Pubblicato il decreto di indizione del concorso a posti di insegnanti nelle scuole di ogni ordine e grado.
Le iscrizioni – Le
iscrizioni al concorso saranno on line e ci saranno 30 giorni di tempo per
iscriversi.La preselezione – La preselezione (dovrebbe avvenire in dicembre) avverrà con risposta a quiz on line con risultato in diretta. I
candidati dovranno rispondere ad una serie di quiz con domande a risposta
multipla: 50 domande, 50 minuti per rispondere, 1 minuto a
domanda.Le domande - 18 di comprensione del testo, 18 di logica, 7 di informatica, 7 di lingua.
Tutto l’esame si svolgerà al computer, in aule appositamente attrezzate. Le 50 domande saranno scelte da un software
in modo casuale, su una batteria di 3.500 domande che verranno rese pubbliche 3
settimane prima della prova preselettiva.
I
punteggi - Ogni risposta giusta vale 1 punto,
una sbagliata -1, 0 punti se non si risponde. Il punteggio minimo per essere
ammesso alle prove successive sarà di 35 punti.La prova scritta – La prova
consisterà in un questionario scritto a risposta aperta e si dovrebbe svolgere
entro gennaio 2013.La prova orale
– La prova si svolgerà davanti ad una
commissione composta da tre esaminatori. Ogni candidato dovrà simulare una
lezione di 30 minuti. L’argomento della lezione verrà comunicato al candidato 24
ore prima dell’esame, inoltre la commissione potrà approfondire la conoscenza
delle lingue straniere (l’inglese sarà obbligatorio per i candidati alle
primarie), della legislazione scolastica e delle norme disciplinari.
IL DECRETO DI INDIZIONE DEL CONCORSO
mercoledì 26 settembre 2012
MARTINI, IL COMUNICATORE
L'INQUIETUDINE DEL COMUNICARE
Ricordo che in occasione delle interviste (e sono state tante) mi chiedeva sempre: “Di quanti secondi hai bisogno?”. Poiché conosceva l’importanza della sintesi per la comunicazione televisiva, si metteva nei panni del giornalista e cercava di semplificargli il compito. Non voleva ricevere le domande in anticipo e non chiedeva mai di rileggere le risposte. Si fidava. Aveva totale rispetto dell’autonomia del giornalista. D’altra parte quella del giornalismo era una passione che lui stesso aveva coltivato da ragazzo. Poi fu l’altra chiamata a prevalere, ma per lui quella del giornalista restò sempre una missione.
Studioso della Bibbia e uomo della Parola, Martini ebbe una considerazione altissima della comunicazione. All’inizio degli anni Novanta, quando era arcivescovo a Milano, dedicò al comunicare due celebri lettere pastorali, Il lembo del mantello ed Effatà! Apriti! Due documenti che per me e, credo, per tanti altri giornalisti sono stati fondamentali. Perché ci hanno ricordato che la comunicazione, prima di essere problema tecnico, è questione morale. Questione che riguarda il senso profondo del rapporto con l’altro.
Martini non parlava mai tanto per parlare, non girava attorno, non svicolava. Non si lasciava condizionare dalle preoccupazioni di opportunità politica o ecclesiale. Ogni sua parola era come una luce. Andava dritta al cuore e alla mente dell’interlocutore. A dispetto del tono, pacato e perfino monocorde, il suo linguaggio inquietava e metteva letteralmente in crisi, nel senso che obbligava a scegliere, a pensare. Il verbo “inquietare” gli piaceva molto. Diceva che il cristiano non è e non può essere un uomo comodo, per se stesso e per gli altri. Quando istituì la cattedra dei non credenti disse che la sua speranza era di inquietare e lasciarsi inquietare. Perché in ogni credente c’è qualcosa del non credente, e viceversa. Celebre è anche la sua distinzione tra pensanti e non pensanti, l’unica, diceva, davvero importante.
L’altissima considerazione che aveva del comunicare non era il frutto di un suo pallino intellettuale o conseguenza del suo essere studioso delle sacre scritture. Era frutto della sua fede. Lo vediamo bene nel testo raccolto nel bel libroColti da stupore, là dove, occupandosi della misteriosa comunicazione avvenuta nel sepolcro di Gesù, spiega che proprio in quel luogo, nella notte di Pasqua, ci fu la comunicazione più radicale di ogni tempo. Lo Spirito Santo si comunica e ridona il soffio della vita a Gesù. Si può immaginare qualcosa di più sconvolgente? La morte sconfitta, per sempre, attraverso la comunicazione. Attraverso la comunicazione del Padre che dona se stesso, per amore.
