- di P. Giuseppe Oddone
Premessa
Il terzo sussidio
presentato dal Dicastero per l’evangelizzazione, pubblicato sempre dalla
Libreria editrice vaticana, per aiutarci a vivere questo anno di preghiera, ha
il titolo “La preghiera di Gesù”.
E’ stato scritto da Juan
López Vergara, biblista messicano, docente all’Instituto Bíblico Católico di
Guadalajara. La tesi di fondo è questa: “Un desiderio profondo abitava Gesù: è
essenziale per lui essere con il suo Abbà. La sua preghiera è incessante ed
instancabile”.
L’autore, con una
operazione per alcuni aspetti soggettiva e anche discutibile, trasforma in
preghiera venti episodi significativi del Vangelo. Entra nel cuore di Gesù di
Nazareth, rivive il mistero della sua filiazione unica, dal Battesimo alla sua
morte in croce, e dopo una breve presentazione del passo evangelico e la sua
trascrizione immagina di ricostruire l’orazione che fiorisce sulle labbra di
Gesù rivolta al Padre, il suo Abbà. Lo fa anche con un tocco di poesia e di
psicanalisi, perché nella sua preghiera Gesù rivive anche alcuni aspetti della
sua infanzia, in particolare col suo papà terreno Giuseppe e con sua madre
Maria.
L’autocoscienza di Gesù
Occorre tuttavia tener
presente quanto il magistero ordinario della Chiesa, facendo riferimento alla
predicazione degli Apostoli, ai Vangeli Sinottici, ed al Vangelo di Giovanni ha
precisato sull’autocoscienza di Gesù. Si può riassumere in quattro affermazioni:
Gesù aveva coscienza di essere il figlio unico di Dio ed in questo senso di
essere egli stesso Dio; Gesù aveva chiaro lo scopo della sua missione di
Messia: annunciare il regno di Dio e renderlo presente nella sua persona; Gesù
era consapevole di fondare la “sua” Chiesa, costituita poi in modo definitivo
negli avvenimenti della Pasqua e della Pentecoste, per continuare la sua
missione; Gesù sapeva di morire per tutti e non escludeva nessuno dal suo
disegno di salvezza. Ciò non toglie tuttavia che l’autocoscienza di Gesù abbia
avuto un suo sviluppo, perché egli è completamente uomo con un corpo, un’anima,
una volontà umana, dei sentimenti, delle reazioni alle persone ed agli
avvenimenti imprevisti che via via la vita gli presenta.
Il Vangelo è esplicito su
questo punto: “Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio ed
agli uomini” (Lc. 2.52).
Il ricordo di Giuseppe
La crescita di Gesù in
sapienza, in grazia, in consapevolezza umana della sua realtà e missione di
Figlio di Dio è la linea scelta dall’autore. Nel ricostruire i sentimenti e la
preghiera di Gesù riaffiora spesso il ricordo dei suoi genitori terreni. Così
dopo l’incontro di Gesù con i suoi compaesani a Nazareth, egli prega così:
“Abbà, ogni sabato il custode permetteva a mio padre di avvicinarsi ai rotoli
sacri. Egli li baciava con riverente pietà. Pieno di ricordi mi ritrovai a
piegare a posare la mia testolina sul suo petto. In uno slancio spontaneo mi
baciò ed abbracciò la fronte con la stessa riverenza con cui baciava i rotoli
sacri. In quell’eterno istante ho sentito il mio essere risplendere della
sacralità del mistero. Sì, era un uomo semplice, con la gloria degli umili,
convinto che la vita è bella e vale la pena di essere vissuta… Il sentimento
dominante verso di lui, che abita il mio essere fin dall’infanzia, è intriso di
enorme gratitudine, caro Abbà” (pag. 35).
