mercoledì 3 dicembre 2025

UNA PRESENZA CHE TRASFORMA IL QUOTIDIANO

 

QUEL PICCCOLO LIBRO

 CHE RIVELA 
L’ANIMA DEL PAPA

 

Durante la conferenza stampa sul volo che lo riportava dal suo primo viaggio apostolico in Turchia e in Libano, Papa Leone XIV ha sorpreso i giornalisti con un riferimento inatteso. Invitato a indicare un testo capace di illuminare la sua spiritualità personale – oltre a Sant’Agostino, da lui più volte citato – il Papa ha scelto un libretto quasi invisibile, lontano dai grandi manuali di teologia e dalla saggistica spirituale contemporanea: La pratica della presenza di Dio, del carmelitano Fra Lorenzo della Resurrezione.

«È un libro davvero semplice» ha spiegato il pontefice, «scritto da qualcuno che non firma neppure con il suo cognome, fratel Lawrence. Ma descrive un tipo di preghiera e di spiritualità con cui uno semplicemente dona la sua vita al Signore e permette al Signore di guidarlo».

Un’indicazione che dice molto: mentre il mondo guarda alle grandi sfide geoponiche affrontate nel viaggio, Leone XIV preferisce richiamare l’attenzione a un testo che invita al raccoglimento, al silenzio interiore, al dialogo continuo con Dio nel cuore delle occupazioni quotidiane. Un invito alla semplicità evangelica, alla vita spirituale incarnata nella ferialità.

Ma che cos’è, realmente, questa “pratica della presenza di Dio” che il Papa propone come via per comprenderlo meglio?


La presenza che trasforma il quotidiano

Fra Lorenzo della Resurrezione, carmelitano vissuto in Francia tra il 1614 e il 1691 e oggi venerabile, non ha lasciato trattati sistematici né opere teologiche elaborate. Ci rimangono soprattutto le sue lettere e alcuni colloqui, nei quali emerge con limpidezza un’idea centrale: la pratica della presenza di Dio è il mezzo più semplice ed eccellente per vivere un’unione profonda con il Signore.

Non si tratta di una forma di preghiera delimitata, con un inizio e una fine, né di un metodo complesso riservato a momenti particolari. È, piuttosto, uno stato dell’anima, un atteggiamento continuo, una conversazione silenziosa che accompagna ogni istante della vita.

Per Fra Lorenzo vivere alla presenza di Dio significa coltivare un sguardo amoroso e costante verso di Lui, una specie di attenzione semplice ma reale, che non si basa sullo sforzo intellettuale, bensì sull’amore. È come mantenere il cuore rivolto a Colui che ci ama, senza parole superflue: un “colloquio muto e segreto” che non abbandona mai chi lo pratica.

Questa presenza non è un’astrazione spirituale: è un fatto concreto. Fra Lorenzo la chiamava “presenza attuale di Dio”, come se Dio fosse realmente e fisicamente accanto a lui, nelle pentole della cucina del convento, nella bottega dove riparava i sandali, nei corridoi dove passava inosservato. La sua cura principale – raccontano i confratelli – era essere sempre con Dio, e non fare nulla, neppure il gesto più minimo, che non fosse per amore.

È una spiritualità estremamente quotidiana, quasi domestica. Per chi desidera abbracciarla, Fra Lorenzo suggerisce gesti piccoli, quasi impercettibili: un ricordo improvviso durante il lavoro, un atto di adorazione al passare di un pensiero, una breve domanda di aiuto, l’offerta delle proprie fatiche, un movimento del cuore verso Dio mentre si conversa o si mangia. Non gesti eroici, ma fedeltà nei dettagli.

Fondamentale è ciò che il carmelitano chiama lo “sguardo interiore”: un rivolgersi al Signore prima di qualunque azione, anche per un brevissimo istante, lasciando che quella presenza accompagni l’agire e lo concluda. È un movimento tanto dolce quanto costante, che non chiede sforzi titanici ma continuità, umiltà, amore.

