sabato 27 febbraio 2021

ALZATE LO SGUARDO

 

-  Dal Vangelo secondo Marco  - Mc 9,2-10

 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

 Il commento al Vangelo di domenica 28 Febbraio 2021 – Anno B, a cura di Paolo Curtaz.

Se non possiamo cambiare la realtà, possiamo cambiare il nostro sguardo su di essa.

 Non come ripiego o illusione, non come fuga. Per troppo tempo la religione è stata vista, non sempre a torto, come oppio dei popoli.

Qui parliamo d’altro.

Di guardare la realtà mettendoci dal punto di vista di Dio. perché Dio ci ha insegnato a metterci dalla sua parte, ad alzare lo sguardo.

Così anche una pandemia che ci ha e ci sta duramente provando può diventare opportunità, occasione di tornare all’essenziale. Come ci racconta il vangelo di oggi. È lo sguardo dei discepoli che vede Gesù in maniera nuova, luminosa.

Come se, finalmente, si accorgessero della possente luce interiore che emerge dalla persona di Gesù. Oltre il rabbino, il Maestro, il profeta, per la prima volta vedono con uno sguardo nuovo il volto di Gesù.

Trasfigurato.

Anche se, nell’originale, si parla di metamorfosi. Lo sguardo altro. Un cambiamento della condizione in cui si viene a trovare Gesù. Colmo di luce.

Possiamo essere cristiani da sempre, ed essere cresciuti a pane e Vangelo; possiamo frequentare la parrocchia e andare a Messa, finanche essere preti e suore e volere bene a Gesù, rispettarlo, amarlo, finanche. Ma quello che cerchiamo è uno sguardo diverso su di lui.

Una metamorfosi.

Così come possiamo guardare a questo deserto in cui siamo immersi da tempo, deserto di affetti, di sogni, di certezze, di abbracci, per vederlo non come il luogo della prova, del vagare impaurito del popolo di Israele, liberato ma non ancora libero. Ma come il luogo del fidanzamento in cui, come dice Osea, Dio conduce la sua amata.

E sì, dobbiamo ammettere che questa lunga pandemia può diventare non solo il luogo della depressione, ma quello in cui, crollata ogni certezza, non vediamo più altro se non Gesù solo, con noi. Perché è il Tabor la meta del nostro cammino.

Per sopportare e superare il Golgota abbiamo bisogno di impregnarci di luce, di fare memoria della gioia, di inebriarci di festa, di lasciarci abbracciare dall’infinita bellezza del Dio di Gesù. Il dolore lo si può affrontare solo se le nostre sporte di speranza sono colme. Ma c’è una  condizione necessaria per contemplare la bellezza di Dio. Salire.

Dalla pianura

Gesù prende con sé tre dei suoi discepoli per salire sul Tabor. Per vedere la bellezza di Dio dobbiamo osare ed abbandonare la pianura della quotidianità della ripetitività, dell’assuefazione, della paura, dello scoraggiamento, del vittimismo. Questo grande dono che è il tempo della Quaresima ci aiuta ad andare oltre, più in alto.

Alzare lo sguardo magari prendendoci mezza giornata vera di pausa, di silenzio, di pace.

Le nostre anime languono se non abbiamo il coraggio di porre una diga ai pensieri, agli impegni, all’angoscia. 



Su quella piccola collina – chiamarlo un alto monte è più un riferimento al Sinai che una precisazione topografica – i tre discepoli vedono Gesù in una maniera nuova, diversa. È sempre lui ma non è lui. Lo sguardo delle altezze ha loro affinato l’anima. Vedono tutta la luce che emana dalla persona del Maestro. Gesù parla con Mosè ed Elia. La Legge e i Profeti.

Per la comunità che legge il vangelo di Marco è un’evidente conferma dell’identità nascosta del Nazareno. Per noi, oggi, è un invito a metterci sulla strada della liberazione come il popolo di Israele e ad accogliere ed ascoltare le tante profezie che ancora ci giungono.

Luca, tenero, ci aggiorna sull’argomento del colloquio: parlano con Gesù della sua dipartita, della sua Passione. Come ad incoraggiarlo. È bello! È Pietro a parlare, ora. A dire il vero non sa nemmeno cosa dire, balbetta, farfuglia.

È bello per noi stare qui.

Ci sono momenti, nella preghiera, nella meditazione, durante una passeggiata in mezzo alla natura, in cui abbiamo la percezione profonda e precisa della bellezza di Dio. Essere invasi, abitati dalla sua immensa luce, avere la netta percezione di altro da noi stessi, di Qualcuno che ci sfiora, è un dono delicato dello Spirito.

È un momento indescrivibile e che, pure, chi ha vissuto riconosce. Ma guai a farne la stabile dimora. Guai a cedere al sentimentalismo, alla gioia per la gioia.

Se Dio ci concedere attimi di gioia intensa e inattesa, di percezione della bellezza, è per suscitare i noi il desiderio del cammino.

Che prosegue se abbiamo la costanza di ascoltare il Figlio amato. di scrutarla ed accoglierla questa Parola che ribalta la vita. Parola che emerge dalla nube che richiama la teofania di Dio sul monte nel deserto.

Non possediamo la Parola, la accogliamo, la riceviamo come un dono prezioso da scrutare. E che ci nutre di bellezza.  Ora, annota Marco/Pietro, i discepoli non vedono più nessuno, se non Gesù, solo, con loro. Affinare questo sguardo ci permette di vedere che Cristo, l’unico, rimane con noi qualunque cosa accada.

Risorgere dai morti

Scendono, ora, i discepoli. Felici e storditi. Colmi di un gravido e complice silenzio. Non si può dimorare sempre sulla cima del monte. Bisogna scendere. Perché Gesù, ora, scende in mezzo alla folla amata. Il Tabor si può prescrivere solo a piccole dosi. E chiede di non raccontare nulla fino alla sua resurrezione. Annuiscono, i discepoli. Ma, annota Marco, non sanno cosa significhi risorgere dai morti. Risorgere significa trasfigurarsi, una vera metamorfosi del corpo e dell’anima.

A noi, in questa quaresima, è chiesto di cambiare, di fare metamorfosi del nostro modo di vedere le cose e gli altri.

Verso il Tabor definitivo.

 

Cerco il tuo volto.

 

 

 

 

GOVERNO NUOVO?


