LA GIOIA
DELLA
PACE
I titoli delle prime pagine
Si
può considerare la prospettiva di pace che finalmente si delinea per la
Palestina da diversi punti di vista. In attesa di averne nei
prossimi giorni una visione più completa, qui ci limiteremo, ad analizzare
le reazioni che essa sta suscitando in Italia, partendo da queste per
una riflessione sul clima politico del nostro paese.
Cominciamo
dalla stampa. I più diffusi e autorevoli quotidiani italiani salutano
l’evento sottolineandone la più immediata e importante conseguenza, la fine del
massacro che da due anni insanguina la Striscia di Gaza. «Israele-Gaza, l’ora
del cassate fuoco», titola il «Corriere della Sera». Sulla stessa linea
«Repubblica» – «Pace a Gaza, ora stop alle armi» – e «La Stampa»: «Gaza,
il mondo crede alla pace».
Da
parte sua il cattolico «Avvenire» esprime, nella sua prima pagina, «La gioia
della pace». Anche un giornale di sinistra come «L’Unità» ha come tutolo:
«Finalmente tregua». Più cauto e dubitativo, ma pur sempre positivo, il titolo
del «Manifesto»: «Fosse vero».
Non
può non colpire il tono completamente diverso del gruppo di giornali che fanno
capo alla destra oggi al governo. I titoli di prima pagina esprimono anche qui
esultanza, ma non per la pace, bensì per il colpo che essi ritengono
abbia inferto alla sinistra. E di «Sinistra sotto un Trump» parla nel suo
tutolo principale «Libero», commentando, nell’occhiello: «Pace a Gaza, compagni
nel panico». In perfetta sintonia «La Verità» che, accanto alle foto dei leader
dell’opposizione, titola: «Spiazzati». Sempre accanto alle stesse foto, «Il
Tempo» mette: «Attaccatevi al Trump».
La
denuncia del clima di odio da parte della destra
Non
possono non venire in mente le reiterate dichiarazioni con cui esponenti della
destra ultimamente hanno accusato l’opposizione di alimentare un clima di odio
che avvelenerebbe la politica italiana.
L’occasione
è stato l’assassinio di Charlie Kirk negli Stati Uniti. Ed è stato il
presidente americano ad avviare la polemica. Trump ha definito Kirk una
«vittima delle retorica della sinistra radicale», che «da anni paragona
meravigliosi americani come Charlie ai peggiori criminali della storia»,
creando un clima d’odio: «Questa retorica è direttamente responsabile per il
terrorismo che stiamo vedendo nel Paese e deve cessare ora».
Partendo
dalla giusta considerazione che «la violenza e l’omicidio sono le tragiche
conseguenze della demonizzazione di coloro con cui non si è d’accordo», il
Tychoon ha attribuito questo atteggiamento distorto alla «sinistra radicale».
Ma
l’onda di analoghe accuse ha attraversato anche l’Europa. In Spagna è stata la
destra di «Vox» a riprenderle: «L’omicidio di Charlie Kirk sta mostrando la
mania omicida che domina gran parte della sinistra occidentale».
Sulla
stessa linea, in Ungheria, il premier Viktor Orban: «La morte di Charlie Kirk è
il risultato della campagna internazionale di odio condotta dalla sinistra
progressista-liberale (….). Dobbiamo fermare l’odio! Dobbiamo fermare la
sinistra che semina odio!».
Non
ha fatto eccezione la destra italiana. In verità, i commenti della «sinistra
progressista-liberale» nel nostro paese, sono stati subito, unanimemente, di
netta condanna dell’assassinio. Valga per tutti quello di Elly Schlein:
«L’uccisione di Charlie Kirk è drammatica e scioccante. In una democrazia non
può e non deve trovare alcuno spazio la violenza politica, che va sempre
condannata in modo netto a prescindere dalle idee di chi colpisce».
