venerdì 12 aprile 2024

IPERDOTATI A SCUOLA

...  E NELLA SOCIETA'

Nella scuola dell’inclusione gli iperdotati restano ai margini.

Oggi il creativo fa paura

 perché non è controllabile.  

Non solo a scuola. 

Anche nella vita sociale e associativa.

 Un dispendio di risorse, preziose per costruire il futuro.

Quarant’anni fa la nascita della “Emilio Trabucchi”, che per nove anni, fino al 1993, è stato il primo e finora unico esempio di realtà dedicata ai bambini con un’intelligenza superiore. Parla la fondatrice e psichiatra Federica Mormando

 

 -         di PAOLO FERRARIO

 «Per ogni area del sapere ognuno poteva frequentare corsi adatti al suo livello, non c’erano programmi uguali per tutti, eccetto quelli ministeriali, necessari per sostenere gli esami, che però erano talmente facili ed embrionali da non creare difficoltà». Quarant’anni dopo, la psichiatra e psicoterapeuta, Federica Mormando, ricorda così l’esperienza della scuola “Emilio Trabucchi”, nel suo ultimo libro “Bambini e ragazzi ad alto potenziale”, una «guida per genitori» (ma anche per insegnanti), pubblicata per le edizioni Red! Fondata a Milano nel 1984 dalla stessa Mormando, per nove anni, fino alla cessazione nel 1993, la scuola “Trabucchi” è stata la prima e, finora, unica, esperienza di scuola dedicata ai bambini iperdotati, quelli che, spiega la psichiatra, ai test di livello rivelano prestazioni «significativamente superiori» rispetto a quelle di altre persone «della stessa età e zona geografica». In termini molto concreti, stiamo parlando del 5% della popolazione, per quanto riguarda i “molto dotati” e del 3% per gli “iperdotati”. Uno spaccato della scuola (e della società in generale), nemmeno così marginale, che però, spesso, non trova nella scuola un ambiente davvero stimolante e inclusivo. «Quando si parla di bambini e ragazzi ad alto potenziale, si prende generalmente a riferimento il quoziente intellettivo – spiega Mormando –. E questo è molto sbagliato. Perché, per esempio, un grande dono artistico, di solito non coincide con un gradissimo potenziale intellettivo. Inoltre, questi test non misurano, per fortuna, l’intelligenza intuitiva, quella che arriva a una soluzione saltando i processi logici. Non misurano i doni artistici e l’intelligenza creativa».

Tutte doti che non sempre sono riconosciute e sono persino causa di problemi per chi le possiede. «L’alto potenziale – ricorda la psichiatra – viene spesso confuso con delle patologie. Così, per il bambino particolarmente dotato, che non si trova bene in classe perché si annoia alla ripetizione di nozioni che capisce facilmente, che preferisce stare da solo, l’insegnante suggerisce uno spettro autistico, il cosiddetto “autismo ad alto funzionamento”, termine che mi fa rabbrividire, perché non siamo macchine. Altri, invece, alla noia reagiscono agitandosi e ciò fa suggerire un disturbo dell’iperattività, chiamato Adhd. E si finisce dall’insegnante di sostegno».

Un passaggio non necessario, secondo Mormando. «A questi bambini – prosegue l’esperta – non serve l’insegnante di sostegno, ma docenti preparati e, per esempio, capaci di ampliare il programma per venire incontro anche alle loro esigenze. Ma la scuola non è attrezzata a fare questo passaggio. Servirebbe una scuola per piccoli gruppi in cui formare la mente. Fornendo metodi di ricerca ed entusiasmo per il sapere».

Così, quarant’anni fa, era organizzata la scuola “Trabucchi”, dedicata a “bambini intelligenti”, tra i 3 e gli 11 anni. «Per i più piccoli usavamo il metodo Montessori. Si seguivano i tempi di ogni bambino e gli alunni si mettevano spontaneamente in piccoli gruppi per apprendere le diverse materie, in aule a questo dedicate. Infine, ogni tre mesi chiamavo qualcuno di molto severo che li interrogasse. Così i bambini si abituavano e non avere paura del voto». Oggi, di quell’esperienza, sono «rimasti gli ex allievi», con cui la professoressa Mormando è ancora in contatto. «Ho cercato di dar loro un equilibrio perché fossero contenti di studiare, che non crescessero fragili, perché abituati ad affrontare cose difficili – ricorda Mormando –. Non ho notizia di nessuno che sia assatanato di potere, ma tutti hanno avuto vite soddisfacenti e ottimi lavori». Un passaggio, quest’ultimo, affatto scontato. Perché, avverte la psichiatra «avere un grande cervello non garantisce assolutamente il successo». «Senza una personalità e degli obiettivi, non serve a niente – conclude Mormando –. Anzi. Di solito si arriva a qualcosa di alto, ma non al successo altissimo, che prevede di piacere alla massa e di partecipare a riunioni molto noiose. 

Una dispersione di energie che non fa parte dei desideri delle persone molto intelligenti. Oggi il creativo fa paura perché non è controllabile».

 

www.avvenire.it


 

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