Un contesto positivo

 e un risultato deludente

 -di Giuseppe Savagnone*


Ora che sono stati nominati anche i 39 sottosegretari e la squadra del nuovo governo è stata completata, è possibile darne una prima valutazione “a caldo”. Nella consapevolezza che saranno i fatti a dire, in ultima istanza, in che misura e in che direzione siamo in presenza di una svolta rispetto al passato; ma anche che il comportamento futuro di coloro che sono stati appena investiti del compito di governare il nostro Paese non può prescindere dalla loro identità politica, frutto della loro storia personale, e dal contesto in cui la loro scelta è stata fatta dai partiti.

Un contesto che, per quanto riguarda i ministri, era apparso decisamente positivo, specialmente a confronto con le precedenti esperienze dei governi Conte. Il capo dello Stato – favorito dal clima di “ultima spiaggia” che caratterizzava il momento – ha garantito al presidente incaricato Draghi la possibilità di scegliere i nomi dei titolari dei vari dicasteri in piena autonomia.

Forse proprio per questo, quando la lista è stata resa pubblica, non si è potuto evitare di provare quella che un equilibrato editorialista ha definito «una punta di delusione». È vero che il governo doveva essere – questa era l’unico vincolo – “politico”; è vero che la pretesa di Berlusconi che fosse quello “dei migliori” appariva in partenza uno slogan velleitario; ma forse era legittimo aspettarsi una maggiore discontinuità rispetto al personale stantìo e, in qualche caso, squalificato dei passati governi della Seconda Repubblica. È sembrato quasi che Draghi abbia preferito rinunziare a esercitare il suo potere di andare oltre le logiche strettamente partitiche – magari nominando personalità “di area”, gradite, ma non organiche ai rispettivi apparati partitici –, per rispettare alla fine le preferenze di questi apparati, limitandosi a far presidiare qualche posto chiave da alcuni tecnici di propria fiducia.

La legge della jungla non favorisce l’«alto profilo»

E così ha fatto anche per la scelta dei sottosegretari, in cui invece era esplicitamente previsto il ruolo decisivo dei partiti. Ma qui già il contesto è bruscamente cambiato, trasformandosi in quello di una rissa che ha paralizzato la vita del governo per diversi giorni. Non più tenute a freno dal presidente del Consiglio – e forse incoraggiate dalla disponibilità che questi aveva avuto nei loro confronti – le forze politiche sono uscite allo scoperto, dando vita a una lotta senza esclusioni di colpi che ha avuto come unica regola la legge della jungla. E questa volta Draghi ha dovuto far ricorso alla sua autorevolezza non per agire in autonomia, ma per imporre la fine di questi giochi di palazzo.

Il risultato finale, però, non è meno deludente di quello registrato a livello ministeriale. Anzi. Tutti i giornali hanno ironizzato sulla nuova sottosegretaria alla Cultura, la quale, quando ricopriva lo stesso incarico nel governo Conte 1, aveva ammesso di aver letto l’ultimo libro tre anni prima; o sull’altro, nominato sottosegretario all’Istruzione, che pochi giorni fa ha postato sulla sua pagina Facebook la frase «chi si ferma è perduto», attribuendola a Dante, mentre invece deriva da un albo di «Topolino».

Non si tratta di demonizzare nessuno, ma è chiaro che non sono simili figure che possono aiutarci a veder realizzato l’auspicio del presidente Mattarella che questo fosse, per usare le sue parole, «un governo di alto profilo». E purtroppo non sono questi gli unici casi in cui il criterio della scelta dei nuovi sottosegretari sembra essere stata la fedeltà ai rispettivi leader di partito, più che la loro competenza e il loro spessore culturale.

La mancanza di un progetto comune

Ma non è questo l’aspetto della formazione del nuovo governo che appare più inquietante. Purché si faccia finta di non aver mai sentito parlare di un “governo dei migliori”, il ricordo di altri governanti del passato altrettanto discutibili ci potrebbe aiutare a sorvolare. Il guaio è che, a questo limite, qui se ne aggiunge un altro, ben più gravido di conseguenze politiche, perché relativo alla esigenza da cui l’attuale esecutivo è nato, quello di esprimere «l’unità nazionale».

Già il clima che aveva accompagnato la scelta dei ministri induceva a serie perplessità. Tra le forze politiche non sembrava esserci alcun reale sforzo di dialogare tra loro per costruire un minimo progetto comune. Né sembravano in grado di farlo, date le radicali distanze tra di loro e con lo stesso indirizzo europeista del governo a cui aderivano, superate nel giro di pochi giorni con una giravolta troppo improvvisata per non essere dubbia.

Il solo polo attrattivo, per tutti, erano i 209 miliardi del Recovery Fund, su cui ognuno voleva avere le mani non per contribuire, con le proprie specifiche sensibilità e competenze, a un unico percorso, ma per trarne le risorse necessari ai propri piani, peraltro incompatibili con quelli degli altri partner di governo. L’unità della compagine governativa veniva affidata in modo esclusivo alla capacità del presidente Draghi di crearla dal nulla, con i colpo di bacchetta magica del suo personale prestigio.

Ora, con la nomina dei sottosegretari, si accentua l’impressione che questo governo, dietro l’etichetta della “unità nazionale”, si avviato ad essere quello del tiro alla fune tra posizioni antitetiche. Si va dal grillino Carlo Sibilia, che sulla sua pagina Facebook, nel febbraio 2017, aveva addirittura scritto di Mario Draghi: «Andrebbe arrestato», e che ora farà parte del suo governo come sottosegretario all’Interno, alla leghista Stefania Pucciarelli, che nel 2017 mise “mi piace” su Facebook a un utente che scriveva «la prima casa agli italiani, agli altri un forno» e l’anno dopo ha pubblicato un video contro i migranti, denunciando di essere «l’unica italiana in un vagone del treno». E non sono gli unici casi.

Qui il problema non è di competenza o meno, ma di identità e di linea politica. Tutti convertiti dalla bacchetta magica di Draghi? Oppure entrati a far parte di una compagine governativa che dichiaratamente va in direzione opposta alla loro, con la speranza di poter contribuire a modificare questa direzione?

