mercoledì 31 maggio 2023

SUPER-INTELLIGENZE ARTIFICIALI E FUTURO DELL'UOMO

Risvolti inquietanti di un’evoluzione tecnologica senza limiti

 Le super-intelligenze artificiali possono decidere di eliminarci

 La stupefacente progressione dell’IA dice che presto potrebbe superare sé stessa, mentre l’umanità non è preparata e i filosofi morali sono in disaccordo sui principi etici. 

Grandi rischi per i lavoratori

 

-  di MATHIAS RISSE

 Viviamo nel secolo digitale e dobbiamo riflettere su come abitare questa fase della vita umana, che potrebbe essere per tutti noi particolarmente favorevole. Gran parte dell’innovazione nel settore digitale è guidata dall’apprendimento automatico (Machine Learning), un insieme di metodi che analizzano la miriade di dati disponibili (Big Data) per individuare tendenze e fare deduzioni. A differenza dei programmi convenzionali, gli algoritmi di apprendimento automatico imparano da soli, attingendo ai dati disponibili. Questi algoritmi si basano sulle cosiddette “reti neurali”, programmi che imitano il modo in cui le cellule cerebrali interagiscono tra loro. In genere, sono il cuore degli sforzi per creare l’intelligenza artificiale (IA). Grazie alla loro sofisticazione e alle loro vaste applicazioni, queste tecniche sono destinate a modificare radicalmente il nostro mondo. Un modo per capire perché tutto questo potrebbe essere un momento di svolta o di rottura è offerto dal paradosso di Fermi, dal nome del fisico italiano Enrico Fermi. Da un lato, è estremamente probabile che esista vita intelligente nell’universo oltre a quella sulla Terra. Ma allora: dove sono tutti? Nonostante il continuo interesse per gli UFO, non abbiamo prove conclusive dell’esistenza di vita extraterrestre. Questo è il paradosso. Una possibile spiegazione è che la vita intelligente muoia ovunque esiste prima di potersi mettere in contatto con la vita intelligente su altri pianeti. Ciò, a sua volta, potrebbe essere dovuto al fatto che la tecnologia (un prodotto dell’intelligenza) genera dinamiche che finiscono con il cancellare del tutto la vita intelligente. O vviamente, non è necessario che sia così. Molti ingegneri e scienziati sociali che adottano un atteggiamento meno speculativo si spazientiscono di fronte a ipotesi apocalittiche. Ma l’elemento da considerare è che le basi dell’era digitale sono state gettate solo alcuni decenni fa, con il progetto di “intelligenza artificiale”, che risale solo alla metà degli anni Cinquanta. Nel complesso, il ritmo del cambiamento è straordinario.

 La produzione di modelli di intelligenza artificiale sembra ora entrare in una sorta di era industriale, ben oltre le fasi precedenti in cui questi modelli erano più artigianali e sperimentali. Questi progressi si fondano sulle scoperte avvenute intorno al 2010, quando i computer sono diventati sufficientemente potenti per eseguire modelli di apprendimento automatico di grandissima portata e Internet ha iniziato a fornire l’enorme quantità di dati per l’addestramento che tali algoritmi richiedono per addestrarsi. Da allora, i progressi concettuali nella programmazione hanno portato alla creazione di software sempre più complessi e sofisticati.

 I supercomputer necessari per consentire ai modelli di IA più avanzati di dispiegare tutta la loro potenza sono diventati così costosi che, a meno di strategie governative per finanziare l’IA nei Paesi più ricchi, è probabile che il settore finisca con l’essere dominato dall’agenda di ricerca di poche aziende private con amplissime risorse.

 Per quanto riguarda l’IA specializzata, all’estremo più alto vi sono gli algoritmi che vincono a scacchi o a Go. Qui il punto non è solo che l’intelligenza artificiale batte i giocatori umani, ma la stupefacente progressione di come ciò sia avvenuto. Inizialmente l’IA ha tratto lezioni dalla storia del gioco condotto da persone, poi ha giocato contro sé stessa, ma in seguito ha imparato da sola le regole e infine ha creato sistemi in grado di apprendere e vincere in diversi giochi (tutto ciò è avvenuto nel giro di pochi anni). Sempre nella fascia alta sono compresi il riconoscimento vocale e l’elaborazione del linguaggio naturale, con l’emergere di modelli linguistici di grandi dimensioni in grado di generare prodotti simili a quelli umani (più recentemente Chat-GPT). Ma lasciando da parte queste tecnologie di alto livello, l’IA specializzata opera già in numerosi dispositivi di uso quotidiano. A differenza delle operazioni specializzate descritte, l’IA generale si avvicina alle prestazioni umane in tutti i settori. Una volta che l’IA generale sarà più intelligente di noi, potrebbe produrre qualcosa di più intelligente di sé stessa, e così via, forse molto rapidamente. Quel momento è noto come la singolarità, un’esplosione di intelligenza che sarebbe probabilmente il più grande evento della storia umana. C erto, la possibilità, la natura e la probabilità di una singolarità sono ancora molto controverse e non siamo affatto vicini a qualcosa di simile. Ma “non siamo vicini” potrebbe significare in termini di capacità ingegneristiche piuttosto che di tempo. Alcune scoperte importanti potrebbero trasformare radicalmente il campo. Il nostro cervello si è evoluto per operare in piccoli gruppi di esseri umani che devono cooperare per procurarsi le risorse naturali per sopravvivere. Nel corso del tempo l’innovazione tecnologica ci ha fornito possibilità di gestione per le quali i nostri cervelli non si sono mai evoluti. Anche dal punto di vista filosofico, siamo tristemente impreparati per questo nuovo mondo. I filosofi morali continuano a essere in profondo disaccordo sui principi fondamentali dell’etica, al punto che non possiamo essere sicuri che le super-intelligenze troverebbero qualcosa di sbagliato nell’eliminarci. Anche la relazione tra mente e corpo è poco compresa, tanto che non abbiamo una risposta generalmente accettata alla domanda se le macchine, oltre a essere intelligenti, saranno anche coscienti. Inoltre, non è chiaro se una combinazione di intelligenza e coscienza possa dare loro anche un’altra cosa che gli esseri umani apprezzano molto: la razionalità pratica, la capacità di esprimere giudizi validi in modo sensibile al contesto.

 In un’epoca di innovazioni tecnologiche è difficile fare previsioni che vadano oltre una finestra di cinque anni. Immaginiamo che le menti più intelligenti dell’epoca si siano riunite nel 1900 per prevedere come sarebbe stato il mondo nel 1920. Alla luce di tutti i cambiamenti provocati dalla Prima guerra mondiale, dobbiamo presumere che si sarebbero sbagliati clamorosamente. Immaginate come nel 1920 le menti più intelligenti avrebbero previsto il mondo del 1940, quelle del 1940 il mondo del 1960 e così via. Pensare a previsioni di questo tipo è un’esperienza frustrante. Il futuro del lavoro è un argomento molto sentito in questo periodo e probabilmente ci impegnerà molto prima dell’ulteriore esplosione dell’intelligenza artificiale. La maggior parte degli esperti ritiene che, come per le precedenti ondate di innovazione, i cambiamenti sul luogo di lavoro modificheranno molte linee produttive e ne elimineranno alcune - ma tutto sommato, una volta raggiunta la fine del tunnel, le cose andranno meglio di adesso. L e persone lavoreranno meno e le occupazioni che rimarranno appannaggio degli esseri umani saranno più interessanti. Ma questa volta potrebbe essere diverso? Una risposta è che le forme precedenti di creazione di ricchezza sono sempre dipese da un ampio sottoproletariato economico. La proprietà della terra è redditizia solo se le persone affittano la terra per lavorarci. La proprietà delle macchine è redditizia solo se la gente compra gli oggetti che le macchine producono. Con la creazione di ricchezza sempre più basata sul controllo dei dati, l’esistenza di una tale sottoclasse economica potrebbe cessare di servire il suo scopo a favore dei ricchi. Molti Paesi europei hanno un sistema di welfare tale da non doversi preoccupare troppo di questo aspetto. Ma negli Stati Uniti la solidarietà a livello sociale è poco sviluppata, e questi progressi, insieme alle guerre culturali in corso, potrebbero spaccare il Paese.

