Risvolti inquietanti di un’evoluzione tecnologica senza limiti
Grandi rischi per i lavoratori
- di MATHIAS RISSE
Risvolti inquietanti di un’evoluzione tecnologica senza limiti
Grandi rischi per i lavoratori
- di MATHIAS RISSE
- di ROBERTO MUSSAPI
«Avete capito: identifico il mite con il non violento, la mitezza con il rifiuto di esercitare la violenza contro chicchessia. Virtù non politica, dunque, la mitezza. O addirittura, nel mondo insanguinato dagli odi di grandi (e piccoli) potenti, l’antitesi della politica». Chi definisce la mitezza antitetica alla politica è un filosofo del Novecento la cui riflessione riguarda anche profondamente la realtà politica, Norberto Bobbio. In questa sorprendente affermazione Bobbio distingue la politica come arte e mestiere da quella intesa invece come senso di appartenenza alla polis, alla nostra città, comunità. Questa citazione di un pensatore ufficialmente laico, compare all’inizio di un libro toccante, accanto a parole e pensieri di Carlo Maria Martini, sul tema della mitezza: l’autore, Eugenio Borgna, psichiatra e studioso dell’anima, è un maestro. Il suo nuovo libro appena uscito affronta una delle condizioni base di ogni amicizia, e va oltre, fino al senso della vita stessa: Mitezza, (Einaudi, pagine 112, euro 12), che l’autore distingue dalla realtà, pur affine, di mansuetudine: sono due dimensioni buone, necessarie, e appunto affini, ma mitezza forse è più forte, più attiva, scrive Borgna, quando mansuetudine è manifestazione di una bontà meno radicale e profonda.
Ma sono sfumature: Eugenio Borgna si lancia in un saggio su una dimensione fondamentale: « La mitezza, esperienza umana così importante, e così dimenticata, nella vita personale e sociale, è la più radicalmente lontana dalla aggressività e dalla angoscia, dalla impazienza e dalla fretta, dall’orgoglio e dalla superbia, dalla indolenza e dalla indifferenza, dalla distrazione e dalla sicurezza di sé». Aggressività, angoscia... ognuna di queste parole è scritta preceduta dall’articolo senza apostrofo: a rendere ognuna di esse scandita, assoluta, non scivolante euritmicamente nell’eloquio. Dal libro del Cardinale Martini Beati voi!
La promessa della felicità, che lo entusiasma, alle belle pagine “sugli uomini miti” del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer (figlio di un famoso psichiatra tedesco) che morì trentanovenne martire nelle carceri dei nazisti, («testimone anche in carcere di una inenarrabile mitezza»), ad Aristotele, Platone ai versi dei poeti, Leopardi, Corazzini, ai suoi amatissimi Rilke e Emily Dickinson... Un saggio felice e benefico: « In queste pagine vorrei svolgere le mie riflessioni su quelle che sono le possibili articolazioni tematiche della mitezza, che la mia vita in psichiatria mi ha fatto conoscere».
Come sempre, nei suoi scritti, Borgna fa riferimento alle conoscenze acquisite e all’esperienza professionale. Fa bene a sottolinearlo, faremmo bene noi a comprendere come lavorando sull’anima dei suoi tanti pazienti, ha saputo creare una conoscenza che gli consente di parlare, da sempre, anche alla nostra anima, quella di ognuno di noi che lo leggiamo, affratellata. E mostra, con umiltà e sapienza come in origine Psiche e Anima erano parole che indicavano la stessa sostanza.
Se sono nate favole, prima ancora della civiltà greca, in cui eros e psiche, amore e anima si cercano, confliggono, a volte si fondono, ciò significa che lo studio della psiche ha fonti antichissime, spesso in forma poetica. Borgna stesso attinge sempre, copiosamente ai versi di poeti, per lui necessari e anzi indispensabili nutrimenti dell’anima. La poesia lo ispira, ne sente e dichiara la necessità per la nostra vita sul pianeta. E lo fa da sempre, mitemente. Sì, Mitezza è un suo splendido saggio, ma anche, si può leggere, come un’involontaria, inconsapevole, francescana autobiografia.
UN DISCORSO CHE STIMOLA TUTTI COLORO CHE RIVESTONO RUOLI DI RESPONSABILITA'
Francesco consegna il Premio Paolo VI al presidente della Repubblica italiana e richiama l'invito di Papa Montini alla responsabilità veso il bene comune: bisogna andare controcorrente “rispetto al clima di disfattismo e lamentela, per sentire proprie le necessità altrui”.
Il capo dello Stato devolve la somma
collegata al riconoscimento alla Comunità Giovanni XXIII, che nell'Emilia
Romagna ha delle case di accoglienza gravemente colpite dall'alluvione dei
giorni scorsi
-
di Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Il
servizio e la responsabilità
Il
Papa evidenzia che “servire crea gioia e fa bene anzitutto a chi serve”
e richiama, a tal proposito, quanto scritto da Alessandro Manzoni - definito da
Paolo VI “genio universale”, “tesoro inesauribile di sapienza morale”, “maestro
di vita” - ne “I promessi sposi”: “Si dovrebbe pensare più a far bene, che a
star bene: e così si finirebbe anche a star meglio”.
