domenica 26 luglio 2015

QUALE FUTURO? QUALE ETICA?

RESPONSABILI
 dell'OGGI  e del DOMANI

Papa Francesco nell’Enciclica Laudatu si’ si pone questa domanda: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? […].[1] e continua il discorso dicendo
“[…] se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.
Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze”[2].
Come si vede, il Papa si pone dei problemi che riguardano la nostra responsabilità morale riguardo al futuro dell’umanità e dell’ambiente. Propriamente si può affermare che il Pontefice sostiene un’ ”etica del futuro”, la quale è ........

sabato 18 luglio 2015

PAOLO BORSELLINO ...... PERCHE' LA SUA MEMORIA SIA SEMPRE FECONDA DI IMPEGNO NELLA QUOTIDIANITÀ'

L'ultima lettera di Paolo Borsellino...
19 luglio 1992 – ore 5
"Gentilissima" Professoressa,
      uso le virgolette perchè le ha usato lei nello scrivermi, non so se per sottolineare qualcosa e "pentito" mi dichiaro dispiaciutissimo per il disappunto che ho causato agli studenti del suo liceo per la mia mancata presenza all'incontro di Venerdì 24 gennaio.
      Intanto vorrei assicurarla che non mi sono affatto trincerato dietro un compiacente centralino telefonico (suppongo quello della Procura di Marsala) non foss'altro perché a quell'epoca ero stato già applicato per quasi tutta la settimana alla Procura della Repubblica presso il Trib. di Palermo, ove poi da pochi giorni mi sono definitivamente insediato come Procuratore Aggiunto.
      Se le sue telefonate sono state dirette a Marsala non mi meraviglio che non mi abbia mai trovato. Comunque il mio numero di telefono presso la Procura di Palermo è 091/***963, utenza alla quale rispondo direttamente.
      Se ben ricordo, inoltre, in quei giorni mi sono recato per ben due volte a Roma nella stessa settimana e, nell'intervallo, mi sono trattenuto ad Agrigento per le indagini conseguenti alla faida mafiosa di Palma di Montechiaro.
      Ricordo sicuramente che nel gennaio scorso il dr. Vento del Pungolo di Trapani mi parlò della vostra iniziativa per assicurarsi la mia disponibilità, che diedi in linea di massima, pur rappresentandogli le tragiche condizioni di lavoro che mi affligevano. Mi preanunciò che sarei stato contattato da un Preside del quale mi fece anche il nome, che non ricordo, e da allora non ho più sentito nessuno.
      Il 24 gennaio poi, essendo ritornato ad Agrigento, colà qualcuno mi disse di aver sentito alla radio che quel giorno ero a Padova e mi domandò quale mezzo avessi usato per rientrare in Sicilia tanto repentinamente. Capii che era stato "comunque" preannunciata la mia presenza al Vostro convegno, ma mi creda non ebbi proprio il tempo di dolermene purché i miei impegni sono tanti e così incalzanti che raramente ci si può occupare di altro.
      Spero che la prossima volta Lei sarà così gentile da contattarmi personalmente e non affidarsi ad intermediari di sorta o a telefoni sbagliati..
      Oggi non è certo il giorno più adatto per risponderle perchè frattanto la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho tempo da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente perchè dormono quando esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati.
     
Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non lavorare e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle Sue domande.
      1) Sono diventato giudice perchè nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalle necessità di inseguire i compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dar sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica, non appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso.
      Fui fortunato e divenni magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al 1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me stesso. E' vero che nel 1975 per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto la mia famiglia, ero approdato all'Ufficio Istruzione Processi Penali, ma ottenni l'applicazione, anche se saltuaria, ad una sezione civile e continuai a dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali, delle dispute legali, delle divisioni erediatarie etc.
      Il 4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile ed il Comm. Chinnici volle che mi occupassi io dell'istruzione del relativo procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anche egli dal civile, il mio amico di infanzia Giovani Falcone e sin dall'ora capii che il mio lavoro doveva essere un altro.
Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad occuparmi quasi casualmente, ma se amavo questa terra di essi dovevo esclusivamente occuparmi.
      Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressocchè esclusivamente di criminalità mafiosa. E sono ottimista perché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.
      2) La DIA è un organismo investigativo formato da elementi dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza e la sua istituzione si propone di realizzare il coordinamento fra queste tre strutture investigative, che fino ad ora, con lodevoli ma scarse eccezioni, hanno agito senza assicurare un reciproco scambio di informazioni ed una auspicabile, razionale divisione dei compiti loro istituzionalmente affidati in modo promiscuo e non codificato.
      La DNA invece è una nuova struttura giuridica che tende ad assicurare soprattutto una circolazione delle informazioni fra i vari organi del Pubblico Ministero distribuiti tra le numerose circoscrizioni territoriali.
      Sino ad ora questi organi hanno agito in assoluta indipendenza ed autonomia l'uno dall'altro (indipendenza ed autonomia che rimangono nonostante la nuova figura del Superprocuratore) ma anche in condizioni di piena separazione, ignorando nella maggior parte dei casi il lavoro e le risultanze investigative e processuali degli altri organi anche confinanti, e senza che vi fosse una struttura sovrapposta delegata ad assicurare il necessario coordinamento e ad intervenire tempestivamente con propri mezzi e proprio personale giudiziario nel caso in cui se ne ravvisi la necessità.

       3) La mafia (Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra per la sua caratteristica di "territorialità". Essa e suddivisa in "famiglie", collegate tra loro per la comune dipendenza da una direzione comune (Cupola), che tendono ad esercitare sul territorio la stessa sovranità che su esso esercita, deve esercitare, leggittimamente, lo Stato.
      Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio principalmente con l'imposizione di tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con l'accaparramento degli appalti pubblici, fornendo nel contempo una serie di servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro etc, che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato.
      E' naturalmente una fornitura apparente perchè a somma algebrica zero, nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso l'imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il lavoro è assicurato a taluni (pochi) togliendolo ad altri (molti).
     La produzione ed il commercio della droga, che pur hanno fornito Cosa Nostra di mezzi economici prima impensabili, sono accidenti di questo sistema criminale e non necessari alla sua perpetuazione.
      Il conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall'interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi perchè venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale.
      Alle altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra, "ndrangheta", Sacra Corona Unita etc.) difetta la caratteristica della unitarietà ed esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono con le stesse caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa Nostra. ma non hanno l'organizzazione verticistica ed unitaria. Usufruiscono inoltre in forma minore del "consenso" di cui Cosa Nostra si avvale per accreditarsi come istituzione alternativa allo Stato, che tuttavia con gli organi di questo tende a confondersi.

venerdì 17 luglio 2015

LA MITEZZA, UNA VIRTU' 'IMPOLITICA'

BEATI I MITI ....


