Epifania del Signore
Vangelo: Mt 2,1-12¹
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme ²e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». ³All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. ⁴Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. ⁵Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
⁶E
tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele».
⁷Allora
Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il
tempo in cui era apparsa la stella ⁸e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate
e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo
sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
⁹Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare,
li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il
bambino. ¹⁰Al vedere la stella, provarono una gioia
grandissima. ¹¹Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre,
si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in
dono oro, incenso e mirra. ¹²Avvertiti in sogno di non tornare da Erode,
per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Commento di di Enzo Bianchi
Alla nascita e alla morte di Gesù risuona per lui lo stesso titolo, “Re dei
giudei”. Alla nascita – è il testo che oggi la liturgia ci propone – lo dicono
i magi e lo ripetono gli scribi ed Erode; alla morte lo fa scrivere Pilato su
un cartello (cf. Mc 15,26 e par.; Gv 19,19), lo usano i soldati per schernirlo
(cf. Mc 15,18; Mt 27,29; Gv 19,3), lo leggono tutti i presenti all’esecuzione
barbara della crocifissione (cf. Gv 19,20). Alla nascita e sotto la croce vi è
la stessa rivelazione: l’umanità è una nella ricerca di Dio e nel ripudio di
Dio, o meglio nel credere al bene con speranza oppure nel non credere al bene,
preferendo la violenza, il male.
Dunque
il vangelo dell’Epifania, della manifestazione dell’identità di Gesù alle
genti, a quelli che non erano ebrei, figli di Israele, è un vangelo decisivo,
che dà alla festa odierna un particolare significato: Gesù è nato Re dei
giudei, Re del popolo di Dio, ma per tutti, e tutti possono cercarlo e andare a
lui. In questo racconto di Matteo ci sono eventi, eventi nella storia, ma c’è
anche una lettura che l’evangelista fa nella fede. Nasce un bambino in una
semplice famiglia formata da un artigiano, Giuseppe, e dalla sua giovane
moglie, Maria; nasce in una stalla, riparo per il gregge nella campagna di
Betlemme, eppure alcuni uomini da lontano, dall’oriente, o meglio dalla loro
sapienza “orientata”, nella loro ricerca sono portati a vedere in questa semplice
nascita il compimento del loro cercare, la pienezza della loro attesa.
I
magi non conoscono le Scritture né la lingua o le consuetudini della terra
verso cui si mettono in viaggio. Sono talmente sprovveduti da chiedere
informazioni a Erode circa la nascita del nuovo re, ma sono uomini abitati dal
desiderio, dall’inquietudine e dunque in ricerca, in attesa. Tutti gli umani di
ogni tempo e cultura hanno in comune soprattutto la ricerca del bene, anche se
poi contraddicono questo loro desiderio così impegnativo. In ogni essere umano
c’è un anelito al bene, alla vita piena, alla pace, e questo fuoco che abita
gli umani li spinge a cercare, a mettersi in cammino, a dichiarare per loro
insufficiente la terra che abitano, l’orizzonte consueto. Per questo cammino
gli umani cercano e trovano come segnali ciò che possono: il cielo, la terra,
il mare e anche le creature animate e inanimate con le quali sanno comunicare.
In
quel lungo pellegrinaggio, soprattutto della mente e del cuore, alcuni
sapienti, i magi, hanno guardato alle stelle, alla sabbia del deserto, alle
bestie che cavalcavano, al bagaglio che trasportavano con sé, per vivere e per
fare doni. Per chi scruta l’orizzonte sempre sorge una stella, sempre – come
dice il nostro brano evangelico – c’è un oriente, un segno che sorge
all’orizzonte, che invita al cammino. E così è avvenuto per quei mágoi,
che dall’oriente (apò anatolôn) giungono a Gerusalemme, la città santa,
l’ombelico del mondo (cf. Sal 48,3; cf. Ez 5,5; 38,12). Essi chiedono: “Dov’è
il Re dei giudei che è nato?”, proprio ai giudei che non si erano accorti della
nascita del loro Re. Non se n’era accorto il re che regnava in quel momento,
Erode, non se n’erano accorti i sacerdoti del tempio di Gerusalemme e neppure
gli esperti delle sante Scritture, gli scribi. Ecco lo scandalo: chi è deputato
a conoscere e a osservare ciò che accade non sa, chi è capace di interpretare
puntualmente le Scritture in riferimento al Re dei giudei lo annuncia con
chiarezza e certezza, eppure in una situazione di radicale accecamento. È così,
e ancora oggi avviene così: si possono conoscere le parole di Dio contenute
nelle Scritture, si possono citare e spiegare con competenza, si possono
addirittura insegnare agli altri, eppure, nel contempo, restare in una
situazione di totale cecità o sordità, manifestazioni della sklerokardía,
della callosità del cuore che impedisce di discernere la presenza dell’azione
di Dio.