L’impegno
di ciascuno per il bene comune
E
ancora, di Paolo VI, Francesco richiama la Lettera apostolica Octogesima
adveniens, dove viene sottolineato che “le parole servono a poco ‘se non
sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria
responsabilità’”, perché, prosegue il documento, “è troppo facile
scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti
allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzi tutto la
conversione personale”. Un’affermazione ancora attuale, costata il Papa, “quando
viene quasi automatico colpevolizzare gli altri, mentre la passione per
l’insieme si affievolisce e l’impegno comune rischia di eclissarsi davanti ai
bisogni dell’individuo”.
La
responsabilità, invece, come ci mostrano in questi giorni tanti cittadini dell’Emilia-Romagna,
chiama ciascuno ad andare contro-corrente rispetto al clima di disfattismo e
lamentela, per sentire proprie le necessità altrui e riscoprire sé stessi come
parti insostituibili dell’unico tessuto sociale e umano a cui tutti
apparteniamo.
L’impegno
per la legalità
A
proposito, poi, di responsabilità, Francesco parla anche di “impegno per la
legalità”, che “richiede lotta”, “determinazione” e anche “memoria di quanti
hanno sacrificato la vita per la giustizia”, come Piersanti Mattarella,
fratello del capo dello Stato italiano, e “le vittime della strage mafiosa di
Capaci”.
San
Paolo VI notava che nelle società democratiche non mancano istituzioni, patti e
statuti, ma “manca tante volte l’osservanza libera ed onesta della legalità” e
che lì “l’egoismo collettivo insorge”. Anche in quest’ambito, Signor
Presidente, con le sue parole e il suo esempio, avvalorati da quanto ha
vissuto, Lei rappresenta un coerente maestro di responsabilità.
Il
sogno di Paolo VI: le comunità solidali
Infine,
il Papa fa notare quanta importanza attribuì San Paolo VI alla “responsabilità
di ciascuno per il mondo di tutti”, con il suo invito, nella Populorum
progressio, “a lottare senza rassegnarsi di fronte agli squilibri delle
ingiustizie planetarie” e a “fronteggiare le sfide climatiche”, convinto
che l’ambiente sarebbe diventato intollerabile all’uomo per la distruttiva
attività dell’uomo stesso "che, spadroneggiando sul creato, si sarebbe
trovato a non padroneggiarlo più”. Circa l'eredità lasciata da Montini,
Francesco si sofferma su quella impegnativa di edificare comunità solidali”, e
aggiunge che quel sogno del suo predecessore di “comunità di partecipazione e
di vita”, che si prodigassero “per costruire solidarietà attive e vissute”, “si
scontrò con vari incubi diventati realtà”, come la “terribile vicenda di Aldo
Moro”. E a conclusione del suo discorso, lieto di aver consegnato al presidente
Mattarella il Premio Paolo VI, perché “testimone
coerente e garbato di servizio e di responsabilità”, il Pontefice cita
ancora Papa Montini, che nella Evangelii nuntiandi scriveva: “L’uomo
contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i
maestri lo fa perché sono dei testimoni”.
Le
parole del Papa sono state precedute da un breve intervento del presidente
Mattarella, che, commosso, ha ringraziato l'Istituto Paolo VI per avergli
conferito il Premio e Francesco per averglielo consegnato. Il capo dello Stato
ha poi chiesto di destinare la somma collegata al riconoscimento alla Comunità
Giovanni XXIII, che è nata in Romagna e che nella regione ha delle case di
accoglienza, "gravemente colpite dall'alluvione dei giorni scorsi". "Penso
che con il Premio, più che la mia personale azione, si sia inteso e si intenda
indicare un modo di interpretare l'impegno nella società e nelle istituzioni,
che molti hanno praticato e sviluppato ispirandosi alla visione di Paolo VI e
ai suoi insegnamenti" ha detto Mattarella, confidando che gli scritti
di Papa Montini sono stati per lui e per tanti altri "fondamentali punti
di orientamento". "Con i suoi insegnamenti - ha terminato il capo
dello Stato - San Paolo VI ha collocato e trasmesso, in una visione armonica,
chiara, compiuta, fede, dignità umana, libertà e pace".
- di Andrea Gagliarducci
Come
la Chiesa deve abitare il digitale? Superando la logica dell’aut aut,
considerando virtuale e reale come un unico spazio di evangelizzazione,
raccontando storie e mettendo in piazza la propria testimonianza e non
limitandosi a scambiare informazioni, e prendendo sul serio l’influenza che
ciascun cristiano può avere nell’ambiente digitale. Sono i punti centrali di un
lungo documento del Dicastero della Comunicazione vaticano, intitolato “Verso
la piena presenza. Una riflessione pastorale sull’impegno nei social media”.
