domenica 31 luglio 2022
sabato 30 luglio 2022
SEI FATTO PER VOLARE
“Cammina verso l’alto.
“Cammina verso l’alto. La tua
vocazione é tendere verso l’alto, senza lasciarti trascinare in basso da chi
vuol farti credere che sia meglio pensare solo a te stesso e usare il tempo che
hai unicamente per il tuo svago e i tuoi interessi.
Amico, non sei fatto per
vivacchiare, per passare le giornate bilanciando doveri e piaceri, sei fatto
per librarti verso l’alto, verso i desideri più veri e belli che porti nel
cuore, verso Dio da amare e il prossimo da servire.
Non pensare che i grandi sogni della
vita siano cieli irraggiungibili.
Sei fatto per spiccare il volo, per
abbracciare il coraggio della verità e promuovere la bellezza della giustizia,
per “elevare la tua tempra morale, essere compassionevole, servire gli altri e
costruire relazioni. per seminare pace e cura dove ti trovi; per accendere
l’entusiasmo di chi ti vive accanto; per andare oltre, non per livellare tutto
quanto”.
Papa Francesco - 29 luglio 2022
UN GESTO, UN MESSAGGIO
La prossimità del Papa, specie negli incontri con le popolazioni indigene, è stato il segno distintivo del viaggio apostolico in Canada. Tanti i gesti che hanno sottolineato la dimensione penitenziale e di riconciliazione che Francesco ha voluto dare alla visita in terra canadese.
- di Alessandro
Gisotti
“Un efficace
processo di risanamento richiede azioni concrete”. Francesco lo aveva
sottolineato concludendo il discorso alle delegazioni dei popoli indigeni del
Canada, ricevute in Vaticano, la scorsa primavera. Il viaggio in terra
canadese, affrontato con gioia dal Papa nonostante le difficoltà di
deambulazione, si è contraddistinto proprio per quelle “azioni concrete” che
sono i gesti. Atti che hanno preceduto o accompagnato le parole pronunciate dal
Pontefice nel grande Stato nord-americano e, in particolare, i suoi richiami
alla giustizia e al perdono come premessa di un autentico cammino di
riconciliazione. In un qualche modo, si può affermare che il viaggio stesso sia
stato un’azione concreta “dall’impatto enorme”, per riprendere l’affermazione
del premier Justin Trudeau. Anche i giornali canadesi hanno pubblicato in
questi giorni sulle loro prime pagine grandi foto che immortalavano tali gesti
così significativi. Del resto, passati solo pochi minuti dall’arrivo a
Edmonton, prima tappa della visita, il Papa aveva già compiuto un gesto tanto
semplice quanto efficace per dare sostanza alla definizione “pellegrinaggio
penitenziale” da lui indicata per questo viaggio apostolico: baciare la mano di
un’anziana signora indigena, durante la cerimonia di accoglienza in aeroporto.
Ogni viaggio
papale si può (anche) raccontare per immagini. Ciò vale forse ancora di più
questa volta, tanto è stato forte il valore simbolico degli eventi e degli
incontri a partire da quello di lunedì scorso a Maskwacis, che ha avuto un suo
ideale raccordo con quello conclusivo a Iqaluit, con i giovani e gli anziani
del popolo Inuit. Il Papa che, sulla carrozzina, prega silenziosamente nel
cimitero della comunità di Ermineskin. Il Papa che bacia lo striscione rosso
con impressi i nomi dei bambini morti nelle scuole residenziali e poi in piedi,
senza l’ausilio del bastone, sta davanti al capo indigeno “Aquila dorata” che
gli pone sulla testa un copricapo segno di rispetto e riconoscimento di
autorevolezza. Ancora, quel gesto di riconsegna dei mocassini rossi, simbolo
del dolore di tanti ragazzi indigeni, che gli erano stati donati in Vaticano
quattro mesi fa. Particolarmente evocativa l’immagine di Francesco assorto in
meditazione sulle rive del Lac Ste. Anne, un luogo che unisce nella devozione
popoli indigeni e fedeli cattolici. Un’istantanea dal sapore evangelico che ci
riporta alle sorgenti della fede e che, come ha poi sottolineato nell’omelia,
ci fa immaginare un altro lago, a migliaia di chilometri di distanza, quello di
Galilea inscindibilmente legato alla vita e alla predicazione di Gesù.
Francesco
non è mai rimasto distante dal dolore delle persone che ha incontrato. Per
ascoltare, ascoltare con il cuore - ci ha testimoniato tante volte - bisogna
stare vicino al prossimo. Un atteggiamento che si è visto molto bene
nell’incontro di ieri con gli ex alunni della scuola residenziale di Iqaluit,
“ai confini del mondo”. Francesco si è seduto in mezzo a loro in una fila di
sedie a forma di cerchio, ponendosi dunque “alla pari”. Arrivato fino a soli
trecento chilometri dal Circolo Polare Artico, ha così ribadito concretamente
con questo gesto che il pastore deve avere l’odore delle pecore, soprattutto di
quelle più lontane e ferite.
