Il Papa agli Ambasciatori:
OCCORRE UN IMPEGNO COMUNE
Uno spirito individualista è
terreno fertile per il maturare di quel senso di indifferenza verso il
prossimo, che porta a trattarlo come mero oggetto di compravendita, che spinge
a disinteressarsi dell’umanità degli altri e finisce per rendere le persone
pavide e ciniche. Non sono forse questi i sentimenti che spesso abbiamo di
fronte ai poveri, agli emarginati, agli ultimi della società? E quanti ultimi
abbiamo nelle nostre società! Tra questi, penso soprattutto ai migranti, con il
loro carico di difficoltà e sofferenze, che affrontano ogni giorno nella
ricerca, talvolta disperata, di un luogo ove vivere in pace e con dignità.
Vorrei perciò quest’oggi
soffermarmi a riflettere con Voi sulla grave emergenza migratoria che stiamo
affrontando, per discernerne le cause, prospettare delle soluzioni, vincere l’inevitabile
paura che accompagna un fenomeno così massiccio e imponente, che nel corso del
2015 ha riguardato soprattutto l’Europa, ma anche diverse regioni dell’Asia e
il nord e il centro America.
«Non aver paura e non
spaventarti, perché il Signore, tuo Dio, è con te, dovunque tu vada» (Gs 1,9).
È la promessa che Dio fa a Giosuè e che mostra quanto il Signore accompagni
ogni persona, soprattutto chi è in una situazione di fragilità come quella di
chi cerca rifugio in un paese straniero. Invero, tutta la Bibbia ci narra la
storia di un’umanità in cammino, perché l’essere in movimento è connaturale
all’uomo. La sua storia è fatta di tante migrazioni, talvolta maturate come
consapevolezza del diritto ad una libera scelta, sovente dettate da circostanze
esteriori. Dall’esilio dal paradiso terrestre fino ad Abramo in marcia verso la
terra promessa; dal racconto dell’Esodo alla deportazione in Babilonia, la
Sacra Scrittura narra fatiche e dolori, desideri e speranze, che sono simili a
quelli delle centinaia di migliaia di persone in marcia ai nostri giorni, con
la stessa determinazione di Mosè di raggiungere una terra nella quale scorra
“latte e miele” (cfr Es 3,17), dove poter vivere liberi e in pace.
E così, oggi come allora, udiamo
il grido di Rachele che piange i suoi figli perché non sono più (cfr Ger 31,15;
Mt 2,18). È la voce delle migliaia di persone che piangono in fuga da guerre
orribili, da persecuzioni e violazioni dei diritti umani, o da instabilità
politica o sociale, che rendono spesso impossibile la vita in patria. È il
grido di quanti sono costretti a fuggire per evitare le barbarie indicibili
praticate verso persone indifese, come i bambini e i disabili, o il martirio
per la sola appartenenza religiosa.
Come allora, udiamo la voce di
Giacobbe che dice ai suoi figli «Andate laggiù e comprate [il grano] per noi,
perché possiamo conservarci in vita e non morire» (Gen 42,2). È la voce di
quanti fuggono dalla miseria estrema, per l’impossibilità di sfamare la famiglia
o di accedere alle cure mediche e all’istruzione, dal degrado senza prospettive
di alcun progresso, o anche a causa dei cambiamenti climatici e di condizioni
climatiche estreme. Purtroppo, è noto come la fame sia ancora una delle piaghe
più gravi del nostro mondo, con milioni di bambini che ogni anno muoiono a
causa di essa. Duole, tuttavia, constatare che spesso questi migranti non
rientrano nei sistemi internazionali di protezione in base agli accordi
internazionali.
Come non vedere in tutto ciò il
frutto di quella “cultura dello scarto” che mette in pericolo la persona umana,
sacrificando uomini e donne agli idoli del profitto e del consumo? È grave
assuefarci a queste situazioni di povertà e di bisogno, ai drammi di tante
persone e farle diventare “normalità”. Le persone non sono più sentite come un
valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non
servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani.
Siamo diventati insensibili ad ogni forma di spreco, a partire da quello
alimentare, che è tra i più deprecabili, quando ci sono molte persone e
famiglie che soffrono fame e malnutrizione [5].
La Santa Sede auspica che il
Primo Vertice Umanitario Mondiale, convocato nel maggio prossimo dalle Nazioni
Unite, possa riuscire, nel triste quadro odierno di conflitti e disastri, nel
suo intento di mettere la persona umana e la sua dignità al cuore di ogni
risposta umanitaria. Occorre un impegno comune che rovesci decisamente la
cultura dello scarto e dell’offesa della vita umana, affinché nessuno si senta
trascurato o dimenticato e altre vite non vengano sacrificate per la mancanza
di risorse e, soprattutto, di volontà politica.
