Più dei programmi
pesa la didattica:
il tema è
fare appassionare
i ragazzi
- - di Eraldo Affinati
La cosa peggiore che
potremmo fare nel riflettere sulle nuove indicazioni nazionali appena
presentate dal ministro Giuseppe Valditara per il primo ciclo di istruzione,
ovvero dalla scuola dell’infanzia alle superiori di I grado, sarebbe quella di
strumentalizzare l’auspicato dibattito alimentando in modo precostituito le pur
inevitabili contrapposizioni. Se c’è un luogo dove dovremmo trovare punti
d’intesa cercando una sintesi complessiva, a partire dai fondamenti del sapere,
è proprio questo. Senza dimenticare, è ovvio, la natura convenzionale dei
programmi scolastici che non rappresentano una verità assoluta, bensì soltanto
ipotesi di lavoro conoscitive.
Stiamo parlando, non
dimentichiamolo, della formazione culturale delle future generazioni,
umanistica dal momento che su quella scientifica si è già legiferato, tenendo
presente che si tratta di criteri generali di massima, i quali dovranno poi
calarsi nelle realtà particolari degli istituti: il che può fare tutta la
differenza del mondo. Spesso e volentieri le singole scuole, grazie al regime
dell’autonomia, praticano sperimentazioni che sono in linea con tali
indicazioni: pensiamo, ad esempio, allo studio del latino come materia
opzionale; oppure al maggiore spazio da riservare alla musica e alle arti: in
tale direzione nell’istruzione italiana esistono eccellenze che potrebbero
essere prese a modello.
Ma, al di là di questo,
ciò che davvero conta, prima ancora delle enunciazioni programmatiche, è la
concreta ricaduta nell’attività didattica quotidiana. Ad esempio, chi potrebbe
non essere d’accordo sull’intensificazione della letteratura e della grammatica?
Epica e saghe nordiche: certo, questi sono da sempre campi privilegiati per
ogni maestro consapevole, ben sapendo quanto i più piccoli possono essere
trascinati così nell’apprendimento creativo.
Filastrocche e poesie da
imparare a memoria? Perché no? Ma bisogna saper appassionare bambini e ragazzi.
Come si fa? Qui dovrebbe cominciare la nostra discussione. Formare i docenti
resta decisivo. Scrivere i titoli dei programmi da svolgere rappresenta soltanto
il primo passo, peraltro con il rischio di risultare fuorvianti. Pensiamo alla
ventilata abolizione della cosiddetta geostoria nelle superiori. Se con questo
si vuole intendere il ripristino dello studio della geografia siamo
assolutamente favorevoli: lo riteniamo anzi fondamentale.
Tuttavia privilegiare la
storia d’Italia, dell’Europa e dell’Occidente, può nascondere qualche insidia.
Ho ancora negli occhi lo sguardo stupefatto di una bambina di scuola media che
cercava di tracciare sul mappamondo il viaggio compiuto da un suo compagno di
classe appena arrivato dall’Africa: un’esperienza entusiasmante a cui ogni
insegnante vorrebbe assistere, in quanto avrebbe la possibilità di spiegare ai
propri alunni il tema affascinante dell’origine.
Qual è la stazione da cui
partiamo? Tu pensi che la tradizione da cui discendi appartenga solo a te, poi
ti accorgi che noi esseri umani siamo sempre cresciuti intrecciati gli uni agli
altri, collegati da nessi imperscrutabili, ma persistenti: tocchi una
nervatura, fai vibrare l’intera pianta. I bambini lo intuiscono in modo
istintivo: sta a noi farglielo comprendere davvero. Raccontare la storia come
se fosse una grande favola? Attenzione a non banalizzare: bisogna insegnare a
utilizzare le fonti. Se, sin dalla più tenera età, cominciassimo a fare
semplice divulgazione, come se la scuola fosse un programma televisivo, non
renderemmo un buon servizio ai nostri figli. Soprattutto oggi che, di fronte
alla rivoluzione digitale, siamo chiamati a ripristinare le gerarchie di valore
nel grande mare della Rete.
Un discorso a parte va riservato al giusto richiamo nei confronti dei testi sacri. In Israele la Bibbia è una materia vera e propria che ogni alunno impara a conoscere sin da piccolo. Nelle nostre scuole invece viene spesso ridotta a schema frettoloso, appunto estemporaneo, scheda riassuntiva. Quando va bene, l'insegnante, dopo averne letto alcune pagine dall'antologia di epica, passa subito all'Iliade e all'Odissea.
Esistono profonde ragioni storiche che spiegano questa falla clamorosa, sulle quali sarebbe lungo discettare, ma il paradosso culturale persiste e, nella sua gravità, continua a interrogare tutti noi: stiamo parlando della radice dell’Occidente.
Pensiamo soltanto ai generi letterari presenti nella Bibbia: scrittura sapienziale, vicenda storica, racconto genealogico, annuncio profetico, tavola legislativa, inno poetico.
I sentimenti
umani, così come noi li concepiamo, derivano da quei testi; il nostro modo di
stare assieme, anche; perfino i sogni che facciamo e faremo sono custoditi lì.
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