-di
Viviana Daloiso
La premier Frederiksen ha annunciato al Parlamento con un discorso durissimo l'intenzione di varare una legge restrittiva: «Dobbiamo restituire ai nostri figli l'infanzia che gli abbiamo sottratto».
Le
parole, a volte, pesano anche più delle leggi.
E
quelle pronunciate dalla premier danese Mette Frederiksen, aprendo i lavori del
Parlamento di Copenhagen ieri, sono pesantissime.
Il
governo che guida si prepara infatti a vietare l’uso dei social media ai minori
di 15 anni, una misura senza precedenti in Europa.
Ma
sono le sue frasi, più ancora della decisione politica, a restituire la portata
del gesto: una presa di posizione che va dritta al cuore del dibattito del
nostro tempo, funestato dagli effetti molto reali, molto tangibili, della
dipendenza digitale e del linguaggio «tossico» della rete.
«È
come se i confini del lecito da dire e da fare uno sull’altro siano stati
cancellati.
Ci
siamo abituati a questa durezza nei commenti e nei toni social: è diventato
normale.
Dobbiamo
chiederci se quel che si dice sui social non sia ormai fonte di corrosione del
rispetto reciproco.
I
telefoni cellulari e i social media stanno rubando l’infanzia dei nostri figli
– ha detto la premier –.
Mai
prima d’ora così tanti giovani hanno sofferto di ansia, depressione o
difficoltà di concentrazione.
Sui
loro schermi, vedono cose che nessun bambino dovrebbe vedere».
Di
qui la decisione comunicata ai deputati: «L’idea non è vietare tutto senza
criteri, ma restaurare una soglia di umanità.
Rendere
le piattaforme responsabili: che tengano conto di quanto tempo consumi, di
quali contenuti vengano mostrati, dell’effetto che hanno sulle emozioni.
E
se serve, porre limiti legali e tecnologici. È tempo di restituire ai nostri
figli l’infanzia che gli abbiamo sottratto».
Un
percorso già avviato
La
misura annunciata da Frederiksen si inserisce in una strategia più ampia, già
avviata dal suo governo.
A
febbraio 2025, la Danimarca ha infatti introdotto il divieto di smartphone
nelle scuole per tutti gli studenti dai 7 ai 16-17 anni, trasformando gli
istituti appunti in spazi «phone-free».
La
decisione è nata dal lavoro della Commissione sul benessere, istituita nel
2023, che ha denunciato gli effetti della digitalizzazione precoce sulla salute
dei ragazzi: dipendenza, isolamento sociale, cyberbullismo, perdita di
concentrazione.
«Dobbiamo
passare – ha detto la ministra per la digitalizzazione Caroline Stage – dalla
cattività digitale alla comunità».
La
Danimarca non è sola. L’Australia ha fatto da apripista, approvando a fine 2024
una legge che vieta l’uso di piattaforme come TikTok, X, Facebook e Instagram
ai minori di 16 anni.
A
giugno 2025, la Grecia ha proposto a Bruxelles di fissare una «età digitale
maggiorenne» valida per tutta l’Unione europea. In Scandinavia, la Norvegia ha
alzato a 15 anni il limite per l’uso dei social, mentre Finlandia e Svezia
hanno vietato gli smartphone a scuola.
E
ora, anche dall’altra parte del mondo, arriva un segnale simbolicamente
potente: la città di Toyoake, nel Giappone centrale, ha introdotto una
limitazione di due ore al giorno per l’uso dello smartphone, con l’obiettivo di
contrastare la dipendenza digitale e la privazione del sonno.
L’ordinanza,
pur senza sanzioni, è la prima del genere in Asia e ha già aperto un dibattito
nazionale.
E
in Italia?
Anche
nel nostro Paese il tema è più che mai attuale.
La
deriva social, con i rischi di cui parla ormai ogni giorno la cronaca –
dall’istigazione alla violenza ai casi di suicidio in diretta, fino ai fenomeni
di dipendenza,
ansia e stress – ha spinto la politica a muoversi.
In
Parlamento sono numerose le proposte di legge, presentate da tutti i gruppi e
spesso bipartisan, che mirano a regolamentare l’accesso alle piattaforme
digitali e a rafforzare la tutela dei minori online.