Un passaggio di consegne simbolico

È un indebito processo alle intenzioni? C’è almeno un caso in cui le intenzioni sono state esplicitate. È quello del nuovo sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, che ricopriva questa carica quando il ministro degli Interni era Salvini e che è considerato l’ideatore dei famosi “Decreti sicurezza”, che rendevano molto difficile non solo l’ingresso dei migranti nel nostro Paese, ma anche quella integrazione che avrebbe loro consentito di passare da “clandestini” a “regolari”. Molteni entra sostituendo il dem Matteo Mauri, che aveva molto lavorato per smontare e modificare quei Decreti. Un passaggio di consegne simbolico…

Il leader della Lega aveva preannunciato questa nomina. In una intervista di qualche giorno fa aveva espresso le sue riserve sulla conferma del ministro degli interni, Luciana Lamorgese, a suo avviso inadatta fronteggiare il problema migratorio – in realtà su posizioni molto diverse dalle sue – e aveva garantito che avrebbe provveduto a «metterle accanto qualche persona in gamba, che avrebbe fatto cambiare passo». A rendere problematica questa soluzione era il fatto che Molteni, nell’ultimo anno, aveva inondato la sua pagina facebook con attacchi durissimi alla Lamorgese. Il Pd perciò si era opposto e la stessa ministra aveva espresso la sua perplessità. Ma la nomina è stata fatta.

È abbastanza evidente il preciso progetto di Salvini di creare, all’interno del Ministero, un contraltare alla guida del ministro, per riportare le politiche del governo sulla linea che la Lega ha sempre sostenuto e, quando ha potuto, ha realizzato. A conferma di ciò, in queste ultime settimane il leader leghista ha moltiplicato le denunzie dell’aumento degli sbarchi, riprendendo temi che gli erano carissimi, ma che la sua lontananza dal potere e la pandemia avevano contribuito a relegare in secondo piano.

Gli otri vecchi

Di questo gioco di contrappesi è un altro esempio la nomina, come sottosegretario alla Giustizia, dell’ex avvocato di Berlusconi, artefice di molte delle raffinate strategie giudiziarie che hanno consentito al leader di Forza Italia di sfuggire a quasi tutte le azioni giudiziarie nei suoi confronti. Difficile non vedere anche in questo caso una mossa volta a controbilanciare la posizione del nuovo ministro, Marta Cartabia, certamente estranea a queste logiche.

Ma si potrebbero citare anche altre nomine come quella di Giuseppe Moles, vicinissimo a Berlusconi, come sottosegretario in un ministro-chiave per gli interessi del “cavaliere”, quello all’informazione e all’editoria, in collegamento con l’altro forzista, Gilberto Picchetto Frattini, sottosegretario allo Sviluppo economico, importantissimo per il problema delle frequenze TV.

L’asse Lega-Forza Italia esce dunque clamorosamente vittorioso nella lotta per formare “il governo di unità nazionale”. L’unico neo è che si tratta delle stesse forze che hanno dominato per vent’anni la Seconda Repubblica (altro che “svolta”!) e che il loro progetto non è mai stato quello che ora Draghi attribuisce a questo nuovo governo. Mentre gli altri partiti sembrano privi di anima, come il Pd, o nel caos, come i 5stelle.

Dice il Vangelo che se si mette vino nuovo (il progetto del premier) in otri vecchi (i partiti che dovrebbero realizzarlo) si rompe tutto. L’altra ipotesi, non meno preoccupante, è che gli otri finiscano per cambiare il vino. Speriamo che i fatti smentiscano questa triste previsione.

 

*Pastorale Cultura Diocesi Palermo

www.tuttavia.eu

 

 

ATTENTI AL "CIUKINISMO" !


 Fa discutere il fenomeno del cosiddetto “ciukinismo”, emerso la scorsa estate.

Lo psicoterapeuta Lavenia: «In Rete esplodono rabbia e violenza, genitori ed educatori intervengano con responsabilità e vigilanza»

 

-         di DANILO POGGIO

-          

Il nome richiama gli asinelli nei giochi innocenti dei bambini, ma il cosiddetto 'ciukinismo' (o 'chukinismo') è, in realtà, uno dei fenomeni più crudeli del web degli ultimi anni. Ha avuto origine in Italia ed è emerso pubblicamente durante la scorsa estate, quando un tal Ciukino, su Telegram, incitava alla più feroce spietatezza e alla violenza sessuale nei confronti delle donne. La procura dei minori di Lecce aveva aperto un’inchiesta e le indagini, delegate al compartimento della polizia postale, hanno portato all’identificazione, pochi giorni fa, di un minorenne residente nel Salento. La pagina è stata oscurata ma si teme che il fenomeno possa, in un modo o nel-l’altro, continuare. 'Discrimina, minaccia, massacra, accoltella, spara. Zero pietà' oppure 'Le donne servono solo al piacere e a niente altro' erano gli audio messaggi che questo personaggio condivideva con tutti i suoi interlocutori all’interno di una chat. Le frasi erano pronunciate da una misteriosa voce metallica perché Ciukino (probabilmente un minorenne) si nascondeva dietro un bot, una sorta di robot programmato da qualcuno per interagire nelle chat. Il metodo era sempre più o meno lo stesso. Raccoglieva sugli altri social network foto di ragazzine minorenni o appena maggiorenni e le condivideva nei gruppi tematici che aveva creato, frequentati anche da giovani e giovanissimi. Spesso proponeva anche dei 'sondaggi' per decidere, in base ai 'voti' dei membri del gruppo, quale fosse la ragazzina da prendere di mira. Oppure c’era un vero e proprio scambio di fotografie, accompagnate da commenti aggressivi a dir poco disumani. «Tutto questo – spiega lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’associazione nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche) – è semplicemente un’altra faccia, ancora più violenta, dell’ormai noto cyberbullismo. Da molto tempo su Telegram esistono delle chat in cui si prendono di mira e si insultano ragazzine e ragazzini. Persino la didattica a distanza ha alimentato, involontariamente, il fenomeno. Durante le lezioni si scattano degli screenshot quando un compagno assume un’espressione buffa e poi si crea un gruppo per prenderlo in giro in modo spietato a sua insaputa». Il ciukinismo è emerso la scorsa estate in tutta la sua crudeltà soltanto in seguito alle segnalazioni delle stesse ragazzine, che hanno visto le proprie fotografie dove mai le avevano postate, ritrovandosi improvvisamente coinvolte in un vortice di insulti e minacce. Quando una di loro si è rivoltamente direttamente al profilo di Ciukino, la risposta ricevuta è stata eloquente: «Io picchio le donne e butto l’acido in faccia, le donne sono peggio degli oggetti, non hanno valore. Se una donna è pari ad un uomo, può essere picchiata».