Un viaggio
quindi che ha visto intrecciarsi armonicamente - come i fili delle fasce
colorate delle vesti degli indigeni - gesti e parole, discorsi e azioni
concrete. Il gesto, parafrasando il noto mass-mediologo Marshall McLuhan
(canadese e cattolico), si è così fatto messaggio. Un messaggio di amore e di
riconciliazione.
Vatican News
LA STOLTEZZA DELLA CUPIDIGIA
“E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». (Lc 12, 13-21)
Commento al Vangelo del 31 luglio
2022 - don Oreste Bensi
(XVIII Domenica del Tempo Ordinario-
Anno C)
La ricchezza, per natura sua, rende
la persona arrogante. Perché la rende arrogante? Perché la pone fuori, “fuori
serie”, quindi per natura sua è arrogante!
Il valore della persona non viene
dato dai beni posseduti. Il modo di ragionare degli uomini, che definisce il
valore della persona a seconda dei possedimenti che ha, in base alla potenza
economica o politica che possiede, è sbagliato. Il valore nell’uomo è
nell’intimo del suo essere, creato ad immagine e somiglianza di Dio. Il valore
nell’uomo è tanto più grande quanto più la sua vita è conforme alla sua vera
identità. La via da seguire per risolvere le questioni finanziarie familiari, e
non solo quelle, è di tenersi lontani da ogni cupidigia. Lo scopo nella vita è
arricchire davanti a Dio, cioè di essere ricchi della sapienza di Dio, e non
accumulare tesori per sé.
Il mondo di Dio è un mondo
completamente a rovescio rispetto al nostro: quello che è sapienza umana è
stoltezza agli occhi di Dio, quello che invece è stoltezza agli occhi degli
uomini è sapienza agli occhi di Dio (vedi 1 Cor 1,25). Davvero non rimane altro
che questo: «Signore, sono nelle tue mani!».
IN CAMMINO VERSO LE ELEZIONI
si identifica con le persone
- di Giuseppe
Savagnone*
La campagna
elettorale procede, in questi giorni, sull’onda di piccoli e grandi scontri tra
fronti opposti e, all’interno di essi, tra partiti alleati. L’ultimo è quello
relativo alla presunta influenza della Russia sulla caduta del governo Draghi,
che vede la Lega sotto attacco da parte del PD e sostenuta da Fratelli d’Italia
e Forza Italia.
Ma anche nei
confini del centro-destra si sono appena risolti i dissidi sui rapporti di
potere, legati alla scelta del futuro premier, e nel centro-sinistra non sono
stati ancora definiti i confini dell’ex “campo largo”, ribattezzato “campo
aperto”. Per non parlare dei 5Stelle, attaccati da tutti e divisi al loro
interno.
In questa
ridda di voci dissonanti, la sola cosa che manca, da tutte le parti, è un
progetto politico da proporre agli elettori e su cui gli italiani siano
chiamati a scegliere il proprio futuro. I programmi sembrano essere l’ultimo
problema dei partiti.
In primo
piano sono le persone dei rispettivi leader. Non è una novità. Tutta la storia
della Seconda Repubblica è stata dominata dalla figura di Berlusconi.
Impossibile parlare della sua politica a prescindere dalla sua vicenda
personale di imprenditore, più precisamente di fondatore in Italia di quella
televisione commerciale che ha rivoluzionato la vita degli italiani
sostituendosi alla TV “pedagogica” di Bernabei e dei tempi della Democrazia
cristiana.
Prima ancora
di essere un importante uomo politico – suo il governo più duraturo della
Seconda Repubblica – Berlusconi è stato, in un certo senso, un educatore (non è
questa la sede per giudicare se in senso positivo o negativo), il cui influsso
culturale per il nostro Paese è stato decisivo nel passaggio dalla fine del
Novecento al nuovo millennio.
Da una
programmazione che in prima serata trasmetteva i drammi di Pirandello o di
Claudel e gli sceneggiati tratti dai grandi romanzi della letteratura mondiale,
con le sue televisioni si è passati a una fondata sulla pubblicità e quindi
necessariamente legata alla domanda della maggior parte degli spettatori,
tendenzialmente propensa ad altri generi.
E il movimento è stato così inarrestabile che la stessa televisione pubblica
alla fine ha dovuto adeguarsi. Lo stesso Berlusconi è stato in qualche modo la
proiezione dei sogni di tanti che, frustrati spesso da una vita mediocre, hanno
visto in lui l’immagine ideale dell’uomo di successo. Tutto questo è rifluito
sulla sua folgorante carriera di politico che, dal nulla, ha dato vita a un
partito – Forza Italia – capace nel giro di pochissimo tempo di andare al
governo.
Più che di
programmi scritti a tavolino, le sue scelte politiche sono sempre state
espressione immediata della sua inventiva e del suo fiuto nel cogliere le
situazioni. E i suoi nemici più che combattere le sue idee, hanno attaccato la
sua persona. Perfino la sua vita privata più intima è diventata oggetto di
discussione pubblica.