Non
è un tipo di documento nuovo per la Chiesa, che dal 1995 è online con un sito
internet e tutti i testi dei Papi disponibili, cosa che ne ha fatto un pioniere
della comunicazione digitale. E vale la pena di ricordare che nel 2002 uscirono
due istruzioni del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, “La Chiesa
ed Internet” ed “Etica in Internet”. Ovviamente, però, le sfide sono sempre
diverse, e anche il cammino sinodale in cui la Chiesa è impegnata oggi ha
dimostrato la necessità di coinvolgersi ancora di più nel mondo digitale.
Il
documento del Dicastero parla di una sfida pastorale, ed il linguaggio è in
linea con l’idea di Papa Francesco di mettere l’evangelizzazione al primo
posto. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero della Comunicazione, spiega che
“il documento non è un direttorio, né una sorta di guideline teorico-pastorale,
il suo focus è l’uomo, non la macchina, il cuore e non l’algoritmo”.
Lo
spazio digitale
In
87 punti, il documento fa prima una ampia disamina dello spazio digitale come
si presenta adesso, guardando anche agli sviluppi dell’intelligenza artificiale
e agli algoritmi che ormai dominano la percezione umana perché preposti a
selezionare ed evidenziare le informazioni che ritengono migliori nel
sovraccarico informativo di oggi.
E
già queste sono sfide non da poco. Anche perché ci si trova di fronte ad una
Chiesa che da una parte ha bisogno di abitare il virtuale, ma dall’altra è
chiamata a costruire comunità; che da una parte approfitta delle innovazioni
tecnologiche per fare arrivare le liturgie nelle case di tutti (è successo
durante il lockdown), ma dall’altra sa che l’Eucarestia “non si può guardare”,
si deve vivere, e si deve vivere in comunità.
Monsignor
Lucio Ruiz, segretario del Dicastero della Comunicazione, afferma: “La nostra
cultura va assunta per essere redenta, e che redenta va assunta e vissuta. È
questo il nostro luogo che dobbiamo abitare, è questo lo spazio dove trovare
gli uomini e le donne per annunziare il lieto messaggio. È la nostra terra di
missione”.
Costruire
comunità
Ecco
allora che la necessità prima è quella di costruire comunità, di “condividere
un pasto”, attività che non si può fare virtualmente, ma solo stando davvero
insieme. In fondo, si tratta di trasportare la logica del samaritano anche
nella piazza virtuale, con la consapevolezza che “le relazioni comunitarie
nelle reti social dovrebbero rafforzare le comunità locali e viceversa”.
Ma
come deve essere il cristiano nei social media? “Lo stile cristiano – si legge
nel documento - deve essere riflessivo, non reattivo, anche sui social media.
Pertanto, dobbiamo essere tutti attenti a non cadere nelle trappole digitali
nascoste in contenuti che sono intenzionalmente progettati per seminare
conflitti tra gli utenti, provocando indignazione o reazioni emotive”.
La
risposta è la testimonianza, e “i social media possono diventare un’opportunità
per condividere storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza che sono
fisicamente lontane da noi. Così facendo, potremo pregare insieme e cercare
insieme il bene, riscoprendo ciò che ci unisce”.
Dialogare
con il Padre
Il
documento chiede anche di coltivare un “dialogo con il Padre”, di mantenere
spazi di preghiera che ricorderanno sempre “che tutto è stato ribaltato con la
croce”.
Quello
che sembra venir fuori dal documento è l’idea di “umanizzare” il virtuale.
“Cosa significa – si legge - ‘curare’ le ferite sui social media? Come possiamo
‘ricucire’ le divisioni? Come costruire ambienti ecclesiali in grado di
accogliere e integrare le “periferie geografiche ed esistenziali” delle culture
odierne? Domande come queste sono essenziali per discernere la nostra presenza
cristiana sulle ‘strade digitali’.”
Comunque,
si legge ancora nel testo, “c’è ancora molto su cui riflettere nelle nostre
comunità di fede rispetto a come sfruttare l’ambiente digitale in un modo che
integri la vita sacramentale. Sono state sollevate questioni teologiche e
pastorali su vari aspetti: ad esempio, lo ‘sfruttamento commerciale’ della
ritrasmissione della Santa Messa”.
Comunicare
la verità
Un
punto di partenza, dunque, non un punto di arrivo. Con la consapevolezza che
“per comunicare la verità, dobbiamo innanzitutto accertarci di trasmettere
informazioni veritiere; non solo nel creare i contenuti, ma anche nel
condividerli. Dobbiamo assicurarci di essere davvero una fonte attendibile”.
Ma
anche che “per comunicare bontà, abbiamo bisogno di contenuti di qualità, di un
messaggio orientato ad aiutare, non a danneggiare, a promuovere un’azione
positiva, non a perdere tempo in discussioni inutili”.
Comunicare
la bellezza
E
ancora, “per comunicare la bellezza, dobbiamo accertarci che stiamo comunicando
un messaggio nella sua interezza, il che richiede l’arte della contemplazione,
arte che ci permette di vedere una realtà o un evento in relazione con molte
altre realtà ed eventi”.
Si
riparte allora da Gesù Cristo “via, verità e vita”, punto fermo nel contesto
delle post-verita e delle fake news, e anche guardando al mondo dei social
nella loro funzione commerciale, e non più di condivisione. Ci vuole la
consapevolezza, insomma, che siamo tutti consumatori e fruitori allo stesso
tempo, che tutto può essere strumentalizzato.