«Il rischio è che queste immagini diventino virali – avverte Lavenia – perché vengono create delle vere catene che promettono addirittura ricariche del telefono in cambio della condivisione delle fotografie. Nell’ultimo periodo l’esplosione dell’utilizzo della tecnologia e l’iperconnessione alla rete hanno alimentato questo trend, portando i ragazzi a riversare tutta la propria rabbia e la propria frustrazione sul web. Il cyberbullismo è triplicato in un anno e l’autolesionismo online è raddoppiato, spesso legandosi a challenge (sfide, ndr) pericolose, come hanno dimostrato molti fatti di cronaca». E le vittime sono sempre più giovani. Secondo ricerche dell’associazione DiTe, il 27% dei minori tra gli 11 e i 13 anni ha inviato proprie foto o video intimi su chat e sui social, il 43% ne ha ricevuti e il 30% ha registrato vocali intimi o personali per condividerli in qualche chat. «È necessario lavorare sull’educazione al digitale dei ragazzi – conclude Lavenia – ma anche sulla formazione dei genitori e degli educatori. La legge vieta l’uso dei social ai minori di 13 anni e ciascun genitore è comunque responsabile della condotta del figlio minorenne, online e offline. Non esistono questioni legate alla privacy, non usiamola come scusa per deresponsabilizzarci come adulti».

 

www.avvenire.it

 

 

venerdì 26 febbraio 2021

LUCA ATTANASIO, UN AMBASCIATORE AL SERVIZIO DELLA PACE

 Attanasio, gli ultimi giorni di un uomo generoso

Prima di essere assassinato, l’ambasciatore italiano in Congo, la cui salma è rientrata in Italia, aveva fatto visita alla comunità missionaria saveriana di Bukavu. Padre Magnaguagno racconta: “Qui era di casa. Prima di andare incontro alla morte, ci ha portato gioia e speranza presentandoci i suoi ultimi progetti dedicati agli ultimi e ai bambini”.

- di Federico Piana- Città del Vaticano

Il racconto degli ultimi giorni di vita di Luca Attanasio sono una potente lente d’ingrandimento per mettere a fuoco i dettagli di un uomo altruista e generoso, impegnato senza risparmio ad aiutare i poveri e gli ultimi che incontrava sulla propria strada.

Vicino alla Chiesa

A riavvolgere i fotogrammi dei ricordi è padre Giovanni Magnaguagno, missionario saveriano, da anni nella Repubblica democratica del Congo. Il sacerdote conosceva bene l’ambasciatore italiano ucciso, bene a tal punto che il diplomatico era di casa nella sua missione cattolica di Bukavu, capoluogo della provincia del Kivu del Sud. “Veniva spesso da noi – rivela padre Magnaguagno – era come un membro di famiglia, uno di noi”.

L’ultimo incontro dedicato agli altri

L’ultima volta è stata il sabato precedente il giorno del barbaro omicidio. “Qui a Bukavu è arrivato nel pomeriggio, accompagnato dal responsabile del Pam, il programma alimentare mondiale, dal console e dalla sua guardia del corpo. Abbiamo fatto un incontro tutti insieme, poi abbiamo cenato. Il giorno dopo, la domenica, si sono fermati per la messa e successivamente sono partiti alla volta di Goma. Dopo aver incontrato gli italiani, il lunedì hanno proseguito verso il nord, dove poi il convoglio è stato attaccato”.

Sempre pronto ad aiutare

Quell’ultimo incontro tra il giovane ambasciatore e la missione saveriana di Bukavu era stato carico di speranza e di gioia. “Eravamo entusiasti. Luca ci ha raccontato che era riuscito, finalmente, ad ottenere dal governo congolese il nulla osta per l’adozione dei bambini da parte dell’Italia. Un successo. Poi ci ha annunciato che presto, a Goma, avrebbe fatto insediare un console stabile per tutte le nostre necessità”.  Anche le comunità montane della zona gli sono riconoscenti, perchè nel tempo aveva sostenuto le attività di alcune latterie, in molti casi unico sostentamento per decine di abitanti.

L’amore per i più piccoli

L’attenzione per i bambini e gli ultimi era radicata nel cuore di Luca Attanasio, spiega padre Magnaguagno: “Fu nell’incontro di sabato che prese anche l’impegno a rafforzare i finanziamenti per i bambini malnutriti e si stava dando molto da fare anche per quelli abbandonati. Era una persona molto buona, eccezionale, piena di ideali”.

Vatican News

 

Nord-Est del Congo: il caos nella ricca terra di nessuno

 


CONOSCERE E' COLLABORARE


 Parla lo studioso David Weinberger: «Per l’evoluzione delle biblioteche in piattaforme sono fondamentali la condivisione e il confronto dei dati» «I sistemi di apprendimento automatico accrescono la nostra responsabilità nella ricerca di un senso da dare alla realtà»

-                                                                          --di ALESSANDRO ZACCURI

 A forza di occuparsi del futuro, David Weinberger si è convinto che sia più prudente astenersi dalle previsioni. Il suo ultimo libro, Caos quotidiano, edito in Italia da Codice nella traduzione di Massimo Durante (pagine 304, euro 24,00), è un invito a venire a patti con la natura magmatica dei cambiamenti in atto e, se possibile, a trarne vantaggio. È l’esito di una riflessione sviluppata nel corso degli anni, a partire dal celebre Cluetrain Manifesto del 1999 con il quale Weinberger – oggi ricercatore senior presso il Berkman Klein Center for Internet & Society di Harvard – aveva individuato la tendenza che da lì a poco sarebbe stata sviluppata dai social network. Di recente il suo lavoro si è concentrato sui temi dell’apprendimento automatico (il cosiddetto Machine Learning) e delle nuove forme di condivisione del sapere. Oracoli, biblioteche e Intelligenza Artificiale è il titolo della relazione che lo studioso terrà oggi alle 14.30 in apertura del convegno online su “La biblioteca, piattaforma della conoscenza”. Niente previsioni, d’accordo. Il presente, del resto, fornisce già materiale in abbondanza.

«Il punto – spiega Weinberger ad Avvenire – è che il web e l’Intelligenza Artificiale stanno mettendo in discussione la concezione tradizionale della conoscenza, che nella cultura occidentale era rappresentata dalla convinzione che la verità derivasse dal raggiungimento di un accettabile grado di certezza. Si trattava di stabilire un consenso: di conseguenza, ciò su cui si continuava a dibattere non poteva ancora essere considerato come oggetto di conoscenza. Ma questo prevedeva una conoscenza precedente, in un percorso a ritroso che arrivava fino alle basi del sapere. Raggiunte e consolidate le quali, si poteva procedere a elaborare altra conoscenza».

Un processo del genere è ormai superato?