Ma
questo non ha impedito al capogruppo di FdI, Galeazzo Bignami, di
commentare la notizia accusando i sostenitori della sinistra di
essere «impregnati di odio, livore, rancore». Aggiungendo una nota
religiosa: «Ringrazio Dio di non avermi creato come loro».
E
il ministro per i Rapporti col Parlamento Luca Ciriani, anche lui di FdI,
ha preso spunto dalla tragedia americana per evocare un confronto con l’Italia:
«Anche recentemente ho visto nei confronti della presidente Meloni toni e
argomentazioni che sarebbe meglio evitare perché sono un distillato di odio».
La Lega si è accodata con il deputato Eugenio Zoffilich e ha parlato «dell’odio
e dell’intolleranza con cui è stato avvelenato il dibattito politico dalla
retorica della sinistra radicale».
Ma
le parole più chiare sono venute dalla premier che, nel suo intervento alla
festa nazionale dell’Udc, il 13 settembre, ha parlato dell’omicidio di Kirk in
riferimento al nostro paese: «Credo che sia arrivato il momento di chiedere
conto alla sinistra italiana di questo continuo minimizzare o addirittura di
questo continuo giustificazionismo della violenza nei confronti di chi non la
pensa come loro – ha scandito la premier – . Perché il clima anche qui in
Italia sta diventando insostenibile ed è ora di denunciarlo, di dire
chiaramente che queste tesi sono impresentabili, pericolose, irresponsabili e
antitetiche a qualsiasi embrione di democrazia».
Tesi
ripresa poco dopo in un comizio a «Vox», in cui, sempre riferendosi a Kirk, ha
detto: «Il suo sacrificio ci ricorda ancora una volta da che lato sta la
violenza e l’intolleranza».
Una
denuncia che assume i tratti del vittimismo nel continuo riferimento a non
meglio precisati ricatti a cui la premier ripete di non voler cedere e a
minacce – anch’esse non specificate – da cui promette di non lasciarsi
intimidire.
Di
tutto questo sappiamo, in verità, non dalla Digos, come sarebbe normale, ma
interviste televisive rilasciate dalla stessa Meloni, come quella di qualche
sera fa al fidato Bruno Vespa, al quale ha confidato: «Temo il clima che si sta
imbarbarendo parecchio. Io non conto più le minacce di morte e penso che
qui ci siano delle responsabilità di chi per esempio dice che hai le mani
di sangue, da chi dice che questo governo è complice di genocidio».
Al
di là dell’odio
Davanti
a queste accuse non si sa bene cosa dire. Come già abbiamo accennato, nessun
esponente politico della sinistra ha “minimizzato” o addirittura “giustificato”
la violenza. E anche il supercitato Odifreddi, che in un’intervista ha
sottolineato le responsabilità del giovane attivista americano, sostenitore
della libertà di vendita delle armi, è stato subito isolato.
Forse,
in realtà, il clima di odio c’è veramente. Ma
è francamente unilaterale attribuirne la responsabilità solo alla
sinistra, se non altro perché ne sono intrise proprio le stesse denunce,
sopra citate, da parte dei rappresentanti della destra al governo.
Questo
non vuol dire che i partiti di opposizione siano esenti da un linguaggio spesso
violento. Tanto meno si intende qui avallare la loro linea politica, la cui
debolezza e inconcludenza è probabilmente la principale ragione della crescita
esponenziale dell’astensionismo e del successo dei partiti oggi al governo.
Ma
che l’incapacità di rispettare coloro che hanno idee diverse dalle proprie non
sia riferibile esclusivamente ad essi, lo dimostra, se non altro, proprio
questa campagna sistematica volta a demonizzarli. E basta scorrere i
quotidiani di destra sopra citati per vedere che ogni giorno, quale che sia la
notizia, la trasformano in un attacco ai rappresentanti dell’opposizione, fatti
oggetto di continui sarcasmi e spesso di accuse malevoli sul piano
personale. Uno stile di cui abbiamo avuto un piccolo campione nei titoli citati
all’inizio a proposito della pace a Gaza.
