IL
PARADIGMA
COOPERATIVO
-
di LEONARDO BECCHETTI*
In
un articolo di qualche giorno fa, su queste colonne, Mauro Magatti ha
efficacemente sintetizzato l’impazzimento della comunità globale: il mondo ha
abbandonato la logica della cooperazione multilaterale e si è avvitato in una
spirale di conflitti sempre più violenti che rischiano di portarci alla
catastrofe.
Il
vizio dell’ignoranza di legami e interdipendenze è iscritto nella logica del
vecchio mainstream economico, paradigma in cui si è a lungo cullata l’illusione
che fosse possibile un equilibrio dove ciascuno persegue il proprio interesse,
indipendentemente dai vincoli del contesto. In questa visione la concorrenza,
gli incentivi e le regole sono decisivi per conciliare desideri individuali e
benessere sociale, mentre le virtù, pur apprezzate, sembrano quasi ridondanti.
I mali della società contemporanea sembrano indurre a un ripensamento. Il Nobel
Angus Deaton ha scritto recentemente, riferendosi agli economisti, di come
abbiano «smesso di parlare di etica, diventando tecnocrati focalizzati
sull’efficienza».
A
aggiunge Deaton, da economista: «Spesso facciamo corrispondere il benessere con
il denaro e il consumo, perdendo ciò che conta veramente» . Nel pensiero
economico corrente, sostiene ancora il premio Nobel, «gli individui contano di
più delle relazioni tra le persone, nelle famiglie o nelle comunità».
Tale
sguardo avvilente trascura sia gli aspetti positivi sia quelli negativi delle
interdipendenze. L’homo economicus, privo di intelligenza relazionale ed
emotiva, non è così in grado di risolvere dilemmi sociali con la “quinta
operazione” della cooperazione, quella in grado di generare plusvalore per sé e
per la società. L’impresa che massimizza il profitto “non-importa- come” ignora
infatti le interdipendenze e il rischio di produrre danni in materia di
sostenibilità sociale ed ambientale.
Qualche
mese fa abbiamo provato a lanciare tra gli economisti italiani un manifesto per
il rinascimento dell’economia, con l’obiettivo si superare simili problemi.
Elaborando una visione che riconosce come la generatività sia la componente
principale di soddisfazione e ricchezza di senso di vita, con indicatori di
benessere multidimensionale in grado di misurare il valore delle relazioni e
della generatività. Una visione, già incarnata e vissuta dalle migliori
pratiche associative e imprenditoriali del nostro Paese, che tiene dunque conto
di relazioni, legami, interdipendenze e impatto (sociale e ambientale)
valorizzandone le potenzialità e contrastandone gli aspetti negativi. Il
manifesto è stato firmato da più di 300 colleghi e verrà discusso ed approfondito
a Perugia in un evento programmato per il prossimo giugno.
Per
capire che non si tratta solo di “massimi sistemi”, proviamo a rendere concrete
e operative le sue conseguenze, accennando a tre direzioni promettenti. La
prima è quella di una visione dell’economia che passa dall’essere “una guerra
per una torta data” a “cooperazione per innovare e creare torte più grandi”.
Come accaduto ad esempio con la nascita della CECA, la Comunità del carbone e
dell’acciaio, che ha iniziato il percorso dell’Unione Europea trasformando
risorse contese ed oggetto di guerre in ricchezza comune su cui costruzione una
cooperazione innovativa e competitiva tra Stati. Nella vecchia logica della
contesa per la torta data, un israeliano e un palestinese sono due belligeranti
che si contendono la proprietà di un pezzo di terra come condizione
imprescindibile di benessere. Nella logica della torta da creare insieme
innovando, invece, gli stessi due individui sono colleghi di lavoro in
un’impresa high-tech dove la loro diversità e la complementarietà diventa un
fattore competitivo che stimola l’innovazione. Per questi motivi pensare che la
guerra aiuti l’economia è una grandissima sciocchezza, vittima di una visione
assolutamente primitiva e superata.
Altre
due regole fondamentali che possono aiutarci a regolare ed orientare il mondo
del futuro in ottica di gestione di legami ed interdipendenze sono la Global
minimum tax e il (carbon) Border adjustment mechanism. La competizione e il
commercio globali non possono infatti essere campionati senza regole, dove
inevitabilmente vince la squadra più fallosa, ma devono essere competizioni
leali dove non è più consentita la corsa al ribasso per risparmiare sulla
dignità del lavoro, la tutela dell’ambiente e la giustizia fiscale. Per
ottenere questo risultato, sono necessari meccanismi in grado di bloccare tale
“incentivo perverso”. E favorire contemporaneamente situazioni di mutuo
vantaggio negli scambi internazionali in grado di creare le premesse per la
pace e il bene comune.
*
Professore ordinario di Economia politica presso l'Università di Roma Tor
Vergata.
www.avvenire.it
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