Il filosofo Norberto Bobbio nel suo Elogio della mitezza (1993) aveva celebrato questa virtù come la più «impolitica» e si può comprendere questa sua posizione nel contesto della gestione della politica che ignora ogni compassione e si fonda sul potere e spesso sull’arroganza. In una visione più alta della politica la mitezza avrebbe invece uno spazio rilevante.
Essa, infatti, non è né codardia né mera remissività, come osservava lo stesso filosofo: «La mitezza non rinuncia alla lotta per debolezza o per paura o per rassegnazione». Anzi, essa vuole essere come un seme efficace piantato nel terreno della storia per il progresso, per la pace, per il rispetto della dignità di ogni persona. Ma aspira a raggiungere questo scopo rifiutando la gara distruttiva della vita, la vanagloria e l’orgoglio personale e nazionalistico, etnico e culturale, scegliendo la via del distacco dalla cupidigia dei beni e l’assenza di puntigliosità e grettezza.
Noi, però, ci interessiamo ora della mitezza evangelica, presente nella terza beatitudine (Mt 5,5), una virtù che non ha solo una dimensione etica, come accadeva nel mondo greco, ma che si rivela come un dono divino, capace di fiorire nel cuore del credente come amore per l’altro, perdono, rigetto della violenza, fiducia nel giudizio di Dio.
Si possono, quindi, assumere tutti i sinonimi che accompagnano la mitezza nel nostro vocabolario per cui la persona mite è paziente, benigna, benevola, docile, buona, dolce, mansueta, clemente, affabile, umana e gentile all’interno di una società crudele, dura, spietata. Tuttavia la mitezza evangelica altro non è che la «povertà nello spirito» della prima delle Beatitudini, colta nella sua connotazione di adesione gioiosa alla volontà e alla legge divina.
Il modello rimane lo stesso Cristo che delinea proprio la mitezza come sua qualità distintiva e fonte di imitazione per il discepolo: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). E continua con una citazione del profeta Geremia .......

 Leggi:   BEATI I MITI

giovedì 16 luglio 2015

SARA' BUONA SCUOLA?

Sarà Buona Scuola?

Dopo mesi di dichiarazioni, confronti, mobilitazioni, scioperi, flashmob la scuola italiana vede con oggi l’entrata in vigore della legge mediaticamente nota coma “La Buona Scuola”.
L’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC), già dalle prime proposte del Governo circa un anno fa e durante tutto l'iter parlamentare, ha evidenziato che alle note positive legate al significativo investimento in termini economici e di assunzioni non corrispondessero spesso scelte funzionali al corresponsabile e partecipato sviluppo dell’autonomia scolastica e della professionalità docente.
Il clima nelle scuole che accolgono la nuova legge è, purtroppo, il meno propizio a causa delle fortissime polemiche che hanno accompagnato l'iter legislativo. 
Nessuna vera innovazione e nessun reale miglioramento possono realizzarsi nella logica della contrapposizione.
È necessario ora dare avvio a una fase nuova e diversa, a partire dalla predisposizione della decretazione delegata e attuativa che veda riaprirsi il dialogo fattivo e costruttivo fra le opposte posizioni e che aiuti effettivamente la scuola a migliorarsi nel supremo interesse del diritto all'apprendimento di ciascuno studente.

La presidenza nazionale AIMC

Roma, 16 luglio 2015

LEGGE 13 LUGLIO 2015 , N. 107


mercoledì 15 luglio 2015

LA SORGENTE DEL NOSTRO QUOTIDIANO

Nella nostra vita quotidiana, in famiglia, nella scuola, bella comunità ecclesiale, nella comunità sociale .... abbiamo bisogno di "abbeverarci" a buone sorgenti.

Senz'acqua la nostra vita diventa arida, i nostri rapporti sono sterili o turbolenti....

Se la sorgente non è buona, la nostra vita viene inquinata e il nostro cammino risulta disorientato  ed anche privo di senso ....

In ogni ambiente e in ogni momento siamo chiamati a  "nutrirci" di acqua fresca e buona per poter essere anche noi portatori di  buona vita ....

La nostra presenza-testimonianza in associazione è condizionata dalla sorgente che ci disseta, rinfresca, rigenera, rinvigorisce .....

In questi giorni di calura e di vacanza,  offriamo una riflessione che ci interroga e ci stimola a guardare oltre e in alto, a progettare un futuro migliore, a ripensare alla nostra presenza in associazione, nella scuola, nella chiesa e nella società
 perché ciascuno possa/sappia essere portatore di vitalità e di fecondità, superando ogni tentazione di sterile disimpegno o di vano brontolio mugugno o di sterile attesa, di arido disimpegno.

L'acqua di una sorgente è pura e fresca perché ha il coraggio di uscire dalla stagnante chiusura ed autoreferenza per rigenerarsi donandosi generosamente agli altri.