Come
rilevanza pubblica hanno avuto i numerosi processi che gli sono stati intentati
– dando origine alla sua convinzione di essere perseguitato dalla magistratura
– , e uno dei quali gli è costata una condanna definitiva, senza per questo
bloccare la sua carriera politica, proseguita fino ad oggi.
Il declino
delle idee e il primato dell’economia
Ma
Berlusconi è stato solo l’emblema di una stagione politica in cui il declino
delle ideologie ha corrisposto anche a quello delle idee. Il grande scontro che
aveva dominato il Novecento e che aveva visto contrapposte la visione liberale,
quella della destra totalitaria e quella comunista, si è progressivamente
svuotato di senso, nella seconda metà del secolo scorso, con la sconfitta
militare del nazi-fascismo e il crollo economico dell’Unione Sovietica.
Il solo
protagonista rimasto in campo, il neocapitalismo, ha potuto farsi scambiare per
l’unica soluzione possibile, malgrado le isolate e inascoltate proteste di
qualche papa, come Giovanni Paolo II («Centesimus annus») e Francesco («Laudato
si’»).
Questo nuovo
quadro internazionale ha prodotto i suoi effetti anche in Italia. Non ci sono
stati più progetti di grande respiro, in grado di far intravedere una società
diversa. Lo scontro tra i partiti è avvenuto nel clima rissoso dei talk show
televisivi o nei linciaggi mediatici su Facebook. E le scelte si sono fatte
prevalentemente in base a stati d’animo polarizzati da individui – Renzi,
Grillo, Salvini, oggi la Meloni – le cui immagini sono state enfatizzate dai
giornali, dalle televisioni e da Internet, dando pochissimo spazio ai contenuti
delle loro proposte politiche.
Il terreno
ideale per un populismo che disprezzava gli intellettuali e che, come anche i
fatti hanno ampiamente dimostrato, non aveva molto chiare neppure le idee. A
riempire il vuoto politico, in questi ultimi anni, è stata l’economia. Sono
stati i parametri stabiliti a Maastricht, e più in generale le linee stabilite
dall’Unione Europea, a fornire ai nostri governi le piste obbligate su cui
procedere. Non è un caso che il nostro più solido e apprezzato esempio di governante
sia stato Draghi, un banchiere. Anche se ci si dovrebbe ricordare che
l’economia riguarda i mezzi e non i fini, e che questi ultimi dovrebbero essere
stabiliti dalla politica. Salvo a essere di fatto perseguiti occultamente,
senza passare al vaglio del giudizio popolare, come vorrebbe una democrazia
degna di questo nome.
Il risultato
di questo meccanismo economico sganciato da una reale progettualità politica e
affidato alla logica degli interessi privati è sotto i nostri occhi. L’ultimo
rapporto Istat denuncia la presenza, in Italia, di più 5milioni e mezzo di
persone in condizioni di povertà assoluta. E già in precedenza era segnalato un
progressivo approfondirsi del divario tra ricchi e poveri. I 4o italiani più
ricchi possiedono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli
italiani più poveri.
I partiti di
fronte alla scadenza elettorale
Questa
carenza di progettualità propriamente politica si risente pesantemente alla
vigilia delle imminenti elezioni. Che cosa propongono in realtà i partiti per
convincere gli elettori a preferirli? Da tempo la sinistra, orfana del
marxismo, è tutta presa dalle sue battaglia per i diritti individuali e sembra
aver rinunziato a proporre un’alternativa, radicale o anche moderata, alla
prospettiva liberale e al sistema capitalistico.
Il fatto
stesso che il PD si rifaccia in modo esclusivo all’“Agenda Draghi”, pur essendo
comprensibile, data la gravità della congiuntura economica, è un segno evidente
di questa rinunzia. Non meno vaghe sembrano le proposte dei 5Stelle, partiti
con una grande carica innovatrice, ma attualmente incapaci, sembrerebbe, di
proporre serie riforme del sistema.
A meno che
non si voglia considerare tale il reddito di cittadinanza, che, secondo
l’ultimo rapporto Istat, è senz’altro servito a limitare l’impoverimento della
popolazione, ma non è certo un correttivo strutturale ai meccanismi che lo
producono. Quanto alla destra, anch’essa appare, alla vigilia di queste
elezioni, ossessionata da un problema settoriale – quello delle migrazioni –
che, per quanto importante, non può sostituire un orizzonte progettuale
globale. Da parte sua, la Meloni sembra per ora soprattutto preoccupata di
dimostrare, ripetendolo a ogni pie’ sospinto, di non voler rompere con la
tradizionale fedeltà all’atlantismo dell’Italia. In mancanza di una proposta
d’insieme chiara, la politica estera diventa l’unico punto di riferimento. Ma
non basta certo a dire qual è il suo progetto politico complessivo.
La probabile
ascesa al governo della leader di Fratelli d’Italia rischia così di
assomigliare a un uovo di Pasqua, in cui solo alla fine salta fuori la
sorpresa. Ma siamo sicuri che sia questo il corretto funzionamento di una
democrazia? Nessuna meraviglia che un numero crescente di italiani si sia
stancato di una politica ridotta a questo show senza contenuto.