 Uno dei principali creatori e sostenitori della tecnologia nel Ventesimo secolo è stato il matematico John von Neumann. Poco prima di morire, nel 1957, pubblicò “Can We Survive Technology?”, un articolo in cui rifletteva – in qualità di membro della Commissione statunitense per l’energia atomica – sul mondo che la tecnologia stava creando e al cui inarrestabile progresso egli aveva tanto contribuito. Von Neumann cominciava osservando che il nostro Pianeta è ormai troppo piccolo per assorbire gran parte di ciò che potrebbe andare storto con la diffusione della tecnologia e politicamente troppo decentralizzato per gestire bene il suo avanzamento. E concludeva affermando che tutto ciò che sappiamo con certezza è che per andare avanti abbiamo bisogno di “pazienza, flessibilità e intelligenza”. E aveva ragione anche per la situazione attuale di fronte all’Intelligenza artificiale.

 Le forme precedenti di creazione di ricchezza sono dipese da un ampio sottoproletariato economico. Se ora è decisivo il controllo dei dati, l’esistenza di una tale sottoclasse potrebbe cessare di servire il suo scopo a favore dei ricchi.

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martedì 30 maggio 2023

LA MITEZZA COME ESPERIENZA

Un libro dello psichiatra studia la disposizione umana del mite così importante e dimenticata nella vita di ogni giorno «La più radicalmente lontana» da aggressività, superbia e indifferenza tipiche della nostra società

 - di ROBERTO MUSSAPI

 «Avete capito: identifico il mite con il non violento, la mitezza con il rifiuto di esercitare la violenza contro chicchessia. Virtù non politica, dunque, la mitezza. O addirittura, nel mondo insanguinato dagli odi di grandi (e piccoli) potenti, l’antitesi della politica». Chi definisce la mitezza antitetica alla politica è un filosofo del Novecento la cui riflessione riguarda anche profondamente la realtà politica, Norberto Bobbio. In questa sorprendente affermazione Bobbio distingue la politica come arte e mestiere da quella intesa invece come senso di appartenenza alla polis, alla nostra città, comunità. Questa citazione di un pensatore ufficialmente laico, compare all’inizio di un libro toccante, accanto a parole e pensieri di Carlo Maria Martini, sul tema della mitezza: l’autore, Eugenio Borgna, psichiatra e studioso dell’anima, è un maestro. Il suo nuovo libro appena uscito affronta una delle condizioni base di ogni amicizia, e va oltre, fino al senso della vita stessa: Mitezza, (Einaudi, pagine 112, euro 12), che l’autore distingue dalla realtà, pur affine, di mansuetudine: sono due dimensioni buone, necessarie, e appunto affini, ma mitezza forse è più forte, più attiva, scrive Borgna, quando mansuetudine è manifestazione di una bontà meno radicale e profonda.

 Ma sono sfumature: Eugenio Borgna si lancia in un saggio su una dimensione fondamentale: « La mitezza, esperienza umana così importante, e così dimenticata, nella vita personale e sociale, è la più radicalmente lontana dalla aggressività e dalla angoscia, dalla impazienza e dalla fretta, dall’orgoglio e dalla superbia, dalla indolenza e dalla indifferenza, dalla distrazione e dalla sicurezza di sé». Aggressività, angoscia... ognuna di queste parole è scritta preceduta dall’articolo senza apostrofo: a rendere ognuna di esse scandita, assoluta, non scivolante euritmicamente nell’eloquio. Dal libro del Cardinale Martini Beati voi!

 La promessa della felicità, che lo entusiasma, alle belle pagine “sugli uomini miti” del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer (figlio di un famoso psichiatra tedesco) che morì trentanovenne martire nelle carceri dei nazisti, («testimone anche in carcere di una inenarrabile mitezza»), ad Aristotele, Platone ai versi dei poeti, Leopardi, Corazzini, ai suoi amatissimi Rilke e Emily Dickinson... Un saggio felice e benefico: « In queste pagine vorrei svolgere le mie riflessioni su quelle che sono le possibili articolazioni tematiche della mitezza, che la mia vita in psichiatria mi ha fatto conoscere».

 Come sempre, nei suoi scritti, Borgna fa riferimento alle conoscenze acquisite e all’esperienza professionale. Fa bene a sottolinearlo, faremmo bene noi a comprendere come lavorando sull’anima dei suoi tanti pazienti, ha saputo creare una conoscenza che gli consente di parlare, da sempre, anche alla nostra anima, quella di ognuno di noi che lo leggiamo, affratellata. E mostra, con umiltà e sapienza come in origine Psiche e Anima erano parole che indicavano la stessa sostanza.

 Se sono nate favole, prima ancora della civiltà greca, in cui eros e psiche, amore e anima si cercano, confliggono, a volte si fondono, ciò significa che lo studio della psiche ha fonti antichissime, spesso in forma poetica. Borgna stesso attinge sempre, copiosamente ai versi di poeti, per lui necessari e anzi indispensabili nutrimenti dell’anima. La poesia lo ispira, ne sente e dichiara la necessità per la nostra vita sul pianeta. E lo fa da sempre, mitemente. Sì, Mitezza è un suo splendido saggio, ma anche, si può leggere, come un’involontaria, inconsapevole, francescana autobiografia.

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MATTARELLA, TESTIMONE COERENTE E GARBATO DI SERVIZIO E DI RESPONSABILITA'

 Il Papa premia Mattarella: dedizione al bene del Paese ispirata da valori cristiani

UN DISCORSO CHE STIMOLA TUTTI COLORO CHE RIVESTONO RUOLI DI  RESPONSABILITA'


Francesco consegna il Premio Paolo VI al presidente della Repubblica italiana e richiama l'invito di Papa Montini alla responsabilità veso il bene comune: bisogna andare controcorrente “rispetto al clima di disfattismo e lamentela, per sentire proprie le necessità altrui”. 

Il capo dello Stato devolve la somma collegata al riconoscimento alla Comunità Giovanni XXIII, che nell'Emilia Romagna ha delle case di accoglienza gravemente colpite dall'alluvione dei giorni scorsi

 

- di Tiziana Campisi – Città del Vaticano

 Credo che oggi il conferimento del Premio Paolo VI al presidente Mattarella sia proprio una bella occasione per celebrare il valore e la dignità del servizio, lo stile più alto del vivere, che pone gli altri prima delle proprie aspettative. È questo servizio che rende l’agire politico una forma di carità, afferma Francesco nella sala Clementina del palazzo apostolico, in occasione della consegna del premio intitolato a Papa Montini al presidente della Repubblica Italiana, che per servire lo Stato ha rinunciato al riposo dopo tanti anni di lavoro. Il riconoscimento, nato per iniziativa dell’Istituto Paolo VI al fine di segnalare personalità eminenti che si sono distinte nei diversi ambiti della cultura e nella promozione di una convivenza umana giusta e che, in modi diversi, testimoniano la vitalità dell’eredità spirituale di Papa Montini, viene conferito a Mattarella, si legge nella motivazione, “per la sua dedizione al bene comune in un impegno politico ispirato ai valori cristiani e, insieme, rigoroso nel servizio delle istituzioni civili”.