Che ogni sorgente d'acqua fresca che incontriamo o che desideriamo incontrare sia una sfida per la nostra vita!

Auguri. Approfittiamo del periodo di vacanze per ridare freschezza e vigore alla nostra vita e ripensare al nostro impegno. 

gp

 A QUALE SORGENTE ATTINGIAMO?

In questo nostro tempo gli uomini sono alla ricerca di una spiritualità che li aiuti a vivere la quotidianità. A tal fine ritengo sia importante porsi tre domande:
- da quale sorgente attingo la mia forza?
- come posso vivere, concretamente, la spiritualità nella quotidianità?
- come posso fare esperienza di Dio nel mio quotidiano?
È mia convinzione che l'ultima domanda sia quella decisiva. Ma procediamo con ordine, partendo dal dato iniziale: le persone sono alla ricerca di esperienze spirituali. Cerchiamo quindi di fornire delle risposte, partendo dalla prima domanda: da quali sorgenti attingo la mia forza? Spiritualità deriva da spiritus – soffio, alito d'aria, concetto impalpabile come appunto è lo spirito – e per il cristiano spiritualità significa vivere della sorgente dello Spirito Santo.
Per molti questo suona come un concetto astratto. Tuttavia, il modo di percepire se stessi nel quotidiano dipende dalla sorgente alla quale attingiamo. .........




domenica 12 luglio 2015

BUONA SCUOLA e CONSIDERAZIONI DI FINE ANNO SCOLASTICO


AIMC  - Sezione di Firenze

Alcune considerazioni di fine anno scolastico

Il  risentimento giustificato dei docenti
          Gli scioperi e le proteste degli insegnanti di questi ultimi due mesi non hanno dato voce e visibilità solo alle ragioni di un dissenso nei confronti della riforma sulla scuola. Hanno evidenziato anche un risentimento diffuso tra la categoria. Profondo. Un astio che andava anche oltre le ragioni dell'opposizione al disegno di legge sulla “buona scuola”. 
          Per spiegarlo, bisognerebbe riflettere su questo semplice dato: l'insegnante ha visto, in questi ultimi venti anni circa, cambiare il proprio profilo professionale. Che il legislatore è andato -attraverso norme anche significative- caricando di nuovi compiti.  -Il Curricolo, il Pof, il Pei, il Pai, il Rav,il Pdp,il GLI, i DSA, i Bes- non sono solo sigle, corrispondono a nuove funzioni che hanno reso più complessa la professione.  Senza contare che oggi la situazione richiede a un docente -più che in passato- una competenza non solo disciplinare ma anche relazionale, comunicativa, metodologica, psicologica.
          I docenti si sono visti cioè via via  attribuire l'onere di nuove prestazioni senza tuttavia che fosse prevista e ottenuta una contestuale e adeguata  valorizzazione del proprio ruolo .         
          Tutto questo, unito al blocco del contratto, basta e avanza a spiegare il disagio dei professionisti di scuola.


L'allievo: questo soggetto ignorato

          Nel dibattito furioso che ha investito  il paese e il Parlamento sulla riforma della scuola si è parlato di tanti soggetti. Dei docenti, dei genitori, degli ata, dei dirigenti, dei precari, delle forze sociali, delle prerogative del governo. Si è argomentato dei diritti di tutti . Tranne che di quelli dell'unico soggetto per il quale esiste un servizio formativo: l'allievo
          Che non ha bisogno tanto e solo delle nostre attenzioni (necessariamente e legittimamente di parte). Quanto piuttosto di essere riconosciuto come titolare del diritto all'apprendimento, del diritto a ricevere un intervento didattico educativo idoneo, del diritto alla continuità della propria formazione.
          La nostra Carta costituzionale individuava queste prerogative come coesistenti con la persona in formazione ; prerogative da difendere, attraverso la via legislativa repubblicana, in modo tale da renderle inviolabili (art.2). 
          Ora, basterebbe pensare a questo: che nessun mestiere -e neppure ovviamente quello dell'insegnante- può essere efficacemente  valorizzato  se, in primo luogo, non se ne preserva l'obiettivo. Che, nel nostro caso, è appunto “il pieno sviluppo della persona umana” (art.3 cost.).
          La  scuola andrebbe pertanto pensata prima di tutto a partire dalla tutela dei diritti dell'alunno. Altrimenti, semplicemente, è destinata inevitabilmente a   non essere adeguatamente valorizzata e a non funzionare.          Occorrerebbe in primo luogo una legge quadro sui diritti all'apprendimento.          Poi, il resto.
           