Dopo gli
anni della Prima Repubblica, in cui l’astensionismo era rimasto entro limiti
molto contenuti, passando dal 7,1% nel 1968 al
7,4% nel 1996 (0,3 in più in quasi trentanni), esso ha avuto
un’impennata nella Seconda, arrivando al 27% nel 2018 (20 punti in più nel giro
di poco più di vent’anni!).
No, non è
questa la democrazia. Vogliamo sapere che cosa il nostro voto produrrà. Che uso
verrà fatto, a lunga scadenza, dei soldi dell’UE, non solo per rattoppare i
buchi, ma per dare un orientamento al nostro Paese (e questo l’agenda Draghi
non può dirlo). Che cosa intende fare la Meloni se davvero si realizza il suo
sogno di prendere il potere.
È ora che
gli interessati diano queste risposte. Non ci bastano le loro facce sorridenti
sui manifesti elettorali. Il Paese ha diritto di conoscere i loro programmi e
di sapere che essi si impegnano a rispettarli. Perché queste elezioni non siano
come un uovo di Pasqua.
* Pastorale
della Cultura, Diocesi di Palermo
venerdì 29 luglio 2022
DOMINIUM TERRAE
La sfida ambientale è dunque innanzitutto una sfida spirituale, ma anche una sfida educativa. Bisogna infatti tornare alla sobrietà come valore inseparabile della solidarietà e opporsi alla logica dello sfrenato consumismo, rieducando noi e i nostri giovani ad uno stile di vita in cui “meno è di più”, rendendoci così di nuovo capaci di gustare le piccole cose e di godere della vita.
-di Sabrina Corsello
È chiaro
infatti che, per quanto artificio si intenda tutto ciò di cui l’uomo è artefice
e che deriva dall’uso dell’arte, tuttavia da ciò non segue che l’essere umano
sia esso stesso artificio. Esiste infatti una realtà che, benché sia
trasformabile da parte dell’uomo, tuttavia non è da lui prodotta. Ed è proprio
all’interno di questa realtà modificabile, ma non prodotta dalla mano umana, che
l’uomo stesso si colloca. La posizione occupata dall’uomo è dunque quella a
metà strada tra natura e artificio.
Da un lato
vi è l’idea che vi sia una natura governata da leggi naturali universali che
operano su tutti gli esseri viventi, uomo incluso, dall’altra vi è un uomo che
ritiene, ogni giorno sempre di più, di poter fare a meno di queste leggi,
vittima di un’illusione di onnipotenza che lo porta a pensare che non possa e
non debba esserci alcun limite al suo potere di azione. Oggi sembra che la natura
stessa si stia ribellando in varie forme a questo strapotere e che l’uomo
stesso ne stia pagando le spese.
Disastri
ambientali, emergenze climatiche, pandemie sembrano i segnali sempre più chiari
ed evidenti di una natura che si ribella e grida all’uomo che non può più
ignorare le sue leggi. Che sia finalmente arrivato il momento di comprendere
che non possiamo più considerare la natura come separata da noi, come se fosse
la mera cornice estetica delle nostre vite? Forse, finalmente, a caro prezzo,
l’umanità sta iniziando a comprendere che la salvaguardia della natura è
garanzia di salvaguardia di se stessa.
Ma come è
stata possibile una simile strumentalizzazione della natura da parte dell’uomo?
L’epoca moderna, dal Rinascimento in poi, è stata caratterizzata da un
antropocentrismo la cui elaborazione ha finito con il legittimare un uso
strumentale ed utilitaristico delle risorse naturali. A questo si è anche
aggiunta una interpretazione distorta del tema biblico del dominium terrae, per
la quale l’uomo sarebbe il padrone assoluto e incontrastato del creato cui ogni
creatura sarebbe sottomessa.
Uno dei
passi più discussi lo troviamo in Gen 1, 26-29, in cui si legge che Dio, dopo
aver creato l’uomo a sua immagine, gli ordina di soggiogare e dominare sui pesci
del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni altro essere vivente. Purtroppo,
tali versetti non sempre sono stati letti assieme a quelli seguenti che
troviamo in Gen.2,15, nei quali Dio, pone l’uomo nel giardino di Eden perché lo
coltivi e lo custodisca.
Il coltivare
e il custodire rimandano dunque all’idea del custode e del lavoratore e dunque
di un uomo che, in tal modo, si rende partecipe dell’opera della creazione,
portando a compimento quella creaturalità (ricordiamo che creaturus è un
participio futuro) che non è mai da intendersi come un dato di fatto, ma come
un compito tutto da assolvere.
