giovedì 28 febbraio 2019
martedì 26 febbraio 2019
sabato 23 febbraio 2019
PORGI L'ALTRA GUANCIA
Siamo uomini d’onore o uomini d’amore?
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 6, 27-38
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non richiederle indietro.
E come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso .
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”.
E come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso .
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”.
Commento di don Ivan Licinio
E va bene diciamocelo: Gesù qui ha esagerato! Non è umanamente possibile mettere in pratica quello che oggi ci chiede e, forse, non è neanche giusto. Perché mai dovrei offrire l’altra guancia a chi mi percuote invece di difendermi? E perché non dovrei chiedere indietro le cose che mi sono state prese? Figuriamoci poi quando dice di amare i miei nemici: se ho subito un torto o qualcuno è stato cattivo con me, perché dovrei amarlo? No Gesù, mi dispiace, ma quello che proponi oggi vale solo per i santi e non per un semplice cristiano come me. Io ho un mio onore da difendere…
Queste potrebbero essere le prime impressioni dopo aver letto la pagina evangelica di oggi e che hanno a che fare con la nostra quotidianità spicciola che non sempre combacia con quanto ci viene chiesto da Gesù. Inoltre, potrebbe sembrare che il cristiano che esce fuori da questo ritratto evangelico odierno sia un tipo passivo, che subisce, distaccato dalle cose materiali e tutto proteso verso realtà ascetiche e mistiche. Nulla di più falso. A leggere bene quello che Gesù ci dice oggi, scopriamo, invece, che ci viene chiesto di interrompere il circuito del male usando il rimedio di sempre: l’amore.
Prendiamo ad esempio il famoso invito ad offrire l’altra guancia. Ai tempi di Gesù, uno schiavo veniva colpito in volto dal suo padrone con il dorso della mano, perché quest’ultimo non avesse a sporcarsi le mani. La guancia colpita era dunque la guancia destra, tranne nel caso in cui il padrone non fosse mancino. «Porgere l’altra guancia», cioè la sinistra, a quel tempo significava costringere il padrone a colpire con il palmo della mano e, quindi, a “sporcarsi” le mani, cosa che un pio israelita benestante non avrebbe mai fatto. Il voltare il viso dall’altra parte era un modo per impedire all’aggressore di colpire ancora, per interrompere il sistema, per costringere il potente a fermarsi. Allora porgere l’altra guancia non significa affatto assumere un atteggiamento arrendevole e di sottomissione, non significa passività di fronte all’offesa, piuttosto è la ribellione al male e l’impegno ad interrompere il circolo vizioso della violenza. “Occhio per occhio” vuol dire rispondere alla violenza con la violenza, cosa che tante volte risulta più semplice e soddisfacente. “Porgere l’altra guancia”, invece, è un invito a metterci la faccia, a sporcarsi le mani non come il padrone dello schiavo, ma con gesti inaspettati di amore in risposta alla violenza. Diceva don Milani: «A che serve avere le mani pulite se poi ce le teniamo in tasca?» Troppe volte, però, più che porgere l’altra guancia, voltiamo la faccia dall’altra parte di fronte alle ingiustizie, ai poveri, a coloro che chiedono il nostro aiuto. Il cristiano dell’altra guancia non è quello che subisce, ma quello che interviene. Ripagare un torto con la stessa moneta non è mai giustizia perché la vera giustizia educa all’amore non alla violenza.
Gesù ci chiede, allora, di vivere sempre nell’amore. Nessuno di noi è al riparo dalla tentazione dell’odio ma solo se sapremo vivere ogni giorno nell’amore troveremo la forza di resistere. Gesù non solo contrappone l’amore all’odio, ma esige che l’amore dei suoi discepoli si concretizzi proprio su coloro che li odiano; sarebbe ridicolo, per Gesù, amare solo quelli che ci amano: non ne avremmo alcun merito, ma soprattutto il nostro amore non sarebbe segno distintivo della nostra esclusiva ed inequivocabile appartenenza a Cristo: «Anche i peccatori fanno lo stesso». Gesù ci fa intravedere, allora, uno stile di vita in cui l’amore è talmente preso sul serio che ci innalza fino a Dio e alla sua perfezione. Nella logica evangelica non si dà altra perfezione, se non quella di un amore fraterno che rivela la nostra identità filiale nei confronti di Dio. «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso». Non c’è altro traguardo verso il quale tendere, se non quello di un amore che sa perdonare perché ha sperimentato il dono del perdono. Non c’è altro comandamento da osservare, se non quello di tendere all’imitazione di Dio, che resta misericordioso per gli ingrati e i peccatori.
Infine l’ultima batosta: «Date e vi sarà dato […] perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio». Questo versetto dovremmo ricordarlo più spesso, dovremmo scrivercelo sulle pareti del cuore, dovremmo impegnarci a viverlo con tutte le nostre forze. Così riconoscerebbero che più che uomini d’onore, accartocciati su noi stessi, siamo uomini di Dio cioè, come avrebbe detto Luciano De Crescenzo, uomini d’Amore.
TUTELA DEI MINORI - LA CEI APPROVA IL REGOLAMENTO E LE INDICAZIONI
(ACI Stampa).- E’ in corso, fino a domani, in Vaticano, su iniziativa di Papa Francesco, un summit su “La protezione dei minori nella Chiesa”, che si concluderà domani. La Segreteria Generale della CEI ha reso disponibile, proprio in questi giorni, un sito del Servizio Nazionale per la tutela dei minori.
Oltre alle informazioni generali sul Servizio, che è chiamato a
offrire alla CEI, alle Chiese particolari, agli Istituti di Vita
Consacrata e alle Società di Vita Apostolica, alle Associazioni e alle
altre realtà ecclesiali un supporto – si legge sul sito della Chiesa
Cattolica - per quanto attiene alla tutela dei minori e degli adulti
vulnerabili, nel sito sono a disposizione il Regolamento e le
Indicazioni alle diocesi, come pure una raccolta di documenti, notizie e
segnalazioni stampa, compresi i link agli approfondimenti che i media
della CEI dedicano a questo tema.
“Ciò che mi ha turbato maggiormente nei colloqui con le vittime è il
modo insidioso con cui gli aggressori si avvicinano a questi adolescenti
innocenti, ha detto il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della CEI, dopo aver incontrato due vittime: “essi
propongono il tutto come se fosse un cammino spirituale che io ti aiuto
a fare, finché la vittima non cade pienamente nella trappola. Questo
lascia ancora più amareggiate le vittime perché poi quando arrivano a
una consapevolezza e a una piena coscienza di quello che è avvenuto si
rendono conto anche di tutta la malizia con cui è stato teso il
tranello. Questo aggiunge rabbia a rabbia”. Ecco perché occorre – per il
porporato - decisamente cambiare rotta e avere un’attenzione sempre più
grande per questi drammi.