Il Dio dei cristiani è un Dio che parla, ma non solo e non tanto per ordinare. È un Dio che ascolta e chiede ascolto, che interpella, che si mette in relazione, che inquieta, che consola, che indica la strada, che sta vicino. È un Dio comunicatore. Un Dio che raggiunge il vertice della comunicazione divenendo esso stesso Parola viva, incarnata. Ecco dove nasce la passione di Martini per il comunicare. Ed ecco dove nasce la sua preoccupazione per una comunicazione che tanto spesso può essere formale, vuota, debole, priva di autentico coinvolgimento.
Quando comunichiamo, noi sempre doniamo noi stessi, o almeno qualcosa di noi stessi. E ascoltando ci mettiamo nella condizione di accogliere il dono dell’altro. Senza questa predisposizione non c’è comunicazione degna di tale nome. Ci potrà essere, al più, un’informazione, magari anche accurata. Ma comunicare è un’altra cosa. Il comunicare riguarda la comunità, l’essere in comunione. Comprensibile dunque l’attenzione dedicata dal cardinale Martini ai nuovi strumenti del comunicare e alle nuove frontiere.
In lui non ci fu mai rifiuto preventivo. Prevalse sempre la fiducia. Come Pio XII, come Giovanni Paolo II, vedeva nei moderni mezzi di comunicazione autentici doni di Dio, messi a disposizione della libertà dell’uomo. Non gli piaceva scagliare anatemi. Preferiva raccomandare la vigilanza e il senso di responsabilità. Della televisione, per esempio, non sopportava la naturale invadenza e la tendenza a ridurre la parola a un rumore di fondo, indistinto e senza significato. Però ne capiva l’importanza per la tempestività e per la capacità di entrare nelle case di tutti, indipendentemente dalla condizione sociale e dallo status culturale.
Quando poi ci fu l’avvento dell’informatica accolse la novità con disponibilità e, ancora una volta, con fiducia. Vedeva bene i rischi, ma gli interessava di più mettere in luce le potenzialità positive. Vide nella rivoluzione del web il pericolo di una comunicazione ancora più spersonalizzata, ma mise l’accento soprattutto sulla possibilità di accrescere il tasso di fraternità attraverso la conoscenza reciproca.
Fino agli ultimi giorni usò il computer e la posta elettronica con riconoscenza, perché gli permettevano di restare in contatto con tante persone nonostante la perdita della voce. Sempre curioso e interessato a tutto, gli piaceva ricevere notizie e rispondeva sempre. Messaggi semplici, per forza di cose, ma mai banali.
Ricordo che quando un mio servizio televisivo su di lui faticò non poco per andare in onda (perché il direttore del Tg1 di allora decretò che gli italiani non erano interessati alle vicende di un vecchio cardinale, e i vicedirettori si dissero d’accordo con lui), gli scrissi una mail per chiedergli scusa. Ero mortificato nei suoi confronti e sbigottito davanti a un tale miscuglio di ignoranza e arroganza da parte dei miei superiori. Lui mi rispose: “È un bene essere respinti”. Cinque parole che conservo gelosamente e che sono preziosissime nel mio lavoro.
Il Parkinson gli tolse la parola e lo limitò nei movimenti. Per battere sui tasti del computer o semplicemente per vergare la sua firma doveva fare una gran fatica, ma considerava quelle difficoltà una benedizione, perché lo obbligavano ad andare ancora di più al cuore della comunicazione, togliendo ogni orpello, ogni fronzolo inutile.
Anche Pietro e Paolo, come Gesù, sono stati uomini della comunicazione. E con le loro diversità, così marcate, ci dicono che il cristianesimo è religione plurale, che ama le differenze. Il cristiano non è mai per l’uniformità. La Parola è chiamata a incarnarsi ovunque, in contesti diversissimi. In quanto gesuita, Martini amava la complessità e stare sulla frontiera. Per questo capiva bene le difficoltà dei Papi e pregava per loro.
Quando lo dipingevano come un anti-Papa sorrideva e diceva che lui, semmai, era un ante-Papa, uno che, da pastore in mezzo al popolo, percorreva in anticipo le strade che il Papa avrebbe dovuto a sua volta affrontare. Non dimentichiamo che, nonostante la malattia, negli ultimi mesi della sua vita terrena chiese di poter incontrare il suo coetaneo Benedetto XVI, prima a Roma e poi di nuovo a Milano. Per guardarsi negli occhi. Per comunicare davvero.