L’uomo così,
pur essendo già creato ad immagine e somiglianza di Dio, diviene creatura
attraverso la sua stessa opera. Il dominio dell’uomo, ben lungi dunque dal
potersi intendere come attribuzione di un potere assoluto su tutto il resto
degli esseri viventi, è una vera e propria chiamata alla responsabilità di
quell’essere vivente che, in quanto dotato di ragione, è l’unico in grado di
“rispondere” e di aderire alle leggi della natura in modo consapevole. Come ci
ha spiegato Tommaso d’Aquino, mentre la legge naturale opera su tutti gli
esseri viventi in modo irriflesso e necessario, nell’uomo richiede un’adesione
consapevole e libera.
L’uomo cioè,
in quanto essere dotato di ragione, è l’unico essere vivente che può essere
chiamato in causa in qualità di custode e di amministratore responsabile. Si
tratta dunque di un problema spirituale prima ancora che ecologico. Non a caso,
Papa Francesco ha voluto dedicare al tema un’enciclica, la Laudato si’. Si
tratta di una lettera che si rivolge non solo ai credenti, ma a tutte le
persone che sentano forte la responsabilità verso la nostra casa comune.
È la prima
volta che la Chiesa cattolica pubblica un documento ufficiale sul tema della
salvaguardia dell’ambiente, ma lo fa puntando alla conversione del cuore
dell’uomo. Per risolvere il problema, non è utile infatti rifugiarsi in un
atteggiamento fideistico nei confronti di sempre nuovi ritrovati tecnologici,
né tanto meno colpevolizzare un uomo sempre più inteso come minaccia per
l’ecosistema, la cui presenza debba addirittura essere ridotta attraverso
drammatiche strategie di depopolamento o inducendo sterilità.
L’uomo
rimane quella creatura che ha sempre dinanzi a sé un cammino da fare, un
compito da assolvere, una vocazione cui rispondere. Se però tutto è connesso e
l’uomo è parte integrante della natura, allora la prima conversione deve essere
quella dell’uomo. Non può esistere, infatti, un problema ecologico che possa
essere affrontato prescindendo dal problema etico, economico e dal senso di
giustizia verso i poveri.
Occorre
essere consapevoli, si legge nell’enciclica, che «l’ambiente umano e l’ambiente
naturale si degradano insieme» e che alla radice del problema vi è il
predominio dell’interesse economico di un “mercato divinizzato”, che non
rispetta le leggi della natura e che non conosce limiti inviolabili. Pertanto
“le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del
funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei
suoi modi di comprendere la realtà”. Se la terra è ferita, ciò accade perché a
prevalere è sempre la logica della speculazione finanziaria, che nel pianeta
vede solo una fonte infinita di risorse da estrarre incondizionatamente e che
persino osa prefigurarsi il ricorso allo sfruttamento di altri pianeti,
esaurite le risorse della terra.
Il fatto che
oggi tutto questo si stia ritorcendo contro l’uomo e il suo benessere non è che
la prova provata che egli è parte integrante di questo ecosistema. Alla
transizione ecologica viene così preferita la conversione spirituale di un uomo
capace di rifondare la sua vocazione di custode dell’opera di Dio. Solo un
amministratore responsabile può infatti contrastare quel relativismo pratico,
che dà assoluta priorità agli interessi contingenti e trascura le prospettive
di lungo termine. Non ci sono dunque due crisi separate, una ambientale e
un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale che richiede
di affrontare in parallelo il compito di combattere la povertà, di restituire
la dignità agli esclusi, di prendersi cura della natura.
Tuttavia,
affinché questo progetto possa divenire praticabile occorre rilanciare il senso
della comunità e dell’appartenenza. Com’è possibile, infatti, prendersi cura
degli spazi pubblici se non si ha la percezione del proprio radicamento, se in
essi non ci si sente a casa, se non si riesce a vivere la città come uno spazio
che “ci contiene e ci unisce” e infine se non si riesce a «concepire il pianeta
come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune”? Ecco un’altra
ragione per cui occorre ripartire dall’etica e dalla spiritualità, prima ancora
che dalla scienza, specie se per scienza si intenda quello scientismo, oggi
tanto in voga, che troppo spesso usa la tecnica come un’arma da usare contro la
natura e dunque contro l’essere umano.
Non è
possibile uscire da una logica utilitaristica che fa della natura uno strumento
per il soddisfacimento di falsi bisogni, prescindendo dalla conversione del
cuore umano. Infatti, “Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di
oggetti da comprare, possedere e consumare” e dunque più si allontana dalla
possibilità di concepire la natura e l’ambiente in cui viviamo come un fine in
sé.
Si tratta
perciò di rieducare le nostre menti a nuovi stili di vita, compatibili con la
salvaguardia del creato. Un buon inizio potrebbe essere per il cristiano – ma
non solo – quello di tornare a vivere il giorno del riposo celebrato dalla
tradizione biblica come giorno della contemplazione estetica contro la logica
dell’efficientismo. In fondo sono le stesse meraviglie del creato che ci
invitano alla contemplazione, ad un atteggiamento estatico. Forse è proprio
questo il senso di quell’idea secondo cui la bellezza salverà il mondo.
giovedì 28 luglio 2022
IL METAVERSO A SCUOLA
Non siamo ancora in grado di stimare gli effetti di un ingresso della scuola nel Metaverso (o viceversa). Ma potrebbe essere un’opportunità,
La
qualità dell’insegnamento è sempre più importante ed è corroborata dalle
innovazioni didattiche, per questo è utile spendere alcune parole su cosa sia
il Metaverso e perché Mark Zuckerberg, sulla
sua scia, abbia cambiato il nome di Facebook in Meta.
