lunedì 30 maggio 2016

EDUCARE ALLA PERSONA, ALLA CARITA', ALLA VERITA'

EDUCARE ALLA PERSONA, 
ALLA CARITÀ', ALLA VERITÀ'

di Gianfranco Ravasi



      «L’impronta iniziale che uno riceve dall’educazione (paideia) segna anche tutta la sua condotta successiva». Queste parole di Platone nel suo dialogo Repubblica (IV, 425b) possono essere assunte a emblema per la riflessione su un tema che è capitale nella missione di una università. Già nell’antichità classica si confrontavano due modelli, di per sé distinti ma non alternativi.

    Da un lato, c’era la scuola retorica che esaltava l’eloquenza, cioè la formazione nella comunicazione della verità e dei messaggi. D’altro lato, c’era la scuola filosofica che insisteva sulla necessità di una fondazione e di una formazione nei contenuti.

     Naturalmente il primato deve andare ai contenuti e alla loro selezione e verifica. Tuttavia, come suggestivamente ammoniva nei suoi Saggi il filosofo francese Montaigne, non basta arredare la testa di temi vari e di nozioni perché fondamentale è «la tête bien faite plutôt que bien pleine» (I, 25), cioè modellare il pensare più che colmare il cervello di dati. È il «travailler à bien penser», l’impegnarsi a pensare bene e correttamente come «principio della morale», per citare un altro filosofo francese, Pascal nei suoi Pensieri (n. 347).

    È, questo, un monito rilevante in una società come la nostra nella quale la civiltà informatica sta generando una sorta di deriva per la quale alla bulimia dei contenuti indiscriminatamente offerti, soprattutto ai giovani, “nativi digitali”, corrisponde una radicale anoressia di metodo, di educazione selettiva e quindi di capacità critica. Ora nell’orizzonte tematico immenso dell’educazione noi proporremo liberamente tre percorsi ideali tra i tanti possibili........




sabato 28 maggio 2016

INCREDULITA’ E MATRIMONIO

di don Giulio Cirignano

In relazione alla riflessione circa la complessa realtà familiare c’è un aspetto che, pur presente in molti discorsi, non è tuttavia messo in giusto risalto. Rimane come sotto traccia, quasi inespresso, viziando così ogni serio discorso sul matrimonio. Possiamo formularlo con il cominciare a dire che la rottura dell’esperienza sponsale, oggi così dolorosamente frequente, non è l’aspetto più drammatico della situazione. La semplice rottura è solo una dolorosa conseguenza. C’ è qualcosa di ancora più grave. Cosa? La estraneità crescente rispetto alla esperienza di fede. Questo è il dramma vero  in scena sotto i nostri occhi. Su ciò occorre riflettere attentamente.

     Fino a qualche decennio orsono, la patina o meglio la illusione di una diffusa appartenenza alla esperienza religiosa induceva a considerare l’allontanamento dalle consuete norme morali del matrimonio e della sessualità come una personale, parziale disobbedienza  rispetto ad una visione che si riteneva accettata in linea generale da tutti. La patina di diffusa cristianità  rendeva ......

giovedì 26 maggio 2016

Amoris laetitia

capitolo ottavo
                                                                                                                       di don Giulio Cirignano

        Tutto il capitolo ottavo della esortazione post-sinodale “Amoris laetitia”  è attraversata da una duplice linea. Da una parte il riconoscimento e l’affermazione della visione cristiana del matrimonio, dall’altra la lucida consapevolezza della condizione di fragilità in cui oggi versa l’istituto familiare. Da qui, il costante premuroso invito al discernimento rivolto in particolare ai Pastori per aiutare a vivere la logica della misericordia e della integrazione. La prima linea è arcinota e non merita di essere messa in evidenza.
    La seconda linea di pensiero, invece, molto meno nota e praticata può essere compiutamente indicata attraverso alcune affermazioni del documento. E’ sufficiente citarle per coglierne la portata rivoluzionaria. Sarà bene poi leggere per intero il capitolo, ma mettere subito in risalto alcune delle affermazioni  è più utile di qualsiasi commento. Iniziamo, dunque.
     “ La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero. Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita.” (296).
       “ Si tratta  di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia ‘immeritata, incondizionata e gratuita’ .......