Fra Lorenzo insiste anche su un’idea potentissima: il cuore può diventare un oratorio. Non occorre essere in chiesa per stare con Dio; non è necessario isolarsi dal mondo o sospendere le attività. Dio è lì, nelle cose più semplici e ordinarie. Basta ritirarsi dentro di sé, per un momento, e fargli spazio.

Una spiritualità per il nostro tempo

Aver scelto proprio questo libro, da parte di Papa Leone XIV, non è un dettaglio secondario. In un’epoca di distrazioni continue, di frenesia, di identità frammentate, la proposta di Fra Lorenzo appare sorprendentemente attuale. È una via alla portata di tutti, che non chiede perfezione ma disponibilità, non richiede particolari condizioni esterne ma un cuore che si lasci abitare.

In un mondo che corre, il Papa indica un uomo che camminava lentamente in una cucina del Seicento, ma che in quella lentezza aveva trovato la pace.

E forse è proprio questo che la sua citazione vuole ricordare: che la spiritualità cristiana non vive soltanto nei grandi eventi o nelle parole solenni, ma nel segreto dei cuori che, anche mentre pelano patate o affrontano le sfide di ogni giorno, scelgono di non dimenticare la presenza di Dio.

 

Il timone

 

Genere: Scienze umane - Religione - Cristianesimo

Editore Vidyananda

Formato Brossura

Pubblicato 01-01-2009

Pagine 122

ISBN 9788886020091

 

 

martedì 2 dicembre 2025

L'ARTE DI FARSI MALE

 


«Lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi con "Farsi male" infrange qualche tabù: "Il dolore autoinflitto non è sempre una sciagura, a volte si rivela una strada per crescere.» -

 Teresa Ciabatti, La Lettura

 

Un racconto sulla vita di tutti i giorni, con un finale sul masochismo politico e il dolore del mondo. Pagine scritte con le parole della psicoanalisi, della poesia, del cinema.


Succede a tutti di farsi male, ma possiamo imparare a riconoscere le sofferenze che ci colpiscono alle spalle da quelle a cui noi stessi, più o meno consapevolmente, ci consegniamo.

Vittorio Lingiardi delimita un territorio vastissimo e oscuro: percorre la storia dei nostri dolori e traccia un confine tra convivenza e connivenza. 

Masochista è un aggettivo che turba, ma qui non si parla di fruste e manette: lo sguardo è sulla personalità e sulle relazioni.

Lingiardi ci accompagna in stanze interiori, arredate con gli spigoli aguzzi dell’autocritica, le mensole inaccessibili dell’ideale dell’Io, le casseforti del sabotatore interno, le lavatrici interminabili del senso di colpa.

 

Farsi male. Variazioni sul masochismo

EQUITA' E INCLUSIONE

 


L’istruzione leva

 per l’uguaglianza 

di genere




Quando si parla di inclusione uno dei punti dolenti che emergono è quello delle disuguaglianze di genere e delle ingiustizie che a livello sociale si legano alla loro stereotipizzazione. Sono differenze dalle quali il sistema di istruzione è tutt’altro che immune, come mostrano gli esiti delle indagini nazionali e internazionali, con effetti che si riverberano inevitabilmente sulla crescita economica e sull’inclusione sociale, con conseguenze più sottili e pervasive di quanto a volte non appaiano.

Le disuguaglianze di genere in ambito educativo sono cambiate nel tempo, assumendo una complessità diversa per quanto riguarda il rendimento scolastico.

In molti Paesi, così come in Italia, l’accesso delle donne ai diversi livelli di istruzione formale è un risultato raggiunto e consolidato; tuttavia, permangono squilibri nella distribuzione per materie, nei tassi di abbandono e nella transizione scuola-lavoro.

Differenze di rendimento e scelte disciplinari                                 

Due esempi che le Rilevazioni sugli apprendimenti a livello nazionale e internazionale mettono in luce da tempo circa la disuguaglianza di genere nell’istruzione sono individuabili nel minore accesso da parte delle ragazze a percorsi di istruzione superiore e universitaria nelle discipline STEM (matematica, scienze e tecnologie) e una probabilità più alta che i ragazzi abbiano risultati più modesti in ambito linguistico e maggiori difficoltà scolastiche, dalle quali deriva un rischio più elevato di sotto rendimento o di abbandono.