In
sintesi, il Metaverso è una realtà virtuale molto più assorbente e profonda di
quella finora sperimentata. Grazie a una visiera (oggi si stanno sperimentando
degli appositi occhiali, molto meno invasivi), si può entrare in un mondo
virtuale, avvalendosi di un proprio avatar, il quale può interagire con gli
avatar di altri. Il nostro io digitale, così, sperimenta una vita parallela a
quella che noi comunemente consideriamo come reale. La prima espansione di
questa nuova realtà avverrà probabilmente tramite la diffusione di giochi di
community, dove ciascuno avrà un proprio ruolo, “incarnato” in un player
più o meno stabile.
Si
può immaginare, tuttavia, come il Metaverso possa espandersi sino a coinvolgere
altri ambiti, come quello lavorativo, dove saranno possibili varie attività (ad
esempio quelle che oggi svolgiamo in presenza con i nostri colleghi) e vere e
proprie transazioni, come la compravendita di beni e cose. Non a caso, nella
realtà del Metaverso disponiamo di denaro (criptovalute) per l’acquisto di
oggetti digitali che, registrati da appositi algoritmi (blockchain), diventano
insostituibili e unici, ovvero Nft (Not Fungible Token).
C’è
da chiedersi se qualcuno, dopo aver sperimentato la vita parallela per molte
ore nell’arco della giornata, continui a preferire la propria identità fisica e
reale a quella digitale. Forse alcuni sceglierebbero il mondo
virtuale, perché più adattabile alle proprie esigenze, piuttosto
che quello reale. Soprattutto, a questo punto, giova porsi un’altra domanda: è
possibile che il Metaverso, in futuro, non coinvolga il mondo della formazione
e della scuola?
La
domanda è retorica, perché inevitabilmente quel mondo sarà pervaso e forse travolto dal Metaverso,
anzi tutto attraverso la gamification, cioè
l’uso didattico di meccanismi dei videogiochi. Inoltre si hanno evidenti
segnali economici di quanto sta per accadere: la finanza si sta interessando
alla formazione, perché è in corso, a livello mondiale, un’incredibile
riconversione del capitale umano, come sostiene Fabio Vaccarono, l’Ad di
Multiversity, la società che controlla varie università private (Pegaso,
Mercatorum e altro ancora).
Alcuni
fondi di private equity investono nelle aziende che si
occupano di formazione, nelle start up più promettenti, che non solo formulano
previsioni sul futuro, ma contribuiscono a costruirlo, secondo il dinamismo
delle profezie “autorealizzantisi”. C’è da attendersi, infatti, che una
realtà virtuale così potente e immersiva, come il Metaverso, trovi applicazioni
formative. È evidente come, grazie ad essa, sia possibile creare infinite
situazioni finalizzate a costruire o mettere alla prova le competenze degli
alunni. La didattica, inoltre, contemplerà straordinari processi di
personalizzazione e il ruolo del docente, che tutt’oggi effettua perlopiù
lezioni trasmissive, in “modalità cinema”, richiederà forti innovazioni. Gli
insegnanti diventeranno animatori e registi dei processi di apprendimento.
La
cosa può non piacere e anzi sdegnerà una parte consistente dei docenti e dei
sindacati della scuola, ma, se si dimostrasse che con il Metaverso si può
apprendere in maniera più efficace, sarebbe difficile propugnare
aprioristicamente il solo valore delle tradizionali
lezioni. Entrerà in crisi anche il primato del sistema statale
di formazione, che in Italia gode di un credito inossidabile: le scuole saranno
valutate dall’opinione pubblica per come operano, indipendentemente dal fatto
che si tratti di istituzioni pubbliche o società private.
C’è
anche un ultimo aspetto sul quale porre l’attenzione ed è quello relativo al
ruolo che la scuola può avere rispetto alla coesione sociale, che è un tema non
sempre opportunamente individuato. Secondo Perulli e Vettorino, la tradizionale
composizione sociale delle classi, oggi, sta radicalmente cambiando e si sono
determinate delle faglie che descrivono una triade di gruppi sociali: quello
delle élite, spesso indifferenti ai destini nazionali e in progressiva
riduzione, quello della classe creativa, che si avvale della conoscenza come
strumento lavorativo e, infine, quello della neo plebe, che comprende persone
in difficoltà, animata da risentimento e a rischio costante di secessione.
La
classe creativa è quella che manterrebbe vivo il codice di responsabilità, che
Hegel individuava nella società civile del suo tempo. Persone che, grazie alla
conoscenza, ritengono di poter perseguire il proprio interesse coerentemente
con quello generale della comunità; che credono di poter raggiungere la
prosperità tramite il cosmopolitismo, il quale offre loro l’opportunità di
aprire nuovi mercati alle idee. L’eventuale espansione di questa classe
rappresenterebbe la principale chance, per la società, di mantenere la
coesione.