Il ricordo più intenso di
Giuseppe riemerge quando Gesù eleva al suo Abbà la preghiera dopo aver
insegnato ai discepoli il Padre nostro, quasi un’eco delle preghiere che egli
aveva imparato nella sua casa di Nazareth: “Mio padre aveva un carattere piacevole,
ma solenne. Irradiava pace, Abbà… aveva l’anima rivolta verso di te. Quanta
fiducia aveva nella tua amorevole bontà… ho mantenuto un profondo affetto per
lui. C’è un motivo di gioia ancora più grande: lui custodiva un mistero, che io
percepivo instaurarsi nella sua anima alla fine della giornata, quando credendo
che dormissi veniva presso il mio letto a darmi un ultimo bacio e, non senza
alzare gli occhi a te, pronunciava una preghiera… Mi ha insegnato che senza
fiducia non si può vivere.
La fiducia è comunione.
E quella immensa fede aperta alla tua immensità è una delle benedizioni più
dolci che ho ricevuto da te, Abbà, attraverso papà, che ricordo con una
ammirazione sempre rinnovata” (pag.61-62). E anche quando Gesù eleva la
preghiera dopo aver raccontato la parabola del Padre misericordioso e del
figliol prodigo, riaffiora il ricordo di Giuseppe, quasi una proiezione del
padre della parabola: “Nella mia adolescenza, di fronte alle richieste di mia
madre, mentre ero a Gerusalemme per la Pasqua, le espressi il mio incontro con
Te in mezzo ai maestri… Quando mi riferii a te come mio Padre, guardai Giuseppe
e gli sorrisi. Lui abbassò la testa con gli occhi bagnati di lacrime. Questa
reliquia di infanzia mi ha segnato, potrei chiamarti così senza il suo esempio,
Abbà? Sempre sensibile alle tue benedizioni, mi diceva di ringraziarti perché
sei buono, perché il tuo amore è eterno. Lui e mia madre mi hanno insegnato a
fare della mia vita una preghiera di gratitudine” (pag. 116).
Il ricordo di Maria Anche
il ricordo di Maria ritorna nelle preghiere che Gesù eleva al suo Abbà. Mentre
Gesù è tentato da Satana, il pensiero rivolto a sua madre gli fa superare la
prova e gli testimonia che Lui stesso è la Parola: “Si trattava della mia santa
madre che, all’alba di un giorno luminoso, con amorosa sollecitudine
contemplativa gustava il mistero della tua Parola. Sembrava che la sua anima
fosse sempre in preghiera. Lei aveva fissato i suoi occhi nei miei, facendomi
capire che la tua Parola aveva un nome. Questo lo doveva aver sperimentato con
grande forza, al punto di sentirsi figlia del suo Figlio” (pag. 25-26). A Cana
di Galilea Gesù compie il primo dei suoi prodigi; non era tuttavia nei suoi
programmi, tanto che egli sembra inizialmente respingere sua madre. Ma è
determinante l’incoraggiamento di Maria con il suo sguardo materno, come se gli
dicesse: “Vai, è il tuo momento! Lo devi fare!”. Ella dilata l’anima di Gesù ed
accelera l’inizio del Vangelo, manifesta la gloria del Figlio e suscita la fede
dei discepoli. “Le sue parole, Abbà, non si adattavano al mio piano di vita!
Lei, impregnata di tenerezza che sgorga dal suo cuore puro ed umile, fece finta
di nulla ed ordinò ai servi di fare ciò che io avrei detto loro. E, nonostante
che il progetto fosse turbato, Abbà, ho sentito un raggio di luce percepibile
che circolava tra le parole di mia madre….
Abbà, la mia anima si è
dilatata. Ho ricevuto una lezione dalla mia santissima madre.
Lei è sempre rimasta colma della tua grazia e sorpresa dalla tua parola” (pag.