Purtroppo, oggi come allora,
sentiamo la voce di Giuda che suggerisce di vendere il proprio fratello (cfr
Gen 37,26-27). È l’arroganza dei potenti che strumentalizzano i deboli,
riducendoli ad oggetti per fini egoistici o per calcoli strategici e politici.
Laddove è impossibile una migrazione regolare, i migranti sono spesso costretti
a scegliere di rivolgersi a chi pratica la tratta o il contrabbando di esseri
umani, pur essendo in gran parte coscienti del pericolo di perdere durante il
viaggio i beni, la dignità e perfino la vita. In questa prospettiva, rinnovo
ancora l’appello a fermare il traffico di persone, che mercifica gli esseri
umani, specialmente i più deboli e indifesi. E rimarranno sempre indelebilmente
impresse nelle nostre menti e nei nostri cuori le immagini dei bambini morti in
mare, vittime della spregiudicatezza degli uomini e dell’inclemenza della
natura. Chi poi sopravvive e approda ad un Paese che lo accoglie porta
indelebilmente le cicatrici profonde di queste esperienze, oltre a quelle
legate agli orrori che sempre accompagnano guerre e violenze.
Come allora, anche oggi si ode
l’Angelo ripetere: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in
Egitto e resta là finché non ti avvertirò» (Mt 2,13). È la voce che sentono i
molti migranti che non lascerebbero mai il proprio Paese se non vi fossero
costretti. Tra questi vi sono numerosi cristiani che sempre più massicciamente
hanno abbandonato nel corso degli ultimi anni le proprie terre, che pure hanno
abitato fin dalle origini del cristianesimo.
Infine, anche oggi ascoltiamo la
voce del salmista che ripete: «Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al
ricordo di Sion» (Sal 136 [137],1). È il pianto di quanti farebbero volentieri
ritorno nei propri Paesi, se vi trovassero idonee condizioni di sicurezza e di
sussistenza. Anche qui il mio pensiero va ai cristiani del Medio Oriente
desiderosi di contribuire, come cittadini a pieno titolo, al benessere
spirituale e materiale delle rispettive Nazioni.
Gran parte delle cause delle
migrazioni si potevano affrontare già da tempo. Si sarebbero così potute prevenire
tante sciagure o, almeno, mitigarne le conseguenze più crudeli. Anche oggi, e
prima che sia troppo tardi, molto si potrebbe fare per fermare le tragedie e
costruire la pace. Ciò significherebbe però rimettere in discussione abitudini
e prassi consolidate, a partire dalle problematiche connesse al commercio degli
armamenti, al problema dell’approvvigionamento di materie prime e di energia,
agli investimenti, alle politiche finanziarie e di sostegno allo sviluppo, fino
alla grave piaga della corruzione. Siamo consapevoli poi che, sul tema della
migrazione, occorra stabilire progetti a medio e lungo termine che vadano oltre
la risposta di emergenza. Essi dovrebbero da un lato aiutare effettivamente
l’integrazione dei migranti nei Paesi di accoglienza e, nel contempo, favorire
lo sviluppo dei Paesi di provenienza con politiche solidali, che però non
sottomettano gli aiuti a strategie e pratiche ideologicamente estranee o
contrarie alle culture dei popoli cui sono indirizzate.
Senza dimenticare altre situazioni
drammatiche, tra le quali penso particolarmente alla frontiera fra Messico e
Stati Uniti d’America, che lambirò recandomi a Ciudad Juárez il mese prossimo,
vorrei dedicare un pensiero speciale all’Europa. Infatti, nel corso dell’ultimo
anno essa è stata interessata da un imponente flusso di profughi – molti dei
quali hanno trovato la morte nel tentativo di raggiungerla –, che non ha
precedenti nella sua storia recente, nemmeno al termine della seconda guerra
mondiale. Molti migranti provenienti dall’Asia e dall’Africa, vedono
nell’Europa un punto di riferimento per principi come l’uguaglianza di fronte
al diritto e valori inscritti nella natura stessa di ogni uomo, quali
l’inviolabilità della dignità e dell’uguaglianza di ogni persona, l’amore al
prossimo senza distinzione di origine e di appartenenza, la libertà di
coscienza e la solidarietà verso i propri simili.