Chi sa deve parlare. Bisogna collaborare fin dove è possibile, fino
in fondo, con l’autorità giudiziaria. Ma soprattutto si richiede un
grande discernimento nei confronti di coloro che si avvicinano al
seminario o agli istituti religiosi servendosi dell’apporto di tutte le
scienze umane. Non si può rischiare oltre – aggiunge il presidente della
CEI -. E’ il limite che abbiamo raggiunto: non si può rischiare.
Allora, meno sacerdoti, meno religiosi ma essere più tranquilli che
coloro cui noi affideremo le anime, soprattutto gli innocenti,
garantiscano l’annuncio del vangelo e non il resto”.
Il vescovi italiani hanno voluto fortemente il Servizio
nazionale per la tutela dei minori che hanno affidato all’arcivescovo di
Ravenna-Cervia, mons. Lorenzo Ghizzoni
che parlando dell’incontro in corso in Vaticano ha detto che per i
pastori della chiesa universale, condividere il dolore di chi ha subito
abusi diventa uno dei passi fondamentali per arrivare ad aiutare
veramente e comprendere fino in fondo il dramma delle violenze. “La
partecipazione alla sofferenza aiuta chi deve prendere decisioni a
mettere in campo strumenti utili per evitare che la tragedia si possa
ripetere”.
Tra i primi compiti affidati al Servizio – composto dal
Presidente e da un Comitato di Presidenza - la promozione e
l’accompagnamento delle attività di prevenzione e formazione a livello
territoriale. A tale scopo, è stato chiesto a ogni Conferenza Episcopale Regionale
di incaricare un vescovo: a quest’ultimo spetta “di accompagnare la
costituzione dei servizi regionali e interdiocesano, a partire dalla
sollecitazione ai Vescovi del territorio per l’individuazione di validi
referenti diocesani”. Anche a livello regionale la
costituzione di un servizio per la tutela dei minori e a livello
diocesano si provvederà alla nomina di un referente. Tra le prime
regioni la Toscana che nel suo primo appuntamento assembleare della Conferenza Episcopale Regionale ha deciso di istituire il servizio regionale.
“Finalità del Servizio – si legge nel comunicato della Cet -
l’offerta di un supporto alle Chiese particolari, agli Istituti di vita
consacrata e Società di vita apostolica, alle associazioni e alle
aggregazioni ecclesiali”. I vescovi hanno anche dedicato spazio agli
interventi da mettere in atto per rafforzare la collaborazione tra le
diocesi nella formazione del clero, “per rendere l’impegno formativo
sempre più rispondente ai tempi di oggi e alle mutate condizioni sociali
e culturali”.
In Calabria i vescovi nella loro ultima sessione hanno voluto riservare una “accurata” riflessione ai “delicta graviora”,
tema che “inquieta la Chiesa” e che, con “attenzione e responsabilità”,
è stato esaminato nelle sue varie sfaccettature problematiche,
ribadendo, si legge nel comunicato finale pubblicato sul sito della Conferenza Episcopale Calabra
“la vigilanza e l’attenzione con cui esso va curato nella sua fase
preventiva/educativa e nelle singole situazioni dolorose che dovessero
emergere”.
Per questo hanno affidato al presidente, l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, mons. Vincenzo Bertolone,
il compito di avviare una commissione di valutazione così come chiedono
le disposizioni della CEI. In particolare Bertolone ha sottolineato
l’urgenza della questione “pedofilia”, esortando “il popolo di Dio alla
conversione personale e comunitaria, affinché la sofferenza delle
vittime degli abusi perpetrati da laici e chierici sia di monito per
tutti e per tutta la Chiesa” invitando la comunità ecclesiale ad unirsi
nella preghiera, ma anche a “rifuggire dalle strade che portano
all’omertà”, esortando “tutti alla presa di coscienza” e assicurando che
la Chiesa calabrese, attraverso i suoi Pastori, è “impegnata ad
eliminare anche al proprio interno ogni atteggiamento di omertà che,
spesso, diviene da sé forza di tanti abusi”.
I vescovi calabri hanno anche deliberato l’istituzione del
Servizio Regionale per la Tutela dei Minori, nominando come Vescovo
delegato ad interim il presidente della Cec. La stessa procedura avverrà nelle prossime settimane nelle altre regioni ecclesiatiche.
In allegato entrambi i testi: Regolamento e Indicazioni
Servizio Nazionale Tutela Minori - Regolamento
Scarica AllegatoServizi Regionali-Interdiocesani Tutela Minori - indicazioni per la costituzione
Scarica Allegato
FOLIGNO E DINTORNI. UN EPISODIO CHE FA RIFLETTERE
CIÒ CHE I PICCOLI
CI INSEGNANO
La scuola, di fronte allo sfacelo etico contemporaneo, alla mancanza di valori e gerarchie, alla decadenza dei canoni, alla scomparsa delle opere e degli stili, dovrebbe diventare una postazione di resistenza dove custodire la sapienza, mantenere le promesse e diffondere lo spirito critico.
di ERALDO AFFINATI
Il maestro, in una scuola elementare di Foligno, ordina a un bambino nero di mettersi davanti alla finestra, spalle alla classe, poi dice ai suoi compagni: 'Guardate quant'è brutto'. Si giustifica così: 'Ho voluto fare un esperimento sociale'.
Stentiamo a crederlo. Ma un’interrogazione parlamentare e un’indagine conoscitiva avviata dal Miur dopo che i piccoli allievi avevano raccontato in famiglia l’accaduto ci spinge a riflettere, ancora una volta, sui rigurgiti razzisti presenti ormai in tutta Europa e in particolar modo, sebbene sia doloroso ammetterlo, nel nostro Paese. Le ripetute offese rivolte ai genitori adottivi del giovane senegalese di Melegnano, in provincia di Milano, hanno suscitato sconcerto. Così come ha fatto impressione l’aggressione fisica nei confronti di un dodicenne egiziano da parte dei suoi compagni di classe a Roma.
Cosa sta succedendo in Italia? Consiglio la lettura di un libro, 'Il Terzo Reich dei sogni', in cui l’autrice, Charlotte Beradt, analizzando i sogni di molti cittadini tedeschi negli anni dell’avvento del nazismo, confermava in sostanza una celebre intuizione di Carl Gustav Jung, secondo il quale Adolf Hitler aveva conquistato l’inconscio del suo popolo.