Sapere
ascoltare
Il
cristiano, allora, può rispondere con l’ascolto, specialmente per contrastare
la velocità e l’immediatezza della cultura digitale. “Impegnarsi nell’ ascolto
sui social media è un punto di partenza fondamentale per progredire verso una
rete fatta non tanto di byte, avatar e ‘mi piace’ quanto di persone. In questo
modo passiamo dalle reazioni rapide, dalle ipotesi fuorvianti e dai commenti
impulsivi al creare opportunità di dialogo, sollevare domande per saperne di
più, manifestare cura e compassione, e riconoscere la dignità di coloro che
incontriamo”.
Il
Papa: Manzoni “cantore di vittime e ultimi”, protetti dalla Provvidenza di Dio
Francesco,
dopo la recita del Regina Caeli, dedica le sue prime parole all’autore de “I
promessi sposi”, nel 150.mo anniversario della morte, definendolo “una delle
figure più alte della letteratura”, che nel suo capolavoro descrive poveri e
sofferenti come “sostenuti anche dalla vicinanza dei pastori fedeli della
Chiesa”
-
di Alessandro Di Bussolo – Città di Vaticano
“Cantore
delle vittime e degli ultimi”: così Papa Francesco definisce lo scrittore
Alessandro Manzoni, del quale lo scorso 22 maggio si è commemorato il 150°
anniversario della morte, nelle prime parole dopo la recita del Regina Caeli di
questa domenica. E lo qualifica “una delle figure più alte della letteratura”.
Nelle opere del grande romanziere lombardo, autore de I promessi sposi, spiega
il Papa le vittime e gli ultimi “sono sempre sotto la mano protettrice della
Provvidenza divina, che ‘atterra e suscita, affanna e consola’”. E inoltre
“sono sostenuti anche dalla vicinanza dei pastori fedeli della Chiesa, presenti
nelle pagine del capolavoro manzoniano”.
"Ho
letto sposi tre volte, mi ha dato tanto"I promessi
Francesco,
il 19 agosto 2013, qualche mese dopo la sua elezione, nell’intervista
rilasciata ad Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, affermava:
“Ho letto il libro I promessi sposi tre volte e ce l’ho adesso sul tavolo per
rileggerlo. Manzoni mi ha dato tanto. Mia nonna, quand’ero bambino, mi ha
insegnato a memoria l’inizio di questo libro: ‘Quel ramo del lago di Como, che
volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti’”.
Francesco
e le citazioni del Manzoni
Il
14 gennaio 2014, ricevendo in udienza il vescovo Anthony Palmer, responsabile
ecclesiastico internazionale delle Chiese Evangeliche Episcopali, il Papa ha registrato
un piccolo videomessaggio in cui riferendosi all’unità dei cristiani affermava:
“Dice uno scrittore italiano famoso, il Manzoni, in un romanzo, un uomo
semplice del popolo dice questa frase: ‘Non ho trovato mai che il Signore abbia
incominciato un miracolo senza finirlo bene’”. E nell’udienza generale del 27
maggio 2015 dedicata ai fidanzati, evocando I promessi sposi, raccomandava:
“Voi italiani, nella vostra letteratura avete un capolavoro sul fidanzamento. È
necessario che i ragazzi lo conoscano, che lo leggano”.
Vatican
News
MATTARELLA: MANZONI PARLA ALL'UOMO DI OGGI
- + Vincent Dollmann *
Al battesimo nel Giordano, lo Spirito Santo scese su Gesù
e si udì la voce di Dio: "Tu sei il mio Figlio prediletto, di te mi
rallegro" (Lc 3,22). Accogliendo lo Spirito nella sua umanità, Gesù l'ha
resa degna di Dio. Con la sua morte e risurrezione, Gesù le ha definitivamente
aperto l'accesso alla vita divina, rompendo i lucchetti del male e della morte.
Così, il giorno di Pentecoste, pieno di Spirito Santo, San Pietro poté
testimoniare: "Fu esaltato alla destra di Dio e ricevette dal Padre lo
Spirito Santo, oggetto della promessa, e lo effuse su di noi" (At 2,32).
(Atti 2:32). Il battesimo di Gesù prefigura il nostro, il battesimo nello
Spirito che ci apre a una relazione di conoscenza e di amore con Dio.
È soprattutto attraverso la sua vita di preghiera, sia
comunitaria che personale, che Gesù ha manifestato la sua unione con lo Spirito
Santo. Ha inaugurato il suo ministero pubblico partecipando alla liturgia del
sabato nella sinagoga (cfr. Lc 4,16s). È morto sulla croce mentre pregava il
servizio della sera: "Nelle tue mani affido il mio spirito" (Lc
23,46). La sua partecipazione alla preghiera della comunità era legata a una
grande fedeltà alla preghiera personale, nella solitudine e nel silenzio. Così,
prima di scegliere i Dodici Apostoli tra i discepoli, Gesù aveva passato la notte
in preghiera (6,12). Essi avrebbero seguito l'esempio dopo la sua morte e
risurrezione: "Tutti di un sol cuore erano assidui nella preghiera",
ci dice il libro degli Atti (At 1,14). Fu nella preghiera che San Mattia fu
aggiunto agli apostoli per sostituire Giuda, e fu ancora nella preghiera che i
discepoli si riunirono intorno alla Vergine Maria e gli apostoli ricevettero lo
Spirito Santo a Pentecoste.
