GESÙ CRISTO
RE DELL'UNIVERSO
Commento al brano del Vangelo di: Gv 18,33-37
Commento al Vangelo del 24 novembre 2024 a cura di p. Alberto Maggi OSM
Allora,
è il processo a Gesù secondo Giovanni. È il capitolo 18 del suo Vangelo, ed è
un processo un po’ strano perché c’è il giudice che ha paura dell’imputato e
l’imputato che rivolge le domande al giudice. Poi la sentenza, alla fine, non
sarà emessa dal giudice ma dall’imputato.
Perché?
Perché, mentre Gesù, legato, è pienamente libero, Pilato, che è libero, in
realtà è prigioniero dei condizionamenti: della sua convenienza, del potere che
detiene e di quello che soprattutto vede in pericolo e vuole mantenere.
Pilato,
che ha partecipato alla cattura di Gesù con l’invio di un battaglione di
soldati, vuole rendersi conto in che cosa consista l’accusa che gli hanno
fatto. Perché è il primo interrogatorio del procuratore romano a colui che è
stato accusato di essere un malfattore.
“Re
dei Giudei” era la designazione del Messia, l’atteso liberatore dalla
dominazione romana. Quando i capi dei Giudei vorranno accusare Paolo e Sila,
riformuleranno la stessa accusa: “Costoro vanno contro i decreti
dell’imperatore, affermando che c’è un altro re: Gesù”.
La
domanda di Pilato mostra che Gesù è stato accusato di essere un agitatore
politico, che vuole mettersi a capo di una ribellione contro l’Impero romano.
Uno dei tanti messia che, regolarmente a quel tempo, si rivoltavano contro
Roma.
Per
esempio, negli Atti si legge di un altro Galileo, il famoso Giuda il Galileo:
al tempo del censimento indusse molta gente a seguirlo. Ma anche lui finì male,
e quelli che si erano lasciati trascinare da lui si dispersero.
Era
tipico, in quell’epoca, che ogni tanto capitasse qualcuno che si metteva a capo
di un gruppo. Ma qui Pilato esprime tutta la sorpresa del rappresentante del
potere imperiale romano, nel trovarsi di fronte a un uomo che ha tutto, tranne
l’apparenza di un pericoloso sobillatore.
Ma
Gesù replicò. Gesù non risponde, per ora, a Pilato. Non è per nulla intimidito
e, mantenendo la piena padronanza di sé, è lui che gli rivolge una domanda:
“Gesù
replicò: ‘Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto di me?'”.
Esattamente
come ha fatto con la guardia. Ricordate? Quando la guardia lo ha
schiaffeggiato,
Gesù
invita quindi Pilato a ragionare con la propria testa, a non essere
condizionato da quello che gli hanno detto.
Pilato
reagisce:
“Pilato reagì: ‘Sono io forse giudeo? La tua nazione e i sommi sacerdoti ti
hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?'”.
Nella
relazione disgustata di Pilato si legge tutto il profondo disprezzo che il
procuratore nutriva verso i Giudei. Pilato ricorda a Gesù che è stata la sua
intera nazione a rifiutarlo e che i suoi rappresentanti più alti sono quelli
che lo hanno denunciato e condotto a lui.
Gesù
è stato condotto da Pilato con l’accusa di essere un malfattore, un criminale
talmente pericoloso per il sistema che non solo le autorità religiose, i sommi
sacerdoti, ma anche il popolo, la “tua nazione”, lo odia.
Lo
ritengono più pericoloso dei pur odiati e temibili dominatori, che vengono
addirittura adoperati come strumento della loro vendetta. Tutti sono contro
Gesù: sia coloro che detengono il potere religioso, sia quelli che sono
sottomessi a questo potere.
Gli
uni, coloro che detengono il potere religioso, vedono in Gesù una minaccia al
proprio prestigio. Gli altri, coloro che sono sottomessi a quel potere, vedono
in Gesù una figura che mette in pericolo la sicurezza che il sistema religioso
offre.
Si
realizza quanto Giovanni aveva annunciato nel Prologo:
“Venni tra i suoi, ma i suoi non lo accolsero”.
Rispose
Gesù: “‘Il regno, quello mio, non è di questo mondo’.
Gesù
non risponde alla domanda finale di Pilato: ‘Che hai fatto?’, ma solo alla
prima, quella che riguardava la sua regalità.
‘Il regno, quello mio, non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo
mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai
Giudei. Ma il mio regno non è di qui'”.
Il
regno di Gesù non si fonda sul potere. Per questo la violenza, propria di
quanti detengono il potere, non è contemplata nel suo regno. Gesù è venuto a
comunicare vita, non a toglierla.
Gesù,
il Dio a servizio degli uomini, è venuto a inaugurare un regno dove il re non
esercita dominio ma amore. Non usa alcun tipo di violenza e non ha servi,
perché non c’è bisogno di servi: lui stesso è il servitore dei suoi.
Gesù
afferma che il suo regno non è un reame, nel senso geografico, ma il potere. La
sua regalità non è “di questo mondo”. Questo, però, non significa che non sia
“in questo mondo”.
L’evangelista
non sta contrapponendo il cielo alla terra, ma due mondi differenti:
- Il mondo di Gesù, quello dell’amore
che comunica vita.