E,
proprio in rapporto ad essa e a ciò che l’ha preceduta, è molto
significativo il modo in cui sia i giornali di destra sia il governo hanno
parlato delle generose manifestazioni popolari di solidarietà nei
confronti dei palestinesi.
A
cominciare da quella che si è espressa nel tentativo della Flotilla di
sfidare l’illegale blocco navale stabilito da Israele in acque internazionali,
per rompere l’embargo e far giungere generi di prima necessità ai palestinesi.
Una
iniziativa che Giorgia Meloni ha definito «gratuita, pericolosa,
irresponsabile», attribuendone la responsabilità all’opposizione che, ha detto,
«non avendo grandi materie sulle quali mobilitarsi in patria, le va a cercare
in Palestina». Per la premier, non si è trattato di un gesto di alto valore
umanitario, ma di un complotto ai suoi danni, (ritorna il tema del vittimismo),
perché chi l’ha promossa e vi partecipa «utilizza una questione come la
sofferenza del popolo palestinese per attaccare il governo italiano».
Ancora
più espliciti i giornali vicini al governo. Per tutti citiamo «Libero», il cui
direttore Mario Sechi, ex portavoce di Meloni e in forte sintonia con le sue
posizioni, ha scritto: «Spero che le barche vengano affondate, così la prossima
missione dovranno rifinanziarsela. Questa missione era una tragica
pagliacciata. Ha fatto perdere solo tempo a tutti».
Non
ho fatto studi particolari sul sentimento dell’odio. Ma qui mi sembra di
vederne un ottimo esempio. Ed è paradossale che chi ha formulato queste parole
in molti articoli accusi la sinistra di esserne la sola responsabile.
Eppure
non possiamo concludere questa amara rassegna sull’odio senza aprire uno
spiraglio al suo opposto, la fraternità, facendo notare che proprio all’impegno
e alla partecipazione di uomini e donne comuni si deve, almeno in una certa
misura, il merito della prospettiva di pace che si è aperta in questi
giorni.
In
tutta Europa si sono succedute proteste popolari che ultimamente sono uscite
fuori dalle mura ristrette delle università, in cui all’inizio erano
circoscritte, e hanno invaso le strade e le piazze delle capitali.
Solo
in Italia in pochi giorni si sono succeduti due scioperi generali
partecipatissimi e una manifestazione, a Roma, che tutti gli osservatori hanno
riconosciuto essere la più imponente negli ultimi decenni. Anche nei confronti
di questi confortanti segnali del risveglio delle coscienze, davanti a un
genocidio che si stava volgendo sotto i nostri occhi, il giudizio della
nostra premier è stato, se non di odio, almeno di disprezzo, come quando ha
esplicitamente ipotizzato che il secondo sciopero generale fosse stato
organizzato di venerdì per metterlo in continuità con il weekend.
Una
vacanza, insomma, a cui però hanno partecipato due milioni di lavoratori, che
hanno sacrificato il loro stipendio giornaliero per chiedere che finisse il
massacro di innocenti nella Striscia.
E
ora che questo obiettivo sembra sia stato finalmente ottenuto, forse un po’ di
gratitudine sarebbe dovuta anche a queste persone – uomini e donne, giovani ed
anziani, di tutte le estrazioni sociali, di tutte le idee politiche – che hanno
preso posizione non contro qualcuno – come si è cercato di far credere,
accusandole gratuitamente di antisemitismo – , ma per soccorrere degli
sconosciuti, della cui sorte si sono senti responsabili come di fratelli e di
sorelle. Una bella vittoria sulla logica dell’odio, ottenuta non accusandone
gli altri, ma operando in prima persona perché esseri umani – diversi da noi –
possano vivere.
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