Al contrario, riveste ancora grande importanza. Ma in questa fase chi va in cerca di conoscenza si trova ben presto all’interno di una rete di idee tra loro interconnesse, che continuamente espandono, spiegano o contraddicono la loro stessa interconnessione. Se ne potrebbe dedurre che, ora come ora la conoscenza, non si trovi più nei libri o nelle nostre menti, ma in queste reti instabili e in continua discussione. La conoscenza, insomma, sta avvenendo.

L’idea è suggestiva quanto pericolosa, ma va comunque presa in considerazione. Se la conoscenza è attualmente più instabile che stabile, allora siamo chiamati ad apprendere, trasmettere e favorire nuove modalità collaborative, capaci di restituire significato al mondo.

Quale può essere il ruolo delle biblioteche?

Le biblioteche non si sono mai limitate a conservare informazioni, ma sono sempre state a loro volta produttrici di conoscenza. Oggi però la loro evoluzione in piattaforme dovrebbe incentrarsi sull’obiettivo di rendere proficua la condivisione delle informazioni che le stesse biblioteche generano: gli elenchi delle consultazioni e dei prestiti, le richieste di opere non presenti nelle collezioni, le valutazioni degli utenti, tutti i metadati disponibili nei cataloghi cartacei eccetera. Molto si può ricavare da questo patrimonio, specie comparando tra loro i comportamenti ricorrenti dei lettori di biblioteche diverse. Un’analisi di questo tipo sarebbe di grande aiuto per i bibliotecari, che potrebbero così interagire con gli utenti, aiutandoli a sviluppare prospettive più ampie. Il fatto che la ricerca su un determinato argomento conduca regolarmente alla consultazione di un certo libro rivela parecchio di una comunità e permette di valutarne le decisioni anche in altri contesti. Tutto questo, si capisce, nel rispetto della privacy delle singole persone.

In che cosa il Machine Learning differisce dall’apprendimento tradizionale?

Mentre i libri contengono una rappresentazione linguistica della conoscenza, di per sé i modelli di apprendimento automatico non contengono alcuna conoscenza, pur essendo in grado di produrre informazioni altrimenti inaccessibili. In un certo senso, sono come una macchina per contare le monte costruita in modo follemente complicato da un inventore che non sappia nulla di monete: scivoli, scambi e interruttori sono assemblati a casaccio con l’unico scopo di verificare, uno scossone dopo l’altro, se il conteggio risulti appena appena più accurato. Funzionare funziona, alla fine, ma di monete continua a non capire nulla. Allo stesso modo, i sistemi di apprendimento automatico possono dare risultati eccellenti nella gestione dei dati immessi, ma restano letteralmente privi di conoscenza specifica. Intendiamoci, non sto svalu- tando il Machine Learning. Al contrario, queste osservazioni non fanno altro che rendere ancora più sorprendente il fatto che un sistema del genere riesca a svolgere mansioni che hanno parvenza cognitiva. Semmai, dovremmo interrogarci come mai questi aggeggi sembrino cavarsela tanto bene.

Come può essere garantita l’accessibilità a una conoscenza sempre più vasta?

Stanno venendo meno i comportamenti e le istituzioni che attribuivano un valore alle informazioni. Non esiste più un unico flusso dei media, non esistono autorità universalmente rispettate né meccanismi di protezione contro le idee offensive ed estremiste.

Certo, tutto questo aveva un prezzo: c’erano molte voci che non riuscivamo a sentire, perché restavano fuori dagli schemi dell’informazione. In un mondo interconnesso, invece, siamo in grado di ascoltarle. Siamo davanti a un cambiamento epocale, che ci permette di sperare. Nello stesso tempo, però, la fine di quel flusso univoco ci obbliga a andare in cerca di un senso da attribuire alla realtà. Nell’ultimo quarto di secolo il web ci ha insegnato che questa compito non può essere affrontato se non attraverso la collaborazione. Nessuno può farcela da solo, dobbiamo lavorare gli uni con gli altri. Insieme abbiamo scoperto che esistono trappole molto insidiose, insieme abbiamo adottato strumenti sempre più sofisticati ed efficaci per evitare di caderci. Questa attitudine collaborativa è, a mio avviso, la più importante conquista dell’era digitale.

Ma è proprio sicuro che sia meglio non fare previsioni?

Le scoperte più innovative degli ultimi anni sono legate alla consapevolezza che è più conveniente non farsi un’idea troppo precisa del futuro. Oggi come oggi, anziché costruire un prodotto a partire dalle presunte esigenze degli utenti, si mette a disposizione una versione di base, così da capire in che modo viene utilizzata, e con quali aspettative. In altri termini, il nostro rapporto con il futuro consiste non nell’intestardirci su una singola possibilità che vorremmo realizzare, ma nel predisporre una serie di possibilità innumerevoli, che troveranno poi una loro applicazione. Il nostro motto dovrebbe comporsi di queste parole: “fare – futuro– di più”.

 

www.avvenire.it

 

 

giovedì 25 febbraio 2021

TI AUGURO DI VIVERE


Ti auguro di vivere

senza lasciarti comprare dal denaro.
Ti auguro di vivere
senza marca, senza etichetta,
senza distinzione,
senza altro nome
che quello di uomo.

Ti auguro di vivere
senza rendere nessuno tua vittima.
Ti auguro di vivere
senza sospettare o condannare
nemmeno a fior di labbra.

Ti auguro di vivere in un mondo
dove ognuno abbia il diritto
di diventare tuo fratello
e farsi tuo prossimo.

BELLEZZA E CREATIVITA' A SCUOLA


A colloquio con lo storico della letteratura che ha curato un’antologia di testi poetici italiani di tutti i tempi: «Il futuro della didattica non si gioca su programmazioni burocratiche e onniscienti ma sul ritorno a una trasmissione del sapere relazionale capace di coinvolgere umanamente»

 -di ROBERTO CARNERO


Per chi ha amato la poesia a scuola e, magari a distanza di anni, avesse voglia di riscoprire i versi dei grandi poeti della tradizione lirica italiana, l’ultimo libro di Luca Serianni rappresenta un’occasione preziosa: Il verso giusto. 100 poesie italiane (Laterza, pagine 450, euro 25). L’autore, professore emerito di Storia della lingua italiana alla Sapienza e accademico dei Lincei e della Crusca, ha allestito un’antologia della poesia italiana, dal Duecento ai giorni nostri, raccogliendo e commentando un centinaio di testi esemplari: da Giacomo da Lentini a Dante e Petrarca, da Ariosto e Tasso a Manzoni e Leopardi, da Montale a Caproni. Un percorso attraverso autori noti e meno noti, che mette in luce il grande valore del nostro canone poetico. Ogni testo è adeguatamente introdotto e sobriamente annotato. Un libro, questo di Serianni, che per la competenza e l’autorevolezza del suo autore assurge a modello di come andrebbero presentati e commentati i testi letterari.