Tuttavia, i massicci sbarchi
sulle coste del Vecchio Continente sembrano far vacillare il sistema di
accoglienza, costruito faticosamente sulle ceneri del secondo conflitto
mondiale e che costituisce ancora un faro di umanità cui riferirsi. Di fronte
all’imponenza dei flussi e agli inevitabili problemi connessi, sono sorti non
pochi interrogativi sulle reali possibilità di ricezione e di adattamento delle
persone, sulla modifica della compagine culturale e sociale dei Paesi di
accoglienza, come pure sul ridisegnarsi di alcuni equilibri geo-politici
regionali. Altrettanto rilevanti sono i timori per la sicurezza, esasperati
oltremodo della dilagante minaccia del terrorismo internazionale. L’attuale
ondata migratoria sembra minare le basi di quello “spirito umanistico” che
l’Europa da sempre ama e difende [6]. Tuttavia, non ci si può permettere di
perdere i valori e i principi di umanità, di rispetto per la dignità di ogni
persona, di sussidiarietà e di solidarietà reciproca, quantunque essi possano
costituire, in alcuni momenti della storia, un fardello difficile da portare.
Desidero, dunque, ribadire il mio convincimento che l’Europa, aiutata dal suo
grande patrimonio culturale e religioso, abbia gli strumenti per difendere la
centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il
duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di
garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti [7].
In pari tempo, sento la necessità
di esprimere gratitudine per tutte le iniziative prese per favorire una
dignitosa accoglienza delle persone, quali, fra gli altri, il Fondo Migranti e
Rifugiati della Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa, nonché per l’impegno
di quei Paesi che hanno mostrato un generoso atteggiamento di condivisione. Mi
riferisco anzitutto alle Nazioni vicine alla Siria, che hanno dato risposte
immediate di assistenza e di accoglienza, soprattutto il Libano, dove i
rifugiati costituiscono un quarto della popolazione complessiva, e la
Giordania, che non ha chiuso le frontiere nonostante ospitasse già centinaia di
migliaia di rifugiati. Parimenti non bisogna dimenticare gli sforzi di altri
Paesi impegnati in prima linea, tra i quali specialmente la Turchia e la
Grecia. Una particolare riconoscenza desidero esprimere all’Italia, il cui
impegno deciso ha salvato molte vite nel Mediterraneo e che tuttora si fa
carico sul suo territorio di un ingente numero di rifugiati. Auspico che il
tradizionale senso di ospitalità e solidarietà che contraddistingue il popolo
italiano non venga affievolito dalle inevitabili difficoltà del momento, ma,
alla luce della sua tradizione plurimillenaria, sia capace di accogliere ed integrare
il contributo sociale, economico e culturale che i migranti possono offrire.
È importante che le Nazioni in
prima linea nell’affrontare l’attuale emergenza non siano lasciate sole, ed è
altrettanto indispensabile avviare un dialogo franco e rispettoso tra tutti i
Paesi coinvolti nel problema – di provenienza, di transito o di accoglienza –
affinché, con una maggiore audacia creativa, si ricerchino soluzioni nuove e
sostenibili. Non si possono, infatti, pensare nell’attuale congiuntura
soluzioni perseguite in modo individualistico dai singoli Stati, poiché le
conseguenze delle scelte di ciascuno ricadono inevitabilmente sull’intera
Comunità internazionale. È noto, infatti, che le migrazioni costituiranno un
elemento fondante del futuro del mondo più di quanto non l’abbiano fatto finora
e che le risposte potranno essere frutto solo di un lavoro comune, che sia
rispettoso della dignità umana e dei diritti delle persone. L’Agenda di
Sviluppo adottata nel settembre scorso dalle Nazioni Unite per i prossimi 15
anni, che affronta molti dei problemi che spingono alla migrazione, come pure
altri documenti della Comunità internazionale per gestire la questione
migratoria, potranno trovare un’applicazione coerente alle aspettative se
sapranno rimettere la persona al centro delle decisioni politiche a tutti i
livelli, vedendo l’umanità come una sola famiglia e gli uomini come fratelli,
nel rispetto delle reciproche differenze e convinzioni di coscienza.
Nell’affrontare la questione
migratoria non si potranno tralasciare, infatti, i risvolti culturali connessi,
a partire da quelli legati all’appartenenza religiosa. L’estremismo e il
fondamentalismo trovano un terreno fertile non solo in una strumentalizzazione
della religione per fini di potere, ma anche nel vuoto di ideali e nella
perdita d’identità – anche religiosa –, che drammaticamente connota il
cosiddetto Occidente. Da tale vuoto nasce la paura che spinge a vedere l’altro
come un pericolo ed un nemico, a chiudersi in sé stessi, arroccandosi su
posizioni preconcette. Il fenomeno migratorio pone, dunque, un serio
interrogativo culturale, al quale non ci si può esimere dal rispondere.
