E DELLA RIPETIZIONE
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di Massimo Recalcati
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L’annuale riapertura delle scuole, che avverrà il prossimo settembre, appartiene ad un rituale sociale di cui tendiamo ad ignorare l'importanza assimilandolo a un fenomeno della natura come fosse il ciclo inesorabile delle stagioni. A rafforzare questa assimilazione è la dimensione della Scuola come un dispositivo burocratico sempre più lontano dalla vita vera. Le norme grigie che strutturano il tempo scolastico (calendari, riunioni, programmi, valutazioni, ecc.) favoriscono la sua rappresentazione come una istituzione condannata a una ripetizione senza sorpresa.
Un peso al collo o una condanna nel vissuto di
molti studenti.
Una
incombenza necessaria in quello di molti insegnanti. Il processo di
istituzionalizzazione della Scuola tende infatti a consumare anche i
migliori. È quella che ho definito
altrove l'anima grigia dei dossier, il feticismo del numero, l'assillo della
quantificazione. Il suo prodotto è sotto gli occhi di tutti. Dal lato degli
allievi e degli insegnanti troviamo egualmente apatia, delusione, noia,
frustrazione. A conferma che il sapere scolastico è un sapere separato dal
mondo reale, un cumulo di informazioni astratte, fine a se stesse, una passione
triste. Questa riduzione del sapere a un sapere morto scoraggia l'entusiasmo
dell'apprendimento e ribadisce la sua separazione dalla vita.
Apprendere,
perché?
A
cosa serve apprendere, studiare, sapere se poi l'impatto con la vita ne
rivelerebbe fatalmente l'inutilità? La formazione scolastica sarebbe allora una
perdita di tempo, un ritardare inutilmente l'inizio dell'attività lavorativa,
come sostengono anche noti imprenditori del nostro paese? Dovremmo sempre, oggi più che mai, contro
discorsi simili, ricordare la centralità della scuola non tanto come luogo di
accumulo di informazioni, ma come luogo insostituibile di formazione.
L'esperienza della Scuola non è solo esperienza di una routine mortifera, ma
anche della luce del sapere: il sapere non è un libro morto, ma un libro vivo,
non è una passione triste ma una passione erotica.
Testimoni
di luce
Ma
questa luce deve essere testimoniata da chi insegna. Il che dovrebbe
significare che non c'è separazione tra gli effetti educativi di una formazione
e quelli cognitivi di una istruzione, che educazione e istruzione, nella
pratica didattica, sono due facce della stessa medaglia. Mentre il discorso cinico contemporaneo
sostiene che la vera vita sia fuori dalla Scuola, che essa non abbia alcun
rapporto con il sapere, il lavoro dell'insegnante dovrebbe essere quello di
mantenere il sapere strettamente legato alla vita. Perché, come ricordava
Wittgenstein, sono i limiti del mio linguaggio a significare i limiti del mio
mondo. Dunque, più il desiderio di sapere si irrobustisce, acquista forza,
energia, slancio, più l'apertura del nostro mondo si allarga. Tuttavia,
garantire questa testimonianza non è una impresa facile. Come si resiste
all'usura della ripetizione che inevitabilmente ogni insegnamento scolastico
porta con sé? Come si fronteggia il processo di istituzionalizzazione in modo
tale che il sapere trasmesso resti un sapere vivo e non morto? Problema reso
ancora più complicato dal fatto che le nuove generazioni tendono ad allontanarsi
dalla pratica della lettura e dallo sforzo che comporta uno studio sistematico.
Erosione
del desiderio
La
distrazione non è solo una qualità psicologica sempre più diffusa tra gli
allievi, ma una tendenza più generale che esprime una cifra di fondo del nostro
tempo. Distrarsi è l'effetto di una erosione del desiderio che impedisce di
restare prossimi alla cosa. In certi casi la distrazione può essere una difesa
da un sapere che viene proposto senza alcun desiderio. In quel caso è una
legittima difesa. Ma non può distrarsi chi suona un brano musicale o chi studia
un libro di matematica. Non può distrarsi chi spiega le strutture grammaticali
di una lingua o la deriva dei continenti. L'esperienza della luce richiede
sempre dedizione, cura, attenzione. È quella che molti hanno avuto la fortuna
di incontrare nei propri maestri. Diversamente, la distrazione svia da ogni
possibile cura. Significa passare da una cosa all'altra svuotandole in egual
misura di valore. È la dimensione anti-epistemica della curiosità senza
spessore che oggi spopola sui social. Ma la distrazione non deve essere vista
semplicemente come un atteggiamento soggettivo colpevolmente svagato, ma come
l'effetto dell'inclinazione iperattiva di fondo del nostro tempo.
Riflettere,
non consumare
Consumare
le informazioni senza dedicare tempo alla riflessione, distruggere la
possibilità dell'esperienza attraverso il moltiplicarsi delle impressioni. Ecco
la testimonianza difficile a cui sono tenuti i nostri insegnanti. Dare prova di
una concentrazione che non sia una forma ottusa del rigore, ma una cura. Essere
concentrati sulla propria pratica è, del resto, la sola salvezza possibile per
non cadere in una ripetizione scolastica del sapere che stroncherebbe anche gli
spiriti più nobili. È la solitudine inevitabile che accompagna ogni insegnante:
restare concentrati sul proprio lavoro, restare prossimi alla cosa, non
lasciarsi distrarre dai rumori del mondo.
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