A.I.M.C. FIRENZE


mercoledì 8 luglio 2015

PAPA FRANCESCO: LE SCUOLE SONO UN VIVAIO, TERRA FERTILE ASSETATA DI VITA

 Le sono un vivaio, una possibilità, terra fertile per curare, stimolare e proteggere. Terra fertile assetata di vita.
"  ....
Mi chiedo insieme con voi educatori: vegliate sui vostri studenti aiutandoli a sviluppare uno spirito critico, uno spirito libero, in grado di prendersi cura del mondo d’oggi? Uno spirito che sia in grado di trovare nuove risposte alle molte sfide che la società oggi pone all'umanità? Siete in grado di incoraggiarli a non ignorare la realtà che li circonda? A non ignorare ciò che succede intorno? Siete capaci di stimolarli a questo? A questo scopo bisogna farli uscire dall’aula, la loro mente bisogna che esca dall’aula, il loro cuore bisogna che esca dall’aula. Come entra nei diversi programmi universitari o nelle diverse aree di lavoro educativo la vita intorno a noi con le sue domande, i suoi interrogativi, le sue questioni? Come generiamo e accompagniamo il dibattito costruttivo, che nasce dal dialogo in vista di un mondo più umano? Il dialogo, quella parola-ponte, quella parola che crea ponti.
      E c’è una riflessione che ci coinvolge tutti: le famiglie, le scuole, i docenti: come possiamo aiutare i nostri giovani a non identificare il diploma universitario come un sinonimo di status più elevato, sinonimo di soldi, di prestigio sociale. Non sono sinonimi. Come li aiutiamo a identificare questa preparazione come un segno di maggiore responsabilità per i problemi di oggi, rispetto alla cura dei più poveri, rispetto alla salvaguardia dell’ambiente.
E voi, cari giovani che siete qui, presente e futuro dell’Ecuador, siete quelli che dovete fare chiasso. Con voi, che siete seme di trasformazione di questa società, vorrei chiedermi: sapete che questo tempo di studio, non è solo un diritto, ma anche un privilegio che voi avete? Quanti amici, conoscenti o sconosciuti, vorrebbero un posto in questo luogo e per diverse circostanze non lo hanno avuto? In quale misura il nostro studio ci aiuta e ci porta a solidarizzare con loro? Fatevi queste domande, cari giovani.
      Le comunità educative hanno un ruolo vitale, un ruolo essenziale nella costruzione della cittadinanza e della cultura. Attenzione: non basta fare analisi, descrivere la realtà; è necessario dar vita ad ambiti, a luoghi di ricerca vera e propria, a dibattiti che generino alternative ai problemi esistenti, specialmente oggi, che è necessario andare al concreto.
     Di fronte alla globalizzazione del paradigma tecnocratico che tende a credere«che ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale e di pienezza di valori, come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia» (Enc. Laudato si’, 105), oggi a voi, a me, a tutti, ci viene chiesto che con urgenza ci affrettiamo a pensare, a cercare, a discutere sulla nostra situazione attuale – e dico urgenza –; che ci incoraggiamo a pensare su quale tipo di cultura vogliamo o pretendiamo non solo per noi ma per i nostri figli e i nostri nipoti. Questa terra l’abbiamo ricevuta in eredità, come un dono, come un regalo. Faremmo bene a chiederci: come la vogliamo lasciare? Quali indicazioni vogliamo imprimere all'esistenza? «A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo?» (ibid., 160), perché studiamo?
     Le iniziative individuali sono sempre buone e fondamentali, ma ci viene chiesto di fare un ulteriore passo avanti: ci incoraggiano a guardare la realtà in modo organico e non frammentario; a porci domande che includono tutti noi, dal momento che tutti «sono relazionati tra loro» (ibid., 138). Non c’è diritto all’esclusione.
Come Università, come istituzioni educative, come docenti e studenti, la vita ci sfida a rispondere a queste due domande: perché questa terra ha bisogno di noi? Dov’è tuo fratello? ..... "