Professor Serianni, a quali criteri ha improntato la sua selezione?

Valore, rappresentatività e gusto personale, avendo come lettori ideali studenti, insegnanti, ma anche tutte quelle persone, magari non più giovanissime, desiderose di riprendere in mano opere studiate sui banchi di scuola.

Il gusto personale dunque non è da demonizzare...

In uno studio scientifico può essere la molla iniziale di una ricerca, che poi però deve essere condotta all’insegna di metodologie oggettive. Ma nell’insegnamento direi che si tratta di una componente fondamentale affinché si crei un efficace circuito comunicativo dal docente al discente.

Questo vale anche a scuola?

Soprattutto a scuola, dove oggi mi sembra che prevalga una pericolosa tendenza alla standardizzazione e all’omologazione dei percorsi didattici. Credo invece che gli interessi e la personalità del singolo docente vadano valorizzati. Non si può certo 'saltare' Manzoni, ma l’itinerario per arrivarci può essere diverso. È assolutamente doveroso

che la famiglia che manda i figli a scuola sappia che nella seconda A o nella seconda B il figlio o la figlia avrà un trattamento di alto livello; però non lo stesso trattamen- to, perché è giusto che ogni professore dia ai propri alunni l’impronta della sua formazione e, perché no, anche dei suoi gusti culturali.

Come giudica i manuali di letteratura oggi in uso nelle nostre scuole?

Le antologie scolastiche degli ultimi decenni sono spesso opere di alta qualità: dirette o patrocinate da studiosi di grande levatura, offrono un approfondimento che forse rischia di andare oltre le concrete possibilità di apprendimento scolastico: da qui l’accusa di essere mastodontiche, eccessive. Ma i primi destinatari di questi libri sono i docenti, che è giusto abbiano la possibilità di operare delle scelte tra i materiali offerti. Se il libro di testo fosse troppo smilzo, si rischierebbe di limitare eccessivamente la libertà dei docenti.

Il popolo italiano è sostanzialmente un popolo di non lettori. Può essere che una delle ragioni sia un modo sbagliato di trasmettere il sapere letterario proprio nella scuola?

Non addosserei all’istituzione scolastica, o non principalmente a essa, tale responsabilità. Contano molto le condizioni di partenza: in tante case italiane purtroppo non ci sono libri. Gli insegnanti, però, debbono fare una scommessa: credere nella materia che insegnano e nella possibilità di stimolare l’interesse dei ragazzi. Questo vale per ogni disciplina, compresa la matematica: molti dicono che quest’ultima è una materia 'arida', ma non è affatto così. Quanto alla letteratura, è ancora più semplice che l’interesse dei giovani possa essere sollecitato, in virtù del suo evidente contenuto umano e del piacere estetico che un testo può trasmettere.

Cosa dovrebbero fare i docenti?

Partire dai testi, mettendoli al centro delle lezioni. La vita di uno scrittore conta fino a un certo punto: può essere utile conoscere alcuni dati biografici di un autore per contestualizzarne l’opera. Ma serve davvero sapere quante furono le amanti di Foscolo? Spero che nessun professore oggi pretenda più, come accadeva un tempo, che i suoi studenti sappiano rispondere a domande di questo tipo.

A causa della pandemia buona parte dell’insegnamento si svolge a distanza. Cosa consiglia ai docenti alle prese con questa nuova modalità? Qual è l’elemento che non deve comunque venire meno?

Non si può rinunciare al rapporto personale dell’insegnante con ogni singolo studente. Questo è ciò che va preservato, a maggior ragione nell’insegnamento da remoto. Purtroppo non ci si può guardare negli occhi, ma ogni studente deve sapere di essere considerato dal suo professore con l’attenzione che merita. Senza un rapporto interpersonale diretto, vero, autentico, al di là delle modalità tecniche attraverso cui viene condotta la lezione, non può avvenire una reale trasmissione di sapere.

 

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mercoledì 24 febbraio 2021

ECOLOGIA. VINCERE L'APATIA


Il monito di Insua, argentino, direttore del Movimento cattolico mondiale per il clima: «La maggior parte dei cristiani non è ancora cosciente della grave urgenza e della natura drammatica della crisi ecologica che ci sta di fronte». Come ama ripetere Francesco, «tutto è connesso» Occhi puntati anche sul “greenwashing” di tante grandi aziende

 -          Di LORENZO FAZZINI     

L’emergenza climatica da affrontare subito. Una 'conversione ecologica' che, come avvenuto per Francesco, l’intera Chiesa deve attuare. E attenzione al greenwashing che tanti brand stanno facendo. Tomás Insua, argentino, ex manager di Google, dirige il Movimento cattolico mondiale per il clima. Con lui, in questo percorso sulle parole-chiave del decennio, diamo uno sguardo al tema 'ecologia'.

Perché è trascorso così tanto tempo prima che la questione ecologica diventasse un tema di interesse globale? Il pianeta è in pericolo ormai da diversi decenni, ma sembra che solo negli ultimi anni l’opinione pubblica abbia universalmente preso coscienza del problema. Perché?

Sì, è vero che l’umanità ha impiegato molto tempo per affrontare la crisi ecologica, sebbene gli scienziati abbiano più volte avvisato dell’urgenza di tale questione. Al contempo, esiste una lunga storia della Chiesa riguardo questo tema e sul fatto che ci si deve prendere cura della terra. Oltre 50 anni fa papa Paolo VI parlava di «catastrofe ecologica»; Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e naturalmente Francesco sono stati molto chiari nei loro insegnamenti sulla nostra responsabilità verso la creazione. La posta in gioco consiste nel fatto che la crisi ambientale è qualcosa che ci circonda, una serie di sfide legate alla nostra vita quotidiana: esse crescono costantemente, senza che ci rendiamo conto di quanto siano connesse tra di loro. Naturalmente restano in ballo potenti interessi economici, che lavorano in maniera lobbistica e che continuano a far funzionare le cose come al solito. Le compagnie petrolifere, le multinazionali dell’agrobusiness e le aziende che operano nei trasporti, tra le altre, hanno lavorato parecchio perché si evitasse di affrontare la distruzione ecologica.