Questo vale per i totalitarismi, certo, ma anche nelle fiorenti democrazie avanzate occidentali, complice la presenza pervasiva dei social, dobbiamo purtroppo constatare che le peggiori intolleranze, stupidità e protervie possono essere introiettate nella coscienza collettiva a una velocità impressionante, rispetto alla quale il vecchio pettegolezzo, che un tempo passava di bocca in bocca senza venire nemmeno verificato, era ben poca cosa.
È questa la ragione per cui la scuola, di fronte allo sfacelo etico contemporaneo, alla mancanza di valori e gerarchie, alla decadenza dei canoni, alla scomparsa delle opere e degli stili, dovrebbe diventare una postazione di resistenza dove custodire la sapienza, mantenere le promesse e diffondere lo spirito critico.
Se invece proprio in classe, addirittura alle elementari, nel punto in cui la pianta umana conosce il suo momento più bello e rigoglioso, chi dovrebbe innaffiarla la inaridisce, chi è chiamato a formare i caratteri li mortifica, allora davvero rischiamo di perdere la fiducia necessaria.
Per fortuna non sempre è così.
Prendiamo Foligno: sono andato diverse volte nelle scuole della città umbra e ricordo ragazzi fantastici, docenti appassionati, molte associazioni tese a costruire legami. Poi basta un caso come quest’ultimo – che si può solo sperare di vedere infine solidamente smentito – per gettare fango nel mucchio.
Ormai accade quasi ogni giorno: dal famoso giocatore di calcio vilipeso dal pubblico alla sconosciuta nigeriana che non viene fatta salire sull’autobus.
Personalmente, avendo a che fare con gli immigrati, ne sento tante: come se certi insulti sul treno, in aula, o nei posti di lavoro, fossero diventati la norma, non più percepiti alla maniera di un reato. Anzi, chi interviene a difesa del malcapitato di turno, viene a sua volta ricoperto d’improperi. Perché è stato così facile scivolare nel fondo oscuro della nostra natura, quella meno rassicurante, dove ci illudevamo non saremmo più precipitati?
Guardiamoci intorno: le parole dei politici appaiono vuote, tutte gergali, prive di vera tensione morale; le principali agenzie educative sembrano in crisi; gli adulti credibili sono confinati nella solitudine. Se non c’è argine alla tracotanza degli invasati, ciò dipende anche da un vuoto culturale più profondo. Abbiamo affidato il timone delle dottrine ai conduttori televisivi; la lettura agli smartphone; le citazioni a Wikipedia; le interpretazioni a Facebook; la fatica del conoscere ai talk show; la potenza dei nostri giovani agli sprovveduti. Eppure educare non è una mera competenza. Io lo so chi domani insegnerà a noi le responsabilità oggi disattese dagli adulti: saranno gli stessi bambini indignati che hanno raccontato ai genitori la bizzarra trovata di quello strano maestro. Magari non tutti. Ne basterà uno solo per restituirci la speranza.
venerdì 22 febbraio 2019
RAGAZZI FUORI: MAFIA, GENITORI, FIGLI, SCUOLA, SOCIETA'
La ‘ndrangheta, i ragazzi e il loro futuro.
Come restituire ai figli dei boss una vita libera e armoniosa?
Intervista al Presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella.
Intervista a cura di Vincenzo Sanfilippo
Roberto Di Bella è il Presidente del
Tribunale per i minori di Reggio Calabria. Ha adottato, in diverse
circostanze, misure di sospensione della responsabilità genitoriale per
allontanare i figli dai boss della ‘ndrangheta. Vive, da allora, sotto
scorta e il suo operato apre un forte dibattito.
Ci sono “ponti” che legano
un’istanza etica come quella della nonviolenza e l’operare di un
magistrato che lavora con minorenni, ponendosi il problema della loro
libertà. Le mafie sono violente anche perché, nel plasmare le
personalità dei minori, annullano per loro la possibilità di una vita
libera e armoniosa. L’essersi imbattuto con questo dato, lo ha condotto
alle pratiche di allontanamento di alcuni minori dalle famiglie
mafiose...
Io svolgo il ruolo di giudice minorile
dal 1993. Ho lavorato quasi ininterrottamente presso il Tribunale per i
minorenni di Reggio Calabria. Questa lunga esperienza mi ha consentito
un’osservazione privilegiata. Dal 1993 abbiamo trattato più di 100
procedimenti per reati di criminalità organizzata, più di 50 per
omicidio o tentato omicidio, reati commessi da minorenni appartenenti
alle famiglie di ‘ndrangheta che adesso, da adulti, si trovano
sottoposti al regime del 41 bis, o sono latitanti, o sono stati uccisi
nel corso delle faide locali. Abbiamo giudicato minori coinvolti in
sequestri di persona, che hanno trattato partite di droga o esercitato
il racket o sono stati coinvolti nelle faide; in un caso abbiamo
giudicato un minore autore di sei omicidi. Oggi ci troviamo a giudicare i
figli di coloro che erano processati negli anni Novanta, tutti
appartenenti alle stesse famiglie: stessi cognomi, stessi reati. La
cultura di ‘ndrangheta si eredita dalle famiglie. Le famiglie di
‘ndrangheta mantengono il potere con l’indottrinamento malavitoso
sistematico dei figli minori. Da qui l’esigenza di modificare
l’orientamento giurisprudenziale, per censurare il modello educativo
mafioso che mette a repentaglio il corretto sviluppo psicofisico dei
minori. Dal 2012 stiamo adottando procedimenti civili di decadenza o
limitazione della responsabilità genitoriale e, nei casi più gravi,
l’allontanamento dei minori dal nucleo familiare. Procedimenti che
vengono adottati “caso per caso”, mai in via preventiva: non si
allontana il minore perché la famiglia è mafiosa. Queste misure vogliono
assicurare adeguate tutele per una regolare crescita psico-fisica e nel
contempo offrire chance di orizzonti culturali e affettivi diversi da
quelli del contesto di provenienza.
In sostanza, attraverso l’ausilio di
operatori sociali e volontari come quelli di Libera, cerchiamo di far
vedere a questi ragazzi che esiste un mondo diverso in cui la violenza e
l’omicidio non sono lo strumento ordinario di risoluzione dei
conflitti, dove vi è parità di diritti tra uomini e donne, dove le
scelte, anche quelle più intime, come i matrimoni, non devono essere
imposti dalle famiglie per suggellare sodalizi malavitosi, ma dai
dettami dei sentimenti. Cerchiamo di far capire che il carcere non è una
medaglia da appuntare sul petto e da esibire ai capi, ma un luogo da
evitare a tutti i costi, un cimitero vivente. Spesso la possibilità di
scegliere alternative alla ‘ndrangheta non si contempla, perché non si
sa che esiste un’alternativa. Pensiamo a un ragazzo proveniente da un
piccolo paese della Calabria, nella cui famiglia ci sono soggetti
malavitosi, dove il nonno è stato ucciso, il padre è in carcere, i
fratelli sono latitanti… In casi come questo la cultura di ‘ndrangheta
non è percepita come disvalore ed è intrinseca alla cultura familiare.