 Nel suo discorso il Pontefice ricorda che proprio Paolo VI, rivolgendosi ai rappresentanti dell’Unione Europea dei Democratici Cristiani, nel 1972, “disse che quanti esercitano il potere pubblico devono considerarsi ‘come i servitori dei loro compatrioti, con il disinteresse e l’integrità che convengono alla loro alta funzione’”. E in una udienza generale - il 9 ottobre 1968 - poi, precisò che “il dovere del servizio è inerente all’autorità” e che “tanto maggiore è tale dovere quanto più alta è tale autorità”. Al contrario, “tentazione diffusa, in ogni tempo, anche nei migliori sistemi politici”, è quella “di servirsi dell’autorità anziché di servire attraverso l’autorità”, osserva Francesco, rimarcando quanto “è facile salire sul piedistallo” e difficile invece “calarsi nel servizio degli altri”.

Il servizio e la responsabilità

Il Papa evidenzia che “servire crea gioia e fa bene anzitutto a chi serve” e richiama, a tal proposito, quanto scritto da Alessandro Manzoni - definito da Paolo VI “genio universale”, “tesoro inesauribile di sapienza morale”, “maestro di vita” - ne “I promessi sposi”: “Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio”.

 Ma il servizio rischia di restare un ideale piuttosto astratto senza una seconda parola che non può mai esserle disgiunta: responsabilità. Essa, come indica la parola stessa, è l’abilità di offrire risposte, facendo leva sul proprio impegno, senza aspettare che siano altri a darle. Quante volte, Signor Presidente, prima con l’esempio che con le parole, Lei lo ha richiamato! Anche in questo non si può che notare una feconda affinità con Giovanni Battista Montini.

L’impegno di ciascuno per il bene comune

E ancora, di Paolo VI, Francesco richiama la Lettera apostolica Octogesima adveniens, dove viene sottolineato che “le parole servono a poco ‘se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità’”, perché, prosegue il documento, “è troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzi tutto la conversione personale”. Un’affermazione ancora attuale, costata il Papa, “quando viene quasi automatico colpevolizzare gli altri, mentre la passione per l’insieme si affievolisce e l’impegno comune rischia di eclissarsi davanti ai bisogni dell’individuo”.

La responsabilità, invece, come ci mostrano in questi giorni tanti cittadini dell’Emilia-Romagna, chiama ciascuno ad andare contro-corrente rispetto al clima di disfattismo e lamentela, per sentire proprie le necessità altrui e riscoprire sé stessi come parti insostituibili dell’unico tessuto sociale e umano a cui tutti apparteniamo.

L’impegno per la legalità

A proposito, poi, di responsabilità, Francesco parla anche di “impegno per la legalità”, che “richiede lotta”, “determinazione” e anche “memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la giustizia”, come Piersanti Mattarella, fratello del capo dello Stato italiano, e “le vittime della strage mafiosa di Capaci”.

San Paolo VI notava che nelle società democratiche non mancano istituzioni, patti e statuti, ma “manca tante volte l’osservanza libera ed onesta della legalità” e che lì “l’egoismo collettivo insorge”. Anche in quest’ambito, Signor Presidente, con le sue parole e il suo esempio, avvalorati da quanto ha vissuto, Lei rappresenta un coerente maestro di responsabilità.

Il sogno di Paolo VI: le comunità solidali

Infine, il Papa fa notare quanta importanza attribuì San Paolo VI alla “responsabilità di ciascuno per il mondo di tutti”, con il suo invito, nella Populorum progressio,a lottare senza rassegnarsi di fronte agli squilibri delle ingiustizie planetarie” e a “fronteggiare le sfide climatiche”, convinto che l’ambiente sarebbe diventato intollerabile all’uomo per la distruttiva attività dell’uomo stesso "che, spadroneggiando sul creato, si sarebbe trovato a non padroneggiarlo più”. Circa l'eredità lasciata da Montini, Francesco si sofferma su quella impegnativa di edificare comunità solidali”, e aggiunge che quel sogno del suo predecessore di “comunità di partecipazione e di vita”, che si prodigassero “per costruire solidarietà attive e vissute”, “si scontrò con vari incubi diventati realtà”, come la “terribile vicenda di Aldo Moro”. E a conclusione del suo discorso, lieto di aver consegnato al presidente Mattarella il Premio Paolo VI, perché “testimone coerente e garbato di servizio e di responsabilità”, il Pontefice cita ancora Papa Montini, che nella Evangelii nuntiandi scriveva: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.

Le parole del Papa sono state precedute da un breve intervento del presidente Mattarella, che, commosso, ha ringraziato l'Istituto Paolo VI per avergli conferito il Premio e Francesco per averglielo consegnato. Il capo dello Stato ha poi chiesto di destinare la somma collegata al riconoscimento alla Comunità Giovanni XXIII, che è nata in Romagna e che nella regione ha delle case di accoglienza, "gravemente colpite dall'alluvione dei giorni scorsi". "Penso che con il Premio, più che la mia personale azione, si sia inteso e si intenda indicare un modo di interpretare l'impegno nella società e nelle istituzioni, che molti hanno praticato e sviluppato ispirandosi alla visione di Paolo VI e ai suoi insegnamenti" ha detto Mattarella, confidando che gli scritti di Papa Montini sono stati per lui e per tanti altri "fondamentali punti di orientamento". "Con i suoi insegnamenti - ha terminato il capo dello Stato - San Paolo VI ha collocato e trasmesso, in una visione armonica, chiara, compiuta, fede, dignità umana, libertà e pace".


DISCORSO DEL PAPA



 

lunedì 29 maggio 2023

ABITARE IL DIGITALE

Dal Dicastero per la Comunicazione Vaticano, un vademecum per abitare il digitale

Si chiama “Verso la piena presenza. 
Una riflessione pastorale sull’impegno nei social media” l’ultimo documento del Dicastero per la Comunicazione. 
Una guida per abitare il digitale

- di Andrea Gagliarducci


Come la Chiesa deve abitare il digitale? Superando la logica dell’aut aut, considerando virtuale e reale come un unico spazio di evangelizzazione, raccontando storie e mettendo in piazza la propria testimonianza e non limitandosi a scambiare informazioni, e prendendo sul serio l’influenza che ciascun cristiano può avere nell’ambiente digitale. Sono i punti centrali di un lungo documento del Dicastero della Comunicazione vaticano, intitolato “Verso la piena presenza. Una riflessione pastorale sull’impegno nei social media”.

Non è un tipo di documento nuovo per la Chiesa, che dal 1995 è online con un sito internet e tutti i testi dei Papi disponibili, cosa che ne ha fatto un pioniere della comunicazione digitale. E vale la pena di ricordare che nel 2002 uscirono due istruzioni del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, “La Chiesa ed Internet” ed “Etica in Internet”. Ovviamente, però, le sfide sono sempre diverse, e anche il cammino sinodale in cui la Chiesa è impegnata oggi ha dimostrato la necessità di coinvolgersi ancora di più nel mondo digitale.

Il documento del Dicastero parla di una sfida pastorale, ed il linguaggio è in linea con l’idea di Papa Francesco di mettere l’evangelizzazione al primo posto. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero della Comunicazione, spiega che “il documento non è un direttorio, né una sorta di guideline teorico-pastorale, il suo focus è l’uomo, non la macchina, il cuore e non l’algoritmo”.

