Psicologa
Nastri: “L’uso precoce e massiccio di smartphone modifica la massa bianca del
cervello.
Scuola e famiglia per costruire un rapporto sano con la tecnologia”.
INTERVISTA
di Andrea Carlino
A
Orizzonte Scuola interviene Federica Nastri, psicologa, criminologa,
pedagogista e mediatrice familiare, per un’approfondita analisi del rapporto
tra bambini e tecnologia.
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Nell’era
digitale, l’esposizione precoce e spesso incontrollata agli schermi pone serie
questioni sullo sviluppo psicofisico dei più piccoli. La psicologa Nastri ci
guida alla scoperta dei segnali di un uso problematico della tecnologia, delle
conseguenze a lungo termine e di strategie efficaci per genitori ed educatori.
La
maggior parte dei bambini oggi entra in contatto con i dispositivi digitali già
nei primi anni di vita, creando una sorta di “prolungamento” degli arti. Questo
rende difficile distinguere tra un uso normale e uno problematico, poiché il
problema spesso nasce dall’adulto che fornisce il dispositivo al bambino.
Come
si accompagna un bambino per strada, così bisogna accompagnarlo nel mondo
digitale, educandolo alla prevenzione dei rischi. Condividere esperienze
personali e aprire un dialogo basato sulla fiducia può aiutare i bambini a
comprendere i pericoli senza spaventarli eccessivamente. Educare i bambini alla
gestione del tempo fin dalla tenera età è fondamentale per un uso sano e
responsabile della tecnologia. Far sperimentare la noia e l’attesa aiuta a
sviluppare la creatività, l’intelligenza emotiva e la capacità di vivere nel
mondo reale.
La
dipendenza digitale può influenzare negativamente il rendimento scolastico,
distogliendo l’attenzione dagli obiettivi e creando difficoltà cognitive e
comportamentali. La scuola, in collaborazione con professionisti della salute
mentale, può promuovere un uso sano della tecnologia attraverso programmi
specifici e attività che stimolino la sfera emozionale, il contatto con la
natura e le persone, lo sport e l’affettività.
Dottoressa
Nastri, quali sono i segnali di un’esposizione eccessiva agli schermi in
bambini così piccoli? Come possono i genitori distinguere tra un uso normale e
uno problematico?
Secondo
gli studi più recenti, sulle abitudini in ambito tecnologico dei bambini dai 6
mesi ai 4 anni, risulta che il 96,6% utilizza media device e molti di loro
iniziano a usarli già nel primo anno di vita.
Comprendiamo quindi che, a oggi, per la maggioranza dei bambini, i
dispositivi elettronici rappresentano un vero e proprio “prolungamento” dei
loro arti: nascono con loro, crescono con loro, si evolvono con loro
inducendoli a una involuzione sotto ogni punto di vista. Fino a un decennio fa
potevamo parlare dei “segnali” fondamentali affinché i genitori potessero
monitorare l’uso o abuso della tecnologia; ora che l’età di utilizzo è scesa
vertiginosamente ai pochi mesi, ahimè, capiamo quanto il problema non dipenda
più dal bambino fin troppo piccolo per scegliere individualmente di impiegare
il suo tempo muovendo le dita su uno smartphone ma dell’adulto che glielo
consegna. Perciò, il tempo trascorso dai bambini molto piccoli davanti agli
schermi risulta associato al modo in cui i loro stessi caregiver utilizzano la
tecnologia. Pertanto, diviene complicato stabilire già per gli adulti un
proprio autocontrollo all’uso, e che ne stabilisca un “uso normale o
problematico”. Sicuramente, i primissimi campanelli d’allarme a cui prestare
attenzione sono: reazioni spropositate di rabbia e frustrazione, costanti
sbalzi d’umore, impulsi incontrollabili nel “controllare” il dispositivo,
sintomi d’astinenza nel distacco dall’oggetto vissuto come indispensabile.
Quali
sono le conseguenze a lungo termine di un’esposizione precoce e incontrollata
agli schermi sullo sviluppo psicofisico del bambino?
Il
mondo digitale, rimanda al modello stimolo-risposta, nonché qualcosa di
astratto rispetto a un pensiero concreto di qualsiasi cosa. L’utilizzo precoce
e massiccio di queste tecnologie, cambia il modo di organizzare la conoscenza
del bambino così radicalmente da modificare la struttura della massa bianca del
cervello e alterare le aree fondamentali per lo sviluppo del linguaggio, delle
capacità di alfabetizzazione e delle funzioni esecutive (memoria, attenzione,
inibizione, flessibilità cognitiva, pianificazione). Se il bambino impara a
usare questi strumenti prima ancora di iniziare a parlare, il rischio è di
focalizzare la conoscenza sullo stimolo specifico, piuttosto che sulle
relazioni e interazioni tra oggetti, ciò potrà implicare anche ritardo nello
sviluppo motorio, aumento di disturbi alimentari, disturbi del sonno, disturbi
dell’apprendimento e disturbi comportamentali, depressione infantile, ansia,
psicosi, disturbi della personalità, autismo e infine aumento dell’aggressività
e violenza.