Quando si parla di prevenzione
si fa riferimento alle strutture di intelligence, dimenticando
l’importanza della rete sociale. Nella faida di San Luca, sfociata nella
strage di Duisburg, alcune famiglie non mandarono più i figli a scuola
per paura di ritorsioni e queste vistose assenze non furono segnalate
dagli istituti scolastici.
È vero, le famiglie contrapposte non
mandarono i figli a scuola per un lungo periodo di tempo per il timore
di ritorsioni. Lo abbiamo saputo, nel corso del processo alcuni anni
dopo. Noi interveniamo su situazioni che sono già patologiche. La
prevenzione primaria spetta alla scuola e le agenzie alternative alla
famiglia. Se nel mezzogiorno d’Italia esiste una cultura diffusa del
malaffare, se oggi ci sono le stesse organizzazioni criminali da quasi
un secolo… tutto ciò vuol dire che la scuola ha fallito. La scuola è il
primo momento di contatto del minore con la società e primo momento di
assunzione di responsabilità del bambino: nella scuola ci si confronta
con la realtà esterna alla famiglia. A scuola vanno tutti: il figlio del
poliziotto e il figlio del boss. La nostra Costituzione o la
Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, del 1989, affermano che la
scuola ha compiti precisi, come quello di educare il fanciullo al
rispetto dei diritti fondamentali di libertà dell’individuo.
L’educazione scolastica deve tendere a far diventare il fanciullo un
membro utile della società e a sviluppare il suo senso di
responsabilità. Se questo non accade vuol dire che anche la scuola ha
delle responsabilità. Anche le politiche sociali sui territori sono
inadeguate. Qui a Reggio, su 98 comuni la metà non ha servizio sociale.
Fino a qualche tempo fa non esisteva nessun centro di educazione
culturale; di recente Save the Children ha istituito un “Punto luce”.
Bisogna recuperare culturalmente questi territori di frontiera. La
sconfitta della povertà educativa dovrebbe diventare una priorità di
tutti gli amministratori pubblici. Intervenendo sul versante culturale,
si prosciuga il bacino su cui si riproduce il modello mafioso. .....
Continua: RAGAZZI FUORI
mercoledì 20 febbraio 2019
AI BAMBINI REGALIAMO UNO STRUMENTO: IMPARERANNO AD AMARE IL BELLO
Come possiamo insegnare ai bambini ad amare e a ricercare la bellezza? Come possiamo insegnare loro il valore dell’impegno? Una risposta c’è, ed è la musica. Gli psicologi hanno studiato a lungo i benefici che la musica apporta a chi la suona e a chi la ascolta. Dall’effetto Mozart allo sviluppo delle intelligenze multiple, è indubbio che la musica faccia bene a grandi e bambini.
Mai come oggi la nostra società ha bisogno di musica (così come delle arti): viviamo nell’era del consumo e della dipendenza dal denaro, ma siamo diventati incapaci di riconoscere il bello. Ogni giorno compiamo le nostre scelte guidati (per non dire manovrati) dal marketing e da chi ha interesse a spingerci dall’una o dall’altra parte. Tuttavia, una svolta è possibile: è la cultura della bellezza autentica. Ciascuno di noi, dentro di sé, ha la sensibilità necessaria a riconoscere la bellezza, a produrre qualcosa di unico e meraviglioso. La musica, come l’arte, è lo scintilla necessaria a far emergere questa consapevolezza.
In apparenza si tratta di qualcosa di piccolo, ma è questa la rivoluzione educativa che ci serve: spostare l’attenzione dai prodotti (il denaro e gli oggetti che vi si possono acquistare) ai processi (il lavoro, l’arte e l’uso che facciamo del nostro tempo). Attraverso la musica, questo passaggio è facile, naturale.
Purtroppo, viviamo in un paese che non supporta lo studio della musica, a partire dalla scuola dell’infanzia e proseguendo per tutto il ciclo di studi (dentro e fuori la scuola).
Così, la responsabilità di avvicinare i bambini a questa meravigliosa pratica ricade sui genitori, con conseguenze economiche notevoli.
martedì 19 febbraio 2019
COSTRUIRE L'UNIONE EUROPEA, DOVERE DI OGNI CITTADINO
APPELLO DEI VESCOVI EUROPEI
di Sarah Numico
La Commissione degli episcopati della
Comunità europea (COMECE) diffonde un testo che guarda alle elezioni del 23-26 maggio.
Il sostegno della Chiesa alla "casa comune", anche se "non è
perfetta". La persona al centro della politica. Le riforme necessarie e
alcuni temi-chiave: famiglia, migrazioni, sviluppo, diritti.
Un invito, forte, convinto e deciso, a
sostenere il processo di integrazione europea anche attraverso l’importante
momento elettorale del 23-26 maggio. Con un messaggio della Comece, la
Commissione degli episcopati della Comunità europea, i cristiani sono
interpellati per la costruzione di un bene comune che vada al di là degli
interessi particolari e nazionali. “Rivolgiamo un appello a tutti i cittadini,
giovani e anziani, perché votino e si impegnino durante il periodo
pre-elettorale e alle elezioni europee”. Il messaggio arriva a 100 giorni dal
voto per il rinnovo del Parlamento europeo ed è intitolato “Ricostruire
comunità in Europa” (“Rebuilding community in Europe”).
Evitare lo sguardo ripiegato. Il
voto dei cittadini, chiamati alla “responsabilità” politica, scrive la Comece,
presieduta da mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo,
“condizionerà decisioni politiche che avranno conseguenze tangibili sulla
nostra vita quotidiana per i prossimi cinque anni”. È da “più di duemila anni”
che la Chiesa cattolica “partecipa alla costruzione europea”, in particolare
“con la sua Dottrina sociale”. E quindi, i vescovi si rivolgono proprio ai
cittadini europei in questa fase che precede le elezioni per il rinnovo del
Parlamento: se “l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha aperto un ampio
ventaglio di nuove possibilità”, dieci anni fa, oggi sembra dominare un
“atteggiamento meno ottimistico”. Si impongono dunque necessarie “scelte
politiche” che portino a “una rinnovata fratellanza” e “rilancino il progetto
europeo”. Fondamentale è che “i credenti e tutte le persone di buona volontà”
vadano a votare, “senza cadere nella tentazione di uno sguardo ripiegato” e che
“esercitino i loro diritti guardando alla costruzione dell’Europa”.
