Non
è il miracolo che fa la fiducia ma la fiducia che fa il miracolo.
Infatti, solo
chi ha fiducia nella vita ne è curioso, aggettivo derivante da «cura»: chi ha
cura del mondo non solo vede i miracoli, ma li fa.
-
di Alessandro D’Avenia
La
fiducia non è un trucco, doping psicologico come il pensiero positivo, ma è una
postura originaria di apertura alla realtà che dipende da quanto siamo amati:
la fiducia deriva dalla forza dell'amore che ci genera in ogni istante, e
consiste nel sapere, in ogni cellula, che questo amore c'è e mi vuole
esistente. L'uomo non è prodotto, come ci fa credere la tecnocrazia odierna, ma
generato, e ri-generato quando fa esperienza di appartenere (essere amato), e
può quindi sporgersi sulla vita senza essere paralizzato dalle vertigini che
comporta. Questa appartenenza (legami liberanti, perché «assicurano» come
quando si scala in montagna), effetto di ogni buona relazione, crea energia in
questa sequenza: fiducia, coraggio, curiosità, scoperta, vocazione, creatività,
gioia. Se l'appartenere a un amore che ci vuole esistenti non c'è o viene meno,
si esaurisce l'energia vitale e la si deve elemosinare. Le dipendenze (legami
bloccanti) sono contraffazioni dell'appartenere: poiché non si può non
appartenere (essere in relazione) si accetta di dipendere, la schiavitù.
Inoltre la fiducia è scalzata dal sospetto: distanza e paura di tutto. Il
bambino non amato teme tutto, non è curioso ma insicuro, nessuno fa sicurezza
alla sua esplorazione. Si può recuperare o allenare questa fiducia?
Per
recuperare e allenare la fiducia di cui parlo, radicale apertura alla vita,
bisogna far esperienza di un amore che ci vuole esistenti. Uno dei modi in cui
questo accade nel quotidiano è la meraviglia, energia che riceviamo senza
merito e ci porta a sentire che apparteniamo. Alla meraviglia abbiamo infatti
attribuito un senso, il senso di meraviglia, che è il grado di apertura al
mondo, da cui origina il pensiero che, come fa un bambino, si interroga sul
perché di ogni cosa. Ognuno può attingere alle sue fonti di meraviglia da cui
viene ri-generato, tornando figlio, cioè tornando ad appartenere: amato,
coraggioso, curioso... vivo. Immagino una scuola che alleni questo senso di
meraviglia: avremmo ragazzi più intelligenti e meno passivi, perché la conoscenza
viene dallo stupore e non della paura. La vita si svela a chi se ne sente
figlio, per questo l'offesa peggiore colpisce la filiazione: figlio del caso,
del meretricio, del nulla. Tradotto: inappartenenza.
In
quest'ultima settimana mi son capitate tre esperienze «filiali», che hanno
rinnovato la mia fiducia.
1. Ho visitato la mostra «Dal cuore alle mani»
a Palazzo Reale a Milano. Si tratta di alcuni vestiti creati da Domenico Dolce
e Stefano Gabbana. Miracoli «fatti a mano». Nel corso degli anni i due stilisti
hanno ambientato le sfilate di alta sartoria in località italiane di chiara
bellezza. Le forme del luogo di volta in volta ispirano la lavorazione a mano
delle fogge e delle stoffe: soffiate nel vetro a Venezia, modellate negli
stucchi palermitani, uscite dalle decorazioni di un tempio di Agrigento, intarsiate
negli ori dei mosaici bizantini o tramate da affreschi rinascimentali... Abito
ha la stessa radice di abitazione: mi sono sentito a casa nella sorprendente
galleria delle meraviglie nostrane. Vedi vestiti e ti innamori dell'Italia
(essenziale per un popolo che spesso si disprezza e quindi si trascura), ti
meravigli e ritrovi fiducia nell'abitare qui, indossando la storia. Mi sono poi
ritrovato anche in una sala-bottega, un atelier dove i miracoli sono cuciti in
diretta da giovani sarti che, per un giorno alla settimana, lavorano lì, come
in una delle botteghe rinascimentali che hanno reso l'Italia un abito che tutti
vogliono indossare, per sentirsi a casa nel mondo.
2. La biologia mi ha sempre affascinato e vi
ritorno sempre in cerca di meraviglia. Ultimamente mi ha incuriosito un filone
di studi scientifici che mostra come l'interpretazione darwiniana dell'origine
delle specie come sola risposta adattiva sia insufficiente a spiegare forme e
colori presenti in natura. Si tende sbrigativamente a ridurre nervature delle
foglie, disegni di farfalle, colori di piumaggi, trasparenze di animali marini,
mantelli di mammiferi... a strategie per evitare predatori e sedurre partner:
sopravvivenza e conservazione. Invece quelle forme sono di più. Adolf Portmann
ha infatti mostrato, grazie a studi ispirati da una curiosità straordinaria,
che la varietà di forme e colori in natura eccede scopi così ristretti, gli
aspetti qualitativi non sono del tutto riducibili a quelli quantitativi. La
varietà non nega ma include la teoria di Darwin; infatti, se la vita mirasse
solo all'utile agirebbe più in economia: «È nell'abbondanza che vediamo una
manifestazione originaria della vita» (Le forme viventi), un'abbondanza ancora
inspiegabile ma foriera di una prospettiva più ampia per nuove scoperte. Il fine
della vita più che la conservazione è la bellezza: l'arrossarsi delle foglie
autunnali non serve a farle durare di più, è solo festa per gli occhi. Le cose
si rivelano nelle relazioni, che non sono solo di «bisogno» (predare, copulare)
ma anche di “sogno” (bellezza, gratuità). Guardando questi abiti naturali penso
anche agli studenti: ognuno di loro, con i suoi colori e motivi, non è un
vivente in lotta, ma un capolavoro in potenza.
3. Mia madre ha compiuto 80 anni. Più la
guardo più mi meraviglio. Noi figli abbiamo composto un libretto con brevi
scritti delle persone che la conoscono. Mi sono ritrovato tra le mani il
bilancio di otto decadi fatto di istanti di cura: una parola, una passeggiata,
una lezione, un maglione, un consiglio, una spiegazione, una ricetta... Poesia
e frigorifero. Dio e dettaglio. Spirito e calorie. Professione e
improvvisazione. Pianterreno e cimasa. Leggendo mi sono tornati in mente i
versi di Maura del Serra in Speranza: «Nella rinata bellezza del mondo/ ogni
giorno mi levo e mi consumo:/ creatura momentanea di durata infinita,/ tesso
per il Creatore la veste della vita» (Concordanze).
Ci
sarebbero altre «meraviglie» ma queste sono quelle dicibili nell'ultima
settimana, altre rimangano non dette, perderebbero altrimenti l'energia data
loro proprio dal silenzio. Se smarrite la fiducia, cercate i «meravigliatori»,
coloro che fanno miracoli e vi rigenerano perché vi fanno sentire voluti come
figli, appartenenti. Chi sono? Quelli che per amore fanno e quelli che fanno
per amore.
Alzogliocchiversoilcielo
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