- Il mondo di Pilato, quello dell’odio
che uccide la vita.
Nessuna
conciliazione è possibile tra questi due mondi:
- Quello di Gesù è il regno della luce
e della verità.
L’uno
comunica morte; l’altro comunica vita.
Allora
Pilato gli disse: “‘Dunque, tu sei re?'”.
Pilato
si trova spiazzato da questo individuo, che non dimostra alcun atteggiamento
remissivo, pur sapendo di essere di fronte a colui che può condannarlo a morte
oppure liberarlo.
Per
Pilato, ciò che Gesù afferma è semplicemente assurdo, poiché non vede in questo
prigioniero, in questo Galileo, alcuna delle connotazioni che fanno di un uomo
un re. La domanda di Pilato, quindi, esprime tutta la sua ironia ma anche la
sua curiosità.
Rispose Gesù: “‘Tu dici che sono re’.
A
Gesù non interessa il tema della legalità e tronca bruscamente il discorso per
portarlo su quello della sua missione.
“‘Io per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere
testimonianza alla verità’.
E
qui c’è un’affermazione che dovremmo comprendere, perché è strana, non ce
l’aspetteremmo: “‘Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce'”.
Gesù
rivela la verità di Dio in quanto manifesta l’amore, e la verità sull’uomo,
chiamato a divenire figlio di questo Dio per realizzare il progetto del Padre
su di lui.
La
frase di Gesù è parallela a quella che ha esposto nel dialogo con il fariseo
Nicodemo, quando dice: “‘Chiunque, infatti, fa il male odia la luce; chi fa la verità va verso la
luce'”.
Pone
così una stretta relazione tra la luce e la voce di Gesù, entrambe condizionate
e precedute dalla verità. “Fare la verità”, in opposizione a “fare il male”,
significa operare per il bene degli uomini, come si vede dal parallelismo:
- Quanti fecero il bene.
- Quanti fecero il male.
Gesù
non afferma che chi ascolta la sua voce si situa nella verità, come ci saremmo
aspettati. Non dice:
“‘Chiunque ascolta la mia voce è nella verità'”.
Ma
invece: “‘Chi è dalla verità ascolta la mia voce'”.
Quindi,
appartenere alla verità precede il fatto di poter ascoltare. “Ascoltare” in
senso di capire, comprendere la sua voce. È la condizione.
Quindi,
non si tratta di avere la verità, perché la verità non è una dottrina che si
possiede, ma è un atteggiamento che caratterizza la vita del credente. Per
questo Gesù parla di essere nella verità, di fare la verità.
Essere
nella verità e fare la verità è ciò che permette l’ascolto e la comprensione
del messaggio di Gesù. Significa orientare la propria esistenza a favore del
bene dell’uomo, operando in modo da favorire la vita e mettendo sempre il bene
dell’altro come principio assoluto della propria esistenza.
Quanti
lo fanno sono in grado di ascoltare e di capire la voce di Gesù. Quindi, non
chi ascolta la voce è dalla verità, ma chi è dalla verità — cioè chi ha messo
la sua vita al servizio degli altri — può ascoltare e capire la voce di Gesù.
Altrimenti,
anche se potranno predicarla, non la capiranno. Pertanto, per ascoltare e
aderire a Gesù si richiede una disposizione previa d’amore alla vita e
all’uomo.
Come
ha già detto Giovanni nel prologo: “‘La vita è la luce dell’uomo’”.
Per
questo i farisei, che non sono e non fanno la verità, sono refrattari alla voce
del pastore.
Pilato
rispose: “‘Che cos’è la verità?'”.
Pilato
si mostra incapace di cogliere il significato profondo delle parole di Gesù. È
un uomo dominato dal potere, dalle convenienze e dai condizionamenti della sua
posizione.
Per
lui, la verità non è una realtà vivibile, ma un concetto astratto, senza
significato pratico. La sua domanda, quindi, non è una ricerca autentica, ma
una chiusura.
La
verità, come la intende Gesù, è l’amore incondizionato, che si traduce in un
dono di vita agli altri. Una verità che non si limita a essere pensata, ma si
vive e si manifesta nell’azione.
Dopo
aver detto questo, Pilato uscì di nuovo verso i Giudei: “‘Io non trovo in lui alcuna colpa’”.
Pilato,
pur trovando Gesù innocente, non ha la forza di liberarlo. Cede alle pressioni
dei capi religiosi e del popolo, dimostrando di essere prigioniero del sistema
e incapace di agire secondo giustizia.
Il
processo si concluderà con la condanna di un innocente e la dimostrazione del
fallimento di un potere che non sa farsi portatore di verità e giustizia.
Riflessioni
finali:
Il dialogo tra Gesù e Pilato ci invita a riflettere su quale mondo scegliamo di
appartenere:
- Quello del potere, che divide e
uccide.
- Oppure quello dell’amore, che unisce
e dona vita.
La
verità, per Gesù, non è una dottrina, ma una vita vissuta nel dono, nel
servizio, nella piena adesione al bene degli altri. Solo chi vive questa verità
può ascoltare e comprendere la sua voce, entrando a far parte del suo regno.
Conclusione:
Grazie per la vostra attenzione. Che questo dialogo ci aiuti a
rinnovare il nostro impegno per vivere nella verità e nell’amore.