Questa
venuta dei magi causa però inquietudine, turbamento da parte dei rappresentanti
del potere politico e di tutta Gerusalemme perché, quando un potere ne vede
sorgere un altro teme e trema, sentendosi minacciato. Da quell’ora
l’inquietudine e il turbamento non cesseranno, fino al giorno in cui questo Re
dei giudei che è nato andrà alla morte, rivestito di un manto di porpora, con
una canna come scettro in mano, con una corona di spine sulla testa, deriso,
sbeffeggiato e infine appeso nudo a un palo, la croce!
Eppure
quei sapienti obbedienti alle Scritture dei giudei, anzi ri-orientati dalle
Scritture, riescono nuovamente a vedere la stella che, dopo una lunga eclisse,
li conduce fino al bambino Re Messia, a Betlemme, dove trovano ciò che
cercavano ma che certamente non si aspettavano così: non una reggia, non una
corte regale in festa, non lo sfarzo degno della nascita di un principe, ma
semplicemente un bambino e sua madre. Contemplano non quello che avevano tanto
atteso e cercato, ma altro: l’imprevedibile nascita di un povero bambino in una
famiglia semplice che ha trovato riparo in una grotta. Tre sono i segni che i
magi hanno ascoltato interpretato: la stella apparsa nel cielo, un evento di
questo mondo che va assolutamente percepito e decifrato; le sante Scritture,
che contengono quella parola di Dio che illumina e rivela ciò che non possiamo
sapere da noi stessi; l’ardere del cuore che chiede di fare il viaggio,
l’inquietudine che spinge a cercare, ad andare verso una promessa.
E
così, come convertiti, mutati nella loro mente e nel loro cuore, i magi
riconoscono la vera regalità nell’anti-regalità, la regalità potente e
universale nella debolezza umana, in un infante incapace di parlare e di essere
eloquente con la parola. Eppure capiscono, giungono alla fede, sebbene non
siano destinatari né della rivelazione né delle sante Scritture; e non a caso
Matteo annota che fanno ritorno al loro paese attraverso un altro cammino, cioè
un altro modo di pensare e di vivere; “convertiti”, dunque.
Così
avviene la rivelazione, per i giudei e per le genti: solo guardando alla
debolezza di Gesù, al suo essere piccolo, si può comprendere la sua vera
regalità, la sua vera identità, non plasmata in base alle immagini dei re e dei
potenti di questo mondo. Per altre strade gli altri vangeli diranno la stessa
cosa: contemplazione (theoría) di Gesù è il vederlo crocifisso (cf. Lc
23,48); visione che porta alla fede in Gesù è vederlo come seme caduto a terra
(cf. Gv 12,24). Quei magi, convertiti alla vista del bambino in quella povera
famiglia, in quella greppia, adorano, si prostrano e gli offrono in dono oro,
incenso e mirra, prodotti preziosi dell’oriente, elaborati dalla cultura delle
genti. Ciò che Gesù risorto chiederà ai discepoli – “Andate e fate discepole
tutte le genti” (Mt 28,19) – ha qui la sua primizia, perché nei magi le genti iniziano
a farsi discepole di Gesù stesso. Le genti, infatti, divengono discepole quando
cercano con sincerità, si aprono con audacia e si mettono in cammino senza
indugio.
Nell’Epifania del
Re dei giudei a Betlemme comincia a manifestarsi quello scisma che si consumerà
di fronte a Gesù: da una parte il riconoscimento e l’adorazione delle genti,
dall’altra il non riconoscimento da parte dei figli della promessa. Eppure,
proprio in questo evento Gesù, l’umanizzazione del Dio di Israele, appare come
luogo di incontro tra le genti e il popolo di Dio, perché figlio di Israele, Re
dei giudei, ma riconosciuto e adorato come Re anche dall’umanità priva della
promessa.
Quanti
uomini e quante donne, dall’oriente e dall’occidente, dal nord e dal sud, come
questi magi cercano il bene, si sentono viandanti, in cammino, si esercitano a
riconoscere la salvezza come umanizzazione e si impegnano perché l’umano sia
sempre più umano. Lo sappiano o meno, sono persone alle quali ogni bambino che
nasce, ogni umano che viene al mondo deve apparire con la dignità di
un re; come un fratello o una sorella che attende da noi il nostro oro (ciò che
abbiamo), il nostro incenso (il profumo sprigionato dalla nostra presenza), la
nostra mirra (ciò che sappiamo sacrificare di noi stessi, spendendo la vita per
l’altro).
L’Epifania è
manifestazione della vera regalità a tutti, cristiani e non cristiani. Ma ormai
ci incamminiamo verso la Pasqua, come ricorda l’indizione della data di questa
“festa delle feste”, che oggi viene fatta nelle chiese d’oriente e d’occidente:
la Pasqua, quando il Re dei giudei farà la fine di chiunque osa pensare e
mettere in pratica una regalità come servizio dell’altro e non come potere
violento. Ma l’ultima parola spetta a Dio, al Dio di Gesù, colui che lo ha
costituito Signore e Messia per sempre, Re dei Giudei e dunque Re
dell’universo.
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