41-42). Il pensiero di Maria riemerge quando Gesù è inchiodato alla croce e
promette al buon ladrone il paradiso. In quel momento Gesù percepisce e
comprende pienamente il mistero della sua identità di Figlio di Dio, ricordando
il ritorno dei suoi genitori a Nazaret dopo il suo ritrovamento nel tempio. “Un
ricordo mi ha segnato, Abbà… Giuseppe fece capire a mia madre che il mio
comportamento lo aveva sorpreso. La mamma in un lampo di chiaroveggenza rispose
che, se ero un mistero per lui, lo ero ancora di più per lei, e ancora di più
per me stesso, che portavo un mistero impossibile da condividere. Questo
mistero che mi dà un chiaro senso di identità, finalmente lo capisco, mentre
prometto a questo buon malfattore pentito che oggi sarà con me in paradiso”
(pag. 141).
L’autore del sussidio “La
preghiera di Gesù” si abbandona anche a desideri e a ipotesi personali, non
condivise da tutti o per lo meno incerte, non oggetto di fede. Gesù sulla croce
prega per la salvezza eterna di Giuda e viene esaudito nel ricordo delle parole
di Maria: “Nulla è impossibile a Dio”. Gesù stesso sulla croce ha un dubbio e
si chiede se l’inferno non sia vuoto: “Abbà, non ho mai negato l’esistenza
dell’Ade, il luogo della punizione eterna, ma ci sarà qualcuno lì dentro?”
(pag.135). Ma la concreta possibilità di finire nell’inferno ossia nella
lontananza eterna da Dio è chiaramente proclamata nel Vangelo: ”Lontano da me!”
(Mt. 25,41).
Nella nostra libertà noi possiamo costruirci orientandoci verso Dio o separandoci da Lui: in questa libertà vi è la grandezza e la dignità della persona umana che deve compiere nella vita delle scelte che riguardano il suo eterno destino. Dio chiama tutti alla salvezza, ma non costringe nessuno; Lui solo sarà il nostro giudice e salvatore e noi non possiamo dire con certezza di nessuno, nemmeno di Giuda, che è dannato.
L’unione di Gesù con il suo Abbà
Nei venti episodi
evangelici presentati dall’autore si riafferma sempre l’unione incessante di
Gesù con il suo Padre celeste: è l’esperienza unica della paternità di Dio, è
il centro della vita di Gesù, la fonte della sua esistenza, la sua essenza più
intima, la luce della sua missione, la lampada per i suoi passi nei vari casi
lieti o tristi, sia quando è acclamato ed accolto, come quando è rifiutato e
condannato a morte. La preghiera è per Gesù una ricerca costante della volontà
di Dio, percepita nello Spirito, una realtà che si apre al mistero trinitario
per il Figlio che si è fatto uomo, ma continua a riposare nel seno del Padre.
Nella tentazione del deserto, dopo quaranta giorni di contatto con il suo Abbà,
Gesù è la Parola che fa riferimento alla parola divina che lo ha preceduto
nelle scritture, di cui continua a nutrirsi la sua vita. La preghiera riempie
la sua solitudine nelle notti trascorse in contatto con Dio, la sua attività
nel contatto con la gente e la proclamazione del Vangelo. “Non voglio dimenticare
l’esperienza fondamentale della mia vita: essere tuo Figlio” (pag. 54):
un’esperienza sempre approfondita nel corso della sua vita terrena, anche nelle
esigenze che comporta per i suoi discepoli, che devono amare Lui al di sopra di
tutto, più del padre e della madre. La preghiera di Gesù si rivela pertanto
divina come la sua obbedienza al Padre.
Davanti al volto del
Padre si erge il volto divino di Gesù; Egli è Figlio suo come nessun uomo può
esserlo: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se
non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
vorrà rivelarlo” (Mt, 11,27). Noi siamo figli di Dio per grazia, Gesù lo è per
natura, ma Egli rimane sempre il modello della nostra preghiera. La preghiera
di Gesù si riempie anche di tanti sentimenti umani: di gratitudine, di stupore
per il mistero della sua persona, di fiducia nella Provvidenza divina, di
commozione per le sofferenze umane, di tenerezza e di amore per i suoi
discepoli, per i poveri, per gli ultimi, di sensibilità per la bellezza del
creato, di giubilo quando il Padre si rivela ai piccoli.