I doni della gioia e della misericordia portano la
presenza viva di Dio nella nostra vita. La misericordia di Dio rivelata a Maria
all'Annunciazione (Lc 1,50) e insegnata nella parabola del figliol prodigo (Lc
15,20) si è manifestata al mondo attraverso la morte e la risurrezione di Cristo.
L'evangelista San Luca evoca la folla di persone radunate intorno alla croce
che riconoscono il loro peccato e implorano la misericordia di Dio:
"osservando ciò che accadeva, se ne tornavano battendosi il petto"
(Lc 23,48). E la gioia del Natale condivisa dagli angeli con i pastori
prefigura la gioia dei discepoli alla risurrezione di Gesù e alla Pentecoste.
Gli ultimi versetti del Vangelo di Luca, che riportano
l'Ascensione di Gesù, indicano che "tornarono a Gerusalemme con grande
gioia. E stavano continuamente nel Tempio benedicendo Dio" (Lc 24,52-53).
Se la misericordia e la gioia sono doni dello Spirito Santo, non mancheranno
mai. Sta a noi chiederli allo Spirito Santo che Gesù ha donato al mondo.
+Vincent Dollmann, arcivescovo di Cambrai
Assistente ecclesiastico UMEC-WUCT
il male agisce facendoci credere di dominarlo
Da sempre è al centro del dibattito teologico e filosofico ma spesso se ne sottovaluta la capacità mimetica e d’inganno.
Parlare di lotta non è metafora
e affinare la conoscenza di sé è il primo passo.
- di Giovanni
Scarafile
Proponiamo in queste colonne un estratto
dell’introduzione alla seconda edizione del volume di Giovanni Scarafile In
lotta con il drago. Male e individuo nella teodicea di G.W. Leibniz (Milella,
pagine 196, euro 18,00) in questi giorni in libreria. Al tema del male è
dedicata la puntata di Sulla via di Damasco, in onda domani alle 7.35 su Rai
Tre. Ospiti di Eva Crosetto assieme a Scarafile, docente di Antropologia
filosofica all’Università di Pisa, interverranno anche monsignor Dario Edoardo Viganò,
vicecancelliere della Pontificia Accademia delle scienze socia-li, Hagi Kenaan
dell’Università di Tel Aviv e Stefano Polli, vicedirettore dell’Ansa.
Il problema del male è un
tema costante nella riflessione filosofica e teologica. Non di rado, le
soluzioni proposte sono state giudicate insoddisfacenti, in certi casi perfino
oggetto di derisione. Potrebbe sembrare un fallimento, ma non necessariamente
lo è. La mancanza di soddisfazione derivante dalle risposte delle teodicee può
diventare il nutrimento per il pensiero, assistendoci nella ricerca di un
approccio più significativo al male. Perché, dunque, le risposte al problema
del male non sono del tutto soddisfacenti? Se si va oltre le difese d’ufficio e
si considera il problema con pacatezza e spirito critico, ci si accorgerà che
quasi sempre si e trascurato di considerare la questione del male nella
prospettiva dell’individuo che soffre, accontentandosi di conciliare dal punto
di vista teorico i diversi elementi che compongono il tema. In altri termini, i
pensatori si sono comportati come un giardiniere che si concentri sul disegno
del giardino, perdendo di vista i singoli fiori appassiti e malati.
Su un altro versante, che
analizzi gli strumenti dell’indagine sul male, va detto che a volte le stesse
domande sembrano mosse da un intento oltremodo chiarificatorio che non solo non
ammette eccezioni, ma che soprattutto mal si concilia con l’inevitabile
componente di mistero insita in un tema che, per ciò che rappresenta, potrebbe
essere paragonato a un iceberg nell’oceano del pensiero umano. Così come solo
una piccola parte dell’iceberg è visibile sopra la superficie dell’acqua,
mentre la maggior parte della sua massa rimane nascosta, il problema del male
sfugge alla comprensione piena e definitiva, poiché la sua vera natura e
complessità sono celate sotto strati di ambiguità, incertezza e mistero.
Gli sforzi per chiarire e
risolvere il problema del male devono quindi tener conto del fatto che,
nonostante le nostre migliori intenzioni e capacità analitiche, potremmo non
essere mai in grado di sondare completamente le sue profondità e di comprendere
appieno il suo impatto sull’esperienza umana. In realtà, il tentativo di
trovare un orientamento, seppur minimo, di fronte al male, riposa su un
indimostrato e tacito presupposto in base al quale si ritiene che una “messa in
forma” del male sia - tutto sommato – possibile. Lungo questa traiettoria, si
tratterebbe di organizzare, strutturare e dare un senso a qualcosa che
inizialmente appare non facilmente maneggiabile, caotico, imprevedibile,
affidandosi a un qualche dispositivo del pensiero in grado di “legare” il male,
ovvero non lasciarlo libero di agire secondo una logica a noi aliena.
