di p. Francesco Moscone
1. Educazione, linguaggio e cultura: tra fratellanza e competizione
Un grazie particolare al mio confratello mons. Giovanni, e grazie per questo invito che, ovviamente, non mi aspettavo. È arrivato attraverso il seminario di Molfetta. Dopo l’excursus della professoressa Marchetti non saprei che cosa aggiungere. Dico innanzitutto che aderisco in pieno a tutto quanto ho ascoltato, in particolare alle osservazioni finali relative al mondo della scuola e all'educazione in Europa, e in Italia in particolare.
Quando si cambiano i termini, non si fa solo un’operazione linguistica e di vocabolario, ma si compie un’operazione culturale, e a volte anche un’azione di inquadramento del popolo, fino a oscurare il pensiero libero.
L’aver rinominato il “Ministero della Pubblica Istruzione” in “Ministero del Merito”, quando lo sentii per la prima volta, mi fece davvero ribollire.
L’educazione deve costruire la fratellanza, non può essere orientata alla competizione. Nella misura in cui si introduce la competizione, si forma inevitabilmente alla violenza, all’aggressività, alla divisione e, infine, si motiva la guerra stessa. Mi colpisce anche il modo subdolo con cui il mondo militare entra oggi nelle scuole, persino nella scuola primaria. Ho visto portare, su invito, i piccoli pazienti di Casa Sollievo della Sofferenza della pediatria oncologica all’aeroporto militare di Amendola, per far loro visitare i caccia, salire a bordo e, ufficialmente, per distrarli e offrir loro un momento di felicità. Mi sono chiesto: “Ma che cos’è questo? Che cosa vuol dire tutto ciò?”
La mia storia proviene dal mondo della scuola e dell’educazione. Per questo motivo questi cambiamenti mi fanno pensare a un futuro diseducativo, che divide invece di unire, che non aggrega, che rifiuta la solidarietà che allontana la fratellanza.
2. Guerra, verità e democrazia tradita
Io ho due padroni – ogni tanto lo dico – perché, come vescovo rispondo alla CEI e al Papa, ma come responsabile della Fondazione di Casa Sollievo della Sofferenza e delle opere di Padre Pio, rispondo alla Segreteria di Stato. La Segreteria di Stato mi ha detto di essere “prudente” quando parlo di certi argomenti: un modo per tirarti le orecchie senza farti male! Ma come si può essere prudenti oggi, di fronte a ciò che vediamo e di cui siamo testimoni? Se “prudenza” vuol dire fermarsi e aspettare, allora non è più possibile tacere.
La prima arma che abbiamo, a mio giudizio, è dire le cose come stanno. Il comandamento di non dire falsa testimonianza parte dagli occhi e 1 dall’osservazione: si guarda, si ascolta, poi si parla e, se serve, si denuncia assumendosi la responsabilità. Quanto sta accadendo a Gaza – ma non solo lì – è un genocidio. È un’azione disumana, voluta, non semplice una reazione ai fatti del 7 ottobre 2023. È qualcosa di pianificato da decenni, fin dalla nascita di quello Stato ebraico che, come europei ed occidentali, abbiamo definendolo “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Ma quando una democrazia – che dovrebbe essere il più umano dei regimi – si comporta così, allora diventa il peggiore dei regimi.
Quando le democrazie pianificano e portano avanti certe azioni, si conferma il detto latino «corruptio optimi pessima» - la corruzione delle cose migliori porta al male peggiore. Lo vediamo con lo Stato di Israele, ma anche con le nostre democrazie occidentali, a partire da quella statunitense.
Non mi piace definire “America” gli Stati Uniti. L’America è molto altro, e grazie a Dio, anche migliore! Persino il paese confinante con gli USA si chiama “Stati Uniti”, ma del Messico”! La democrazia statunitense, dalla fine della Prima guerra mondiale, ancor più dopo la Seconda, è stata proposta come ideale assoluto, autorizzandola a programmare e giudicare il mondo secondo i propri interessi, a dividere le nazioni in buone e cattive, in stati amici e “canaglie”: questo modalità di giudicare non è accettabile.
L’Europa, invece di essere autonoma, ha seguito gli USA come un cagnolino al guinzaglio. Eppure, le nostre leggi ora vietano anche di tenere gli animali al guinzaglio.
L’Europa che si lascia guidare dagli Stati Uniti rinnega la propria identità. Le sue radici sono greche, romane, cristiane. Ricordo lo storico Giovanni Reale che parlava dell’Europa come nata in Grecia con la pólis, nata a Roma col diritto romano, cresciuta nei valori ebraico-cristiani della Bibbia e sviluppatasi con la scienza moderna e libera a partire da Bacone e Galileo. Ora stiamo tradendo tutto questo, lasciando che dieci super-ricchi con trilioni di dollari – come Elon Musk o Bezos – determinino l’agenda mondiale.
