“La società civile
può essere il fondamento
di una nuova democrazia”
- - di Paolo Venturi *
- La crisi della rappresentanza politica non è un tema nuovo, ma oggi si manifesta in forme sempre più acute: una percentuale crescente di cittadini diserta le urne, mentre il distacco tra istituzioni e società si allarga pericolosamente.
In questo vuoto si agita una democrazia che, ridotta al solo momento elettorale, perde il suo spessore deliberativo e partecipativo.
I partiti, pilastri tradizionali della mediazione sociale, arrancano nel ricostruire fiducia e connessioni con le persone.
Eppure, nel momento in cui Stato e Mercato faticano a rispondere alle crisi sistemiche – dalla pandemia alla transizione energetica, dalla crescente disuguaglianza alla povertà educativa – emerge con forza una terza via: il Terzo Pilastro.
Più che un argine alle inefficienze istituzionali, la società civile organizzata rappresenta oggi una delle poche infrastrutture capaci di rigenerare il capitale sociale e di alimentare quella fiducia di cui ogni democrazia si nutre.
Il bene comune
La sua forza non risiede solo nella capacità di “riparare” le falle del sistema, ma nel generare un valore che è al contempo economico, sociale e politico.
È nei beni relazionali prodotti da associazioni, cooperative e imprese sociali che si trova la chiave per restituire senso al bene comune.
Sono i volontari e le organizzazioni radicate nei territori a riattivare, dal basso, processi che il sistema politico sembra ormai incapace di avviare.
In questo contesto, la cittadinanza attiva si propone come il “Terzo Pilastro” della nostra società, accanto a Stato e Mercato.
Come suggerisce Raghuram Rajan, la comunità è troppo spesso dimenticata da entrambi: subordinata al mercato o strumentalizzata dalla politica, rischia di essere ridotta a un attore marginale.
Il valore della comunità
Eppure, il benessere collettivo dipende da quella comunità che il mutualismo incarna, valorizza e organizza.
È qui che il ruolo politico della società civile diventa essenziale. Non si tratta di sostituire i partiti, ma di agire come catalizzatore di una nuova stagione politica.
Questo ecosistema dinamico può contribuire a ripensare le regole del gioco, rendendo le istituzioni più inclusive e permeabili alla partecipazione; può accompagnare la co-programmazione delle politiche pubbliche, portando in dote non solo l’analisi dei bisogni, ma una visione chiara dei cambiamenti necessari; può riattivare processi deliberativi che, superando la retorica delle polarizzazioni, riportino i cittadini al centro della decisione pubblica.
La società civile è anche laboratorio di futuro.
È qui che si coltivano competenze, motivazioni e visioni orientate all’interesse generale.
Ed è qui che può nascere una nuova classe dirigente, capace di resistere alla tentazione dell’isomorfismo politico – quella lenta assimilazione alle logiche di potere che spegne ogni spinta trasformativa – per diventare motore di una democrazia che non si limiti alla custodia dell’esistente, ma si apra al cambiamento.
Oggi, il rischio maggiore per la democrazia non è solo la disaffezione elettorale, ma l’idea che nulla possa davvero cambiare.
Le organizzazioni che operano nell’interesse generale, con il loro radicamento nei territori e la loro capacità di trasformare le aspirazioni individuali in progetti collettivi, offrono un antidoto concreto a questa deriva.
Non sono solo attori economici o dispensatori di servizi: sono agenti politici nella prospettiva declinata da Hannah Arendt ossia piattaforme dove la società può organizzarsi, dialogare pubblicamente e costruire il futuro. Serve però un riconoscimento più netto del loro ruolo.
La politica deve imparare a vedere queste realtà non come comprimarie, ma come partner strategiche per una nuova fase della democrazia.
Non è più tempo di delegare o ignorare: il Terzo Pilastro è la base su cui costruire istituzioni più aperte e una politica capace di restituire ai cittadini il potere di incidere sulla realtà.
La crisi della democrazia non si risolverà con riforme tecnocratiche o con il mero ricambio delle élite.
Serve una visione che ricucia il legame tra istituzioni e società, che restituisca senso al partecipare e valore al fare comunità. In questo, la cittadinanza organizzata non è solo un’opportunità: è una necessità.
*Direttore (dal 2002). Associazione Italiana per la promozione della Cultura della. Cooperazione e del Nonprofit- A.I.C.CO.N
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