Anche
per queste ragioni, l’innovazione didattica, che favorisce la diffusione della
classe creativa, è fautrice indirettamente di un equilibrio sociale e il
Metaverso, secondo me, può rappresentare un’opportunità da cogliere.
Il
Sussidiario
ALCOL E GIOVANISSIMI
e pochi controlli
Parla il direttore
dell’Osservatorio dell’Iss, Scafato: «Sono 800 mila i consumatori dannosi, che
avrebbero bisogno di un trattamento. Spesso i genitori sono i primi a
normalizzare certe 'abitudini'» «Non esistono quantità sicure per la salute e
la sicurezza; lo slogan che recita 'bevi responsabilmente' non ha senso. Sotto
i 25 anni consumare certe bevande è nocivo allo sviluppo e all’evoluzione del
nostro cervello
- di DOMENICO MARINO
«Il 10% di tutti gli
accessi al pronto soccorso in Italia per problemi alcolici, sono di minori. I
binge drinkers, quanti cioè bevono smodatamente per ubriacarsi, sono
moltissimi. Fondamentale capire se lo fanno in maniera regolare o solo per un
giorno. Risultano circa 800 mila consumatori dannosi, alcol dipendenti, che
avrebbero bisogno di un trattamento, ma solo 64mila, cioé appena l’8%, sono in
cura. Quindi il Servizio sanitario nazionale ignora il 92% di quanti hanno
necessità di seguire un percorso terapeutico ». Parla con la fermezza e la
lucidità dello scienziato, Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio
nazionale Alcol dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Lo specialista insiste
sulla creazione di una rete per la gestione del problema e suggerisce
d’iniziare dall’agenzia educativa principale: i genitori. «Se si comincia a
parlare adeguatamente dell’alcol già quando sono bambini – dice –, nel momento
in cui si arriva all’adolescenza, e tutto è trasgressione, hanno una
consapevolezza che li aiuta a comportarsi. Invece, spesso, i genitori sono i
primi a normalizzare l’uso di alcol in ambito familiare, ignari del rischio di
quel bicchiere». Poi un suggerimento per nulla scontato: «Bisogna fare in modo
che la prevenzione sia erogata da chi si occupa di salute pubblica, evitando
che portatori d’interessi possano farsi carico di interventi, creando evidenti
conflitti d’interesse», sigilla il professor Scafato. Anche perché «non
esistono quantità di alcol sicure per la salute e la sicurezza». Lo slogan 'bevi
responsabilmente' «non ha nessun senso, così come sono fake news quelle che
indicano il vino che fa 'fare buon sangue' o l’alcol che sarebbe artefice di
successi sociali o sessuali. Sotto i 25 anni, in particolare, l’alcol è nocivo
al cervello, al suo sviluppo razionale e alla sua evoluzione in senso sapiens».
Alcol e minorenni «è un binomio che non sta in piedi in qualunque posizione si
provi a sistemarlo»: lo conferma Scafato denunciando un problema tanto serio
quanto diffuso e sottovalutato. Perché, ancor di più con la bella stagione, si
moltiplicano gli open bar che vendono alcolici d’ogni genere senza dare nessun
peso all’età dei consumatori. Il business, malato, schiaccia salute e tutela,
anzitutto dei più piccoli. Eppure, una legge del 2017, ha stabilito il divieto
di vendita e somministrazione di bevande alcoliche ai minori di anni 18. È un
reato somministrare bevande alcoliche a minori di 16 anni, mentre è considerato
solo un illecito amministrativo la somministrazione ai ragazzi tra 16 e 18 anni.
COMPLESSITA' e AGAPE
Il «pensiero complesso»
si apre all’agape
Castellana,
già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento ed
esponente di quella che Geymonat ha chiamato «la scuola meridionale di
epistemologia», fondata da Bruno Widmar, è approdato al pensiero complesso non
con «una fulminea conversione sulla strada di Damasco», ma ha le sue radici nel
pensiero di Simone Weil, nello studio della epistemologia francofona (Gaston e
Suzanne Bachelard, Teilhard de Chardin, Hélène Metzger, Piaget, Florenskij,
Serres, Morin), molto attenta alla dimensione storica della scienza, e del
pensiero di Federigo Enriques.
Più
il mondo diventa complesso, più cresce la tentazione del riduzionismo e della
semplificazione. La complessità è portatrice di una razionalità incarnata della
polifonia del reale, che ci aiuta a superare «l’era desertica del pensiero »
(Paolo VI) e a cogliere la ricchezza del mondo.
Questo
libro, come ha scritto Mauro Ceruti nella prefazione, ci offre non solo «una sapiente
mappa delle molteplici vie del pensiero complesso»,
ma
anche un contributo che aiuta a chiarire e a sviluppare il potenziale teoretico
della complessità». Il pensiero complesso ci protegge dal virus della
onniscienza, da visioni essenzialistiche e unilaterali della realtà, dal
pensiero asettico e dallo scetticismo. Vive e si alimenta della tensione verso
il vero. «Non esistono teorie vere, ma teorie sempre più vere», ripete
Castellana con Federigo Enriques.
