di Silvano
Petrosino
Siamo
circondati dall’intelligenza artificiale, e questa è una buona notizia; siamo
invece invasi dai discorsi sull’intelligenza artificiale, e questa è una
pessima notizia. In effetti, sembra
che non ci sia altro di cui parlare e su cui riflettere, e così, ancora una
volta, si sentono risuonare le seducenti parole di Lucignolo che promettono un
futuro radioso in cui «le vacanze d’autunno cominciano con il primo di gennaio
e finiscono con l’ultimo di dicembre». C’è dell’infantilismo, nel migliore dei
casi, e dell’idolatria, nel peggiore dei casi, nell’attuale celebrazione
dell’IA. che, come ogni vero idolo, risplende ma anche acceca, arrivando ad
occupare tutta la scena.
Evidentemente,
non si tratta di misconoscere le potenzialità di questo magnifico strumento, ma
neppure si può sorvolare sulle allucinazioni e sulle illusioni che, a dispetto
di ogni buona volontà individuale, si coagulano attorno a questo nuovo, anche
se momentaneo, protagonista della nostra attualità.
L’ultima
lettera enciclica di Papa Francesco non parla dell’IA, e questa è un’ottima
notizia. Nelle pagine della Dilexit nos si preferisce
parlare del cuore e di conseguenza dell’amore, del cuore come via d’accesso
all’amore. L’intera argomentazione, che ultimamente intende richiamare
l’attenzione «sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo», si raccoglie
attorno a due «convinzioni fondamentali», se così ci si può esprimere, che
hanno il merito, visto l’argomento, di evitare le trappole del sentimentalismo
e dell’emotività (vale la pena notare che spesso il termine in questione è scritto
tra virgolette: “cuore”). La prima di tali «convinzioni» è che «Il nucleo di
ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma
dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è
unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue
componenti spirituali, psichiche e anche fisiche» (21). Al di là
dell’opposizione anima e corpo, ma al tempo stesso anche più profondamente
dell’unità anima e corpo, il cuore si configurerebbe così come il segreto più
intimo e misterioso dell’essere umano in quanto sede e fonte dell’amore, di
quell’amore – è il tratto fondamentale dell’antropologia cristiana, vale a dire
di quella visione dell’uomo istruita dal modo di vivere e di parlare di Gesù il
nazareno – che è la carne stessa di ogni esistenza umana, dell’intera esistenza
umana e non solo della sua «dimensione emotiva», «perché ogni essere umano è
stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per
amare ed essere amato» (ibidem).
La
seconda «convinzione» all’origine del testo del Santo Padre è che «la parola “cuore” non può essere
spiegata in modo esaustivo dalla biologia, dalla psicologia, dall’antropologia
o da qualsiasi scienza. È una di quelle parole
originarie “che indicano la realtà che spetta all’uomo tutt’intero in quanto
persona corporea e spirituale”». Questa «parola originaria» non può essere
spiegata in modo «esaustivo» dalla scienza, più precisamente dalle singole
scienze, proprio perché in quanto «originaria» è essa stessa la luce che
illumina la scena, l’intero, all’interno della quale ogni spiegazione può
emergere e svilupparsi: «Così il biologo non è maggiormente realista quando
parla del cuore, perché ne vede solo una parte, e l’insieme non è meno reale,
ma lo è ancora di più. Nemmeno un linguaggio astratto potrebbe avere lo stesso
significato concreto e contemporaneamente complessivo» (15).
Il
termine “cuore” rinvia ad una dimensione dell’esistenza umana la cui misteriosa
natura sfugge alla presa della comprensione scientifica:
questo mistero, infatti, non coincide con l’ignoto di cui parla e che
appassiona la scienza. In tal senso, non solo «nell’era dell’intelligenza
artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’uomo sono necessari la
poesia e l’amore» (20), ma neppure possiamo negare che anche solo per tentare
di «leggere e interpretare» la trama sottile e aggrovigliata dell’esperienza
umana è necessario il cuore della poesia e dell’amore. L’enciclica parla
dell’«ordinario-straordinario» di quelle «migliaia di piccoli dettagli che
compongono le biografie di tutti» (20), ordinario-straordinario che non potrà
mai stare tra gli algoritmi, che non potrà mai essere letto e apprezzato dagli
algoritmi, e non perché quest’ultimi siano male formulati ma perché è la loro
stessa formula, la potenza della lora formula, a non essere in grado di
apprezzarli proprio nella loro straordinaria piccolezza.
Riferendosi
a San Paolo («Mi ha amato e consegnato se stesso per me» Gal 2,20), il Papa scrive: «La dedizione di Cristo sulla croce lo
soggiogava, ma aveva senso solo perché c’era qualcosa di ancora più grande di
quella dedizione: “Mi ha amato”. Quando molte persone cercavano in varie
proposte religiose la salvezza, il benessere o la sicurezza, Paolo, toccato
dallo Spirito, ha saputo guardare oltre e meravigliarsi della cosa più grande e
fondamentale: “Mi ha amato”» (46).
Silvano Petrosino (Milano 1955),
studioso di filosofia contemporanea, si è occupato prevalentemente dell’opera
di M. Heidegger, E. Lévinas e J. Derrida.
Oggetto
dei suoi studi sono la natura del segno, il rapporto tra razionalità e
moralità, l’analisi della struttura dell’esperienza con particolare attenzione
al rapporto tra la parola e l’immagine.
Insegna
Filosofia della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano.
Il
suo ultimo libro, pubblicato da Vita e Pensiero, è "Piccola metafisica
della luce".
Fonte: Vita e Pensiero
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