“Non è perfetta…”. Manifestando
le proprie opinioni politiche, ogni persona potrà “orientare l’Unione” – che
“non è perfetta” – là dove vogliono che vada. Oggi serve “una nuova narrativa
di speranza che coinvolga i cittadini in progetti percepiti come più inclusivi
e al servizio del bene comune”, indicano i vescovi. Occorre però innanzitutto
l’espressione del voto, perché “ogni voto conta” nello scegliere persone che da
maggio in poi “rappresenteranno le nostre opinioni politiche”. E occorrerà che,
dopo le elezioni, i cittadini “in modo democratico monitorino e accompagnino il
processo politico”.
Campagna elettorale. Guardando
al futuro prossimo dell’Ue i vescovi affermano che i cittadini e le istituzioni
Ue avranno bisogno di “spirito di responsabilità” per “lavorare insieme per un
comune destino”, “superando divisioni, disinformazione e strumentalizzazione
politica”. Il riferimento dei vescovi Comece nel loro documento è alla campagna
elettorale, che dovrà concentrarsi sulle “politiche Ue” e su come i candidati
“sapranno elaborarle e concretizzarle”. L’auspicio è che si “presentino le
differenti visioni” evitando “sterili contrasti”.
La questione migratoria. Qualità
necessarie per “coloro che vorranno assumersi un mandato a livello Ue” sono
“integrità, competenza, leadership e impegno per il bene comune”. I vescovi
indicano inoltre alcuni temi che stanno loro particolarmente a cuore:
“l’economia sociale”, politiche per ridurre la povertà, basate sul principio
per cui “ciò che funziona per i meno fortunati, funziona per tutti”, insieme a
“un rinnovato sforzo per trovare soluzioni efficaci e condivise su migrazioni,
asilo e integrazione”. A questo riguardo due le sottolineature: l’integrazione
“non riguarda solo le persone che entrano nell’Ue”, ma “anche i cittadini Ue
che si spostano in un Paese diverso dal loro”, quindi la questione di fondo è
“come accogliersi meglio gli uni gli altri in Europa?”. In secondo luogo, i
temi della migrazione e dell’asilo non sono a sé stanti, ma sono legati ai temi
della “solidarietà, a una prospettiva centrata sulla persona, a politiche
economiche e demografiche efficaci”.
Ambiente,
pace, diritti. “Votare in queste elezioni significa anche
assumersi la responsabilità per il ruolo unico dell’Europa a livello globale.
Il bene comune è più grande dell’Europa”, si legge nel messaggio Comece. “Ad
esempio, l’attenzione per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile – scrivono i
vescovi europei – non possono essere limitati ai confini dell’Ue e i risultati
elettorali avranno un impatto sulle decisioni che riguardano l’intera umanità”.
Una “Unione forte sulla scena internazionale è anche necessaria per la promozione
e la protezione dei diritti umani in tutti i settori e per un solido contributo
dell’Ue come attore multilaterale per la pace e la giustizia economica”. Dopo
aver citato un intervento di Papa Francesco sul futuro dell’Europa, il
documento prosegue così: “Le elezioni potrebbero essere solo un primo passo, ma
il più necessario”. “Chiediamo a tutti i cittadini, giovani e meno giovani, di
votare e impegnarsi” in vista del voto. Il documento conclude: “Il voto non è
solo un diritto e un dovere, ma un’opportunità per plasmare concretamente la
costruzione europea”.
da AVVENIRE
Leggi: APPELLO DEI VESCOVI
sabato 16 febbraio 2019
LE BEATITUDINI CARTA DI IDENTITÀ' E PROGRAMMA DI VITA PER OGNI CRISTIANO
Papa Francesco: «”Come si fa per diventare un buon cristiano?”, qui troviamo la risposta di Gesù che ci indica cose “tanto controcorrente” rispetto a quello che abitualmente “si fa nel mondo”»
Dal Vangelo secondo Luca:
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Papa Francesco ha detto che le Beatitudini sono «la carta d’identità del cristiano». Commentando il Vangelo, il Pontefice ha chiesto: «”Come si fa per diventare un buon cristiano?”, qui troviamo la risposta di Gesù che ci indica cose “tanto controcorrente” rispetto a quello che abitualmente “si fa nel mondo”. Beati i poveri in spirito. “Le ricchezze non ti assicurano niente. Di più: quando il cuore è ricco, è tanto soddisfatto di se stesso, che non ha posto per la Parola di Dio».
LA CONSOLAZIONE DI GESU’. Il Mondo ci propone alcune gioie: «La felicità, il divertimento», ma «ignora, guarda da un’altra parte, quando ci sono problemi di malattia, problemi di dolore nella famiglia. Il mondo non vuole piangere, preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle. Soltanto la persona che vede le cose come sono, e piange nel suo cuore, è felice e sarà consolata. La consolazione di Gesù, non quella del mondo. Beati i miti in questo mondo che dall’inizio è un mondo di guerre, un mondo dove dappertutto si litiga, dove dappertutto c’è l’odio. E Gesù dice: niente guerre, niente odio, pace, mitezza».
LE BEATITUDINI. La mitezza, oggi, ha proseguito Francesco, è intesa come «stoltezza». Invece è il contrario perché «con questa mitezza avrai in eredità la Terra». Beati dunque quelli «che lottano per la giustizia, perché ci sia giustizia nel mondo. È tanto facile entrare nelle cricche della corruzione, quella politica quotidiana del do ut des. Tutto è affari. E quante ingiustizie. Quanta gente che soffre per queste ingiustizie». Ma Gesù dice: «Sono beati quelli che lottano contro queste ingiustizie». Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. I misericordiosi sono «quelli che perdonano, che capiscono gli errori degli altri, perché tutti noi siamo un esercito di perdonati! Tutti noi siamo stati perdonati. E per questo è beato quello che va per questa strada del perdono. Beati i puri di cuore, che hanno un cuore semplice, puro, senza sporcizie, un cuore che sa amare con quella purità tanto bella. Beati gli operatori di pace. Ma, è tanto comune da noi essere operatori di guerre o almeno operatori di malintesi! Quando io sento una cosa da questo e vado da quello e la dico e anche faccio una seconda edizione un po’ allargata e la riporto… Il mondo delle chiacchiere. Questa gente che chiacchiera, non fa pace, sono nemici della pace. Non sono beati».