Quito, 7 luglio 2015

lunedì 6 luglio 2015

AIMC, ALLA VIGILIA DEI 70 ANNI DI VITA

70 ANNI AL SERVIZIO 
DELLA SCUOLA E DELLA SOCIETA'

Carissime amiche e carissimi amici,

 si avvicina la celebrazione dei 70 anni della nostra Associazione e occorre concretizzare le cose per essere pronti.
Al momento attuale non abbiamo ancora fissato una data per il Convegno ufficiale, in quanto stiamo aspettando indicazioni dalla Presidenza della Repubblica a cui è stata chiesta la possibilità di incontrare il Presidente Mattarella.

Come sapete, per l’occasione dei 70 anni dell’Associazione, il Consiglio nazionale ha deliberato di pubblicare un testo, in cui raccogliere biografie di persone che negli anni trascorsi hanno testimoniato in maniera significativa la loro appartenenza all’Aimc.
Contemporaneamente, al fine di evitare una pubblicazione solo rivolta al passato, lo stesso Consiglio nazionale ha deliberato che una parte del testo sia dedicata alla presentazione di esperienze di buone pratiche svolte in questi ultimi anni o che si stanno svolgendo.
Chiediamo, pertanto, a ciascun presidente regionale, coinvolgendo il Consiglio regionale e quelli provinciali e sezionali,
-  di individuare una persona significativa del proprio territorio e di presentarla in forma narrativa o mediante un’intervista;
-        di individuare un’esperienza di buone pratiche associative e di presentarla.
Ogni parte dovrà essere contenuta in un massimo di 15.000 battute (compresi gli spazi) e potrà essere corredata da alcune fotografie.
Per avere tempi distesi per le successive fasi di redazione e stampa, vi chiediamo di far pervenire i due testi (biografia ed esperienza buone pratiche) entro la fine del mese di agosto all’indirizzo mail stampa@aimc.it indicando nell’oggetto: “Per pubblicazione 70 anni AIMC”.

Il Consiglio nazionale ha, inoltre, deliberato di organizzare una mostra itinerante. L’archivio nazionale è ricco e può essere arricchito ulteriormente da fotografie che presentino attività locali.
Anche per questa prospettiva, vi chiediamo di inviare eventuale materiale fotografico, in forma digitale (jpg) con l’indicazione chiara dell’anno, del luogo, e dell’avvenimento di riferimento, nei tempi e nelle modalità già indicate in precedenza, che verrà poi valutato per rendere coerente l’intera mostra.

Vi chiediamo, inoltre, di segnalarci, fin da adesso, che avete letto questa comunicazione e, se avete già avviato il lavoro, come vi siete organizzati.

Vi ringraziamo per la vostra collaborazione: l’impegno di tutti contribuirà a valorizzare, ancora una volta, il senso di appartenenza di ciascuno e la nostra storia associativa che ha radici solide che sostengono il nostro sguardo rivolto al futuro.

Buon lavoro e buona estate a tutti.

La segretaria nazionale                                               Il presidente nazionale
   f.to Cristina Giuntini                                                   f.to Giuseppe Desideri



Roma, 7 luglio 2015