Il
pensiero complesso ci aiuta a prendere coscienza dei limiti della «forma
calcolante del pensiero», imposta dalla modernità, e risponde al bisogno di una
«razionalità allargata», proposta da Benedetto XVI. Essendo una razionalità
enracinée, aperta, sensibile, riesce a cogliere le diverse nuances (Bachelard)
del reale e ad essere «cuore pensante» (Hillesum).
lunedì 25 luglio 2022
INVALSI. DISPERSIONE IMPLICITA
La dispersione implicita nelle Prove INVALSI 2022
Accanto al tradizionale concetto di dispersione scolastica, che riguarda i giovani che hanno abbandonato la scuola prima di concludere il percorso del secondo ciclo, grazie ai dati INVALSI è possibile individuare e monitorare un altro fenomeno che coinvolge i ragazzi e le ragazze che, pur avendo conseguito un titolo di studio di scuola secondaria di secondo grado, non raggiungono i traguardi di competenza previsti entro l’intero percorso dei 13 anni di scuola.
Si chiama dispersione scolastica implicita e i dati ottenuti dal Rapporto INVALSI 2022 ci consegnano una fotografia confortante del fenomeno, un’inversione di rotta.
Se nel 2021, infatti, si era attestato al 9,8%, crescendo di due punti percentuali e mezzo a livello nazionale rispetto al 2019 (7,5%), nel 2022 arretra al 9,7%, facendo registrare una flessione in quasi tutto il territorio.
Come ha evidenziato il Presidente dell’INVALSI Roberto Ricci durante la presentazione del Rapporto, ci sono due regioni del Mezzogiorno, la Puglia e la Calabria, che hanno ottenuto un’importante diminuzione della dispersione implicita, segnando rispettivamente -4,3 punti e -3,8 punti.
Un dato incoraggiante se si considera che nelle regioni del Mezzogiorno le percentuali di allievi fragili sono solitamente più alte nel Mezzogiorno rispetto a quanto si registra nel Centro e nel Nord Italia.
Le differenze territoriali
Le differenze territoriali, tuttavia, restano ancora fortemente presenti. La Campania, in particolare, è la regione in cui la fragilità scolastica raggiunge la quota di 1 studente su 5 coinvolto (19,8%), ma anche in altre regioni del Mezzogiorno, ossia Sardegna, Calabria e Sicilia, le percentuali di allievi in dispersione implicita restano alte (rispettivamente 18,7%, 16% e 18%).
Caso degno di evidenza è quello della Sardegna che, a differenza di quasi tutte le regioni italiane, segna un dato sulla dispersione implicita in incremento rispetto al 2021, diventando seconda per situazione di maggiore fragilità dopo la Campania.
Molise e Basilicata, invece, rispetto alle altre regioni del Sud Italia che hanno visto un incremento della dispersione implicita nel 2021, confermano una riduzione costante del fenomeno da un anno all’altro.
La fragilità rispetto all’origine sociale
Grazie alla presenza dell’indicatore ESCS – Economic, Social and Cultural Status, che definisce lo status sociale, economico e culturale delle famiglie degli studenti che partecipano alle Prove INVALSI e ad altre ricerche internazionali, è possibile analizzare i dati anche sulla base del contesto socioeconomico degli studenti.
Nel Rapporto Nazionale 2022 si può osservare che, in termini di punti percentuali, la dispersione esplicita è più che doppia per gli allievi che provengono da famiglie meno avvantaggiate. Inoltre, la dispersione implicita è rimasta stabile per gli studenti provenienti da ambienti più favorevoli (5,6%) ed è lievemente aumentata per gli studenti che provengono da ambienti meno avvantaggiati.
Un aspetto che merita attenzione è che questo fenomeno raggiunge quote molto alte (19,8%) per gli allievi di cui non sono disponibili i dati di background.
Non solo esiste un problema del peso del contesto sociale di riferimento, ma l’attenzione va posta alla raccolta di questo dato, perché laddove non è disponibile va ad individuare una categoria di ulteriore fragilità.
L’equità nel sistema scolastico italiano
I risultati delle Prove INVALSI 2022 dimostrano quindi che il contesto di appartenenza dei ragazzi continua a giocare un ruolo molto importante sui livelli di apprendimento conseguiti.
L’analisi di questa dimensione permette così all’INVALSI di fotografare la situazione di equità del sistema scolastico e le – ancora molto forti – correlazioni tra le condizioni socio-economico-culturali di provenienza degli allievi e i risultati raggiunti.
Il contesto di provenienza degli studenti è un fardello pesante, che ci dimostra l’esistenza di molte variabili che non sono sotto il controllo della Scuola e che pesano fortemente sui risultati.
Approfondimenti
· Presentazione del Rapporto Nazionale Prove INVALSI 2022
· L’indicatore ESCS per una valutazione più equa