domenica 20 luglio 2025

LA BANALITA' DEL BENE

 

Il bene, quando è vero, non ha bisogno di essere "messo in vetrina", mostrato, comunicato, perché vive nella carne, nel sangue, nelle ossa e non nell’immagine, nei likes, nelle autocelebrazioni.


-di Luca Farruggio

Hannah Arendt, nel suo celebre saggio La banalità del male, racconta come il male più atroce, quello del nazismo, potesse manifestarsi attraverso gesti ordinari, compiuti da uomini apparentemente normali. Non demoni assetati di sangue, ma burocrati che, senza riflettere, eseguivano ordini e regolamenti. Il male si faceva così banale, quotidiano, impersonale.

Ma oggi viviamo in un tempo in cui anche il bene rischia di essere banalizzato. Non perché sia diventato ordinario e fondamentale, ma perché viene esibito e svuotato completamente della sua essenza silenziosa. È quella che si può chiamare “banalità del bene”: una versione superficiale, sbiadita, in cui il gesto buono serve più a costruire un’immagine, una rappresentazione, che a rispondere a un bisogno reale e necessario.

Infatti, viviamo nell’era della comunicazione disumana, della visibilità a tutti i costi, del racconto continuo di sé. Il bene è così recitato, messo in scena. Donazioni riprese con il cellulare e atti di gentilezza urlati sui social. Non si tratta di giudicare le intenzioni, ma di notare come il Bene (quello con la maiuscola), quello che trasforma le persone e costruisce comunità, viene spesso compiuto nel silenzio, lontano dai riflettori, senza spettatori.

Il Vangelo, in questo senso, nel suo essere sempre paradossale, è sorprendentemente moderno: “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli.”  
(Matteo 6,1).

 E ancora: “Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dalla gente […] Ma quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra.” (Matteo 6,2-3).

Infatti, Gesù non condanna l’elemosina in sé, ma l’intenzione dietro il gesto quando diventa spettacolo. Resta emblematico il gesto compiuto da una umile donna: “Sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere»”. (Marco 12,41-44).

 Lo stesso vale per la preghiera: “E quando pregate, non siate come gli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. […] Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo nel segreto.” (Matteo 6,5-6).

 Quindi il Vangelo ci invita a un bene nascosto, essenziale, vitale, non mediato dallo sguardo altrui. Un bene che non cerca like, condivisioni o applausi, ma che nasce dalla compassione autentica e veritiera, dalla scelta di servire e condividere anziché apparire.

Ecco perché la banalità del bene è un rischio tanto quanto quella del male: entrambi svuotano di senso l’azione umana. Uno la rende meccanica, priva di capacità critica, l’altro la rende spettacolare, visibile, troppo visibile. In entrambi i casi, il cuore - che nel Vangelo e per i padri della Chiesa è il centro dell’essere umano - è assente.

 Forse oggi il vero atto rivoluzionario è proprio questo: fare il bene senza dirlo, senza mostrarlo. Offrire tempo, ascolto e aiuto senza documentarlo. Pregare nel silenzio, donare senza cercare riconoscimento.

Non per moralismo, ma perché il bene, quando è vero, non ha bisogno di essere mostrato, comunicato, perché vive nella carne, nel sangue, nelle ossa e non nell’immagine. E allora, contro la banalità del bene esibito, c’è bisogno di un bene silenzioso, umile e radicale. Insomma, di un Bene che non fa rumore, ma trasforma e trasfigura il mondo in vista del Regno.

 Il blog di Enzo Bianchi



 

 

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