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di Massimo Recalcati
Il destino dell’inconscio
sarà eguale a quello dei dinosauri? Potrebbe, l’inconscio, andare incontro a
una fatale estinzione? E la psicoanalisi? Non è forse oggi minacciata davvero
dal rischio di scomparire per sempre? E gli psicoanalisti? Quale sarebbe la
loro responsabilità per questa estinzione? Insomma, quale sarà l’avvenire
della psicoanalisi nella nostra civiltà? Quale sarà, cioè, la possibilità per
il soggetto dell’inconscio di continuare a esistere?
Pongo queste domande in
una forma volutamente estrema e paradossale – inutile ricordare che tra un
dinosauro e l’inconscio passa una certa differenza –, per andare
immediatamente al contenuto di questo libro. Si tratta dell’elogio appassionato
di uno psicoanalista nei confronti di quel particolare oggetto – l’inconscio –
che oggetto non è, nel senso che non risponde alla nozione empirica di
oggetto, e che costituisce il centro dell’attività teorica e clinica della
psicoanalisi.
È vero, in questi due
ultimi decenni la stella della psicoanalisi, che ha conosciuto il suo massimo
splendore dopo la contestazione del Sessantotto, negli anni Settanta-Ottanta,
sembra davvero destinata a un avvenire piuttosto incerto. La comparsa di psicofarmaci
sempre più potenti ed efficaci nel trattamento della sofferenza cosiddetta
«mentale», la diffusione delle terapie cognitivo-comportamentali, i progressi
delle neuroscienze, l’invasione di una cultura psicologica generica sono solo
alcuni tra i fenomeni che sembrano condannare la psicoanalisi a non essere
altro che un residuo d’archivio dell’Ottocento.
Questo libro vuole invece
ricordare che la psicoanalisi è più che una terapia, e che la sua difesa non è
solo una difesa corporativa di un ceto professionale in crisi. La difesa della
psicoanalisi è la difesa di un’etica della responsabilità e di una teoria
critica della società di cui ancora oggi abbiamo un grande bisogno. Tale è,
molto in sintesi, la posta in gioco di questo piccolo libro: elogiare gli
elementi a mio giudizio cruciali dell’esperienza analitica, difendere la sua
causa, che non è solo la causa della psicoanalisi in senso stretto, ma
coinvolge anche una intera concezione dell’uomo che si sostiene
sull’importanza del pensiero critico e sul carattere particolare e
incommensurabile del desiderio soggettivo.
Il tiranno, il burocrate
e la macchina hanno, in effetti, in comune l’assenza di desiderio. Forse un
uomo senza inconscio sarebbe davvero l’incarnazione di un uomo grigio incapace
di sogno, dunque di desiderio. Un uomo senza inconscio sarebbe l’uomo ridotto
a una macchina senza desiderio? Non c’è, in effetti, per la psicoanalisi
malattia più terribile che questa: vivere senza avere accesso al proprio
desiderio.
Il compito della
psicoanalisi e, soprattutto, degli psicoanalisti è innanzitutto quello di
difendere l’esistenza dell’inconscio da ciò che ne minaccia l’estinzione. Lo
psicoanalista, secondo Lacan, fa parte del concetto di inconscio, nel senso che
permette al soggetto di fare esperienza dell’inconscio, del suo inconscio. Non
si tratta semplicemente di difendere l’esistenza della psicoanalisi, ma quella
dell’inconscio come indice del carattere irriducibile della particolarità del
soggetto che invece lo scientismo contemporaneo vorrebbe poter liquidare.
“Elogio
dell’inconscio. Come fare amicizia con il proprio peggio”
(Castelvecchi editore), Massimo Recalcati, 2024, pp. 144, € 17,50
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