Aldo Maria Valli, vaticanista del TG1
Ricordo che in occasione delle interviste (e sono state tante) mi chiedeva sempre: “Di quanti secondi hai bisogno?”. Poiché conosceva l’importanza della sintesi per la comunicazione televisiva, si metteva nei panni del giornalista e cercava di semplificargli il compito. Non voleva ricevere le domande in anticipo e non chiedeva mai di rileggere le risposte. Si fidava. Aveva totale rispetto dell’autonomia del giornalista. D’altra parte quella del giornalismo era una passione che lui stesso aveva coltivato da ragazzo. Poi fu l’altra chiamata a prevalere, ma per lui quella del giornalista restò sempre una missione.
Studioso della Bibbia e uomo della Parola, Martini ebbe una considerazione altissima della comunicazione. All’inizio degli anni Novanta, quando era arcivescovo a Milano, dedicò al comunicare due celebri lettere pastorali, Il lembo del mantello ed Effatà! Apriti! Due documenti che per me e, credo, per tanti altri giornalisti sono stati fondamentali. Perché ci hanno ricordato che la comunicazione, prima di essere problema tecnico, è questione morale. Questione che riguarda il senso profondo del rapporto con l’altro.
Martini non parlava mai tanto per parlare, non girava attorno, non svicolava. Non si lasciava condizionare dalle preoccupazioni di opportunità politica o ecclesiale. Ogni sua parola era come una luce. Andava dritta al cuore e alla mente dell’interlocutore. A dispetto del tono, pacato e perfino monocorde, il suo linguaggio inquietava e metteva letteralmente in crisi, nel senso che obbligava a scegliere, a pensare. Il verbo “inquietare” gli piaceva molto. Diceva che il cristiano non è e non può essere un uomo comodo, per se stesso e per gli altri. Quando istituì la cattedra dei non credenti disse che la sua speranza era di inquietare e lasciarsi inquietare. Perché in ogni credente c’è qualcosa del non credente, e viceversa. Celebre è anche la sua distinzione tra pensanti e non pensanti, l’unica, diceva, davvero importante.
L’altissima considerazione che aveva del comunicare non era il frutto di un suo pallino intellettuale o conseguenza del suo essere studioso delle sacre scritture. Era frutto della sua fede. Lo vediamo bene nel testo raccolto nel bel libroColti da stupore, là dove, occupandosi della misteriosa comunicazione avvenuta nel sepolcro di Gesù, spiega che proprio in quel luogo, nella notte di Pasqua, ci fu la comunicazione più radicale di ogni tempo. Lo Spirito Santo si comunica e ridona il soffio della vita a Gesù. Si può immaginare qualcosa di più sconvolgente? La morte sconfitta, per sempre, attraverso la comunicazione. Attraverso la comunicazione del Padre che dona se stesso, per amore.
Il Dio dei cristiani è un Dio che parla, ma non solo e non tanto per ordinare. È un Dio che ascolta e chiede ascolto, che interpella, che si mette in relazione, che inquieta, che consola, che indica la strada, che sta vicino. È un Dio comunicatore. Un Dio che raggiunge il vertice della comunicazione divenendo esso stesso Parola viva, incarnata. Ecco dove nasce la passione di Martini per il comunicare. Ed ecco dove nasce la sua preoccupazione per una comunicazione che tanto spesso può essere formale, vuota, debole, priva di autentico coinvolgimento.
Quando comunichiamo, noi sempre doniamo noi stessi, o almeno qualcosa di noi stessi. E ascoltando ci mettiamo nella condizione di accogliere il dono dell’altro. Senza questa predisposizione non c’è comunicazione degna di tale nome. Ci potrà essere, al più, un’informazione, magari anche accurata. Ma comunicare è un’altra cosa. Il comunicare riguarda la comunità, l’essere in comunione. Comprensibile dunque l’attenzione dedicata dal cardinale Martini ai nuovi strumenti del comunicare e alle nuove frontiere.
In lui non ci fu mai rifiuto preventivo. Prevalse sempre la fiducia. Come Pio XII, come Giovanni Paolo II, vedeva nei moderni mezzi di comunicazione autentici doni di Dio, messi a disposizione della libertà dell’uomo. Non gli piaceva scagliare anatemi. Preferiva raccomandare la vigilanza e il senso di responsabilità. Della televisione, per esempio, non sopportava la naturale invadenza e la tendenza a ridurre la parola a un rumore di fondo, indistinto e senza significato. Però ne capiva l’importanza per la tempestività e per la capacità di entrare nelle case di tutti, indipendentemente dalla condizione sociale e dallo status culturale.
Quando poi ci fu l’avvento dell’informatica accolse la novità con disponibilità e, ancora una volta, con fiducia. Vedeva bene i rischi, ma gli interessava di più mettere in luce le potenzialità positive. Vide nella rivoluzione del web il pericolo di una comunicazione ancora più spersonalizzata, ma mise l’accento soprattutto sulla possibilità di accrescere il tasso di fraternità attraverso la conoscenza reciproca.