Queste due dinamiche parallele – la sottorappresentazione femminile nelle discipline tecniche e la maggiore fragilità maschile nelle competenze di base – sono fattori che orientano la distribuzione delle preferenze disciplinari nel breve come nel lungo periodo, sottolineando quanto le questioni legate al genere in educazione siano un problema multidimensionale e multiforme.

Il concorso di molte cause

Le ragioni che determinano queste differenze e il loro persistere sono sicuramente molte e agiscono combinandosi tra loro in diversi modi, dei quali non sempre siamo consapevoli.

Uno di questi fattori sono gli stereotipi di genere, il cui peso influenza le aspettative dei docenti, delle famiglie e degli stessi studenti in quanto sono legati a opinioni sociali e culturali. Le ragazze possono essere indirizzate lontano dalle materie tecniche in base a convinzioni ingenue su attitudini “naturali” che sarebbero loro prerogativa in quanto appartenenti al genere femminile.

Sul fronte opposto i maschi possono ricevere minore supporto nelle competenze linguistiche, con una sottovalutazione immotivata delle difficoltà in lettura o comunque nell’area linguistica. A queste ragioni se ne aggiungono altre di tipo strutturale, come la qualità dell’offerta formativa locale, la presenza di modelli professionali visibili e le modalità di orientamento scolastico.

L’analisi delle disuguaglianze mette in luce anche ulteriori cause, come le differenze territoriali e generazionali, che amplificano gli effetti di genere, creando percorsi educativi e di vita molto diversi in base al contesto di appartenenza.

Conseguenze economiche e sociali delle differenze di genere

Le conseguenze delle diseguaglianze di genere nel rendimento e nel percorso scolastico non si limitano alla singola studentessa o studente; il persistere di differenze nelle competenze e negli accessi ai diversi settori disciplinari hanno infatti ricadute a livello economico e sociale.

Una presenza femminile ridotta nelle professioni ad alta innovazione ha ripercussioni negative sulla crescita economica e sulla capacità di un Paese di competere in settori strategici, come quelli collegati alle tecnologie; allo stesso modo risultati educativi più deboli tra i ragazzi possono generare maggiore disoccupazione giovanile e favorire la marginalizzazione.

In entrambi i casi si rischia la perdita di capitale umano, con l’inevitabile impoverimento che ne consegue in termini economici e di benessere, individuale e collettivo.

Uscire dal circolo vizioso

Affrontare efficacemente le disuguaglianze richiede un approccio strategico che combini più misure, quali:

  • Rafforzare l’orientamento e la promozione delle discipline STEM tra le ragazze con programmi didattici, mentoring e l’offerta di modelli femminili in questo settore
  • Intervenire precocemente per migliorare le competenze di lettura e linguaggio nei bambini, con attenzione specifica ai ragazzi a rischio e interventi di rete che coinvolgano scuola, famiglie e comunità
  • Favorire la formazione dei docenti con percorsi focalizzati sulle differenze di genere e sulle pratiche inclusive, per evitare che aspettative differenziate in base al genere portino al replicarsi di convinzioni di senso comune e si traducano di fatto nell’offerta di differenti opportunità formative
  • Sostenere politiche integrate scuola-lavoro che contrastino le discontinuità femminili nella carriera e facilitino la transizione verso professioni ad alto valore aggiunto, collegando istruzione, orientamento e mercato del lavoro.

Conclusioni

Per affrontare costruttivamente le disuguaglianze di genere nell’istruzione, e più in generale in ambito educativo, non basta promuovere l’accesso ai diversi percorsi scolastici. Occorre comprendere come e in quali aree si manifestano le differenze di rendimento, scegliere gli strumenti idonei per rimuovere barriere strutturali e culturali per favorire una reale inclusione.