PROGRAMMA DI VITA. Questo delle Beatitudini, ha detto Bergoglio, «è il programma di vita che ci propone Gesù. Se noi volessimo qualcosa di più, Gesù ci dà anche altre indicazioni, un protocollo sul quale noi saremo giudicati», che è contenuto nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: «Sono stato affamato e mi hai dato da mangiare, ero assetato e mi hai dato da bere, ero ammalato e mi hai visitato, ero in carcere e sei venuto a trovarmi». Così «si può vivere la vita cristiana a livello di santità. Poche parole, semplici parole, ma pratiche a tutti, perché il cristianesimo è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla. Oggi, se voi avete un po’ di tempo a casa, prendete il Vangelo, il Vangelo di Matteo, capitolo quinto, all’inizio ci sono queste Beatitudini; capitolo 25, ci sono le altre. E vi farà bene leggerlo una volta, due volte, tre volte. Ma leggere questo, che è il programma di santità. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio».
I BAMBINI CI GUARDANO. Un maestro racconta.
Lorenzoni e la scuola
che insegna la realtà
Fra il romanzo, il saggio e l’inchiesta, un libro che si muove sulla falsariga di classici della letteratura scolastica come Lodi, Mosca e Bernardini: un maestro racconta l’esperienza sul campo in una classe della provincia italiana con bambini provenienti da varie culture. Lezioni costruite su fatti concreti collegati a grandi personaggi della storia e dell’attualità per ridare alle nuove generazioni il gusto di fare domande
di FULVIO PANZERI
È necessario raccontare i bambini e i ragazzi di oggi, non con il taglio di chi fa ipotesi su di loro, ma attraverso lo sguardo e le riflessioni di chi con loro ha vissuto quotidianamente, li ha coinvolti in progetti che allargano le prospettive delle discipline, ha ascoltato e trascritto le loro parole, facendole diventare parte di un lungo racconto che è ben più di una cronaca, ma si trasforma in un romanzo- saggio corale dove si alternano innumerevoli voci. Sono quelle del maestro che racconta le esperienze degli ultimi cinque anni di scuola, seguendo un ordine non di sola natura diaristica, ma che offre partenze, rimandi, momenti di racconto di esperienze significative, punti di arrivo di un percorso costruito insieme alla propria classe, in un momento storico in cui diventa sempre più complesso creare delle relazioni.
È ciò che racconta Franco Lorenzoni, in questo libro, tanto intenso, quanto profondo dal punto di vista civile, di quelli che non si leggevano, per novità e ricchezza di contenuti, dai tempi delle esperienze di Mario Lodi o di Albino Bernardini ( Un anno a Pietralata), 'classici' di una letteratura- verità, fondata sull’umano, degli anni Settanta. In un succedersi di esperienze, di pensieri e di dialoghi Lorenzoni propone il senso di un viaggio compiuto in una classe elementare della scuola di Giove, il piccolo paese umbro che si affaccia sulla valle del Tevere.
Lorenzoni scrive che «per noi maestri e maestre elementari la crescente disomogeneità che abita le nostre classi, non solo riguardo alle provenienze geografiche dei bambini, costituisce la principale sfida, per affrontare la quale non finiamo mai di allenarci ». Così è necessario che l’avventura pedagogica, «per far spazio a un futuro diverso e migliore », ha bisogno di navigare necessariamente controvento, cambiando le prospettive, facendo sì che i ragazzi rappresentino la verità da cui partire per giungere alla conoscenza, per farsi un’immagine del mondo che non sia stigmatizzata su concetti stereotipati o su luoghi comuni, ma che si avvalga dell’arte dell’incontro come strumento di crescita e di costruzione di una futura e possibile forma di nuova moralità.
E ancora ritroviamo il senso di questa esperienza e la profondità del libro che la racconta in queste riflessioni: «La geografia che oggi abita le nostre classi ci offre una possibilità inedita di riflettere e di ricercare intorno allo stato delle condizioni umane nelle diverse latitudini del pianeta che abitiamo. Quando riusciamo a prenderci tempo e sostare a lungo attorno a domande cruciali, memorie di lingue diverse e molteplici storie possono intrecciarsi e ravvivare lo studio, aiutandoci a comprendere meglio ciò che si muove nel mondo » .
Lorenzoni crea situazioni che attingono al passato, le fa riconoscere ai ragazzi e al contempo ne riporta la lezione nel presente. Fa diventare persone vive il primo storico, Erodoto, chiama in causa la lezione di Gandhi e al contempo ne confronta gli esiti di ricerca con i giocattoli africani che vengono portati in classe dai ragazzi, analizzando la realtà della Somalia, di cui indaga la situazione socio-culturale attraverso la lettura di articoli che aiutano a capire cosa sia lo Stato: «Studiando alcuni articoli della nostra Costituzione e ragionando sulla separazione dei poteri, il confronto con la situazione politica in Somalia ci ha fatto capire quanto sia difficile e duro vivere in un Paese senza Stato».
Molti sono i grandi temi trattati e stupisce, nella lettura delle produzioni infantili riportate, il grado di autenticità e di bellezza cui possono giungere i bambini quando affrontano parole per temi non convenzionali, come la relazione tra guerra e pace, violenza e non violenza, maschile e femminile. E ancor più numerosi sono gli incontri fatti in questo viaggio, oltre ai già ricordati Erodoto e Gandhi, Pericle, Socrate, Aristofane, Ipazia, Martin Luther King, ma anche Malala e Leyman Gbowee, l’attivista africana, premio Nobel per la pace, che aveva guidato una rivolta delle donne contro gli uomini, che costringevano i bambini a combattere in una guerra civile in Liberia. Anche se resta nella mente un’altra figura, quella di Aylan, il piccolo bambino curdo morto affogato e fotografato sul bagnasciuga dell’isola di Kos. È un’immagine che emerge all’inizio della terza elementare, mentre tutti i ragazzi della classe condividono le memorie dell’estate, momenti felici e altri comici, ma anche questa figura drammatica che interroga sul perché dell’emigrare; ne nasce un lungo percorso di riflessione che arriva fino a Giotto e a una scritta che comparirà in grande sulle pareti della classe: « Il mar Mediterraneo è la spaccatura di Giotto » , indicazione nata da un incrocio di riflessioni, a partire da La cacciata dei demoni da Arezzo.
Si tratta di un viaggio che non smette di stupire, che racconta e interroga, che riafferma il bisogno di una pedagogia non solo a scuola per ritornare a far pensare i bambini, per costruire le coscienze di un futuro che non si vorrebbe vada perduto. La scuola, così come è stata vissuta da Lorenzoni, è come l’arte: «Non offre spiegazioni, ma dona immagini capaci di moltiplicare le nostre domande. Esattamente ciò di cui abbiamo bisogno a scuola, se vogliamo educare bambine e bambini a diffidare di ogni facile semplificazione».