Molte imprese oggi affermano che stanno lavorando in maniera sostenibile. Numerosi attivisti ambientali, però, denunciano il fatto che in vari casi si tratta solo di greenwashing, cioè di una spruzzata di 'verde' su un 'corpo' ancora inquinante. Come capire se un’azienda sta davvero cambiando pelle o sta facendo solo scelte di marketing opportunistico?

È indubbio che alcune imprese stanno lavorando davvero per diventare più sostenibili, mentre altre rimangono interessate unicamente a presentare ai clienti una propria versione 'verde'. È importante guardare da vicino le pratiche di ciascuna impresa per vedere se è veramente impegnata nel cambiamento ecologico oppure se si tratta di un semplice maquillage propagandistico. Vi sono diversi strumenti al riguardo. Per esempio il think tank indipendente Carbon Tracker, con sede a Londra, ha dimostrato come tutte le maggiori compagnie dedicate ai carburanti provenienti da carbon fossile, come Shell o Exxon, stanno impegnando miliardi di euro per esplo- rare nuove riserve di gas o petrolio esattamente mentre stanno mentendo al proprio pubblico affermando di essere impegnate a costruire un futuro energetico pulito. Una simile ipocrisia è stata denunciata da centinaia di associazioni cattoliche che hanno deciso di disinvestire i propri asset finanziari dalle corporation dedite alle energie fossili. Inoltre, il report 'Banking on Climate Change' ha comprovato come tutte le maggiori banche, come alcune banche italiane, stanno finanziando progetti legati alle energie fossili, in un modo incompatibile con gli Accordi sul clima di Parigi.

Papa Francesco è oggi universalmente riconosciuto come un 'campione' nella difesa ambientale grazie alla sua enciclica Laudato si’. Lei ha più volte avuto occasione di incontrarlo. Ha scoperto da dove è sorta questa sua preoccupazione per la tematica ecologica?

Quando ho incontrato papa Francesco l’anno scorso, egli mi ha condiviso quanto l’assemblea dei vescovi latinoamericani di Aparecida, svoltasi nel 2007, sia stato il momento in cui è iniziata quella che egli ha chiamato «la mia conversione ecologica». Mi ha spiegato come i vescovi brasiliani, tramite la loro preoccupazione sulla foresta amazzonica, lo abbiano aiutato a comprendere l’importanza di prendersi a cuore della creazione di Dio. Ora egli ha pubblicamente condiviso questa sua vicenda personale in pubblico, testimoniando che non è troppo tardi per iniziare a prendersi a cuore dell’ambiente.

Diverse voci cattoliche si sono levate per sottolineare come le posizioni di Laudato si’ non siano ecclesialmente diffuse, e che vi siano - tra il clero e in generale nelle gerarchia - piccoli gruppi che rifiutato la «conversione ecologica» richiesta da Francesco. Si tratta di un rilievo corretto?

Bisogna anzitutto rilevare che queste resistenze sono molto ridotte. Io penso che la ricezione della Laudato si’ sia stata estremamente positiva, sebbene esistano piccoli gruppi che negano l’evidenza scientifica. La sfida più grande non è tanto questa resistenza, ma l’apatia. La maggior parte dei cristiani non è ancora cosciente della grave urgenza e della natura drammatica della crisi ecologica che ci sta di fronte. Inoltre, ricordiamoci bene che la chiamata per una «conversione ecologica» non arriva anzitutto da papa Francesco, ma da Giovanni Paolo nel 2001. Anche Benedetto XVI, che da qualcuno è stato soprannominato 'Papa verde', ha sottolineato con molta forza che la preoccupazione ecologica è una questione morale, molto importante per i cristiani. Papa Francesco ha sintetizzato in maniera splendida i precedenti insegnamenti della Chiesa e vi ha aggiunto il suo distintivo afflato pubblicando Laudato si’, inquadrando i valori antichi della fede cristiana nel più ampio contesto della crisi ecologica attuale.

Gaël Giraud, il gesuita economista noto per la sua proposta di transizione

ecologica, ha affermato in un’intervista: «Se non sono toccato nel profondo dalle sofferenze degli ultimi della Terra, non lo sarò per lo scioglimento dei ghiacciai delle Alpi». In altre parole, la sensibilità ecologica deve camminare pari passo con quella sociale. Perché sembra così difficile avere al contempo una coscienza sociale e al contempo ambientale?

Sono completamente d’accordo con Giraud. Il problema è che molte persone non sono consapevoli delle connessioni che ci uniscono a Dio, al pianeta e agli altri. Questo è il grande dono della Laudato si’: creare connessioni tra questi diversi piani e offrire una visione di ecologia integrale che li tenga uniti. Non possiamo dire di preoccuparci dell’ambiente se non ci prendiamo a cuore i nostri fratelli e sorelle in quanto esseri umani. Allo stesso tempo siamo chiamati a riconoscere il fatto che la crisi climatica non colpisce solo i ghiacciai delle Alpi ma i più poveri del mondo: le persone che vengono lasciate in miseria dai tifoni nelle Filippine, quanti perdono le proprie case per le inondazioni in Bangladesh oppure coloro che vedono distrutti i loro raccolti agricoli in Africa e America latina a causa della desertificazione. E la lista potrebbe continuare. Come ama ripetere Francesco, «tutto è connesso».

Il Movimento Cattolico per il Clima ha sei anni di vita. Un bilancio?

Siamo profondamente grati a tantissime realtà per i risultati raggiunti, dalle occasioni di incontro con papa Francesco alla partecipazione di migliaia di leader locali che sono stati formati come animatori di Laudato si’. Siamo grati alle centinaia di associazioni che hanno deciso di disinvestire i propri soldi dalle corporation dei combustibili fossili e per gli eventi che hanno riguardato migliaia di comunità nella 'Stagione della creazione', durante la celebrazione annuale di preghiera e azione per la nostra casa comune che si tiene ogni anno a settembre.

 

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martedì 23 febbraio 2021

DANTE, IL SOMMO POETA

 


DIFENDERE I DIRITTI UMANI NEL LORO COMPLESSO


Gallagher all'Onu:

 diritti umani inalienabili, 

vanno difesi nel loro complesso

Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati indirizza un videomessaggio alle Nazioni Unite sottolineando la natura dei diritti umani che, ribadisce, devono essere rispettati anche in relazione alle misure attuate per frenare la pandemia in corso

 

P. Benedict Mayaki, SJ - Città del Vaticano

 Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, ha invitato le Nazioni Unite a "riscoprire il fondamento dei diritti umani, al fine di attuarli in modo autentico", mentre il mondo continua a prendere misure per combattere l’emergenza sanitaria in corso.

