Il
progetto della compagnia Teatri Di.versi di Corato ha sviluppato laboratori
teatrali con i ragazzi pugliesi e di Ramallah sulle parole memoria, verità,
giustizia e cura. Da questo percorso è nato uno scambio di lettere che ha
coinvolto anche i bambini delle quarte elementari, compresi i piccoli
dell’istituto Saint George di Gerusalemme per costruire concreti legami di pace
-
-di Emiliano Moccia
«La
narrazione sulla Palestina non è così forte ed esaustiva, tanto che abbiamo
scoperto che pochi ragazzi fossero a conoscenza della Palestina. E forse il
primo elemento da restituire a questo popolo è proprio la sua memoria, la sua
storia, il racconto della sua esistenza. Percorso che abbiamo fatto
attraverso quattro laboratori, attraverso le parole chiave che abbiamo
individuato, perché solo facendo un’analisi accurata di memoria, verità,
giustizia e cura si può davvero iniziare a parlare di pace non in modo retorico
ma in modo cosciente e consapevole» aggiunge Lerro, che ha condotto
i laboratori teatrali a Corato. «Volevamo fare dei laboratori sulla pace, ma la
parola pace a volte viene usata priva del suo vero significato. Non c’è pace
senza giustizia, senza memoria, senza libertà e cura: queste sono alcune delle parole
su cui abbiamo lavorato» ha spiegato Iyas Jubeh, mediatore
culturale italo-palestinese, che insieme a Mariam Kamel Basha,
un’attrice palestinese, ha guidato il laboratorio a Ramallah, città palestinese
situata in Cisgiordania.
Solo
facendo un’analisi accurata di memoria, verità, giustizia e cura si può davvero
iniziare a parlare di pace non in modo retorico ma in modo cosciente e
consapevole
Il
progetto è stato promosso da Teatri Di.versi con il sostegno dalla Regione
Puglia nell’ambito dell’avviso pubblico “Iniziative per la Pace e per lo
Sviluppo delle Relazioni tra i Popoli del Mediterraneo”. Partner
dell’iniziativa è stato il Comune di Corato, mentre hanno collaborato anche Nazra, l’istituto
comprensivo “Imbriani-Piccarreta” e la scuola Saint George di Gerusalemme.
Fondamentale per la riuscita dell’iniziativa il Cinémathèque Al-Kasaba
di Ramallah, che ha ospitato i giovani partecipanti al laboratorio che in
alcuni casi hanno dovuto fare i conti anche con i disagi provocati dai soldati
israeliani che a Beitunia, a tre km dal teatro di Ramallah, chiudevano le
strade che portano in città.
Nelle
loro lettere i giovani palestinesi parlano dei diritti negati, della paura di
uscire di casa. Escono solo per andare a scuola, vivono una situazione di
grande apprensione
«Ai
bambini italiani abbiamo dovuto spiegare cosa sono i checkpoint, che per
fortuna non vivono nei loro territori. I ragazzi palestinesi più grandi,
invece, ci hanno chiesto di aiutarli nel boicottaggio dei prodotti israeliani.
Le azioni che si possono fare per manifestare la propria contrarietà a quanto
sta avvenendo sono molte poche, ma una di queste per dissentire è il potere che
abbiamo noi consumatori. E poi ci chiedono come ci immaginiamo la
Palestina, se tifiamo per loro, se conosciamo qualcosa. Una delle cose più
emozionanti di questo progetto culturale è stato capire che il solo fatto di
essere visti da qualcuno li ha commossi, ha emozionato i ragazzi, ha accesso
una luce in loro e nei loro animatori. Perché per loro ha voluto dire
che l’Occidente, che è così tanto responsabile di tutto questa storia, si sta
prendendo cura e carico della mancanza del rispetto dei diritti umani, della
sofferenza di questo popolo. Per comprendere quanto sia importante questo
progetto basta pensare ai bambini e ai ragazzi italiani che non sapevano dove
fosse la Palestina, cosa stesse accadendo. Probabilmente, le scuole che sono
impegnate a terminare tutti i programmi di studio, parlare di cose avvenute
davvero secoli fa, dovrebbero mettere un faro anche sulle questioni più attuali
per far capire cosa accadendo, per aiutare i ragazzi sviluppare un senso
critico, a prendere una posizione».
“Quando
ci si guarda negli occhi è molto più difficile farsi la guerra, scopro che
l’altro sono io, è inevitabile che la pace possa germogliare”
Adesso,
quindi, le lettere cartacee sono state consegnate ai ragazzi italiani che hanno
così potuto leggerne il contenuto. «Il progetto, però, comprende anche altre
azioni che si concluderanno a metà dicembre, come lo spettacolo teatrale Il
Giardino delle Parole, la proiezione di alcuni corti con Nazra, la
costruzione di aquiloni sempre in vista del tema della pace» prosegue Lerro.
«Ora ci auguriamo che il rapporto epistolare che si è instaurato tra i ragazzi
pugliesi e quelli palestinesi possa continuare, che possa proseguire il legame
tra le due scuole. L’unica cosa che possiamo fare per restare umani è creare un
contatto. Un ponte di parole, appunto, un contatto reale, concreto, tra le
persone. Perché, quando ci si guarda negli occhi è molto più difficile farsi la
guerra, scopro l’altro umano come me, scopro che l’altro sono io e viceversa, è
inevitabile che la pace possa germogliare».
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