La ricerca in campo educativo e scolastico è strumento essenziale per assicurare a ogni allieva e allievo l’offerta di pari opportunità disciplinari e il rafforzamento delle competenze di base, sottolineando una volta di più il ruolo di leva per l’uguaglianza e lo sviluppo sostenibile proprio dell’istruzione.

 

Approfondimenti



 

 

 

 

CHARBEL MAKHOUF

 

Un monaco dai molti miracoli: 

san Charbel Makhlouf. 


Papa Leone XIV 

in preghiera sulla sua tomba

 

-         di Raffaele Iaria

 

E’ stata una tappa molto significativa quella di Papa Leone XIV al Monastero di San Maroun ad Annaya, dove ha pregato sulla tomba di San Charbel Makhlouf, conosciuto da molti come il “Padre Pio libanese”. La sua devozione ha superato i confini del “Paese dei Cedri” e continua a richiamare fedeli da tutto il mondo. All’intercessione del santo, beatificato e canonizzato da Papa Paolo VI rispettivamente nel 1965 e nel 1977, sono attribuiti numerosi miracoli e guarigioni straordinarie: circa 30mila.

La tomba di San Charbel, divenuta luogo di pellegrinaggio dopo la sua morte, fu segnata da fenomeni misteriosi: una luce particolare attirò l’attenzione dei monaci, che decisero di riesumare il corpo trovandolo incorrotto e caldo, come se fosse ancora vivo. Questo accadde altre due volte, poiché il corpo trasudava un liquido misto di sangue e acqua. Durante l’ultima ricognizione, nel 1950, il volto del santo rimase impresso su un panno e si verificarono guarigioni istantanee tra i presenti, come riportato dal Dicastero per le Cause dei Santi. Dopo la beatificazione, il corpo di frate Charbel non ha più trasudato.

Giuseppe (Youssef) Makhlouf nacque nel 1828 in un villaggio del Libano e rimase orfano di padre a soli tre anni. Fin da ragazzo mostrò una forte devozione verso la Madonna, dedicando molte ore alla preghiera e alla meditazione. Entrò nel monastero della Madonna di Mayfouq a 23 anni e, due anni dopo, emise i voti religiosi nel monastero di San Marone ad Annaya, assumendo il nome di Charbel. Ordinato sacerdote nel 1859, visse per quindici anni nel monastero di Annaya, conducendo una vita di preghiera e di attenzione verso i più umili e gli ammalati. Dieci anni più tardi si ritirò in un eremo per dedicarsi esclusivamente alla preghiera, alla penitenza e all’ascesi. Morì il 24 dicembre 1898, dopo essere stato colto da un malore durante la celebrazione eucaristica il 16 dicembre. “Egli può farci capire, in un mondo affascinato dal comfort e dalla ricchezza, il grande valore della povertà, della penitenza e dell’ascetismo, per liberare l’anima nella sua ascensione a Dio”, disse di lui Paolo VI.

 I luoghi di venerazione dedicati a San Charbel sono numerosi, tra cui quello a Roma, presso il Monastero San Charbel, meta di pellegrinaggio non solo per i romani ma anche per fedeli provenienti da altre città italiane. Qui giungono lettere con testimonianze di grazie ricevute, anche da persone non credenti, conservate dalla Procura generale dell’Ordine libanese maronita.

Ogni 22 del mese, molti fedeli si ritrovano nella cappella che custodisce le sue reliquie per un momento di preghiera, conforto e ricerca di guarigioni, partecipando alla celebrazione eucaristica secondo il rito maronita. La liturgia è accompagnata dalla recita di una coroncina composta da cinque gruppi di grani: tre rossi (simbolo dei voti monastici), uno bianco (simbolo dell’adorazione eucaristica) e uno azzurro (simbolo della venerazione alla Madonna). I gruppi sono separati da cinque grani neri, sui quali si recita il Padre Nostro. All’inizio della corona si prega “O Padre della Verità”, invocazione recitata da San Charbel durante la sua ultima Messa, fino al momento della sua morte nella notte di Natale.