L’indimostrato e tacito
presupposto, dunque, agisce ogniqualvolta tentiamo di applicare un ordine o una
struttura logica al male, inteso alla stregua di un mero fenomeno o a
un’esperienza, al fine di renderla più accessibile e comprensibile. Nonostante
lo scopo di tale modo di procedere sia nobile, agendo in questo modo, è come se
si negasse al male ciò che di più proprio esso possiede: il suo essere soluto,
sciolto da legami, immaginandolo statico e in attesa della nostra iniziativa.
Il male, invece, come un camaleonte che cambia continuamente forma e colore,
sfugge alle nostre aspettative e, agendo a nostra insaputa, adattandosi e
mimetizzandosi nel nostro ambiente, rende più difficile se non impossibile il
compito di identificarlo e intenderlo.
Dunque, la nostra reale
condizione è di essere incatenati alla seguente questione: possiamo inscrivere
nella giustizia del logos ciò che al logos non compete? Per tali ragioni, il
nostro ragionare sul male si svolge sempre sul crinale di quella stessa
speranza contro ogni speranza di cui parlava Paolo nella Lettera ai Romani. Il
male, in effetti, non è un oggetto statico, ma un soggetto dinamico, un’entità
attiva e consapevole, in grado di agire e influenzare il mondo che lo circonda.
Non a caso, Nietzsche scriveva: «Se tu scruterai a lungo in un abisso, anche
l’abisso scruterà dentro di te». Dunque, mentre il male viene visto, esso è
anche in grado di vedere chi lo sta osservando. Essere scrutati visivamente dal
male non è un’operazione a somma zero. Tutt’altro. Una volta che il male abbia
accesso alla nostra interiorità, può infiltrarsi nelle nostre convinzioni,
alterando la nostra percezione del mondo e, come un parassita invisibile, può
gradualmente corrodere tutto ciò che incontra.
In questa situazione, il
male può indurci a giustificare o razionalizzare azioni e atteggiamenti
dannosi, sia verso noi stessi che verso gli altri. Può spingerci a
compromettere i nostri principi etici e a trascurare la nostra responsabilità
nei confronti della comunità e dell’ambiente. Nel tempo, la presenza del male
nella nostra interiorità può erodere la nostra autostima, la fiducia nelle
nostre capacità e la nostra speranza in un futuro migliore. L’interiorità, la
dimensione interna e personale dell’esperienza umana, è ciò che rende unica e
irripetibile l’esperienza di ogni persona, influenzando il modo in cui si
relaziona con se stessa e il mondo esterno. Intaccare l’interiorità da parte
del male può portare a conseguenze significative e durature, sia a livello
emotivo che psicologico. Quando il male invade l’interiorità di un individuo,
può manifestarsi in varie forme, come il dolore, la sofferenza, la paura, la
colpa, l’ansia o la depressione.
Queste emozioni e
sensazioni negative possono turbare l’equilibrio interiore, compromettendo la
capacità di una persona di mantenere una visione chiara e autentica di sé e di
relazionarsi in modo sano con gli altri. L’aggressione dell’interiorità può
anche influire sulle credenze e sui valori di un individuo, portando a una
crisi di identità o a una perdita di senso e direzione nella vita. In alcuni
casi, la distorsione dell’interiorità può spingere una persona a compiere
azioni dannose per se stessa o per gli altri, amplificando ulteriormente il
ciclo di sofferenza e negatività. Per questi motivi, la lotta col drago non è
solo un modo allusivo per riferirsi alla gestione del male. Essa, piuttosto, va
adeguatamente preparata, dando avvio o confermando il processo di conoscenza di
sé e delle proprie risorse interiori: non c’è alcuna lotta senza una vita
desta.
Dobbiamo, quindi,
impegnarci nel processo di scoperta interiore e di crescita personale,
esplorare e coltivare la nostra interiorità e affrontare il male con saggezza,
discernimento e compassione. Solo allora saremo in grado di affrontare le sfide
che il male ci pone, proteggere la nostra interiorità e contribuire alla
creazione di un mondo più equo, pacifico e amorevole per tutti. Nella lotta col
drago, quindi, l’obiettivo non è negare la realtà dell’avversario, ma piuttosto
trovare il cammino verso quel particolare tipo di speranza delineato da
Bernanos quando osservava: «La più nobile manifestazione della speranza è il
superamento della disperazione».
per dislessici !
Un’indagine
dell’Aid fotografa, per la prima volta, la situazione degli studenti con
Disturbi specifici dell’apprendimento: più della metà denuncia di non aver «mai
o quasi mai» ricevuto aiuto per l’utilizzo degli strumenti compensativi.
-
di PAOLO FERRARIO
Un laboratorio di nonviolenza pensato per attualizzare la Laudato si’
Dall’ascolto
dei suoni della natura all’arte qui gli studenti imparano il rispetto della
casa comune e degli altri
-
di LUCIA CAPUZZI
Non
si tratta di un’iniziativa sporadica. Dal 2018 Ca’ Forneletti ha coinvolto
giovani, scuole, associazioni e gruppi scout nel recupero dell’area boschiva
adiacente alla cascina, trasformandolo in un’attività pedagogica comunitaria.