Lo spazio digitale

In 87 punti, il documento fa prima una ampia disamina dello spazio digitale come si presenta adesso, guardando anche agli sviluppi dell’intelligenza artificiale e agli algoritmi che ormai dominano la percezione umana perché preposti a selezionare ed evidenziare le informazioni che ritengono migliori nel sovraccarico informativo di oggi.

E già queste sono sfide non da poco. Anche perché ci si trova di fronte ad una Chiesa che da una parte ha bisogno di abitare il virtuale, ma dall’altra è chiamata a costruire comunità; che da una parte approfitta delle innovazioni tecnologiche per fare arrivare le liturgie nelle case di tutti (è successo durante il lockdown), ma dall’altra sa che l’Eucarestia “non si può guardare”, si deve vivere, e si deve vivere in comunità.

Monsignor Lucio Ruiz, segretario del Dicastero della Comunicazione, afferma: “La nostra cultura va assunta per essere redenta, e che redenta va assunta e vissuta. È questo il nostro luogo che dobbiamo abitare, è questo lo spazio dove trovare gli uomini e le donne per annunziare il lieto messaggio. È la nostra terra di missione”.

Costruire comunità

Ecco allora che la necessità prima è quella di costruire comunità, di “condividere un pasto”, attività che non si può fare virtualmente, ma solo stando davvero insieme. In fondo, si tratta di trasportare la logica del samaritano anche nella piazza virtuale, con la consapevolezza che “le relazioni comunitarie nelle reti social dovrebbero rafforzare le comunità locali e viceversa”.

Ma come deve essere il cristiano nei social media? “Lo stile cristiano – si legge nel documento - deve essere riflessivo, non reattivo, anche sui social media. Pertanto, dobbiamo essere tutti attenti a non cadere nelle trappole digitali nascoste in contenuti che sono intenzionalmente progettati per seminare conflitti tra gli utenti, provocando indignazione o reazioni emotive”.

La risposta è la testimonianza, e “i social media possono diventare un’opportunità per condividere storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza che sono fisicamente lontane da noi. Così facendo, potremo pregare insieme e cercare insieme il bene, riscoprendo ciò che ci unisce”.

Dialogare con il Padre

Il documento chiede anche di coltivare un “dialogo con il Padre”, di mantenere spazi di preghiera che ricorderanno sempre “che tutto è stato ribaltato con la croce”.

Quello che sembra venir fuori dal documento è l’idea di “umanizzare” il virtuale. “Cosa significa – si legge - ‘curare’ le ferite sui social media? Come possiamo ‘ricucire’ le divisioni? Come costruire ambienti ecclesiali in grado di accogliere e integrare le “periferie geografiche ed esistenziali” delle culture odierne? Domande come queste sono essenziali per discernere la nostra presenza cristiana sulle ‘strade digitali’.”

Comunque, si legge ancora nel testo, “c’è ancora molto su cui riflettere nelle nostre comunità di fede rispetto a come sfruttare l’ambiente digitale in un modo che integri la vita sacramentale. Sono state sollevate questioni teologiche e pastorali su vari aspetti: ad esempio, lo ‘sfruttamento commerciale’ della ritrasmissione della Santa Messa”.

Comunicare la verità

Un punto di partenza, dunque, non un punto di arrivo. Con la consapevolezza che “per comunicare la verità, dobbiamo innanzitutto accertarci di trasmettere informazioni veritiere; non solo nel creare i contenuti, ma anche nel condividerli. Dobbiamo assicurarci di essere davvero una fonte attendibile”.

Ma anche che “per comunicare bontà, abbiamo bisogno di contenuti di qualità, di un messaggio orientato ad aiutare, non a danneggiare, a promuovere un’azione positiva, non a perdere tempo in discussioni inutili”.

Comunicare la bellezza

E ancora, “per comunicare la bellezza, dobbiamo accertarci che stiamo comunicando un messaggio nella sua interezza, il che richiede l’arte della contemplazione, arte che ci permette di vedere una realtà o un evento in relazione con molte altre realtà ed eventi”.

Si riparte allora da Gesù Cristo “via, verità e vita”, punto fermo nel contesto delle post-verita e delle fake news, e anche guardando al mondo dei social nella loro funzione commerciale, e non più di condivisione. Ci vuole la consapevolezza, insomma, che siamo tutti consumatori e fruitori allo stesso tempo, che tutto può essere strumentalizzato.

Sapere ascoltare

Il cristiano, allora, può rispondere con l’ascolto, specialmente per contrastare la velocità e l’immediatezza della cultura digitale. “Impegnarsi nell’ ascolto sui social media è un punto di partenza fondamentale per progredire verso una rete fatta non tanto di byte, avatar e ‘mi piace’ quanto di persone. In questo modo passiamo dalle reazioni rapide, dalle ipotesi fuorvianti e dai commenti impulsivi al creare opportunità di dialogo, sollevare domande per saperne di più, manifestare cura e compassione, e riconoscere la dignità di coloro che incontriamo”.

 acistampa

VERSO LA PIENA PRESENZA



domenica 28 maggio 2023

MANZONI, CANTORE DEGLI ULTIMI


Il Papa: Manzoni “cantore di vittime e ultimi”, protetti dalla Provvidenza di Dio

Francesco, dopo la recita del Regina Caeli, dedica le sue prime parole all’autore de “I promessi sposi”, nel 150.mo anniversario della morte, definendolo “una delle figure più alte della letteratura”, che nel suo capolavoro descrive poveri e sofferenti come “sostenuti anche dalla vicinanza dei pastori fedeli della Chiesa”

- di Alessandro Di Bussolo – Città di Vaticano

“Cantore delle vittime e degli ultimi”: così Papa Francesco definisce lo scrittore Alessandro Manzoni, del quale lo scorso 22 maggio si è commemorato il 150° anniversario della morte, nelle prime parole dopo la recita del Regina Caeli di questa domenica. E lo qualifica “una delle figure più alte della letteratura”. Nelle opere del grande romanziere lombardo, autore de I promessi sposi, spiega il Papa le vittime e gli ultimi “sono sempre sotto la mano protettrice della Provvidenza divina, che ‘atterra e suscita, affanna e consola’”. E inoltre “sono sostenuti anche dalla vicinanza dei pastori fedeli della Chiesa, presenti nelle pagine del capolavoro manzoniano”.

"Ho letto sposi tre volte, mi ha dato tanto"I promessi

Francesco, il 19 agosto 2013, qualche mese dopo la sua elezione, nell’intervista rilasciata ad Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, affermava: “Ho letto il libro I promessi sposi tre volte e ce l’ho adesso sul tavolo per rileggerlo. Manzoni mi ha dato tanto. Mia nonna, quand’ero bambino, mi ha insegnato a memoria l’inizio di questo libro: ‘Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti’”.

Francesco e le citazioni del Manzoni

Il 14 gennaio 2014, ricevendo in udienza il vescovo Anthony Palmer, responsabile ecclesiastico internazionale delle Chiese Evangeliche Episcopali, il Papa ha registrato un piccolo videomessaggio in cui riferendosi all’unità dei cristiani affermava: “Dice uno scrittore italiano famoso, il Manzoni, in un romanzo, un uomo semplice del popolo dice questa frase: ‘Non ho trovato mai che il Signore abbia incominciato un miracolo senza finirlo bene’”. E nell’udienza generale del 27 maggio 2015 dedicata ai fidanzati, evocando I promessi sposi, raccomandava: “Voi italiani, nella vostra letteratura avete un capolavoro sul fidanzamento. È necessario che i ragazzi lo conoscano, che lo leggano”.

