lunedì 21 luglio 2025

RETROTOPIA

 


“Il mondo 

nelle mani dei potenti

 (ultrasettantenni)

 prigionieri del passato”

 


-       -di Mauro Magatti

-        Con Trump, Modi, Putin e Xi sembra avverarsi la previsione di Bauman sulla “retrotopia”: la tendenza a rifugiarsi in visioni idilliache del passato per sfuggire alle incertezze del presente.

Oggi il potere globale è saldamente nelle mani di ultrasettantenni (maschi) cresciuti all’epoca della Guerra Fredda e del mondo diviso in blocchi: Donald Trump classe 1947, Narendra Modi 1950, Vladimir Putin, 1952, Xi Jinping 1953.

E potremmo aggiungere il brasiliano Lula del 1945 e il turco Erdogan, il più “giovane” del gruppo, del 1954.

Evaporata l’idea della globalizzazione e della crescita economica lineare – attorno a cui per un trentennio si erano conformate il pensiero e le pratiche delle élites planetarie – ora il pendolo oscilla pericolosamente verso la polarità opposta, con un allineamento all’idea di un mondo diviso e destinato fatalmente al conflitto economico se non alla guerra armata.

Sembra così avverarsi la previsione di Zygmunt Bauman che, in una delle sue ultime opere, aveva parlato di “retrotopia”, della tendenza cioè a rifugiarsi in visioni idilliache del passato per sfuggire alle incertezze del presente.

Così, Xi sogna la “grande rinascita della nazione cinese” guardando alle glorie imperiali. Putin vuole “rimettere insieme” i pezzi dell’Unione Sovietica e della Russia zarista, rivendicando territori e identità con la forza.

Trump, col suo “make America great again”, scuote il mondo intero con decisioni di cui l’unica razionalità è l’interesse nazionalistico.

E Modi persegue una politica identitaria immaginando l’India come potenza regionale.

Tutti progetti politici che pescano nel mito del passato, non nel futuro.

Che si tratti di scelte commerciali, politiche ambientali, migrazioni o conflitti armati, la retorica è sempre la stessa: noi contro loro.

L’America di Trump contro la Cina, la Russia contro l’Occidente, la Cina contro il “contenimento” statunitense.

Non c’è più spazio per la costruzione di beni comuni globali.

La politica mondiale è oggi caratterizzata da una potente vena nostalgica.

Non ci sono idee nuove, solo varianti dello stesso tema: recuperare, restaurare, ripristinare.

Non c’è una visione di come potrebbe essere il mondo domani, solo il desiderio di ritornare a quello di ieri.

Le grandi trasformazioni tecnologiche, i cambiamenti climatici, la mutazione delle forme di lavoro e di vita sembrano sfuggire all’agenda dei governi.

È come se questi leader – e le élite che li sostengono – non riuscissero a immaginare un mondo che non sia già esistito.

Colpisce altresì, come a questi protagonisti del nostro tempo sfugga la consapevolezza della fine.

Essere nell’ultima parte della loro vita non li spinge a moderare la volontà di potenza.

A usare la saggezza accumulata nel corso di una vita intera.

Al contrario, per non lasciare spazio a ciò che verrà dopo di loro, essi trascinano interi popoli – e generazioni più giovani – nel vortice dell’odio e della guerra.

Il loro sguardo fisso al passato alimenta conflitti che nessuno vorrebbe più combattere: guerre territoriali nell’era della crisi climatica, muri nell’epoca della mobilità, armi nucleari nell’era delle emergenze sanitarie globali.

Il problema, allora, non è anagrafico.

È generazionale.

Fatica a realizzarsi quel ricambio che è necessario per aprire pagine nuove della storia.

Invece di accogliere l’idea che ogni generazione ha diritto di reinventare il mondo a modo suo, i leader attuali vogliono imporre la loro idea di mondo fino all’ultimo respiro.

Di conseguenza, il cambiamento è lento e doloroso.

Con un conflitto intergenerazionale che cova sotto la cenere: molti giovani vedono il loro futuro sequestrato da chi guarda solo indietro.

Non basta la tecnologia a rendere il mondo moderno, se la politica resta prigioniera del passato.

Servono idee nuove, all’altezza delle sfide del tempo.

Che possono venire solo da chi non è cresciuto dentro le paure della Guerra Fredda o il sogno infranto della globalizzazione.

La retrotopia è una trappola che rischia di costare carissima.

Perché la nostalgia è comprensibile, ma non è in grado di disegnare un programma politico in positivo.

Per uscire dalle spire di un potere che non sa morire e permettere finalmente alla svolta generazionale di fare il suo corso, occorre prestare ascolto e dare spazio alle sensibilità che affiorano, al di là delle tante contraddizioni, nelle teste e nei cuori delle nuove generazioni. Come avverrà tra qualche giorno a Roma, col Giubileo dei giovani.

Non per rottamare, ma per rigenerare.

Non per dimenticare il passato, ma per dare vita a una nuova stagione di creatività.

Di fronte alla complessità del mondo che abbiamo costruito, non serve camminare con la testa rivolta al passato.

Serve camminare in avanti con gli occhi fissi verso l’orizzonte e i piedi ben piantati sulla terra.

www.avvenire.it

 

 

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