Franco Lorenzoni, I bambini ci guardano, Sellerio, 2019, pagg. 334, € 14
EDUCAZIONE. GARANTIRE A TUTTI PARI OPPORTUNITÀ'. Documento delle Associazioni professionali.
FONADDS
Forum delle Associazioni professionale dei Docenti e dei
Dirigenti
Istituito con Decreto Ministeriale prot. n. 189 del 2 marzo
2018
Onorevole Ministro,
come Lei sa
bene l’art.34 della
nostra Costituzione garantisce a
tutti i cittadini
il diritto all’istruzione e
affida alla Repubblica
il dovere di rendere
effettivo questo diritto.
Perché questo sia
realizzabile lo Stato, nell’art.
3, si assume
il compito di
rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e
sociale, che, limitando
di fatto la
libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana... La
Repubblica e il suo
Ministero in particolare
devono assumersene concretamente l’impegno.
In nome di questi principi, onorevole
Ministro, le chiediamo di dare a tutti gli studenti della
Repubblica le stesse
opportunità logistiche e
organizzative come i servizi
educativi per l'infanzia,
come il tempo
pieno e il
tempo prolungato, che offrono
maggiori e migliori
opportunità di studio personalizzato e
approfondito soprattutto a chi vive
in situazioni deprivate culturalmente… I
dati relativi alla
dispersione scolastica e
ai risultati di apprendimento, come
si sa, vanno,
infatti, messi in
correlazione con le condizioni
di svantaggio culturale
e di deprivazione
economico-sociale del territorio cui
fanno riferimento. In
quei luoghi i
docenti lavorano, inoltre,
in situazioni difficili sotto molti aspetti sociali e culturali.
Tutto
questo Lei, essendo
stato un insegnante,
siamo sicuri che
lo sappia, e ora che è Ministro ha l’opportunità, oltre
che il dovere, di tradurlo in azione di governo. Lei
sostiene che le sue parole
“Ci vuole più
impegno, più lavoro
e sacrificio al Sud
per recuperare il
gap con il
Nord, non più
fondi. Vi dovete impegnare forte,
è questo che ci vuole”
siano state male
interpretate. Le crediamo.
Insegnanti e alunni preparati e
impreparati si trovano a tutte le latitudini del nostro Paese, ma le condizioni
socio economiche influiscono enormemente e se
veramente crede in
ciò che ha
aggiunto a quelle
parole “vogliamo far sentire
la nostra presenza,
essere vicini ai
territori, in tutta
Italia, al Nord come
al Sud. Senza
distinzioni . Faccia
in modo, onorevole
Ministro, che anche i giovani del
Sud possano avere le stesse opportunità di quelli del Nord pretendendo come
Ministro della Repubblica
che, oltre al
suo dicastero, “tutte le
istituzioni del territorio facciano la loro parte” eliminando o almeno riducendo
al massimo le mille difficoltà che ostacolano il successo scolastico degli
studenti dei territori più sofferenti.
Da
parte nostra, come
Forum delle associazioni
professionali della scuola, siamo
pronti a sostenerla
in questo impegno
e a collaborare,
attraverso le nostre sezioni
diffuse sul territorio nazionale, per dare a tutti i nostri cittadini uguali
diritti e opportunità.
ADI – AIMC – ANDIS
– APEF – Proteo Fare Sapere – CIDI - DIESSE — DISAL – FNISM – IRASE –
IRSEF/IRFED - LEGAMBIENTE scuola e formazione – MCE - UCIIM
UN ACCORDO PER LE AUTONOMIE. CUI PRODEST?
L’accordo per le
autonomie
La notizia di
questi giorni che il governo sta per approvare un accordo che trasferisce a tre
regioni del Nord – Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – una serie di funzioni
(con relativi budget finanziari), finora riservate allo Stato, può essere letta
a vari livelli.
Uno è quello
del metodo, per la verità ben poco democratico – e per nulla “populista” – che
si è seguito. Dopo aver gridato a gran voce contro gli “inciuci” della “casta”,
consumati sulle teste degli italiani, i partiti al governo si trovano oggi a
discutere a porte chiuse una scelta che non potrà non avere una portata storica
per il nostro Paese e conseguenze rilevantissime per la vita concreta delle
persone.
Se, infatti, le
tre regioni italiane più ricche potranno gestire i servizi fondamentali,
avranno anche il diritto di trattenere all’interno dei loro confini quel
surplus che deriva dal loro gettito fiscale e che attualmente viene
redistribuito dallo Stato in modo da venire incontro ai bisogni delle altre
regioni, in particolare di quelle meridionali, i cui bilanci sono invece in
deficit. Non è un’ipotesi, ma una certezza, la previsione di un serio
contraccolpo sulle economie già precarie di queste regioni.
La fine di un modello
unitario statale: l’istruzione
Ma, dicevo, non
è un problema solo economico. Trasferendo alle regioni che ne stanno facendo
richiesta l’autonomia in ambiti decisivi come, per fare un esempio,
l’istruzione, lo Stato italiano rinuncerà ad avere un modello unitario di
scuola.
Potrà diventare
diverso studiare in Lombardia o in Veneto e in Calabria o in Sicilia, come lo è
oggi tra studiare in Italia e in Germania (potrà essere diversa anche l’offerta
formativa).
Ma lo sarà
anche insegnare: si parla già di stipendi più alti per i professori che
lavoreranno al Nord e quelli del Sud. E, naturalmente, toccherà alle rispettive
regioni stabilire le regole per l’assunzione, ivi inclusa la provenienza
regionale dei candidati.
Del resto le
motivazioni non mancheranno: fa parte dell’armamentario culturale della Lega il
luogo comune che i “terroni” sono degli scansafatiche e dei parassiti.
Proprio a
proposito di scuola, il ministro leghista dell’Istruzione Marco Bussetti, alla
domanda di un cronista su come le scuole meridionali possano recuperare il gap
con quelle del Nord, ha risposto che «ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete
impegnare forte».
E,
all’insistenza del cronista che gli chiedeva se fosse previsto un piano di
aiuti economici, si è visibilmente irrigidito: «Più fondi? No, più impegno:
lavoro, sacrificio, impegno, lavoro e sacrificio».
Insomma, come
titolava, «Libero» (vicino alla Lega), anche per i meridionali, dopo che per i
migranti, «la pacchia è finita».