Sono questi i “cantieri Laudato si’” attivi tutto l’anno ai quali, nell’ottobre
2022, il consiglio regionale dell’Agesci Veneto ha dato il proprio patrocinio.
Alcuni pomeriggi o giornate di vacanza, Ca’ Forneletti organizza lo studio dal
vivo del bosco. Bambini e ragazzi sono educati a quest’ultimo, svolgendovi
piccoli lavori manuali, recuperando il contatto con la terra e discutendone poi
insieme. Le attività non si sono fermate nemmeno durante la pandemia. Anzi, nel
periodo del lockdown, i “campetti Laudato si’” – giornate nel bosco dove i
giovani potevano incontrarsi all’aperto e a distanza, in modo da evitare il
contagio – sono stati un antidoto all’ansia e allo stress causati dalla
reclusione. «Siamo tutti legati, fra noi e con la casa comune, come ci insegna
la Laudato si’ – conclude Beppe Marchi –. Per questo, siamo responsabili gli uni
verso gli altri. Ogni vivente ci riguarda. I ragazzi fanno meno fatica di noi a
rendersene conto. Hanno solo necessità di ispirazione. E a Ca’ Forneletti
vogliamo aiutarli a trovarla».
rispettare ogni persona
nella sua autenticità
Papa
Francesco risponde alle domande di giovani e anziani di America Latina, Usa,
Europa, Amazzonia colombiana, tutti membri della grande rete di Scholas
Occurrentes, l’organismo nato nel 2001 in Argentina come risposta culturale
alla crisi politica, economica e sociale del Paese e poi diffuso in tutto il
mondo, soprattutto nelle zone più povere, grazie al contributo dell’allora
arcivescovo Jorge Mario Bergoglio. Scholas, divenuta intanto fondazione
pontificia, compie ora dieci anni e per l’occasione ha organizzato a Roma un
congresso sulle “Città eco-educative” con 50 sindaci latino-americani ed
europei. L’evento si è concluso oggi, 25 maggio, con un incontro nell’Istituto
Augustinianum di Roma, a pochi metri da San Pietro, alla presenza di Papa
Francesco che, come sempre per gli eventi Scholas, partecipa a dialoghi in
hang-out, momenti di musica e canto, video, saluti e scambi di regali. E a
sorpresa si collega in diretta con una casa di riposo di Granada, uno dei
luoghi in cui il movimento Scholas porta avanti il programma globale
"Essere insieme", iniziato durante la pandemia.
Il
viaggio in Argentina
Il
Pontefice arriva all’Augustinianum intorno alle 16.30, quasi un’ora dopo
l’orario previsto, dopo alcuni incontri riservati nello stesso istituto. Fa il
suo ingresso in sedia a rotelle da una porta laterale, mentre sindaci,
ambasciatori, artisti, sportivi, influencers, imprenditori (come i proprietari
dei supermercati Piccolo o di Yamamay) e “amici” di Scholas, presenti in sala,
con le mani e i piedi riproducono il suono della pioggia. In sottofondo, le
note malinconiche di un fado alla chitarra. Una sindaca portoghese intona un
canto, un altro recita i versi di una sua poesia. Francesco sorride, ringrazia,
batte le mani. Poi parla con una giovane argentina tramite video collegamento
e, in spagnolo, risponde alla domanda se visiterà il suo Paese natale: “La mia
idea è andare l’anno prossimo, vedremo se si può”, ribatte Francesco.
Emergenza
educativa
Più
lunga e articolata la risposta del Papa sulla emergenza educativa e la
necessità di un Patto Educativo che già da tempo ha chiesto di stipulare in
ogni Paese per le nuove generazioni. “Quanti giovani oggi non hanno la
possibilità di ricevere un’educazione completa. Quante volte per la mancanza di
educazione sessuale si finisce nella commercializzazione dell’amore e l’amore
non è per commercializzare e i ragazzi non sono per essere usati…”.
“Educare
i giovani”, è l’invito insistente del Papa: “Che i ragazzi abbiano educazione è
un dovere dei genitori e della società intera. I ragazzi che non terminano i
cicli scolastici sono un peso per le società”. E che i ragazzi “non
commercializzino” né siano commercializzati è l’altro invito del Vescovo di
Roma: “La pornografia, in questo momento, è la commercializzazione più
dell’amore. E ad una persona che ama non gli piace essere usata così”. “È un
bene che la scuola abbia queste due priorità”, dice Francesco, incoraggiando il
lavoro di Scholas nei cinque continenti: “Andate avanti, ne vale la pena”.
Rispetto
per l'autenticità
Una
ragazza, tramite lo schermo, chiede al Papa cosa fare per superare la crisi del
suo Paese; altri pongono domande su omofobia, razzismo, bullismo. Il bullismo,
soprattutto, “è molto grave e distrugge la vita”, afferma Papa Francesco. “Ogni
uomo, ogni donna, ogni ragazzo, ogni ragazza ha il dovere di essere autentico e
il diritto di essere rispettato”, aggiunge.