 Accanto alla coroncina, spesso accompagna la preghiera il cosiddetto “Olio di San Charbel”, benedetto presso la sua tomba in Libano. Questo olio viene distribuito in occasioni speciali e utilizzato per l’unzione dei malati, come gesto di fede e di richiesta di guarigione. Numerose testimonianze raccontano di miracoli attribuiti a questa pratica. La tradizione dell’olio risale a un episodio della vita del santo: una notte, Charbel chiese dell’olio per la sua lampada, ma, non essendocene disponibile, fu versata dell’acqua. In modo inspiegabile, la fiamma rimase accesa fino al mattino, permettendogli di pregare e meditare. La Chiesa maronita affonda le sue radici nell’eremita San Marone del IV secolo e conserva ancora oggi la lingua liturgica aramaica, la stessa parlata da Gesù.

 AgenSir

 

EDUCARE IN TERRA SANTA


Si può vivere in Terra Santa 

un'educazione inclusiva?

 Le scuole 

del Patriarcato Latino

La testimonianza di don Ibrahim Shomali, direttore delle scuole in Israele del Patriarcato Latino di Gerusalemme

-di Emiliano Eusepi

 

Si può vivere in Terra Santa un’educazione inclusiva che può superare gli ostacoli e difficoltà presenti nella terra dove "tutti siamo nati"? Abbiamo provato a parlarne con don Ibrahim Shomali, direttore delle scuole in Israele del Patriarcato Latino di Gerusalemme che ci ha aperto il cuore e ci ha mostrato i timori e le speranze di una realtà, quella degli Arabi Cristiani che vivono in Israele, di cui forse si parla poco, ma che invece si tratta di una testimonianza da far conoscere e che ci fa riflettere su quante problematiche sono presenti nella Terra di Gesù.

La testimonianza di don Shomali aiuta a comprendere quanto possiamo imparare dalle pietre vive della Terra Santa, che sono i giovani che aiutati nella loro formazione attraverso le scuole del patriarcato rappresentano la speranza di una nuova epoca segnata dalla riconciliazione e dalla pace, proprio là nella terra del "principe della pace".

Questa speranza testimoniata dalla vivacità delle attività delle scuole del patriarcato si alimenta e cresce nella preghiera che è l'unica sorgente a cui attingere per superare i nostri conflitti interiori e con gli altri. Il Santo Padre nella lettera Apostolica " Disegnare nuove mappe di speranza" mette in primo posto proprio la vita spirituale del giovane, e scrive che " ... i giovani chiedono profondità; servono spazi di silenzio, discernimento, dialogo con la coscienza e con Dio".

Ma quale importanza ha la fede negli studenti delle scuole del patriarcato e che valore ha l'accompagnamento spirituale nella loro vita di studenti? 

Don Ibrahim risponde che la domanda le lega alla Chiesa Universale e a quello che scrive il Papa, perché la fede ha certamente un ruolo centrale nella vita degli studenti, "perché noi offriamo radici spirituali , senso di appartenenza e strumenti anche per affrontare le sfide dove viviamo, e l’accompagnamento spirituale è fondamentale per guidare gli studenti nel discernimento ma anche di crescita della coscienza, crescita, interiore, personale, ma soprattutto una coscienza cristiana per essere consapevoli di quello che stiamo vivendo" e don Shomali insiste che" la fede dà identità in un posto dove abbiamo perso la nostra identità, non sappiamo chi siamo, perché siamo qui e cosa dobbiamo fare". La missione spirituale delle realtà educative in Terra Santa ha certamente un’importanza proprio perché ha le sue radici nella storia dei luoghi santi e nonostante la presenza ridotta dei Cristiani in questi luoghi, si tratta però di un piccolo seme che può dare frutto se il terreno dove loro vivono viene "curato e preparato". E il terreno più produttivo è il cuore dei giovani che in Terra Santa necessitano di attenzioni particolari e che veramente hanno bisogno di un’educazione" cuore a cuore".