L’ultimo
disegno di legge depositato al Senato porta la firma della leghista Erika
Stefani, insieme al vicepresidente di Palazzo Madama Gian Marco Centinaio e ad
altri senatori del Carroccio.
Il
testo propone il divieto assoluto di accesso alle piattaforme social per i
minori di 14 anni, estendendo il limite anche ai servizi di messaggistica
istantanea come WhatsApp, Telegram, Messenger, Signal e Skype.
Tra
i 14 e i 16 anni, invece, l’ingresso nel mondo social sarebbe possibile solo
con l’autorizzazione dei genitori o dei tutori legali.
La
proposta impone inoltre alle piattaforme digitali l’obbligo di dotarsi di
sistemi efficaci di verifica dell’età e di raccogliere il consenso genitoriale,
con la previsione di sanzioni severe in caso di inadempienza: prima la diffida,
poi, se necessario, il blocco temporaneo del sito o dell’applicazione disposto
dall’Agcom.
Il
ddl include anche attività formative nelle scuole «rivolte ai genitori» per
prevenire forme di disagio giovanile legate all’uso precoce della rete.
Un
altro testo – il ddl n. 1136, a prima firma della senatrice Lavinia Mennuni
(Fratelli d’Italia) e sottoscritto anche da esponenti di Pd, Lega e Forza
Italia – fissa invece a 15 anni l’età minima per accedere ai social network,
con la possibilità per i genitori di concedere un permesso anticipato.
La
legge prevede anche l’introduzione di un tasto «Emergenza» su tutte le
piattaforme, per collegare direttamente i minori in difficoltà al numero 114,
dedicato all’infanzia e all’adolescenza.
Sul
piano culturale e pedagogico, la discussione è accesa.
Studiosi
come Matteo Lancini, Alberto Pellai e Daniele Novara richiamano da tempo la
necessità di difendere bambini e adolescenti da una digitalizzazione precoce.
«Restituire ai ragazzi la lentezza e la presenza è un gesto educativo, non una
nostalgia del passato», ha scritto Pellai, sintetizzando un pensiero ormai
condiviso da molti esperti.
Sulla
stessa linea si colloca il Forum delle Associazioni Familiari, che ha espresso
«forte preoccupazione per l’abuso dei device e per l’accesso indiscriminato ai
social network da parte dei più piccoli».
Il
presidente Adriano Bordignon ha definito «urgente» l’approvazione di misure
restrittive: «Altri Paesi europei – ha ricordato – come Svezia, Norvegia,
Francia e Gran Bretagna, hanno già adottato provvedimenti simili, riconoscendo
il grave danno che l’esposizione eccessiva agli strumenti digitali può
provocare nei soggetti più fragili».
Bordignon
ha però aggiunto che «il solo intervento normativo non basta», auspicando
un’alleanza educativa fra famiglie e scuole.
In
questa direzione il Forum sostiene l’esperienza dei «Patti digitali», promossa
da Università di Milano-Bicocca, MEC, Aiart e Sloworkingnate, che propone
impegni condivisi per un uso più consapevole e comunitario della tecnologia.
Intanto,
sul fronte scolastico, l’Italia ha già intrapreso un percorso di
regolamentazione.
Dal
1° settembre 2025, con la nota ministeriale n. 3392 del 16 giugno, è in vigore
un divieto rigoroso dell’uso di smartphone e dispositivi personali durante
l’orario di lezione nelle scuole secondarie di secondo grado.
Il
provvedimento, promosso dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, estende il
divieto anche agli usi didattici salvo esplicita autorizzazione e si fonda su
studi condotti da Ocse, Oms e Istituto Superiore di Sanità, che mettono in
relazione l’abuso di dispositivi con calo dell’attenzione, stress cognitivo,
disturbi del sonno e ansia.
Un
approccio analogo è da tempo realtà in Francia, dove una legge del 2018 vieta i
telefoni cellulari in tutte le scuole fino alle medie, e dove dal 2024 è
partita la pause numérique – la «pausa digitale» – in circa duecento
istituti pilota: gli studenti consegnano il telefono all’ingresso e lo
riprendono solo a fine giornata.
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