno Stato sovrano non avrebbe avuto
bisogno di chiedere il permesso per negare l’estradizione chiesta da un altro
Stato. Il fatto è che il sovranismo di quello più potente può coesiste con gli
altri sovranismi solo assoggettandoli e capovolgendoli, così in una dipendenza
che è il loro contrario.
Certo
è che la nostra premier, nella sua conferenza stampa di inizio d’anno, non ha
detto una parola di critica al discorso di Trump, che pure ci riguarda
direttamente, sia per la parte che concerne l’eventuale attacco militare alla
Danimarca, che fa parte sia dell’UE che della NATO, sia per la
richiesta di investire il 5% del PIL in spese miliari (l’Italia attualmente non
riesce neppure ad arrivare al 2%).
Tanto
meno – dopo aver infinite volte ripetuto, per Ucraina e Israele, la
condanna verso chi aggredisce e l’appoggio incondizionato all’aggredito – ha
fatto un cenno di solidarietà agli Stati minacciati da Trump.
Anzi
ha definito il presidente americano «una persona che quando fa una cosa la fa
per una ragione» e ha ripreso quasi alla lettera le sue argomentazioni,
ricordando che «il canale di Panama fu costruito a inizi del ‘900 dagli Stati
Uniti, ed è fondamentale per il mercato mondiale e per gli Usa. La Groenlandia»
– ha continuato – «è un territorio particolarmente strategico, ricco di materie
prime strategiche: sono territori su cui negli ultimi anni abbiamo assistito a
un crescente protagonismo cinese. Per il Canada si potrebbe fare un
ragionamento simile».
In
conclusione, Meloni – pur dicendosi personalmente convinta che l’attacco
militare non ci sarà – non mette in discussione la nuova impostazione data da
Trump e la condivide.
Il
futuro della democrazia
Nella
sua conferenza stampa la nostra premier ha parlato anche di Musk, sostenendo
che «non è un pericolo per la democrazia» e che l’eventuale
affidamento della sicurezza delle nostre comunicazioni militari alla rete
satellitare Starlink da lui controllata è solo un problema tecnico, che verrà
risolto nelle sedi competenti.
Interpellata
sul sostegno elettorale dato da Musk ad Alternative für Deutschland, ha
risposto che ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero. Fingendo di non
sapere che Musk non è un qualunque privato, bensì il detentore di un
potere immenso che ormai sembra deciso a sfruttare senza scrupoli per un progetto
politico in sintonia con quello ex nazista. È saggio mettere il nostro
sistema di comunicazione militare nelle sue mani?
Non
sembra eccessivo chiedersi, davanti a questo quadro quale sia il futuro
dell’Occidente e, in particolare, dove stia andando il nostro paese. È molto
dubbio che il suo prestigio sarà accresciuto dal ridursi ad essere il valletto
di un arrogante padrone come Trump o dal mettersi sotto il controllo di Musk,
magari in cambio di qualche vantaggio economico. Ma soprattutto è dubbio che,
in questo contesto, possa sopravvivere quello che finora abbiamo chiamato
democrazia.
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