METAVERSO
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di GIOVANNI SCARAFILE
Qualche
giorno fa mi sono recato in un ufficio pubblico per risolvere una questione
amministrativa. Quando finalmente è giunto il mio turno, il funzionario, con
disarmante naturalezza, mi ha proposto di rimandare «per una maggiore efficacia»
la nostra discussione ad una riunione virtuale su Teams il giorno successivo.
La mia richiesta di discutere l’argomento subito, di persona, visto che ero già
lì, è stata accolta con lo stesso sorriso gentile ed accondiscendente che di
solito si riserva a chi sembri fuori del mondo, come se la mia proposta fosse
un anacronismo in questa era digitale.
L’episodio
che ho vissuto non rappresenta semplicemente una stranezza burocratica, ma
piuttosto evidenzia con forza come la digitalizzazione abbia trasformato,
spesso senza che ce ne accorgessimo, il nostro modo di interagire con il mondo.
Questo cambiamento ha introdotto una mediazione tecnologica quasi costante
nella nostra vita quotidiana, estendendosi anche a quelle situazioni in cui il
suo utilizzo sembrerebbe del tutto superfluo. In un’epoca in cui la presenza
fisica viene spesso sostituita o mediata da schermi e dispositivi, quali sono
le nuove definizioni di “presenza” e “realtà”? La recente commercializzazione
da parte di Apple di Vision Pro, il primo visore con tecnologie di realtà
aumentata (AR) e realtà virtuale (VR), che si aggiunge ad altri visori già sul
mercato, ha rilanciato questo genere di domande.
Uno
degli aspetti più stimolanti della VR è la sua capacità di creare esperienze
immersive che possono superare i limiti del mondo fisico. Dall’apprendimento
immersivo che trasporta gli studenti in epoche storiche lontane, alla
possibilità di “visitare” luoghi inaccessibili da casa propria, la VR apre un
mondo di possibilità che sembrava fantascientifico solo pochi decenni fa.
Queste esperienze hanno il potenziale di arricchire notevolmente l’educazione,
la comprensione culturale e persino l’empatia tra individui di diverse parti
del mondo. Tuttavia, insieme alle opportunità, la VR pone anche sfide
significative. Una preoccupazione fondamentale riguarda la possibilità che le
esperienze virtuali possano diventare così coinvolgenti da distogliere
l’attenzione e il valore dalle interazioni e dalle esperienze nel mondo reale.
Se da un lato la capacità di vivere esperienze impossibili nella realtà è
affascinante, dall’altro lato sorge il timore che possa contribuire a una fuga
dalla realtà, tanto che gli individui potrebbero preferire le realtà costruite
e controllate alla complessità e all’imprevedibilità della vita vera.
Recentemente, in un lungo intervento sul New Yorker, intitolato Dove ci porterà
la realtà virtuale?, Jason Lanier, informatico e saggista statunitense, noto
per aver coniato negli anni Ottanta la locuzione virtual reality, ha messo in
guardia: «La vita all’interno di una costruzione è vita senza una frontiera. È
chiusa, calcolata e senza scopo. La realtà, la realtà vera, la misteriosa roba
fisica, è aperta, sconosciuta e oltre di noi; non dobbiamo perderla».
Il
fascino dell’innovazione digitale, così come la comodità offerta dalle
soluzioni tecnologiche, non dovrebbero oscurare il valore delle esperienze
vissute “nel mondo reale”. La sensazione di toccare con mano, l’incontro occhi
negli occhi, la condivisione di uno spazio fisico con altri esseri umani: tutte
queste sono dimensioni dell’esistenza che la VR e simili tecnologie non possono
pienamente replicare, nonostante le loro promesse di immersione totale. Per
questo, di fronte all’entusiasmo per le possibilità offerte dalla VR, è
importante mantenere una prospettiva equilibrata, ricordando che la tecnologia
dovrebbe arricchire l’esperienza umana, non sostituirla.
Va
dato atto come negli ultimi mesi, la crescente preoccupazione per le
conseguenze delle nuove tecnologie abbia guadagnato spazio nel dibattito
pubblico, portando alla luce questioni cruciali riguardanti il loro impatto
sulla società. In risposta a queste sfide, si è osservato un rinnovato
interesse verso regolamenti e codici etici, considerati strumenti fondamentali
per mitigare i rischi potenziali. L’adozione di queste misure deontologiche è
indubbiamente un progresso significativo, un chiaro segnale di una
consapevolezza crescente riguardo alla necessità di governare l’innovazione
tecnologica in modo responsabile.
Tuttavia,
è essenziale ricordare che la storia ci offre numerosi esempi in cui tali
strumenti non hanno raggiunto l’obiettivo di prevenire danni significativi. Un
caso emblematico è rappresentato dalla crisi finanziaria globale del 2008, un
evento devastante scaturito da pratiche di prestito irresponsabili e
speculazioni finanziarie ad alto rischio, nonostante l’esistenza di regolamenti
etici nel settore finanziario. Questo esempio sottolinea una verità
fondamentale: i codici etici e i regolamenti, per quanto necessari, non sono di
per sé sufficienti a garantire comportamenti responsabili.
Se
oggi accettiamo senza esitazione che un incontro possa essere rimandato su una
piattaforma digitale nonostante la presenza fisica dei partecipanti, ci
troviamo di fronte a una manifestazione tangibile di quanto profondamente la
digitalizzazione abbia permeato la nostra esistenza.
Di
fronte a questo scenario, diventa importante non solo riconoscere, ma anche
interrogare attivamente i presupposti che guidano la nostra integrazione delle
tecnologie nella vita di tutti i giorni. La sfida che emerge non è soltanto
tecnologica o regolatoria, ma profondamente filosofica ed etica. È necessario,
quindi, un impegno collettivo per ricalibrare il nostro approccio alla
tecnologia, assicurando che essa serva a rafforzare piuttosto che a erodere le
dimensioni umane fondamentali della nostra esistenza. Questo richiede un
dialogo aperto e continuo tra tecnologi, filosofi, educatori, legislatori e la
società civile, con l’obiettivo di definire una visione condivisa del ruolo che
la tecnologia dovrebbe avere nel nostro mondo. Dobbiamo coltivare una consapevolezza
critica che ci permetta di valutare non solo i benefici, ma anche i costi
umani, sociali ed etici delle nostre scelte tecnologiche. Solo così potremo
aspirare a una società in cui le innovazioni tecnologiche arricchiscano
genuinamente la nostra vita quotidiana, senza sottrarre valore alla ricchezza
delle nostre esperienze dirette e alla qualità delle nostre relazioni umane.
Ed
infine, in questo panorama complesso e in rapida evoluzione, quale potrebbe
essere il ruolo specifico dei cristiani? Come possono essi contribuire a
orientare la società verso un utilizzo della tecnologia che valorizzi la
dignità umana, approfondisca le relazioni interpersonali e promuova una
comunità autentica?
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