Vatican News

MATTARELLA: MANZONI PARLA ALL'UOMO DI OGGI





sabato 27 maggio 2023

IL SOFFIO DELLO SPIRITO


 Vivere nel soffio dello Spirito di Cristo

- + Vincent Dollmann *

  Lo Spirito Santo unisce Gesù e la Chiesa

Al battesimo nel Giordano, lo Spirito Santo scese su Gesù e si udì la voce di Dio: "Tu sei il mio Figlio prediletto, di te mi rallegro" (Lc 3,22). Accogliendo lo Spirito nella sua umanità, Gesù l'ha resa degna di Dio. Con la sua morte e risurrezione, Gesù le ha definitivamente aperto l'accesso alla vita divina, rompendo i lucchetti del male e della morte. Così, il giorno di Pentecoste, pieno di Spirito Santo, San Pietro poté testimoniare: "Fu esaltato alla destra di Dio e ricevette dal Padre lo Spirito Santo, oggetto della promessa, e lo effuse su di noi" (At 2,32). (Atti 2:32). Il battesimo di Gesù prefigura il nostro, il battesimo nello Spirito che ci apre a una relazione di conoscenza e di amore con Dio.

 Lo Spirito Santo prende possesso di noi attraverso la preghiera e i sacramenti.

È soprattutto attraverso la sua vita di preghiera, sia comunitaria che personale, che Gesù ha manifestato la sua unione con lo Spirito Santo. Ha inaugurato il suo ministero pubblico partecipando alla liturgia del sabato nella sinagoga (cfr. Lc 4,16s). È morto sulla croce mentre pregava il servizio della sera: "Nelle tue mani affido il mio spirito" (Lc 23,46). La sua partecipazione alla preghiera della comunità era legata a una grande fedeltà alla preghiera personale, nella solitudine e nel silenzio. Così, prima di scegliere i Dodici Apostoli tra i discepoli, Gesù aveva passato la notte in preghiera (6,12). Essi avrebbero seguito l'esempio dopo la sua morte e risurrezione: "Tutti di un sol cuore erano assidui nella preghiera", ci dice il libro degli Atti (At 1,14). Fu nella preghiera che San Mattia fu aggiunto agli apostoli per sostituire Giuda, e fu ancora nella preghiera che i discepoli si riunirono intorno alla Vergine Maria e gli apostoli ricevettero lo Spirito Santo a Pentecoste.

 Lo Spirito Santo porta i frutti della gioia e della misericordia

I doni della gioia e della misericordia portano la presenza viva di Dio nella nostra vita. La misericordia di Dio rivelata a Maria all'Annunciazione (Lc 1,50) e insegnata nella parabola del figliol prodigo (Lc 15,20) si è manifestata al mondo attraverso la morte e la risurrezione di Cristo. L'evangelista San Luca evoca la folla di persone radunate intorno alla croce che riconoscono il loro peccato e implorano la misericordia di Dio: "osservando ciò che accadeva, se ne tornavano battendosi il petto" (Lc 23,48). E la gioia del Natale condivisa dagli angeli con i pastori prefigura la gioia dei discepoli alla risurrezione di Gesù e alla Pentecoste.

Gli ultimi versetti del Vangelo di Luca, che riportano l'Ascensione di Gesù, indicano che "tornarono a Gerusalemme con grande gioia. E stavano continuamente nel Tempio benedicendo Dio" (Lc 24,52-53). Se la misericordia e la gioia sono doni dello Spirito Santo, non mancheranno mai. Sta a noi chiederli allo Spirito Santo che Gesù ha donato al mondo.

 

+Vincent Dollmann, arcivescovo di Cambrai

Assistente ecclesiastico UMEC-WUCT

L'ARTE DEL MALE

Inganno 
mimetismo:

 il male agisce facendoci credere di dominarlo

 



Da sempre è al centro del dibattito teologico e filosofico ma spesso se ne sottovaluta la capacità mimetica e d’inganno.

Parlare di lotta non è metafora 

e affinare la conoscenza di sé è il primo passo.

 

- di Giovanni Scarafile

    Proponiamo in queste colonne un estratto dell’introduzione alla seconda edizione del volume di Giovanni Scarafile In lotta con il drago. Male e individuo nella teodicea di G.W. Leibniz (Milella, pagine 196, euro 18,00) in questi giorni in libreria. Al tema del male è dedicata la puntata di Sulla via di Damasco, in onda domani alle 7.35 su Rai Tre. Ospiti di Eva Crosetto assieme a Scarafile, docente di Antropologia filosofica all’Università di Pisa, interverranno anche monsignor Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle scienze socia-li, Hagi Kenaan dell’Università di Tel Aviv e Stefano Polli, vicedirettore dell’Ansa.

Il problema del male è un tema costante nella riflessione filosofica e teologica. Non di rado, le soluzioni proposte sono state giudicate insoddisfacenti, in certi casi perfino oggetto di derisione. Potrebbe sembrare un fallimento, ma non necessariamente lo è. La mancanza di soddisfazione derivante dalle risposte delle teodicee può diventare il nutrimento per il pensiero, assistendoci nella ricerca di un approccio più significativo al male. Perché, dunque, le risposte al problema del male non sono del tutto soddisfacenti? Se si va oltre le difese d’ufficio e si considera il problema con pacatezza e spirito critico, ci si accorgerà che quasi sempre si e trascurato di considerare la questione del male nella prospettiva dell’individuo che soffre, accontentandosi di conciliare dal punto di vista teorico i diversi elementi che compongono il tema. In altri termini, i pensatori si sono comportati come un giardiniere che si concentri sul disegno del giardino, perdendo di vista i singoli fiori appassiti e malati.

Su un altro versante, che analizzi gli strumenti dell’indagine sul male, va detto che a volte le stesse domande sembrano mosse da un intento oltremodo chiarificatorio che non solo non ammette eccezioni, ma che soprattutto mal si concilia con l’inevitabile componente di mistero insita in un tema che, per ciò che rappresenta, potrebbe essere paragonato a un iceberg nell’oceano del pensiero umano. Così come solo una piccola parte dell’iceberg è visibile sopra la superficie dell’acqua, mentre la maggior parte della sua massa rimane nascosta, il problema del male sfugge alla comprensione piena e definitiva, poiché la sua vera natura e complessità sono celate sotto strati di ambiguità, incertezza e mistero.

 

Gli sforzi per chiarire e risolvere il problema del male devono quindi tener conto del fatto che, nonostante le nostre migliori intenzioni e capacità analitiche, potremmo non essere mai in grado di sondare completamente le sue profondità e di comprendere appieno il suo impatto sull’esperienza umana. In realtà, il tentativo di trovare un orientamento, seppur minimo, di fronte al male, riposa su un indimostrato e tacito presupposto in base al quale si ritiene che una “messa in forma” del male sia - tutto sommato – possibile. Lungo questa traiettoria, si tratterebbe di organizzare, strutturare e dare un senso a qualcosa che inizialmente appare non facilmente maneggiabile, caotico, imprevedibile, affidandosi a un qualche dispositivo del pensiero in grado di “legare” il male, ovvero non lasciarlo libero di agire secondo una logica a noi aliena.