Leggi: AMORIS LAETITIA - cap. 8

giovedì 19 maggio 2016

ETICA E VIRTU', STILE DEL NOSTRO VIVERE

CHE APPETITO HAI?
Etica e virtù nella vita e nella società.
 Un’utopia, una speranza, un impegno

                    di Giovanni Perrone

Secondo Aristotele l'appetito rappresenta la naturale tendenza che spinge ogni uomo a realizzare ciò che egli ritiene “bene”. Il concetto di bene è strettamente connesso al modo di intendere la vita e di porsi nei confronti degli altri.  Il recente studio dell’Ocse, Trust in Government, analizzando comparativamente la situazione di 29 Paesi nel mondo nei riguardi della corruzione, evidenzia la necessità che, sin dai primi anni di vita, si insegni e si faccia esercitare l’etica della buona cittadinanza.  Perciò il rapporto richiama la responsabilità di tutte le istituzioni deputate ad aver cura della crescita dei buoni cittadini. Anche i cittadini, però, debbono sapersi prender cura delle istituzioni. Infatti, sovente, sono i cittadini non virtuosi che rendono le istituzioni vuote di valore e ricche di malaffare.
Il vivere eticamente è il prendersi “cura di sé, cura degli altri, cura delle istituzioni” (P. Ricoeur). Si matura la capacità di prendersi cura sin dalla nascita, grazie all'impegno e all'esempio di educatori-accompagnatori e al vivere in ambienti che favoriscono l’esercizio delle virtù. L’etica della cura interagisce con l’etica della giustizia grazie ad un’idea di bene (il cosiddetto bene comune) che accomuna l’io e l’altro. E’ la disponibilità ad “essere pronti”  a migliorare se stessi e  a farsi carico dell’altro, accompagnandolo sulla via del bene, che caratterizza l’agire con cura. L’altro non è solo la singola persona, ma è anche la comunità, l’associazione, l’istituzione, il gruppo.
Non c’è vita etica senza l’esercizio delle virtù. Mi riferisco alle virtù umane e civiche che bene interagiscono con quelle promosse dalla religione, e favoriscono la maturazione del “buon cittadino e del buon cristiano”. “La virtù, infatti, è una disposizione abituale e ferma a fare il bene.  Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia al fine di condurre una vita moralmente buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente e coscientemente pratica il bene. Ogni virtù consente alla persona di dare il meglio di sé, non soltanto di compiere atti buoni. Infatti, con tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete”. Così afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Alcune virtù hanno la funzione di cardine; sono dette cardinali: la  giustizia, la fortezza, la prudenza e la temperanza. «Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Le virtù insegnano, infatti, la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza» (Sap 8,7). Attorno ad esse gravitano le altre virtù, che non sono declamate ma vissute, maturate giorno per giorno, anche nelle piccole scelte ed azioni della nostra vita.
Perciò occorre promuovere e implementare l’appetito del bene. Esso orienta e sostiene nel compiere scelte di qualità e nel far diventare il vivere virtuoso uno stile di vita. E’ un buon appetito che sin dall’infanzia spinge ogni persona a diventare protagonista e a spendersi per crescere e per far crescere in maniera eticamente corretta. A proposito di appetito penso metaforicamente ad un ristorante che riempie la strada di buoni profumi, presenta piatti che stimolano occhi, pancia e cervello,  che offre anche la possibilità di imparare a cucinare piatti prelibati e, nel contempo, coinvolge i clienti nel mettere a frutto ciò che sanno fare. L’esempio, l’apprezzamento e il fraterno accompagnamento trascinano verso il bene. Ogni istituzione,  a partire dalla famiglia, deve essere considerata e vissuta come spazio educativo, luogo eticamente fecondo e significativo, ove ci si nutre di atti virtuosi.
La stessa attenzione alla legalità, oggi sovente richiamata e manifestata, non ha valore se non è strettamente connessa alla virtù della giustizia e al concreto e quotidiano impegno perché la giustizia sia il modo naturale di essere e di agire di ogni persona e di ogni istituzione. Occorre, però, un maggiore e condiviso impegno per garantire a tutti una buona educazione; un’alleanza educativa che accomuni famiglie, scuola, istituzioni civili ed ecclesiali, associazioni e movimenti.
A proposito, Papa Francesco insiste parecchio sulla necessità di educare al buono, al bello e al vero. Ha più volte affermato che “ci sono tre linguaggi: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore, il linguaggio delle mani. L’educazione deve muoversi su queste tre strade. Insegnare a pensare, aiutare a sentire bene e accompagnare nel fare. Occorre cioè che i tre linguaggi siano in armonia; che il bambino, il ragazzo pensi quello che sente e che fa, senta quello che pensa e che fa, e faccia quello che pensa e sente. E così, un’educazione diventa inclusiva perché tutti hanno un posto; inclusiva anche umanamente”. Sono buone indicazioni per una via virtuosa.
Siamo tutti chiamati a profumare di virtù, in modo che il buon profumo riempia case, scuole, istituzioni e aiuti ciascuno a maturare quella cittadinanza attiva necessaria a star bene e a risolvere i complessi problemi del nostro tempo. Un augurio: Che si eviti ogni sorta di  tiepidezza, devianza  o anoressia etica. Il nostro appetito sia sempre di qualità perché bello, buono e vero!