Monsignor Gallagher ha lanciato questo appello in un videomessaggio durante la 46.ma sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), iniziata lunedì scorsos a Ginevra, in Svizzera. La sessione di quattro settimane, che si tiene in modalità virtuale a causa dell'emergenza sanitaria, prende il via con un incontro di alto livello di tre giorni in cui i capi di Stato e rappresentanti vari Paesi e Regioni si rivolgeranno al Consiglio in videoconferenza.

Da oltre un anno, ha osservato l'arcivescovo Gallagher, "la pandemia di Covid-19 ha avuto un impatto su ogni aspetto della vita, causando la perdita di molte vite e mettendo in dubbio i nostri sistemi economici, sociali e sanitari". Allo stesso tempo, "ha anche messo in discussione il nostro impegno per la protezione e la promozione dei diritti umani universali, affermando allo stesso tempo la loro rilevanza". Ricordando le parole di Papa Francesco nella sua ultima enciclica Fratelli tutti, l'arcivescovo Gallagher ne ha sottolineato la rilevanza per il nostro tempo, notando che "il riconoscere la dignità di ogni persona umana", permette di "contribuire alla rinascita di un'aspirazione universale alla fraternità".

I diritti umani sono incondizionati

Il presule ha sottolineato che la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (UDHR) asserisce che "il riconoscimento della dignità intrinseca di tutti i membri della famiglia umana e dei diritti uguali e inalienabili costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace". Allo stesso modo, la Carta delle Nazioni Unite afferma la sua fiducia nel "fondamentale dei diritti umani, nella dignità e nel valore della persona umana, negli uguali diritti di uomini e donne e di nazioni grandi e piccole". Mons. Gallagher ha sottolineato inoltre che questi due documenti riconoscono una verità oggettiva: che ogni persona umana è naturalmente e universalmente dotata di dignità umana. Questa verità, ha ulteriormente sottolineato, "non è condizionata dal tempo, dal luogo, dalla cultura o dal contesto". Riconoscendo come questo impegno solenne sia "più facile da pronunciare che da raggiungere e mettere in pratica", il segretario per i Rapporti con gli Stati ha lamentato il fatto che tali obiettivi siano "ancora lontani dall'essere riconosciuti, rispettati, protetti e promossi in ogni situazione".

I diritti non sono separati dai valori universali

Monsignor Gallagher ha proseguito affermando che la vera promozione dei diritti umani fondamentali dipende dalle fondamenta da cui derivano. E dunque ha avvertito che qualsiasi pratica o sistema che trattasse i diritti in modo astratto - separato dai valori preesistenti e universali - rischia di minare la loro ragion d'essere, e in un tale contesto, le istituzioni dei diritti umani diventano suscettibili di “prevalenti mode, visioni o ideologie”.

Il presule ha inoltre ammonito che in un tale contesto di diritti privi di valori, i sistemi possono imporre obblighi o sanzioni che non sono mai stati previsti dallo Stato, i quali possono contraddire i valori che avrebbero dovuto promuovere. Aggiungendo di poter "presumere" anche di "creare i cosiddetti 'nuovi' diritti, che mancano di un fondamento oggettivo" e quindi si "allontanano così dal loro scopo di servire la dignità umana".

Il diritto alla vita

Illustrando l'inseparabilità dei diritti dai valori con l'esempio del diritto alla vita, il segretario per i Rapporti con gli Stati ha plaudito al fatto che il suo contenuto sia stato “progressivamente esteso contrastando atti di tortura, sparizioni forzate e pena di morte; proteggendo gli anziani, i migranti, i bambini e la maternità ". Ha definito tali sviluppi estensioni ragionevoli del diritto alla vita in quanto radicano la loro base fondamentale nel bene intrinseco della vita, e anche perché "la vita, prima di essere un diritto, è prima di tutto un bene da amare e proteggere".

Misure Covid-19 e diritti umani

Il presule ha proseguito sottolineando che di fronte all'attuale pandemia di Covid-19, alcune misure attuate dalle autorità pubbliche per garantire la salute pubblica hanno ostacolato il libero esercizio dei diritti umani. Proponendo che "qualsiasi soluzione all'esercizio dei diritti umani per la protezione della salute pubblica deve derivare da una situazione di stretta necessità", ha osservato che "un certo numero di persone, trovandosi in situazioni di vulnerabilità - come anziani, migranti, rifugiati, indigeni, sfollati interni e bambini - sono stati colpiti in modo sproporzionato dall'attuale crisi ". Tali modifiche, ha insistito, "devono essere proporzionali alla situazione, applicate in modo non discriminatorio e utilizzati solo quando non sono disponibili altri mezzi".

Libertà di religione

L'arcivescovo Gallagher ha anche ribadito l'urgenza di tutelare il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, rilevando in particolare che "il credo religioso e la sua espressione, sono al centro della dignità della persona umana nella sua coscienza". Sottolineando come la risposta globale alla pandemia di Covid-19 evidenzi che "questa solida comprensione della libertà religiosa è stata erosa", il segretario per i Rapporti con gli Stati ha ribadito la convinzione della Santa Sede, riconosciuta da diversi strumenti sui diritti umani, circa il fatto che "la libertà di religione ne tutela anche la sua testimonianza pubblica e l'espressione, sia individualmente che collettivamente, pubblicamente e privatamente, in forme di culto, osservanza e insegnamento ". Per rispettare il valore intrinseco di questo diritto, quindi, l'arcivescovo raccomanda alle autorità politiche di attivarsi con leader religiosi, organizzazioni religiose e leader della società civile impegnati nella promozione della libertà di religione e di coscienza.

Fratellanza umana, multilateralismo

Monsignor Gallagher ha osservato che l'attuale crisi ci offre un'opportunità unica per avvicinarci al multilateralismo "come espressione di un rinnovato senso di responsabilità globale, solidarietà fondata sulla giustizia e sul raggiungimento della pace e dell'unità all'interno della famiglia umana, che è il piano di Dio per il mondo". Ricordando l'invito di Papa Francesco nell'Enciclica Fratelli tutti, che incoraggia tutti a riconoscere la dignità di ogni persona umana nella promozione della fraternità universale, ha incoraggiato tutti ad essere disponibili ad andare oltre ciò che ci divide per combattere le conseguenze delle varie crisi. E ha terminato il suo messaggio assicurando l'impegno e la collaborazione della Santa Sede in questa direzione. 

 

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