È
una parola, “autenticità”, che “si usa molto ma che non si capisce”, invece “se
una persona si esprime così, autentica, gli altri rispettano la persona per
come è”. Il Papa amplia poi lo sguardo alle crisi che affliggono il mondo e,
come durante i momenti più duri della pandemia, ripete: “Una crisi devi
identificarla e accompagnare per uscire da essa. Da un conflitto non si esce, è
chiuso; da una crisi sì, a due condizioni: uno, da una crisi non si esce da
soli ma accompagnati. In secondo luogo, non si esce da una crisi nello stesso
modo: si esce o migliori, o peggiori”.
La
maglia di Maradona in dono
Tra
i tantissimi regali consegnati – dai Gesù bambino in ceramica ai libri, dalle
t-shirt ai quadri, fino a cestini pieni di prodotti artigianali – al Papa viene
donata anche una divisa del Napoli che ha recentemente festeggiato lo scudetto.
A consegnarla è il presidente della squadra Aurelio De Laurentiis che subito
indica il 10, il numero di Armando Maradona, l’indimenticato campione,
argentino come il Papa. “Lei è il numero 10 della Chiesa, il grande sostituto
di Maradona", dice. E dalla tasca tira fuori un altro dono, una piccola
riproduzione di un piede in oro, in memoria del pibe de oro: "Dal piede di
Maradona abbiamo tratto un piccolo piede identico. Glielo regalo per dare un
calcio a tutte le ingiustizie del mondo perché lei è sempre presente in questa
lotta”. Papa Francesco sorride, sussurra una battuta nell’orecchio, poi prende
in mano il pallone consegnatogli da un calciatore e saluta l’arcivescovo
dell’arcidiocesi partenopea, Mimmo Battaglia, che dice: “A Napoli ci stiamo
muovendo con il Patto educativo, soprattutto nei quartieri più difficili. Soli
come Chiesa possiamo fare poco, se ci mettiamo accanto agli altri è possibile
mettere i ragazzi al centro”. E anche aiutarli a sognare, con la verità:
“Perché la verità muove i sogni”.
Il
ricordo dei nonni a Buenos Aires
Di
sogni il Papa parla, concentrandosi sul tema a lui caro degli anziani, “los
abuelos”, i nonni. Lo spunto è un altro regalo: una scultura in bronzo
raffiguranti delle radici di un albero. E allora Papa Bergoglio parla delle sue
di radici, i nonni con i quali a Buenos Aires trascorreva intere mattinate: “Ho
avuto la grazia di avere i miei nonni in vita fino a quando ero molto grande,
il primo nonno che è morto avevo 16 anni. L'altro che ero già vescovo…. Siamo
migranti e i miei nonni paterni vivevano a pochi metri da casa. Mia nonna mi
portava da lei perché mia madre potesse lavorare con il secondo e prepararsi
per gli altri tre che avevamo. Siamo cinque... Passavo il tempo con i nonni
ascoltando la loro lingua, imparando. Con loro avevo i dialoghi più profondi,
da bambino ascoltavo, è lì che ho imparato i valori”.
L'importanza
delle radici
Il
Papa a 86 anni non dimentica quei momenti. Nessuno dovrebbe farlo: “C'è sempre
la sensazione di dover tornare alle radici”, dice. “Una società si rovina
quando l'unione tra la radice e il tronco si spezza, quando si secca Se non
prendiamo la linfa da lì, dalle radici, ci secchiamo”. Tornano le parole del
profeta Gioele, capitolo 2, versetto 1, sempre citate durante gli incontri con
la gioventù nei vari viaggi: “I vecchi sogneranno e i giovani avranno visioni”.
Possono farlo solo se legati l’uno all’altro; i giovani, in particolare, “non
possono sognare senza le radici, altrimenti sognano con il primo ambulante
della strada”, ammonisce il Pontefice.
Non
lasciare gli anziani soli
Da
qui un appello per tutti gli anziani che “non hanno il diritto di morire
nell'isolamento...”. Il Papa ricorda di quando da vescovo visitava le case di
riposo e le infermiere raccontavano di “vecchi” lasciati soli per mesi e mesi
dai parenti. “Il rapporto tra anziani e giovani è naturale. Una società che non
si prende cura di questo rapporto si ideologizza, si settarizza...”, avverte
Francesco. “Alcuni settori della società nascondono gli anziani”, invece c’è
solo da imparare dalla loro “sabiduría”, dalla loro “saggezza”. “Non perdete
l’illusione”, raccomanda Francesco ai giovani, “gli anziani vanno custoditi,
gli anziani hanno da dire e da dare saggezza, è necessario che i giovani si
avvicinino a loro”.
Adelante
“Adelante”,
dice infine il Papa all’intera rete di Scholas: “Avanti, non come pirati”,
scherza”. Infine, un altro lungo momento di saluti, strette di mano, foto di
gruppo con i sindaci che dal Papa ricevono il diploma delle Scuole Laudato si’:
“Non è un traguardo, ma un nuovo inizio”.
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