Quando ho sentito che il presidente del Veneto accoglieva con entusiasmo Bezos a Venezia per lo sfarzo del suo matrimonio, ho pensato: “Perché questo entusiasmo non lo promette anche a chi fugge dal Nordafrica e rischia la vita sui barconi senza arrivare con jet privati e lussuosi?”
3. Nato, conflitti e occasioni mancate
Dobbiamo avere il coraggio di liberarci da questo guinzaglio USA. E, lo dico fuori da ogni prudenza e senza mezzi termini, a mio giudizio ciò significa uscire dalla NATO.
Negli anni ’80, da giovane prete, prima della caduta del Muro, cercavo esperienze originali per l’animazione giovanile. Scoprii i pellegrinaggi a piedi verso Częstochowa, in Polonia, e vi partecipai accompagnando giovani. Mi presentavo come studente, anche se sapevano che ero prete. Dopo la caduta del Muro, i miei superiori mi chiesero di fondare una casa religiosa in quelle zone. Quando, nel 1991, si dissolse l’Unione Sovietica, crollò anche il Patto di Varsavia. Quello era il momento giusto per sciogliere anche la NATO. Ma l’Occidente, convinto di essere vincitore, perse l’occasione di essere giusto e veramente libero. Fu allora che si riaprì la divisione del mondo. Avremmo dovuto riconoscere l’unità dell’umanità, come diceva Kant: “La terra è sferica, e ovunque vai, ti rincontri.” Invece, l’Occidente disse: “Noi abbiamo vinto, voi avete perso.” Riaprimmo la frattura della “guerra fredda” rendendola globale su tutto il pianeta.
Una seconda occasione persa furono i trattati di Minsk (Bielorussia). Se l’Occidente li avesse rispettati, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non sarebbe avvenuta. Papa Francesco aveva ragione nel dire: “Siamo andati ad abbaiare sotto la porta di casa della Russia.” Io vivevo in Polonia quando questa entrò nella NATO e mi dissi: “stiamo andando verso una nuova guerra mondiale.” Giovanni XXIII, nella «Pacem in terris» (1963), scrisse che la guerra è «alienum a ratione», fuori dalla ragione.
Dopo Hiroshima e Nagasaki non ci sono più motivi per non affermare che la guerra è contro la ragione. Eppure, continuiamo a costruire armi. Il culmine dell’ipocrisia è stato convincere Zelensky a non trattare con l’aggressore. È falso: non trattare significa prolungare la guerra ad oltranza a solo beneficio di chi costruisce armi.
4. Diplomazia e pace come scelta politica
La diplomazia è uno strumento razionale, la guerra è uno strumento irrazionale. Quando ieri la nostra premier ha citato il proverbio «Si vis pacem, para bellum», le risponderei: “Cara Giorgia, studiati la storia.” Tutte le volte che si sono preparate armi, sono state usate, non tenute come soprammobili o monili da ostentare.
Condivido l’analisi del Professor Alessandro Barbero: la situazione attuale somiglia a quella che precedette la Prima guerra mondiale. Dopo quarant’anni di pace, ci fu una corsa agli armamenti e quelle armi purtroppo vennero usate. La Prima guerra mondiale portò alla Seconda, poi alla Guerra fredda, ma anche a tanti conflitti attivi.
Vorrei raccontare un’esperienza personale, a conferma che si deve sempre trattare. Nel 2006, da vicario generale della mia congregazione, andai in Sri Lanka, in piena guerra civile tra i cingalesi e le Tigri Tamil. I miei confratelli indiani, dopo lo tsunami del 2004, avevano avviato un progetto per costruire un villaggio per bambini. Per poterlo realizzare, dovetti incontrare sia i rappresentanti del governo locale ufficiale sia i leader delle Tigri Tamil (definiti dai primi “terroristi”). Solo così il progetto fu possibile, si è sviluppato ed è ancora attivo. Se avessimo trattato con una sola parte, l’altra lo avrebbe distrutto o ci avrebbe arrestato.
Ai politici dico: “Se vuoi fare politica, non devi riarmare. Devi ripudiare la guerra. La tua arma è la diplomazia, il tuo dovere è metterci la faccia anche con chi consideri nemico.” L’Europa oggi non lo sta facendo. Vuole solo riarmare, magari per sostenere l’industria automobilistica tedesca... e un po’ anche la nostra in crisi.
Sono convinto che, almeno dalla Prima guerra del Golfo, passando per le guerre dei Balcani negli anni ’90, tutti i governi italiani, che si sono susseguiti e di colori diversi, hanno progressivamente smesso di rispettare l’articolo 11 della Costituzione.
Abbiamo avuto, almeno in parte, governi anticostituzionali.
Non so se sono stato prudente. Ditemelo voi.
+ p. Franco Moscone crs Brindisi
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L’autore è arcivescovo di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo.
Testo pubblicato il 25.6.2025 in www.archiviodischiena.it