L’accoglienza può essere dunque un’occasione propizia per una nuova
comprensione e apertura di orizzonte, sia per chi è accolto, il quale ha il
dovere di rispettare i valori, le tradizioni e le leggi della comunità che lo
ospita, sia per quest’ultima, chiamata a valorizzare quanto ogni immigrato può
offrire a vantaggio di tutta la comunità. In tale ambito, la Santa Sede rinnova
il proprio impegno in campo ecumenico ed interreligioso per instaurare un
dialogo sincero e leale che, valorizzando le particolarità e l’identità propria
di ciascuno, favorisca una convivenza armoniosa fra tutte le componenti
sociali.
Distinti Membri del Corpo
Diplomatico,
Il 2015 ha visto la conclusione
di importanti intese internazionali, le quali fanno ben sperare per il futuro.
Penso anzitutto al cosiddetto Accordo sul nucleare iraniano, che auspico
contribuisca a favorire un clima di distensione nella Regione, come pure al
raggiungimento dell’atteso accordo sul clima nel corso della Conferenza di
Parigi. Un’intesa significativa – quest’ultima – che rappresenta un importante
risultato per l’intera Comunità internazionale e che mette in luce una forte presa
di coscienza collettiva circa la grave responsabilità che ciascuno, individui e
nazioni, ha di custodire il creato, promuovendo una «cultura della cura che
impregni tutta la società» [8]. È ora fondamentale che gli impegni assunti non
rappresentino solo un buon proposito, ma costituiscano per tutti gli Stati un
effettivo obbligo a porre in essere le azioni necessarie per salvaguardare la
nostra amata Terra, a beneficio dell’intera umanità, soprattutto delle
generazioni future.
Da parte sua, l’anno da poco
iniziato si preannuncia carico di sfide, e non poche tensioni si sono già
affacciate all’orizzonte. Penso soprattutto ai gravi contrasti sorti nella
regione del Golfo Persico, come pure al preoccupante esperimento militare
condotto nella penisola coreana. Auspico che le contrapposizioni lascino spazio
alla voce della pace e alla buona volontà di cercare intese. In tale
prospettiva, rilevo con soddisfazione come non manchino gesti significativi e
particolarmente incoraggianti. Mi riferisco in particolare al clima di pacifica
convivenza nel quale si sono svolte le recenti elezioni nella Repubblica
Centroafricana e che costituisce un segno positivo della volontà di proseguire
il cammino intrapreso verso una piena riconciliazione nazionale. Penso,
inoltre, alle nuove iniziative avviate a Cipro per sanare una divisione di
lunga data e agli sforzi intrapresi dal popolo colombiano per superare i
conflitti del passato e conseguire la pace da tempo agognata. Tutti guardiamo
poi con speranza gli importanti passi intrapresi dalla Comunità internazionale
per raggiungere una soluzione politica e diplomatica della crisi in Siria, che
ponga fine alle sofferenze, durate troppo a lungo, della popolazione.
Parimenti, sono incoraggianti i segnali provenienti dalla Libia, che fanno
sperare in un rinnovato impegno per far cessare le violenze e ritrovare l’unità
del Paese. D’altra parte, appare sempre più evidente che solamente un’azione
politica comune e concordata potrà contribuire ad arginare il dilagare
dell’estremismo e del fondamentalismo, con i suoi risvolti di matrice
terroristica, che mietono innumerevoli vittime tanto in Siria e in Libia, come
in altri Paesi, quali Iraq e Yemen.
Quest’Anno Santo della
Misericordia sia anche l’occasione di dialogo e riconciliazione volto
all’edificazione del bene comune in Burundi, nella Repubblica Democratica del
Congo e in Sud Sudan. Soprattutto sia un tempo propizio per porre
definitivamente termine al conflitto nelle regioni orientali dell’Ucraina. è di
fondamentale importanza il sostegno che la Comunità internazionale, i singoli
Stati e le organizzazioni umanitarie potranno offrire al Paese sotto molteplici
punti di vista, affinché esso superi l’attuale crisi.
La sfida che più di ogni altra ci
attende è però quella di vincere l’indifferenza per costruire insieme la pace
[9], la quale rimane un bene da perseguire sempre. Purtroppo tra le tante parti
del nostro amato mondo che la bramano ardentemente, vi è la Terra che Dio ha
prediletto e scelto per mostrare a tutti il volto della sua misericordia. Il
mio augurio è che questo nuovo anno possa sanare le profonde ferite che
separano Israeliani e Palestinesi e permettere la pacifica convivenza di due
popoli che – ne sono certo – dal profondo del cuore null’altro chiedono che
pace!