Ad un certo punto del suo
ministero, dopo la confessione di Pietro che riconosce che Gesù è il Cristo,
Egli intuisce che è venuto il tempo di offrire la propria vita, di andare a
Gerusalemme per affrontare la sua passione, morte e risurrezione e fa questo
discorso apertamente: di qui in avanti la preghiera di Gesù si colora di
abbandono senza riserve alla volontà del Padre, di luce nell’episodio della
trasfigurazione con la certezza della gloria futura, ma anche di gemiti e di
lacrime perché passi da Lui questo calice di sofferenza.
Infine, pregando e
morendo sulla croce Gesù consegna il suo spirito nelle mani del Padre. Questa
è, secondo l’autore, la preghiera conclusiva di Gesù, che sottolinea anche la
prospettiva con cui è ricostruita la sua vicenda terrena: “Abbà, ho fatto la
tua volontà in ogni momento della mia vita, sono cresciuto alla luce della tua
grazia ed ho raggiunto la perfezione. Ora che tutto si è compiuto, so che hai
ascoltato la mia preghiera. Una pace mi assale nel dolore più cruento; non mi
resta che dirti, Abbà, dall’inizio e dalla perfezione della fede, in una
visione del Tutto, che un sentimento eterno mi rivela che nessuno mi sta
togliendo la vita, così chino il capo e ti do il mio spirito. Grazie, Abbà per
ascoltarmi” (pag. 145-146).
Osservazioni conclusive
L’impostazione
dell’autore riflette l’interesse attuale di biblisti e teologi per
l’autocoscienza di Gesù di Nazaret; Egli rivela un rapporto unico e speciale
con il Padre, ma poiché la sua vicenda è stata anche totalmente umana Egli
progredisce sia nella conoscenza della realtà esterna sia in una sempre
maggiore e più chiara autocoscienza di essere figlio di Dio, Messia, fondatore
della Chiesa, salvatore di tutti gli uomini. In questo senso l’autore parla
spesso della fede soggettiva di Gesù, ancora oggi oggetto di discussione,
interpretata come affidamento al Padre, fedeltà, obbedienza, dedizione totale
alla sua volontà: un aspetto della fede ricevuto da Giuseppe e da Maria,
vissuta da Gesù e da Lui proposta a tutti i suoi discepoli. Il mistero del
Figlio di Dio che si fa uomo e che possiede in modo perfetto sia la natura
divina che quella umana rimane uno dei misteri più grandi, più belli, più
coinvolgenti della nostra fede.
Il nostro poeta Dante
conclude il suo cammino verso Dio proprio contemplando come nel cerchio divino
riflesso, ossia nel Verbo, nella seconda persona della Santissima Trinità,
appaia con chiarezza la figura di un uomo, del Figlio di Maria, crocifisso e risorto,
verso cui ha orientato il suo sguardo, tutta la tensione della sua intelligenza
e del suo cuore. Egli cerca di capire come un uomo possa essere dentro il
mistero trinitario, del colore stesso di Dio. Si chiede come può adattarsi la
natura umana ad una persona divina, come vi possa trovare spazio. Nonostante
tutti i suoi sforzi non riesce a raggiungere il mistero.
Solo la folgorazione della grazia divina realizza il suo desiderio di conoscenza e di amore: “Veder voleva come si convenne l’imago al cerchio e come vi s’ indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne”. (Par. XXXIII, 137-141)
Parafrasando: volevo comprendere come
l’immagine di un uomo (di Gesù) si adattasse al cerchio divino (la persona del
Figlio) e come potesse trovare posto in esso; ma le mie capacità non erano
adeguate per questo; ma ecco che la mia mente fu colpita da una folgorazione di
grazia che realizzò il mio desiderio di conoscenza, di amore, di pace.
Nell’accostarci a Cristo, nel rivivere la sua preghiera, solo il “fulgore”
della grazia che penetra in noi può veramente saziare la nostra “voglia” di
partecipazione e di unione alla vita del Figlio di Dio fatto uomo.
P. Giuseppe Oddone
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