L’indimostrato e tacito presupposto, dunque, agisce ogniqualvolta tentiamo di applicare un ordine o una struttura logica al male, inteso alla stregua di un mero fenomeno o a un’esperienza, al fine di renderla più accessibile e comprensibile. Nonostante lo scopo di tale modo di procedere sia nobile, agendo in questo modo, è come se si negasse al male ciò che di più proprio esso possiede: il suo essere soluto, sciolto da legami, immaginandolo statico e in attesa della nostra iniziativa. Il male, invece, come un camaleonte che cambia continuamente forma e colore, sfugge alle nostre aspettative e, agendo a nostra insaputa, adattandosi e mimetizzandosi nel nostro ambiente, rende più difficile se non impossibile il compito di identificarlo e intenderlo.

Dunque, la nostra reale condizione è di essere incatenati alla seguente questione: possiamo inscrivere nella giustizia del logos ciò che al logos non compete? Per tali ragioni, il nostro ragionare sul male si svolge sempre sul crinale di quella stessa speranza contro ogni speranza di cui parlava Paolo nella Lettera ai Romani. Il male, in effetti, non è un oggetto statico, ma un soggetto dinamico, un’entità attiva e consapevole, in grado di agire e influenzare il mondo che lo circonda. Non a caso, Nietzsche scriveva: «Se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te». Dunque, mentre il male viene visto, esso è anche in grado di vedere chi lo sta osservando. Essere scrutati visivamente dal male non è un’operazione a somma zero. Tutt’altro. Una volta che il male abbia accesso alla nostra interiorità, può infiltrarsi nelle nostre convinzioni, alterando la nostra percezione del mondo e, come un parassita invisibile, può gradualmente corrodere tutto ciò che incontra.

In questa situazione, il male può indurci a giustificare o razionalizzare azioni e atteggiamenti dannosi, sia verso noi stessi che verso gli altri. Può spingerci a compromettere i nostri principi etici e a trascurare la nostra responsabilità nei confronti della comunità e dell’ambiente. Nel tempo, la presenza del male nella nostra interiorità può erodere la nostra autostima, la fiducia nelle nostre capacità e la nostra speranza in un futuro migliore. L’interiorità, la dimensione interna e personale dell’esperienza umana, è ciò che rende unica e irripetibile l’esperienza di ogni persona, influenzando il modo in cui si relaziona con se stessa e il mondo esterno. Intaccare l’interiorità da parte del male può portare a conseguenze significative e durature, sia a livello emotivo che psicologico. Quando il male invade l’interiorità di un individuo, può manifestarsi in varie forme, come il dolore, la sofferenza, la paura, la colpa, l’ansia o la depressione.

Queste emozioni e sensazioni negative possono turbare l’equilibrio interiore, compromettendo la capacità di una persona di mantenere una visione chiara e autentica di sé e di relazionarsi in modo sano con gli altri. L’aggressione dell’interiorità può anche influire sulle credenze e sui valori di un individuo, portando a una crisi di identità o a una perdita di senso e direzione nella vita. In alcuni casi, la distorsione dell’interiorità può spingere una persona a compiere azioni dannose per se stessa o per gli altri, amplificando ulteriormente il ciclo di sofferenza e negatività. Per questi motivi, la lotta col drago non è solo un modo allusivo per riferirsi alla gestione del male. Essa, piuttosto, va adeguatamente preparata, dando avvio o confermando il processo di conoscenza di sé e delle proprie risorse interiori: non c’è alcuna lotta senza una vita desta.

Dobbiamo, quindi, impegnarci nel processo di scoperta interiore e di crescita personale, esplorare e coltivare la nostra interiorità e affrontare il male con saggezza, discernimento e compassione. Solo allora saremo in grado di affrontare le sfide che il male ci pone, proteggere la nostra interiorità e contribuire alla creazione di un mondo più equo, pacifico e amorevole per tutti. Nella lotta col drago, quindi, l’obiettivo non è negare la realtà dell’avversario, ma piuttosto trovare il cammino verso quel particolare tipo di speranza delineato da Bernanos quando osservava: «La più nobile manifestazione della speranza è il superamento della disperazione».

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DISLESSICI A SCUOLA

Non è una scuola 

per dislessici !

 Da tredici anni, la legge 170 riconosce nuovi diritti agli alunni con Dsa. Ma la sua applicazione resta deficitaria. «Serve un Osservatorio nazionale», chiede l’Associazione che, dal 1997, si occupa del fenomeno

Un’indagine dell’Aid fotografa, per la prima volta, la situazione degli studenti con Disturbi specifici dell’apprendimento: più della metà denuncia di non aver «mai o quasi mai» ricevuto aiuto per l’utilizzo degli strumenti compensativi.

 

- di PAOLO FERRARIO

 La legge c’è e gli strumenti pure. Ma, come spesso capita in Italia, la prima non è completamente attuata e i secondi non sono correttamente utilizzati. Risultato? Migliaia di studenti dislessici, disortografici, disgrafici e discalculici, cioè con Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), non hanno la possibilità di affermare pienamente un diritto che è universalmente riconosciuto: il diritto allo studio. Suona come un campanello d’allarme, l’indagine dell’Associazione italiana dislessia (Aid) che, per la, prima volta, ha cercato di misurare l’impatto della legge 170/2010, che ha, finalmente, dato diritti agli alunni con Dsa. Analizzando i risultati del sondaggio – qualitativo e non scientifico ma a cui hanno, comunque, partecipato 802 studenti, 2.375 genitori e 6.630 insegnanti – l’impressione è che, a tredici anni dal varo della legge, «sia stato fatto un significativo passo indietro», si legge in un documento dell’Aid. Conferma di questo quadro a tinte fosche, sono le telefonate, sempre più numerose, «di genitori in grave difficoltà per il mancato rispetto del Piano didattico personalizzato dei propri figli», ricevute ogni giorno all’help desk nazionale e agli sportelli locali dell’Associazione, che dal 1997 si occupa di Dsa, con 85 sezioni provinciali e più di 14mila soci. I dati, allora. Il primo, emblematico della situazione, riguarda il fatto che il 35% dei genitori e il 36% degli studenti intervistati (oltre un terzo del campione) concordi nel dire che «i docenti non hanno un’adeguata conoscenza di che cosa siano i Disturbi specifici dell’apprendimento». E ancora. Nonostante nel 97% dei casi sia redatto il Piano didattico personalizzato, che per l’83,3% è «molto o abbastanza coerente con le indicazioni contenute nella diagnosi», succede che i due terzi degli alunni con Dsa dichiarino che il Pdp «non sempre è stato rispettato nel percorso scolastico». E anche le famiglie «non sono sufficientemente coinvolte nella stesura del documento».

 Altro punto dolente sono gli strumenti compensativi, dispositivi, digitali o cartacei, che gli studenti possono utilizzare per raggiungere l’obiettivo di apprendere, compensando, appunto, le difficoltà. Ebbene, «soltanto il 50% degli alunni – si legge nella ricerca dell’Aid – afferma di aver avuto, di norma, accesso agli strumenti compensativi e alle misure compensative richieste e il 37% di loro ogni tanto. Percentuali simili emergono per interrogazioni e compiti in classe programmati, mentre il 53% degli studenti evidenzia di non aver mai o quasi mai ricevuto aiuto dai docenti nell’utilizzo degli strumenti compensativi ». Una situazione gravissima, che ha importanti ricadute negative sulla vita scolastica di queste persone. E anche sulla vita in generale, dato che, è sempre la ricerca ad evidenziarlo, «il 75% degli studenti ha dichiarato di essersi sentito diverso dagli altri e poco accolto, all’interno della classe (il 35% «spesso» e il 40% «talvolta») e oltre il 60% dichiara di aver ricevuto un voto inferiore a quello che gli sarebbe spettato, a causa dell’utilizzo degli strumenti compensativi (21% «quasi sempre», 41% «ogni tanto»)».