Il rischio della
discrezionalità e delle discriminazioni
Ma a tutti i
livelli, non solo a quello scolastico, bisogna spettarsi una ricaduta analoga
del nuovo regime dell’autonomia. Ormai è prevedibile che nei bandi di concorso,
nelle ammissioni a tutti i servizi, compresi quelli sanitari, possano scattare
meccanismi di discriminazione che vanificherebbero la comune cittadinanza
italiana, dando la precedenza a quella regionale.
Dopo il «Prima
gli italiani», scatta (come ampiamente previsto dai pochi, inascoltati, che
hanno fin dall’inizio diffidato delle promesse elettoralistiche di Salvini al
Sud) la seconda fase: «Prima il Nord».
Roba di fronte
a cui la riforma costituzionale proposta da Renzi e su cui si sono spesi fiumi
di discorsi, sui giornali, in televisione, sui social, diventa ben poca cosa.
Mappa delle
persone a rischio povertà nelle varie regioni, pubblicata dall’istituto tedesco
BBSR
Il mancato
ascolto dell’opinione pubblica
Se c’era,
dunque, una questione su cui sarebbe stato necessario un vastissimo
coinvolgimento dell’opinione pubblica era proprio questa.
Invece, già il
governo Gentiloni (che ha avviato la procedura) sia questo (che la sta portando
a compimento) sono stati talmente riservati che solo all’ultimo momento si è
cominciato a parlarne sui mezzi di comunicazione.
Si dirà che l’accordo
deve ancora essere definito e che poi sarà necessaria l’approvazione del
Parlamento. Ma chi ricorda che in Senato l’ultima legge di bilancio è stata
approvata dai senatori senza che neppure avessero il tempo di eleggerla, e che
alla Camera i deputati hanno dovuto votare senza avere quello discuterla, non
può certo sentirsi rassicurato sulla possibilità di un vero confronto pubblico.
E, in ogni
caso, la decisone resterà nelle mani di gruppi parlamentari di maggioranza che
hanno dimostrato inequivocabilmente di dipendere totalmente dalla volontà dei
loro leader, e dunque del governo di ci essi sono i (vice)premier.
Autonomia suona meglio
di secessione
Un altro
livello di lettura è quello riguarda il significato politico. Quella che si sta
verificando ha potuto essere definita, da un serio economista studioso dei
problemi Nord-Sud, Gianfranco Viesti, la «secessione dei ricchi».
La
realizzazione, cioè, del programma che la Lega Nord aveva invano perseguito con
Bossi partendo dalla periferia e attaccando “Roma ladrona”, questa volta
attuato da Salvini a partire proprio dal centro dello Stato. Ha aiutato anche
cambiare il nome: “autonomia” suona meglio di “secessione”…
L’utilità delle
autonomie per lo sviluppo della nazione
Da parte del
governo, a dire il vero, arrivano le più ampie rassicurazioni. Conte al termine
della riunione di governo che ha trattato l’argomento, dopo aver sottolineato
che «sull’autonomia c’è assoluta unanimità e pieno consenso», ha promesso che
sarà lui il «garante della coesione nazionale; non sarà un percorso che
arricchirà alcune regioni e ne impoverirà altre».
Senza i
miliardi che per ora lo Stato eroga, attingendo alle entrate fiscali del Nord e
reinvestendole al Sud, i meridionali saranno, secondo loro, molto più felici.
Perché anche
loro, si fa notare, potranno chiedere la stessa autonomia che oggi viene data
alla Lombardia, al Veneto e all’Emilia Romagna. «Mi auguro che questo percorso
venga raccolto dalle regioni del sud», ha detto Salvini in conferenza stampa.
Già. Forse il
nostro ministro degli Interni non ricordava che questa autonomia già la Sicilia
ce l’ha fin dal dopoguerra e che essa non ha portato, finora, particolare
felicità, anzi ha favorito corruzione, mafia e degrado economico.
Finora si era
contato sull’aiuto dello Stato per cercare di vincere queste derive. Ora che
ogni regione prende la sua strada, per la parte sana della popolazione si
delinea un futuro sempre più problematico.
La Chiesa e il rapporto
nord-sud
Un’ultima
lettura può essere quella che guarda alla visione della Chiesa italiana, che si
è molto occupata del rapporto tra Nord e Sud.
Già nel
documento della CEI del 1989, Chiesa italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella
solidarietà, si era voluto riflettere «sulla “questione meridionale” come
problema di tutto il Paese» (n.1) e si era notato che «la questione meridionale
implica sostanzialmente l’esistenza di una crisi che è di tutto il Paese e non
solo del Mezzogiorno» (n.8).
In continuità
con questa impostazione, nel nuovo documento Per un Paese solidale, pubblicato
poco più di dieci anni dopo, i vescovi osservano che oggi «affrontare la
questione meridionale diventa un modo per dire una parola incisiva sull’Italia
di oggi» (n.1).
I vescovi
denunziavano senza mezzi termini una deriva culturale che «ha fatto crescere
l’egoismo, individuale e corporativo, un po’ in tutta l’Italia, con il rischio
di tagliare fuori il Mezzogiorno dai canali della ridistribuzione delle
risorse, trasformandolo in un collettore di voti per disegni politico-economici
estranei al suo sviluppo» (n.5).
Non si tratta,
però, di scaricare i meridionali delle loro responsabilità. Già nel documento
del 1989 ciò si diceva chiaramente: «Sono necessari, e doverosi, l’aiuto e la
solidarietà dell’intera Nazione, ma in primo luogo sono i meridionali i
responsabili di ciò che il Sud sarà nel futuro» (n.15).
Citando
Giovanni Paolo II, il documento del 2010 dice la stessa cosa: «Spetta “alle
genti del Sud essere le protagoniste del proprio riscatto, ma questo non
dispensa dal dovere della solidarietà l’intera nazione”» (n.2).
Oltre
l’assistenzialismo
Basta, dunque,
col vittimismo e con l’assistenzialismo. L’aiuto che il Paese può e deve dare
il Sud è di stimolarlo a trovare in se stesso le energie e le risorse per
uscire dal degrado.
Ma questo, se
da un lato esclude che si continui come si è fatto finora, richiede una più
stretta e autentica collaborazione tra le regioni italiane: «Proprio per non
perpetuare un approccio assistenzialistico alle difficoltà del Meridione,
occorre promuovere la necessaria solidarietà nazionale» (n.8).
Mi sembra il
contrario di ciò che si sta facendo. Invece di studiare progetti di intervento
e di cooperazione tra Nord e Sud alternativi all’ “approccio assistenzialistico”,
si abbandona il Meridione al suo destino. Accompagnando il gesto con parole di
vago conforto, come si usa ai funerali.
*Direttore Ufficio Pastorale della Cultura
dell'Arcidiocesi di Palermo. Scrittore ed Editorialista.
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