Come
possono i genitori riconoscere i segnali di dipendenza digitale nei loro figli?
L’uomo
è un essere sociale, geneticamente programmato per sopravvivere aggregandosi
con la comunità e la tecnologia più si presta per soddisfare il bisogno di
connessione degli esseri umani. Come? Estraniandoli e isolandoli. Sembrerebbe
un controsenso, eppure l’isolamento, il disinteresse e la dissociazione
rappresentano i segnali più profondi di una dipendenza digitale, susseguiti,
come dicevamo dalla necessità di trascorrere un numero sempre più cospicuo di
ore in connessione, sono sintomi depressivi o ansiosi, agitazione psicomotoria
in caso di riduzione o interruzione, riduzione della vita reale e degli
interessi lontani dal digitale.
Come
possono i genitori parlare ai loro figli dei pericoli online in modo che li
comprendano senza spaventarli eccessivamente?
Lascereste
mai un bambino da solo per strada? Come gli direste che non può starci da solo?
Le infinite vie di internet si snodano tra curve a gomito, discese vertiginose
e salite ripidissime, e devono essere ormai considerate come un mondo “reale” e
pericoloso in cui un bambino si accompagna e si sostiene. Perciò avviare alla
tecnologia (preferibilmente dopo almeno i 4/5 anni) abituando al controllo
costante di qualcuno e magari attraverso le app dedicate alle attività di
sviluppo sarebbe già un buon modo per indirizzare ed educare alla prevenzione
di rischi. Non esiste il discorso perfetto per spiegare la sicurezza
informatica ai bambini ma è fondamentale che siano a conoscenza di quanto il
mondo virtuale possa nascondere pericoli reali. “Sai, hanno provato a rubarmi
l’identità, ed io ho…”, oppure: “Una volta mi hanno preso in giro sul web, così
ne ho parlato con la mia famiglia e…”, ecc. ecc. Questi esempi di dialogo
possono rappresentare una modalità di apertura all’argomento attraverso
l’immedesimazione e la fiducia reciproca, dando così non solo spiegazione delle
problematiche ma anche informazioni su come difendersi.
Come
si può aiutare un adolescente a gestire autonomamente il tempo trascorso online
e a trovare un equilibrio sano tra vita digitale e vita reale?
È
importante partire dall’infanzia ancor prima che dall’adolescenza, in modo tale
da fornire già al bambino piccolo, futuro uomo, quegli strumenti adatti a
fronteggiare i passaggi di crescita tanto delicati quanto fondamentali della
sua vita. L’educazione al “tempo”, alla dimensione del tempo, alla gestione del
tempo e all’impiego di questo sono il principio di ogni sfera umana:
individuale, familiare, sentimentale, relazionale e professionale. Far
sperimentare la “noia”, senza riempire il “buco”. Far godere dell’attesa, senza
azzerarla uccidendo il desiderio. Spronare così alla creatività e indipendenza,
sviluppare l’intelligenza emotiva, la possibilità di trasformazione,
l’opportunità di evoluzione. Il bambino abituato al modello stimolo-risposta
avrà difficoltà a gestire il suo tempo di noia e di attesa, avvertito come
“vuoto”. D’altra parte, perderà il suo tempo in quanto estraniato in un mondo
virtuale. Educare alla realtà, e quindi a questo “tempo reale”, è il primo
passo per l’educazione alla vita digitale e a quell’equilibrio tra l’essere e
il non-essere, esistere e scomparire.
Come
cambia il rendimento scolastico in giovani con dipendenza digitale? Può la
scuola contribuire a promuovere un uso sano e responsabile della tecnologia tra
gli studenti?
Qualsiasi
tipo di dipendenza, e in questo caso nello specifico quella digitale, distrae
dall’obiettivo inibendo il raggiungimento dei traguardi. Perciò un dipendente
dalla tecnologia avrà come priorità estrema un mondo virtuale lontano dalla
realtà e quindi lontano anche dall’interesse per le cose, le persone, le
relazioni, lo studio e l’apprendimento. Sarà privato della curiosità proprio
perché abituato ad un modello stimolo-risposta che è opposto alla conoscenza
profonda e autentica. A ciò si aggiungono le difficoltà cognitive,
comportamentali e delle funzioni esecutive alimentate dall’abuso dei
dispositivi digitali che implicano disturbi dell’apprendimento e di conseguenza
un abbassamento del rendimento scolastico. In particolar modo, le evidenze
scientifiche dimostrano come il disturbo di attenzione e iperattività (ADHD)
sia correlato a tale dipendenza. Affinché venga fronteggiata una situazione di
emergenza simile, è necessario che la scuola collabori innanzitutto con
professionisti della salute mentale creando percorsi specifici per
genitori/figli, genitori/figli/istituzione scolastica. Solo un costante e collaborativo
monitoraggio e potenziamento della sfera emozionale, delle attività a contatto
con la natura e le persone, dello sport, e della stimolazione affettiva possono
promuovere non solo un uso sano e responsabile della tecnologia, ma di tutta
l’intera vita dell’individuo.
Orizzonte
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