come via
per superare la guerra.
«L’unica possibilità».
Ad affermarlo è fratel Enzo Bianchi:
«Siamo alla vigilia di una grande guerra mondiale.
La fraternità è da vivere con lo stesso impegno
avuto per la libertà e l’uguaglianza,
come qualcosa di politico per cui combattere.
Intervista a ENZO BIANCHI
di Chiara Genisio
«Molto
importante. Non ho mai perso la consapevolezza di essere figlio di uno
stagnino, di venire dal Monferrato da una famiglia povera; nella mia vita avrei
mai pensato di stringere la mano a un Papa, di diventare poi con Benedetto XVI
e con Francesco, in un certo senso, un amico. La Prefazione mi è
giunta come un dono grande, un segno di affetto di papa Francesco, di un suo riconoscimento soprattutto dopo
un periodo burrascoso, in cui sembrava che ci fossero molte diffidenze verso di
me. Quindi, non solo ringrazio Francesco che, in tutto questo tempo, con lettere e
messaggi mi ha dato segni di affetto, di confidenza, di rassicurazione, ma lo
ringrazio perché ha messo anche un sigillo su quello che scrivo, su quello che
può essere il mio insegnamento, la mia eredità».
Lei
a un certo punto cita che Francesco identifica la questione della fraternità
come una cosa dei credenti di tutte le religioni, ma lei dice no: è una
questione dell’umano...
«E
aggiungo anche dei non credenti. Secondo me la fraternità è universale.
Dobbiamo stare attenti a non fare una specie di “Onu dei credenti” in cui al
centro ci sarebbero i monoteismi, poi le altre religioni e le altre
spiritualità ai bordi. L’uomo non è definito dal credere o dal non credere, ma
dal suo operare».
«Sì.
Noi certamente ci sentiamo confermati nella fraternità, perché diciamo che
l’unico nostro padre è Dio. Ma i non credenti possono sentire la fraternità
come imperativo avvertito dalla coscienza umana come decisivo; è un cammino al
quale sono chiamati tutti gli uomini e le donne della terra. L’umanità è una:
ciascuno o si colloca in relazione con altri e si umanizza o sperimenta un
cammino individualistico che ha come esito la barbarie».
«Una
responsabilità in più».
«La
Chiesa o è una fraternità oppure non è Chiesa di Cristo. La Chiesa italiana non
sempre sente quello che dice Francesco, non sempre ascolta le voci più vive. È una
Chiesa ancora troppo lenta; al Sinodo non c’è un vero tema di rinnovamento,
manca l’invenzione, la scoperta di un segno dei tempi nuovi... Non si
percepisce un’urgenza nuova nella Chiesa italiana. Sono ancora valide le
indicazioni pastorali dell’inizio del 2000».
«Occorre
avere del coraggio».
«C’è
in tutta la Chiesa, forse un po’ meno nelle Chiese del Nord. Le donne non sono
ancora valorizzate come dovrebbero. Abbiamo un Papa che è più profeta e più avanti di quel che è il
popolo di Dio».
«I
giovani non sentono neanche la Chiesa lontano, per loro non esiste più. Viviamo
un tempo di esculturazione del cristianesimo A volte parlando con loro mi
dicono che la Chiesa non sanno cosa sia. Vivono nell’indifferenza verso tutto,
con l’obiettivo di stare bene con sé stessi. Ci mancano dei corridoi di
formazione per i giovani. Sono preoccupato, in questo periodo sto lavorando con
gli Scout, un’agenzia che fa formazione e che aiuta a crescere umanamente e
fornisce una grammatica umana».
«No.
Io credo che la fonte sia l’assiduità alla parola di Dio. Io sperimento che
l’assiduità alla parola di Dio mi infonde un coraggio, una forza per cui non
temo nulla. Mi fa dire quello che devo dire a chiunque; non ho paura e affronto
anche quelli che mi calunniano o mi hanno calunniato. Se la parola di Dio viene
meno anche per un giorno, io mi sento smarrito e mi sento debole».
«Sì,
a leggere di più la parola di Dio. Attaccarsi al Vangelo perché il Vangelo è
Gesù Cristo e Gesù Cristo è il Vangelo».
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