Un attacco
alla legge 194?
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di Giuseppe Savagnone*
Con l’approvazione del
Senato, dopo il sì della Camera, è diventata legge la norma secondo cui le
Regioni, nell’organizzare i servizi dei Consultori familiari, possono
«avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato, anche del coinvolgimento
di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel
sostegno alla maternità».
Una innovazione nella
quale, già da quando è stata proposta, in Commissione, si è visto un attacco
alla legge 194 e alla libertà di scelta delle donne che si rivolgono ai
Consultori per chiedere l’interruzione della gravidanza.
Le critiche possono
essere riassunte nelle parole dell’ordine del giorno presentato dalla deputata
Dem Sara Ferrari, secondo cui la norma ha «il solo scopo di fare entrare nei
Consultori associazioni anti-abortiste che possano incidere psicologicamente, in
modo inaccettabile e violento, sulla volontà delle donne che si confrontano con
la difficilissima scelta dell’interruzione volontaria di gravidanza».
Questa è stata la
posizione ufficiale del PD, la cui segretaria, Elly Schlein, ha parlato di
«attacco pesante alla libertà delle donne». Ma non solo del PD: «L’Italia
sceglie di fare un ulteriore passo indietro», ha dichiarato, da parte sua,
il Movimento 5 stelle. E la deputata pentastellata Gilda Sportiello ha poi
annunciato una proposta di legge per inserire il diritto di aborto nella
nostra Carta costituzionale.
Reazioni dall’estero
Una ipotesi tutt’altro
che peregrina, del resto, dopo che il 4 marzo scorso questo diritto è stato
introdotto nella Costituzione francese e dopo che il Parlamento europeo ha
votato, l’11 aprile, a favore del suo inserimento nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea.
Insomma, il diritto di
aborto sembra avviato a diventare un patrimonio comune di civiltà a livello
internazionale.
Non stupisce, perciò,
che, non solo nel nostro paese, ma anche all’estero l’emendamento riguardante i
Consultori abbia suscitato proteste. La ministra spagnola della
Parità, Ana Redondo, è intervenuta su X: «Consentire le molestie
organizzate contro le donne che vogliono interrompere la loro gravidanza
equivale a disconoscere un diritto riconosciuto dalla legge (…) per frenare
l’uguaglianza tra donne e uomini».
Da Madrid si è fatta
sentire anche Irene Montero, l’ex ministra a cui si deve la legge che, in
Spagna, garantisce l’interruzione di gravidanza libera e sicura nelle strutture
pubbliche a partire dai 16 anni: «L’aborto è un diritto fondamentale di tutte
le donne, è un diritto umano, e fa parte del nostro diritto alla salute».
Le parole dello scandalo
A inasprire il dibattito,
in Italia, sono venute poi le parole pronunciate da Incoronata Boccia, vicedirettrice
del Tg1, alla trasmissione di Serena Bortone “Che sarà”.
Boccia – premettendo di
rendersi conto che le sue erano «parole forti» – ha affermato che, pur «lungi
dal giudicare le storie e le persone», è però necessario dire che sull’aborto
come tale «stiamo scambiando un delitto per un diritto», definendo l’interruzione
volontaria di gravidanza «un omicidio» e appellandosi a voci autorevoli della
Chiesa cattolica come madre Teresa di Calcutta e papa Francesco.
Affermazioni che hanno
scatenato l’immediata reazione delle opposizioni. Quelle di Boccia sono parole
«inammissibili» e contro «l’autodeterminazione della donna», ha detto
Alessandra Maiorino di M5s, e «sviliscono le conquiste delle donne
disconoscendo una legge dello Stato», secondo Luna Zanella di AVS (Alleanza
Verdi e Sinistra).
Ma, ancora una volta, la
presa di posizione più dura è venuta dal PD, che le ha giudicate, con la
senatrice ed ex presidente delle donne democratiche, Cecilia D’Elia,
«inaccettabili». Ma non basta: secondo la capogruppo Dem alla Camera, Chiara
Braga, si porrebbe a questo punto una domanda che «riguarda i vertici Rai», di
cui, come vicedirettrice del Tg1, la Boccia fa parte: «Può ancora ricoprire
quel ruolo chi offende le donne e le leggi?».
Una modalità inopportuna
Che cosa pensare di
queste polemiche, in particolare quelle riguardanti l’emendamento appena
approvato e il so rapporto con la legge 194? Dal punto di vista puramente
formale, appare ragionevole la critica fatta da Mara Garfagna, presidente di
Azione, riferendosi al fatto che la nuova normativa è passata grazie al voto di
fiducia chiesto dal governo per il disegno di legge di conversione del decreto
PNRR.
«Non fa onore alla
politica avere inserito l’emendamento in silenzio dentro un provvedimento che
serve a tutt’altro», ha rilevato la Garfagna. Da qui l’accusa, mossa alla
destra dal capogruppo PD al Senato, Francesco Boccia, di aver
compiuto «un blitz».