Giovanni Perrone

venerdì 13 maggio 2016

A PROPOSITO DI AMORE SPONSALE

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 Amore coniugale e misericordia



Don Giulio Cirignano *

              Ancora una parola sul recente documento di Papa Francesco.  Nel commentare l’Amoris laetitia, la teologa Lilia Sebastiani così sintetizza il pensiero sulla esortazione: l’esortazione conclude, assume e supera il cammino dei due sinodi.
            Tutti e tre i verbi sono significativi. Il cammino sinodale sulla famiglia è concluso, il Papa ne ha assunto le indicazioni emerse. Ma non si è limitato a questo. Ha superato quella riflessione nel senso che vi ha messo del suo in modo tale che se il Sinodo è concluso non è conclusa la riflessione e la ricerca. “La complessità delle tematiche proposte ci ha mostrato la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali, pastorali”. Continuare con libertà: già questa iniziale affermazione del documento ci consente di comprendere che “Amoris laetitia”  è, come la esortazione incentrata sul gaudio evangelico (E.G.),  molto di più di un documento.
            E’ un evento che, in quanto tale, si pone come discrimine tra passato e futuro. Lo si può anche ignorare, ma proprio perché è un evento, tale ignoranza  estromette dal cammino che la Chiesa sta facendo. Pertanto si può solo invitare, più che a leggerlo, ad abitarlo. Gli eventi non si sfogliano, si abitano per coglierne le sfumature  più sottili come gli appelli più urgenti......
    
leggi: AMORE CONIUGALE E MISERICORDIA

lunedì 2 maggio 2016

SORRIDERE .... SORRIDERE .... SORRIDERE - Il sorriso come dono al prossimo

I TRE SORRISI

Educarsi a sorridere, educare al sorriso

“Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale". La provocazione di Papa Francesco non è una battuta casuale e l'idea che i cristiani appaiano tristi non è nuova: “Dovrebbero cantarmi dei canti migliori, perché io impari a credere nel loro Salvatore! Bisognerebbe che i suoi discepoli avessero un aspetto più da gente salvata", diceva Nietzsche.
 Ma come si fa a sorridere quando le preoccupazioni, il lavoro, i piccoli contrattempi e i grandi dolori sono così seri nella vita?

Il primo sorriso è quello fondamentale: ride colui che sta nei cieli, dice la Bibbia. E ancora: la gioia del Signore è la vostra forza. È il sorriso di Dio. La gioia con cui il Creatore contempla ogni sua creatura è il fondamento solido della serenità e della pace di ognuno di noi. Ma non è irriverente pensare che Dio, il Signore dell'universo, sorrida? “Dio deve amarci tanto più in quanto ridestiamo il suo senso dell'umorismo", dice un personaggio creato da Ray Bradbury. “Non avevo mai pensato al Signore come a un umorista", gli viene ribattuto. La risposta è folgorante: “Il creatore dell'ornitorinco, del cammello, dello struzzo e dell'uomo? Oh, ma andiamo!".

Il secondo sorriso è quello con il quale guardo me stesso. Senza perdere di vista la mia umanità, i miei limiti, che non sono necessariamente un difetto e non vanno presi troppo sul serio. Il mio Creatore mi vuole bene così come sono, perché se mi avesse voluto diverso mi avrebbe fatto diverso. “Saper vedere anche l'aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa – disse una volta Benedetto XVI – e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante, e direi che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono volare, perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po' di più, se non ci dessimo così tanta importanza".

Sorridere è un atto di umiltà, vuol dire accettare me stesso e il mio modo di essere, rimanendo lì dove sono in santa pace. Senza prendermi troppo sul serio, perché “la serietà non è una virtù. Sarà forse un'eresia, ma un'eresia molto più sensata dire che la serietà è un vizio. C'è realmente una tendenza (una sorta di decadenza) naturale a prendersi sul serio perché è la cosa più facile a farsi. La solennità viene fuori dagli uomini senza fatica; invece la risata è uno slancio. È facile essere pesanti e difficile essere leggeri. Satana è caduto per la forza di gravità" (Chesterton).

Il terzo sorriso è conseguenza dei primi due. È il sorriso con il quale accolgo chi incontro per caso e le persone con le quali vivo e lavoro. Con affetto e senza prendere troppo sul serio eventuali sbagli o presunti sgarbi. Con un volto allegro. Madre Teresa di Calcutta, ricevendo il Premio Nobel, spiazzò la platea con questo invito: “Sorridete sempre ai vostri familiari. Regalatevi reciprocamente il vostro tempo in famiglia. Sorridetevi".

Il vestito di un uomo, la bocca sorridente e la sua andatura rivelano quello che è, insegna il Siracide. Il sorriso può essere davvero il segno di riconoscimento caratteristico di un cristiano.

Don Carlo Marchi


Convegno Ecclesiale Firenze, maggio 2015