Vangelo -Gv
20,19-31
Commento del Patriarca Pierbattista Pizzaballa
La
Liturgia della Parola di questa Seconda domenica di Pasqua (Gv 20,19-31) ci
riporta nel Cenacolo, dove il Risorto viene in mezzo ai suoi.
Gesù
raggiunge i suoi discepoli nel luogo dove si sono rifugiati e rinchiusi. È la
sera stessa del giorno in cui Maria di Magdala, insieme a Pietro e al discepolo
amato, hanno fatto la scoperta del sepolcro vuoto. Maria, inoltre, rimasta al
sepolcro, ha incontrato il Signore ed è andata di corsa ad avvisare i discepoli
(Gv 20,1-18).
Di
questo incontro, tra il Risorto e i suoi nel Cenacolo, vorrei sottolineare
alcuni aspetti.
Il
primo è la pace.
Quando
il Risorto incontra i suoi, per prima cosa dona loro la pace: “Pace a voi” (Gv
20,19.21). La stessa cosa dirà otto giorni dopo (Gv 20,26), quando tornerà per
incontrare anche Tommaso, che era assente al primo incontro.
Quello
di Gesù non è semplicemente un saluto, un augurio. Subito dopo aver donato loro
la pace, infatti, mostra le ferite della passione (Gv 20,20). E con questo Gesù
vuole dirci che la pace è il primo frutto della Pasqua, della redenzione, il
primo dono del Risorto alla sua Chiesa.
Potremmo
dire che Gesù può donare la pace perché è morto per tutti. Non è morto solo per
qualcuno, escludendo qualcun altro dal suo dono di salvezza. Gesù è morto per
tutti, e questo significa che non ci sono più divisioni né distinzioni, non ci
sono più nemici. A tutti ha portato l’amore del Padre, un amore che ci
riconcilia con Lui.
Questa
è la pace, non una pace politica, o psicologica, o sociale: è una pace
“teologica”, quella che nasce dalla consapevolezza di non essere più nemici, né
del Padre né tra di noi, dalla consapevolezza di essere tutti ugualmente e
gratuitamente salvati.
La
gioia
Il
secondo dono del Risorto alla sua Chiesa è la gioia: “I discepoli gioirono al
vedere il Signore” (Gv 20,20).
Anche
la gioia, proprio come la pace, non è un’instabile e volubile condizione
dell’uomo, legata ad eventi più o meno favorevoli. La gioia del discepolo è la
gioia stessa del Signore, è la gioia del suo essere passato dalla morte alla
vita: il Signore ci dona questa gioia. È come la festa che esplode nella casa
del padre misericordioso quando il figlio prodigo vi fa ritorno (Lc 15): Gesù
ha aperto la porta a questo ritorno possibile, per cui la festa diventa un dono
accessibile all’uomo, sempre.
Questi
doni, perché possano diventare in noi sorgente di una vita nuova, di una vita
risorta, vanno semplicemente accolti. Il Signore, infatti, non risorge per se
stesso, così come non è vissuto e non è morto per se stesso. Risorge per noi,
perché anche la nostra vita possa essere vita risorta.
E
la figura di Tommaso ci può aiutare a comprendere come questo accade nella vita
del discepolo.
Tommaso,
come del resto tutti gli altri discepoli, ha bisogno di conoscere nuovamente il
Signore. Non basta la conoscenza di Lui che aveva prima della Passione, quella
di un maestro buono, che faceva segni importanti e mostrava la sua predilezione
e la sua misericordia ai piccoli.
Ora
Tommaso ha bisogno di conoscerlo di nuovo, per ciò che il Signore è “diventato”
attraverso la Pasqua. Ovvero il Dio dell’impossibile, che ha compiuto qualcosa
di radicalmente nuovo, che ha aperto una strada assolutamente impensabile alla
mente umana.
Nel
racconto dell’Esodo, leggiamo che, quando Mosè compiva dei segni per convincere
il faraone a lasciar partire il popolo, poi gli indovini e i maghi egiziani
riuscivano a replicare lo stesso segno.
Ma
questa volta non è così: la morte, che è un cammino senza ritorno, che è
un’abitazione eterna, ha cessato di avere questo potere sull’uomo e così Dio
può rovesciare definitivamente il nostro destino. Solo Lui può farlo.
Ma
la cosa importante è che questa vita assolutamente nuova non si oppone per
nulla, non rinnega la nostra esistenza terrena così spesso drammatica e ferita,
non la dimentica. Gesù invita Tommaso a mettere le sue mani nei segni dei
chiodi perché sia chiara la continuità e l’identità tra il Crocifisso e il
Risorto: Gesù è risorto perché è morto così, perché è morto per noi.
E
anche per noi, la risurrezione è possibile a patto di entrare una conoscenza
profonda del Signore Crocifisso, di entrare nella sua logica di vita.
Questa
è la vita di fede in cui Tommaso è chiamato ad entrare.
E
tutto questo sarà possibile non per le sole nostre forze umane, ma perché il
Risorto ci dona il suo Spirito (Gv 20,22), la sua stessa vita: Gesù soffia su
di loro (Gv 20,22) e li riempie di Spirito santo, che è spirito di pace e di
riconciliazione, di gioia e di festa.
È
la vita di Dio, impossibile per l’uomo, ma ora donata a tutti a patto di
imparare a guardare alle piaghe del Signore Risorto e di vedere in esse
l’irriducibile scelta di Dio di stare dalla parte dell’uomo, sempre.
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