Da qui, soprattutto,
l’equivoco che l’eventuale collaborazione delle associazioni del terzo settore
ai Consultori comporti – come allarmisticamente qualcuno ha detto e molti hanno
creduto – l’utilizzo dei soldi del PNRR, e sia dunque «a spese dei contribuenti»,
quando invece nel testo si escludono espressamente «nuovi o maggiori oneri
a carico dello Stato».
Una diversa procedura
avrebbe forse potuto evitare questa ennesima gaffe, dopo le tante a cui questo
governo ci ha abituato.
Che cosa dice la legge
194…
Ma il problema decisivo,
ovviamente, è se l’introduzione della norma che prevede la possibilità, da
parte dei Consultori familiari, di «avvalersi, senza nuovi o maggiori
oneri a carico dello Stato, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo
settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla
maternità» sia compatibile o meno con la lettera e lo spirito della legge 194.
«Neppure la vecchia Dc,
la Dc super cattolica di Giulio Andreotti che controfirmò la Legge 194
ignorando gli appelli dell’oltranzismo a dimettersi, aveva mai immaginato di
consentire ai privati di intromettersi nel percorso accuratamente prescritto
dalla norma», ha scritto Flavia Perina su «Repubblica».
Tuttavia, basta leggere
il testo della legge per trovare, all’art.2, un disposizione che smentisce
inequivocabilmente questa critica: «I consultori, vi si dice, «sulla base di
appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla
legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e
di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità
difficile dopo la nascita».
La Perina ha presente
l’articolo, ma ritiene che esso ammetta «un unico intervento
dell’associazionismo: a sostegno della maternità difficile “dopo la nascita” (e
non prima della scelta)».
Evidentemente deve
esserle sfuggito che il testo legislativo, dopo aver parlato della
collaborazione delle associazioni private nei Consultori «per i fini
previsti dalla legge» (che non riguardano solo la fase post-partum, ma
proprio la fase della scelta), aggiunge solo successivamente che esse possono
«anche» aiutare dopo la nascita. Dove la seconda cosa non esclude la prima
(«anche»).
Perciò, almeno in questo
caso, ha ragione la ministra Eugenia Roccella a rispondere alle critiche nei
confronti della normativa, facendo notare che «l’emendamento non fa altro che
riprodurre alla lettera un articolo della legge sull’aborto in vigore da quarantasei
anni».
Resta da chiedersi
perché, allora, sia stato necessario un nuovo intervento normativo. La
spiegazione data dal governo e in moltissimi casi confermata dai fatti è che
fin qui la legge è stata unilateralmente interpretata solo nella parte che
legittima l’interruzione volontaria della gravidanza, come d’altronde
dimostrano le innumerevoli prese di posizione che, nell’attuale dibattito, le
attribuiscono il riconoscimento del “diritto di aborto”.
… E qual è il suo spirito
Ma è veramente questo lo
spirito della legge 194? Ancora una volta basta leggere il testo per
rispondere. Cominciamo dall’art. 1, dove si esordisce dicendo che «lo Stato
garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il
valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio».
Esattamente al contrario
della tesi oggi dominante, qui si esclude che il problema dell’interruzione
della gravidanza si identifichi con quello della proprietà, da parte della
donna, del proprio corpo, perché si ammette chiaramente l’esistenza di un soggetto
umano che fin dall’inizio è presente e va tutelato. Al centro non c’è soltanto
la donna, con i suoi diritti, ma la coppia madre-figlio («la maternità»).
Coerentemente con
questo, all’art. 2 si precisa che il compito del Consultorio è di
contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna
all’interruzione della gravidanza».
Il punto cruciale non è
l’aborto, ma il modo evitarlo. Per questo possono essere utili gli apporti
delle associazioni del volontariato, che non a caso vengono menzionate in
questo contesto.
La legge certamente
prevede la possibilità di abortire. Ma lo fa non nella logica dell’autonomia
della donna, bensì in quella, molto diversa, del riconoscimento delle
drammatiche situazioni che possono spingerla a farlo.
Perciò,
all’art.4, ci si riferisce esplicitamente alle «circostanze per le quali
la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un
serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato
di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle
circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o
malformazioni del concepito». Non una parola sul “diritto di aborto” come
simbolo della libertà della donna e della sua giusta emancipazione.
Al contrario, all’art. 5,
si dice che « il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover
garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso (…) di
esaminare con la donna (…) le possibili soluzioni dei problemi proposti, di
aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della
gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e
di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna,
offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il
parto».
Questo dice la legge 194.
Con i suoi numerosi punti deboli – in primo luogo una certa vaghezza
nell’indicazione dei controlli, che la espone a facili abusi – essa è però
chiara nei criteri di fondo. L’aborto, nella vita delle donne, è un
dramma da soccorrere, non una bandiera da sventolare.
Esso comporta il doloroso
sacrificio di una «vita umana» (art. 1) e l’intera società è chiamata a lottare
perché la donna non vi sia costretta (art. 2). E la censura in TV, invocata per
la Boccia – paradossalmente, dagli stessi che l’hanno condannata nel caso
Scurati – , non è a difesa della legge in questione, ma di una ideologia che le
è estranea.
*Scrittore ed
Editorialista. Pastorale della Cultura. Arcidiocesi Palermo
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