-
di Paolo Benanti*
Le intelligenze
artificiali (Ia) hanno avuto un impatto significativo sulle interazioni sociali
dei ragazzi. Con l’avvento di assistenti virtuali, chatbot e algoritmi di
raccomandazione, le Ai sono diventate parte integrante delle esperienze online
degli adolescenti. Le Ia sono in grado di analizzare i dati personali, le
preferenze e i comportamenti degli utenti per offrire suggerimenti
personalizzati e automatizzare molte attività quotidiane.
Intimamente connessa a
questa trasformazione vi è un mutamento sempre più evidente nel criterio di
autorità: se una volta era la fonte autorevole a dirci il livello di
credibilità di un’informazione oggi è la quantità di condivisioni e ricorrenze
nel mondo digitale che, spesse volte algoritmicamente, ne influenzano la
percezione come maggiormente autorevole.
La Brexit e la vittoria
di Trump hanno accompagnato il dibattito sulla cosiddetta post-truth
society, l’idea di una società in cui il concetto di verità
condivisa – l’insieme di eventi e personaggi che tutti
consideriamo esistenti, al di là delle nostre opinioni su
di loro – è definitivamente scomparso. O meglio, deformato per
sempre: dai social network e dai loro algoritmi, per esempio, in grado di
creare e rinforzare le filter bubble, ossia il filtro
automatico fatto dai server sulle notizie che ci vengono presentate, in cui
un’emergenza politica può esistere o scomparire; un politico essere un eroe o
un soggetto pericoloso per la Repubblica nel giro di poche ore, a volte minuti.
I social network, infatti, confezionano un piccolo mondo personalizzato per
ciascun utente, un “feed” che contiene notizie e personaggi che l’algoritmo
ritiene possano piacerci.
In altri termini si
assiste oggi al diffondersi di una tendenza a ritenere autorevoli le notizie
che trovano maggior eco nell’universo digitale. Gli effetti di questa
trasformazione sono già saliti alla ribalta dei media: fake news, postverità e
altre espressioni analoghe ci dicono quanto sia efficace questa nuova modalità
percettiva. La sfida educativa allora sarà quella di rendere percepibile, se ci
si perdona il gioco di parole, il valere dei valori. Spesso il bene costa e
questo non sempre è popolare. Educare al bene allora dovrà confrontarsi con
meccanismi di quantità, il numero di condivisioni, che tendono ad offuscare
criteri di valore. Dobbiamo guardare ai giovani per aiutarli a divenire
degli adulti in un’epoca di digitale. Come trasmettere alle nuove generazioni
il patrimonio di valori acquisiti e la tensione al bene che caratterizza la
nostra identità?
Un’ulteriore sfida è
prodotta da quella che potremmo definire con Filippo La Porta
un’eclissi dell’esperienza: la condizione tecnologica che caratterizza il
Digital Age è composta di simulacri, di espansione illimitata di fiction e
spettacoli, di mondi sempre più virtuali. In questi mondi virtuali l’esperienza
che si fa, ammesso si possa chiamarla ancora tale, è senza pericoli,
potenzialmente infinita, continuamente intercambiabile, reversibile. Solo che
questa più che un’esperienza si riduce a quella che potremmo definire una
pseudo-esperienza: non ci sono limiti, non c’è noia, non ci sono pericoli, non
c’è rischio, non c’è passività, capacità d’attesa, non c’è storia, memoria, non
c’è morte, non ci sono corpi. In questa situazione siamo sempre più condannati
a controllare per intero l’esperienza, a renderla comodamente reversibile, e
così a perderla. L’esperienza, caratteristica unica del vivere e del crescere
sembra contrarsi a una sorta di esperimento: la caratteristica propria
dell’esperimento scientifico è il suo potersi ripetere infinite volte con
gli stessi identici risultati.
Se ogni periodo storico
ha elaborato il suo tipo d’uomo ideale, questo autoreverse dell’esperienza
nell’esperimento porta a definire l’uomo ideale come uomo emozionale o homo
sentiens.
L’emozione si presenta
come l’oggetto di un vero e proprio culto e caratterizza specialmente la
ricerca del mondo giovanile. Non che l’emotivo sia un mondo da
reprimere ma non si parla qui di quell’emozione come lo stupore che
per Aristotele era la base della conoscenza e la chiave di ogni
accadimento spirituale. I giovani tendono a declinare
l’emotivo, grazie a videogiochi sempre più immersivi e coinvolgenti,
nell’emozione shock: violenta, intensa e che necessita di soglie di attivazione
sempre più alte. Anche il vissuto emotivo chiede oggi di essere particolarmente
oggetto di attenzione educativa e di cura.
Stiamo attraversando una
stagione nuova del nostro vivere che presenta numerose opportunità e anche
delle sfide, specie per l’educazione delle giovani generazioni. Non esistono
ancora delle soluzioni a tutte le sfide e alle trasformazioni a cui assistiamo
ma la natura umana, dono del Creatore a noi creature, ci consente di guardare a
questo tempo con speranza. Se ci chiediamo se oggi i giovani sono complicati
dobbiamo risponderci, con Francois Gervais, che «è vero soprattutto quando
attraversano quel periodo in cui rivendicano la differenza per aiutarci a non
dimenticare mai la nostra gioventù, quel periodo scomodo che noi chiamiamo adolescenza»
(Il piccolo saggio).
*Paolo Benanti (Roma, 20
luglio 1973) è un presbitero e teologo italiano del Terzo ordine regolare di
San Francesco. Insegna alla Pontificia Università Gregoriana e presso
l’Università di Seattle ed è consigliere di Papa Francesco sui temi
dell'intelligenza artificiale e dell'etica della tecnologia. È l'unico italiano
membro del Comitato sull'intelligenza artificiale delle Nazioni Unite.
Nessun commento:
Posta un commento