Fino agli ultimi giorni usò il computer e la posta elettronica con riconoscenza, perché gli permettevano di restare in contatto con tante persone nonostante la perdita della voce. Sempre curioso e interessato a tutto, gli piaceva ricevere notizie e rispondeva sempre. Messaggi semplici, per forza di cose, ma mai banali.
Ricordo che quando un mio servizio televisivo su di lui faticò non poco per andare in onda (perché il direttore del Tg1 di allora decretò che gli italiani non erano interessati alle vicende di un vecchio cardinale, e i vicedirettori si dissero d’accordo con lui), gli scrissi una mail per chiedergli scusa. Ero mortificato nei suoi confronti e sbigottito davanti a un tale miscuglio di ignoranza e arroganza da parte dei miei superiori. Lui mi rispose: “È un bene essere respinti”. Cinque parole che conservo gelosamente e che sono preziosissime nel mio lavoro.
Il Parkinson gli tolse la parola e lo limitò nei movimenti. Per battere sui tasti del computer o semplicemente per vergare la sua firma doveva fare una gran fatica, ma considerava quelle difficoltà una benedizione, perché lo obbligavano ad andare ancora di più al cuore della comunicazione, togliendo ogni orpello, ogni fronzolo inutile.
Anche Pietro e Paolo, come Gesù, sono stati uomini della comunicazione. E con le loro diversità, così marcate, ci dicono che il cristianesimo è religione plurale, che ama le differenze. Il cristiano non è mai per l’uniformità. La Parola è chiamata a incarnarsi ovunque, in contesti diversissimi. In quanto gesuita, Martini amava la complessità e stare sulla frontiera. Per questo capiva bene le difficoltà dei Papi e pregava per loro.
Quando lo dipingevano come un anti-Papa sorrideva e diceva che lui, semmai, era un ante-Papa, uno che, da pastore in mezzo al popolo, percorreva in anticipo le strade che il Papa avrebbe dovuto a sua volta affrontare. Non dimentichiamo che, nonostante la malattia, negli ultimi mesi della sua vita terrena chiese di poter incontrare il suo coetaneo Benedetto XVI, prima a Roma e poi di nuovo a Milano. Per guardarsi negli occhi. Per comunicare davvero.
Aldo Maria Valli, vaticanista del TG1
mercoledì 19 settembre 2012
OCCHIO ALL'EDUCAZIONE!
EDUCATION AT A GLANGE 2012
Education at a Glance 2012
Education at a Glance 2012
OECD INDICATORS
OECD INDICATORS
Foreword
Governments are paying increasing attention to international comparisons
as they search for effective policies that enhance individuals’ social
and economic prospects, provide incentives for greater efficiency in
schooling, and help to mobilise resources to meet rising demands. As
part of its response, the OECD Directorate for Education devotes a major
effort to the development and analysis of the quantitative,
internationally comparable indicators that it publishes annually in
Education at a Glance .....
Leggi: Education at a Glange 2012
lunedì 3 settembre 2012
Il card. Martini è tornato alla Casa del Padre
Testimone e Maestro nella fede e nell’educazione
L’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC)
partecipa al dolore di tutta la
Chiesa e del mondo intero per la dipartita di S. E. Carlo
Maria Martini, Cardinale emerito della Diocesi di Milano, ricordandolo con
affetto filiale e deferente stima.
L’insegnamento del Cardinale Martini ha sempre
richiamato ogni uomo al radicale affidamento al Signore e alla sua Parola affinché,
nella contemplazione del Suo volto, ogni educatore possa riscoprire e rinnovare
il proprio cuore e la propria capacità educativa e professionale.
Pur nelle difficoltà e nella mancanza di entusiasmo
che, oggi, caratterizzano il mondo della scuola e dei suoi professionisti, le
parole e l’esempio del Cardinale Martini esortano a guardare oltre, a vivere
nella libertà della Parola che chiama ogni persona ad accogliere con fiducia il
disegno di Dio.
L’AIMC, pur nella tristezza cristianamente vissuta, si
unisce alla preghiera di tutta la
Chiesa e con fiducia fa proprio il richiamo a restare uniti e
radicati in Cristo, per essere sempre pronti ad accogliere, a lasciarsi
interrogare, a esortare e a proporre itinerari di crescita per tutti e per
ciascuno con generosità, freschezza di pensiero e umiltà di cuore, continuando
a camminare sulla strada della comunione che, oggi, si colloca in una
dimensione certamente nuova, ma non per questo meno reale.
La presidenza nazionale AIMC
Roma, 3 settembre 2012
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