"Si, afferma don Ibrahim l’educazione cristiana in Israele, svolge un ruolo fondamentale nel promuovere l’identità, il rispetto reciproco e il dialogo in un contesto molto pluralista, le scuole affrontano questa realtà in modo inclusivo e con programmi mirati alla convivenza", convivenza, afferma però, è una parola che non esprime molto, secondo lui, la realtà in cui vivono i Cristiani in Terra Santa, e ci dice che" non mi piace molto la parola convivenza ed io preferisco dire vivere insieme ma sicuramente un punto importante delle scuole è l’identità e le radici, e nelle nostre scuole proviamo ad educare i nostri studenti cristiani a rafforzare la propria identità perché si è capaci di dialogo con gli altri, soprattutto quando sappiamo chi siamo". 

Nella lettera apostolica " Disegnare Mappe di Speranza ", il Santo Padre ha aggiunto tra le priorità educative quella di educare ad una pace disarmata e disarmante, in un contesto segnato da tensioni e conflitti, ma don Shomali ci ricorda che "per il Papa la pace non è solo un obiettivo ma un metodo educativo, e le beatitudini sono il cuore dell’insegnamento cristiano, bisogna trasformare questo “beati gli operatori di pace” in un’occasione per costruire ponti, che è quello di cui ha bisogno la Terra Santa. Nel contesto nostro, anche nei nostri programmi educativi significa anche il parlare con calma, anche con gli studenti e gli insegnanti, e soprattutto favorire la riconciliazione aiutando la gente anche a riconciliarsi con sé stessi e con il loro vicino educando al vivere insieme".

E dopo aver ricordato le difficoltà che la comunità cattolica in Israele deve affrontare, conclude la sua riflessione dicendo che "...dobbiamo superare quell'odio che sta creando questa guerra, un odio profondo e difficile.

La guerra prima o poi finirà con la vincita di uno e la perdita dell'altro o un accordo, ma l'odio rimarrà per anni e anni quindi il ruolo dello dei cristiani é quello di creare ponti per far sparire questo odio da dove viviamo.


ACI Stampa

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domenica 30 novembre 2025

NEL CUORE DI GAZA

UN PADRE E UN FIGLIO

 NELLA TRAGEDIA 

 DI GAZA

Le stelle brillano più forte perché un fondo di notte oscura, l'ambiente più scuro fa risaltare la loro luminosità, a differenza diurnaDal punto di vista scientifico, le stelle brillano a causa della fusione nucleare che avviene nel loro nucleo, un processo che rilascia energia sotto forma di luce. La frase viene anche citata in ambito letterario e religioso per sottolineare che i momenti più bui possono far risaltare maggiormente la speranza o la luce. 


 
Nel mondo immaginario che ho costruito per lui, a Gaza, Walid e io giochiamo alla scuola. 

Mio figlio ha solo tre anni ed è dall’inizio della guerra che recito per proteggerlo. Voglio che creda che la nostra tenda da sfollati sia una villa, che i pochi vasi siano un giardino, che le bombe che piovono intorno a noi siano fuochi d’artificio. 

Ogni sorriso che riesco a strappargli vale tutte le bugie che gli dico. Walid si è appena affacciato alla vita quando la sua esistenza viene stravolta. 

Mese dopo mese, la normalità sparisce: niente scuola, niente giochi, niente dolci, e poi sempre meno tutto, casa, cibo, calore, elettricità, vita. Ma c’è una cosa che suo padre Rami decide che va salvata a ogni costo: il suo sorriso. 

Così, mentre la distruzione avanza e la famiglia è costretta a uno, due, tre, quattro trasferimenti forzati per cercare di sfuggire ai bombardamenti, passando da un appartamento a una tenda, con la complicità della moglie Rami crea intorno a Walid una bolla in cui ansia, tristezza e morte non possono entrare. 

Ogni esplosione è applaudita come un fuoco d’artificio, i droni sono uccelli che vengono a dargli il buongiorno e la tenda diventa la sua classe. Rami sa che, qualunque cosa succeda, non deve permettere che la gioia negli occhi del suo bambino si spenga. 