 L’indagine ha messo in luce anche le problematiche cui vanno incontro gli insegnanti che vorrebbero applicare correttamente la legge ma, solo nel 28% dei casi, per esempio, dichiarano di «trovare sempre nelle certificazioni cliniche le indicazioni necessarie per un’adeguata stesura del Pdp e poco più della metà conferma che è previsto un protocollo di accoglienza per gli studenti con Dsa, all’interno della scuola in cui insegna». In ogni caso, l’82% degli insegnanti dice di «riconoscere gli strumenti compensativi e il 63,8% di aver cambiato la propria didattica per venire incontro alle esigenze degli alunni con Dsa. Ma, chiosa l’Aid, si tratta di docenti «più disponibili e inclusivi» e che hanno «partecipato a corsi di formazione sui Dsa».

 Per “svegliare” tutto il resto del corpo docente, l’Associazione chiede di rafforzare il dialogo con le istituzioni, prevedendo anche la costituzione di un Osservatorio nazionale sull’applicazione della legge 170. « Allo scopo di fornire al Ministero dell’Istruzione – conclude il documento dell’Aid – dati certi per apportare eventuali correttivi e dare maggiore certezza di diritto agli studenti con Dsa».

 

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A SCUOLA NEL BOSCO

Un’antica cascina diventa aula della «scuola del bosco»

Un laboratorio di nonviolenza pensato per attualizzare la Laudato si’ 

Dall’ascolto dei suoni della natura all’arte qui gli studenti imparano il rispetto della casa comune e degli altri

 

- di LUCIA CAPUZZI

 «Tudo está interligado como se fossemos un”, cioè «tutto è collegato come se fossimo uno». Il ritornello del popolare brano brasiliano echeggia per le stanze ampie e spartane di Ca’ Forneletti. Un’antica cascina circondata dai boschi nell’omonima località della campagna veronese attraversata dal fiume Mincio, che Beppe Marchi e Giuliana Venturelli hanno trasformato in un laboratorio di pace. Pace con se stessi, con gli altri e con la casa comune. Un centro di promozione della non-violenza e dal 2015, di studio e sperimentazione della “Laudato si’” aperto a tutti e in particolare ai giovani. Non sorprende incontrarvi oltre 340 ragazzi delle terze medie degli Istituti comprensivi di Valeggio sul Mincio e Sommacampagna. Nella settimana dedicata dalla Chiesa all’enciclica di papa Francesco, la scuola ha traslocato a Ca’ Forneletti e nella limitrofa distesa di alberi. Guidati dall’artista brasiliano Anderson Augusto e accompagnati da una trentina di insegnanti e altrettanti volontari, ogni giorno fino a domenica, gli alunni sono invitati ad ascoltare la lezione del bosco. Dopo un momento di benvenuto iniziale, alle 9, la prima parte del progetto “Pace, vita per tutti e cura del creato”, si svolge fra gli alberi. Lì gli alunni sono invitati a prendersi un momento di silenzio, lontani da cellulari e tablet, per ascoltare il fruscio delle foglie, il canto degli uccelli, il tamburellare del picchio. Vengono aiutati a osservare i colori, i fiori, la vegetazione che poi devono tradurre,

 divisi in gruppi, in disegni, dipinti, sculture. L’obiettivo non è riprodurre bensì farsi ispirare e poi creare, in modo autonomo ma insieme. Per questo, prima di procedere al lavoro, all’interno di ogni gruppo, c’è un tempo di riflessione e ideazione. Gli studenti creano una visione comune da esprimere attraverso l’arte. La realizzazione delle piccole-grandi opere è inframmezzata da momenti di approfondimento della spiritualità degli indigeni amazzonici, attraverso la danza e la visione di documentari.

 

Non si tratta di un’iniziativa sporadica. Dal 2018 Ca’ Forneletti ha coinvolto giovani, scuole, associazioni e gruppi scout nel recupero dell’area boschiva adiacente alla cascina, trasformandolo in un’attività pedagogica comunitaria. Sono questi i “cantieri Laudato si’” attivi tutto l’anno ai quali, nell’ottobre 2022, il consiglio regionale dell’Agesci Veneto ha dato il proprio patrocinio. Alcuni pomeriggi o giornate di vacanza, Ca’ Forneletti organizza lo studio dal vivo del bosco. Bambini e ragazzi sono educati a quest’ultimo, svolgendovi piccoli lavori manuali, recuperando il contatto con la terra e discutendone poi insieme. Le attività non si sono fermate nemmeno durante la pandemia. Anzi, nel periodo del lockdown, i “campetti Laudato si’” – giornate nel bosco dove i giovani potevano incontrarsi all’aperto e a distanza, in modo da evitare il contagio – sono stati un antidoto all’ansia e allo stress causati dalla reclusione. «Siamo tutti legati, fra noi e con la casa comune, come ci insegna la Laudato si’ – conclude Beppe Marchi –. Per questo, siamo responsabili gli uni verso gli altri. Ogni vivente ci riguarda. I ragazzi fanno meno fatica di noi a rendersene conto. Hanno solo necessità di ispirazione. E a Ca’ Forneletti vogliamo aiutarli a trovarla».

 

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venerdì 26 maggio 2023

RISPETTARE OGNI PERSONA

Il bullismo distrugge 
la vita, 

rispettare ogni persona

 nella sua autenticità

 Francesco chiude l'evento di Scholas Occurrentes sulle "Città Eco-Educative" che ha riunito a Roma 50 sindaci di America Latina ed Europa. In collegamento con giovani di tutto il mondo, il Pontefice risponde a domande su allarme educazione, crisi sociali, rapporto con gli anziani. A chi domanda se si recherà in Argentina, dice: "L'idea è l'anno prossimo, vediamo se si può". Dal presidente del Napoli De Laurentiis il dono della maglia col numero 10 di Maradona

 -di Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano

 La possibilità di un viaggio in Argentina (“l’anno prossimo, vediamo se si può”); la condanna del bullismo che “distrugge” la vita; l’invito al rispetto per ogni persona “così com’è”, nella sua “autenticità”; il pericolo per “l’educazione a metà” di tanti ragazzi che non terminano il ciclo scolastico e l’allarme per la diffusione di pornografia e “commercializzazione dell’amore” di cui sono vittime soprattutto gli adolescenti. Poi il ricordo delle mattinate passate a casa dei nonni a Buenos Aires “a imparare i valori” e l’incoraggiamento ad uscire dalle “crisi” mai da soli, ma sempre accompagnati.

Papa Francesco risponde alle domande di giovani e anziani di America Latina, Usa, Europa, Amazzonia colombiana, tutti membri della grande rete di Scholas Occurrentes, l’organismo nato nel 2001 in Argentina come risposta culturale alla crisi politica, economica e sociale del Paese e poi diffuso in tutto il mondo, soprattutto nelle zone più povere, grazie al contributo dell’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio. Scholas, divenuta intanto fondazione pontificia, compie ora dieci anni e per l’occasione ha organizzato a Roma un congresso sulle “Città eco-educative” con 50 sindaci latino-americani ed europei. L’evento si è concluso oggi, 25 maggio, con un incontro nell’Istituto Augustinianum di Roma, a pochi metri da San Pietro, alla presenza di Papa Francesco che, come sempre per gli eventi Scholas, partecipa a dialoghi in hang-out, momenti di musica e canto, video, saluti e scambi di regali. E a sorpresa si collega in diretta con una casa di riposo di Granada, uno dei luoghi in cui il movimento Scholas porta avanti il programma globale "Essere insieme", iniziato durante la pandemia.

Il viaggio in Argentina

Il Pontefice arriva all’Augustinianum intorno alle 16.30, quasi un’ora dopo l’orario previsto, dopo alcuni incontri riservati nello stesso istituto. Fa il suo ingresso in sedia a rotelle da una porta laterale, mentre sindaci, ambasciatori, artisti, sportivi, influencers, imprenditori (come i proprietari dei supermercati Piccolo o di Yamamay) e “amici” di Scholas, presenti in sala, con le mani e i piedi riproducono il suono della pioggia. In sottofondo, le note malinconiche di un fado alla chitarra. Una sindaca portoghese intona un canto, un altro recita i versi di una sua poesia. Francesco sorride, ringrazia, batte le mani. Poi parla con una giovane argentina tramite video collegamento e, in spagnolo, risponde alla domanda se visiterà il suo Paese natale: “La mia idea è andare l’anno prossimo, vedremo se si può”, ribatte Francesco.

Emergenza educativa

Più lunga e articolata la risposta del Papa sulla emergenza educativa e la necessità di un Patto Educativo che già da tempo ha chiesto di stipulare in ogni Paese per le nuove generazioni. “Quanti giovani oggi non hanno la possibilità di ricevere un’educazione completa. Quante volte per la mancanza di educazione sessuale si finisce nella commercializzazione dell’amore e l’amore non è per commercializzare e i ragazzi non sono per essere usati…”.

“Educare i giovani”, è l’invito insistente del Papa: “Che i ragazzi abbiano educazione è un dovere dei genitori e della società intera. I ragazzi che non terminano i cicli scolastici sono un peso per le società”. E che i ragazzi “non commercializzino” né siano commercializzati è l’altro invito del Vescovo di Roma: “La pornografia, in questo momento, è la commercializzazione più dell’amore. E ad una persona che ama non gli piace essere usata così”. “È un bene che la scuola abbia queste due priorità”, dice Francesco, incoraggiando il lavoro di Scholas nei cinque continenti: “Andate avanti, ne vale la pena”.

Rispetto per l'autenticità

Una ragazza, tramite lo schermo, chiede al Papa cosa fare per superare la crisi del suo Paese; altri pongono domande su omofobia, razzismo, bullismo. Il bullismo, soprattutto, “è molto grave e distrugge la vita”, afferma Papa Francesco. “Ogni uomo, ogni donna, ogni ragazzo, ogni ragazza ha il dovere di essere autentico e il diritto di essere rispettato”, aggiunge.

È una parola, “autenticità”, che “si usa molto ma che non si capisce”, invece “se una persona si esprime così, autentica, gli altri rispettano la persona per come è”. Il Papa amplia poi lo sguardo alle crisi che affliggono il mondo e, come durante i momenti più duri della pandemia, ripete: “Una crisi devi identificarla e accompagnare per uscire da essa. Da un conflitto non si esce, è chiuso; da una crisi sì, a due condizioni: uno, da una crisi non si esce da soli ma accompagnati. In secondo luogo, non si esce da una crisi nello stesso modo: si esce o migliori, o peggiori”.

La maglia di Maradona in dono

Tra i tantissimi regali consegnati – dai Gesù bambino in ceramica ai libri, dalle t-shirt ai quadri, fino a cestini pieni di prodotti artigianali – al Papa viene donata anche una divisa del Napoli che ha recentemente festeggiato lo scudetto. A consegnarla è il presidente della squadra Aurelio De Laurentiis che subito indica il 10, il numero di Armando Maradona, l’indimenticato campione, argentino come il Papa. “Lei è il numero 10 della Chiesa, il grande sostituto di Maradona", dice. E dalla tasca tira fuori un altro dono, una piccola riproduzione di un piede in oro, in memoria del pibe de oro: "Dal piede di Maradona abbiamo tratto un piccolo piede identico. Glielo regalo per dare un calcio a tutte le ingiustizie del mondo perché lei è sempre presente in questa lotta”. Papa Francesco sorride, sussurra una battuta nell’orecchio, poi prende in mano il pallone consegnatogli da un calciatore e saluta l’arcivescovo dell’arcidiocesi partenopea, Mimmo Battaglia, che dice: “A Napoli ci stiamo muovendo con il Patto educativo, soprattutto nei quartieri più difficili. Soli come Chiesa possiamo fare poco, se ci mettiamo accanto agli altri è possibile mettere i ragazzi al centro”. E anche aiutarli a sognare, con la verità: “Perché la verità muove i sogni”.

Il ricordo dei nonni a Buenos Aires

Di sogni il Papa parla, concentrandosi sul tema a lui caro degli anziani, “los abuelos”, i nonni. Lo spunto è un altro regalo: una scultura in bronzo raffiguranti delle radici di un albero. E allora Papa Bergoglio parla delle sue di radici, i nonni con i quali a Buenos Aires trascorreva intere mattinate: “Ho avuto la grazia di avere i miei nonni in vita fino a quando ero molto grande, il primo nonno che è morto avevo 16 anni. L'altro che ero già vescovo…. Siamo migranti e i miei nonni paterni vivevano a pochi metri da casa. Mia nonna mi portava da lei perché mia madre potesse lavorare con il secondo e prepararsi per gli altri tre che avevamo. Siamo cinque... Passavo il tempo con i nonni ascoltando la loro lingua, imparando. Con loro avevo i dialoghi più profondi, da bambino ascoltavo, è lì che ho imparato i valori”.

L'importanza delle radici

Il Papa a 86 anni non dimentica quei momenti. Nessuno dovrebbe farlo: “C'è sempre la sensazione di dover tornare alle radici”, dice. “Una società si rovina quando l'unione tra la radice e il tronco si spezza, quando si secca Se non prendiamo la linfa da lì, dalle radici, ci secchiamo”. Tornano le parole del profeta Gioele, capitolo 2, versetto 1, sempre citate durante gli incontri con la gioventù nei vari viaggi: “I vecchi sogneranno e i giovani avranno visioni”. Possono farlo solo se legati l’uno all’altro; i giovani, in particolare, “non possono sognare senza le radici, altrimenti sognano con il primo ambulante della strada”, ammonisce il Pontefice.

Non lasciare gli anziani soli

Da qui un appello per tutti gli anziani che “non hanno il diritto di morire nell'isolamento...”. Il Papa ricorda di quando da vescovo visitava le case di riposo e le infermiere raccontavano di “vecchi” lasciati soli per mesi e mesi dai parenti. “Il rapporto tra anziani e giovani è naturale. Una società che non si prende cura di questo rapporto si ideologizza, si settarizza...”, avverte Francesco. “Alcuni settori della società nascondono gli anziani”, invece c’è solo da imparare dalla loro “sabiduría”, dalla loro “saggezza”. “Non perdete l’illusione”, raccomanda Francesco ai giovani, “gli anziani vanno custoditi, gli anziani hanno da dire e da dare saggezza, è necessario che i giovani si avvicinino a loro”.

Adelante

“Adelante”, dice infine il Papa all’intera rete di Scholas: “Avanti, non come pirati”, scherza”. Infine, un altro lungo momento di saluti, strette di mano, foto di gruppo con i sindaci che dal Papa ricevono il diploma delle Scuole Laudato si’: “Non è un traguardo, ma un nuovo inizio”.

 

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