Accolta da straordinarie recensioni come una versione reale e poetica de La vita è bella per il dramma di Gaza, l’indimenticabile dichiarazione d’amore di un padre per suo figlio e, insieme, il più efficace e realistico resoconto di un giornalista coraggioso sulla tragedia palestinese. 

Un romanzo-verità unico e prezioso, un canto di speranza mai vinta che emoziona, informa, commuove.

Le stelle brillano più forte


sabato 29 novembre 2025

VEGLIATE !

  


PRIMA DOMENICA DI AVVENTO


Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14a; Mt 24,37-44

 

Commento di M. Augé B.

 In questa domenica I di Avvento, ricordiamo che noi tutti siamo in cammino verso la Gerusalemme celeste e ne esprimiamo la gioia quando diciamo col salmista: “Quale gioia, quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore»” (salmo responsoriale). All’inizio dell’Anno liturgico siamo invitati a riprendere con rinnovato coraggio il nostro cammino verso la patria del cielo, in un gioioso contesto di comunione e di pace, ma anche in attesa vigilante del Signore che viene.

L’Avvento ricorda le due venute del Signore e le mette in intimo rapporto, la prima nel mistero della incarnazione e la seconda alla fine dei tempi: “Al suo primo avvento nell’umiltà della condizione umana egli portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria, ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa” (prefazio dell’Avvento I). Questa Ia domenica è tutta quanta incentrata sulla venuta del Signore alla fine dei tempi, alla quale siamo invitati a prepararci. Quando facciamo delle scelte nella vita di ogni giorno, le facciamo avendo davanti l’immagine di un futuro che intendiamo raggiungere: economico, sociale, culturale, ecc. Oggi siamo invitati a farle guardando anche al futuro di Dio, di un Dio che è venuto, viene e verrà per noi.

Il brano evangelico raccoglie alcune parole di Gesù in cui egli afferma che l’incontro con lui alla fine del nostro pellegrinaggio terreno sarà improvviso e inatteso. Il testo evangelico è tutto focalizzato sull’incertezza del quando, che viene ripetuta tre volte: “vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà…”. Siamo invitati quindi a risvegliare in noi uno spirito vigilante. 

La vigilanza è la capacità di essere presenti a ciò che si vive. Non si tratta di una vigilanza passiva e inoperosa, ma attiva e dinamica; dobbiamo andare incontro al Cristo che viene e dobbiamo farlo “con le buone opere” (colletta). Tutta la vita deve essere una preparazione prolungata e fedele ad accogliere Cristo che viene. Un messaggio simile lo troviamo nella prima lettura, in cui il profeta ci esorta a percorrere il nostro cammino “nella luce del Signore”. 

Nella lettura apostolica, san Paolo, riprendendo il simbolismo della luce e, dopo aver ricordato che siamo nella notte in attesa dell’alba luminosa dell’avvento di Cristo, ci invita a svegliarci perché il giorno della salvezza è vicino. In questo contesto, l’Apostolo aggiunge che dobbiamo gettare via le “opere delle tenebre” e comportarci “come in pieno giorno”. Il futuro verso cui camminiamo deve innestare nel presente la tensione per l’impegno nei valori che, vissuti nel presente, conducono al possesso di quelli futuri e definitivi. Ogni attimo della nostra vita è impastato di eternità. Perdere la memoria del futuro equivale ad appiattire il presente. 

Il cristiano essendo una persona di memoria, è una persona di attesa. La nostra esistenza di credenti è destinata a svolgersi, come è naturale, in seno alla storia concreta degli uomini e delle donne ma allo stesso tempo è chiamata a far lievitare la storia con la novità della speranza, cioè con la fede nel progetto salvifico di Dio.

La partecipazione all’eucaristia è “pegno della redenzione eterna” (orazione sulle offerte), ci sostiene nel nostro cammino e ci guida ai beni eterni (cf. orazione dopo la comunione).

 Liturgia e dintorni

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