E
se ad essere anacronistica fosse l’idea del consumo che non ha fine?
Le
domeniche, le grandi festività religiose o laiche, servono a ri-sincronizzare
le persone in un tempo che viene liberato per tutti nello stesso momento
- di FRANCESCO RICCARDI
«Anacronistica».
Delle diverse reazioni che ha suscitato la proposta di legge sulla chiusura dei
negozi in 6 superfestività, presentata da Silvio Giovine di Fratelli d’Italia,
colpisce questa definizione. Perché insiste sul tema fondamentale del tempo e assieme
tradisce una precisa weltanschauung, una visione dell’uomo potremmo dire a una
sola dimensione: quella del consumo.
La
questione è semplice: dopo anni di liberalizzazione totale del commercio i
piccoli negozi di quartiere sono stati spazzati via, in parte per una naturale
modernizzazione della distribuzione e in parte perché impossibilitati ad
assicurare gli stessi orari di lavoro dei supermercati. Una concorrenza del
“sempre aperto” che la stessa grande distribuzione organizzata subisce ora
dall’online, per definizione sempre accesa e accessibile. Di qui il forte
timore di alcuni operatori del settore che qualsiasi regolamentazione possa
intaccare il fatturato. Anche solo di qualche frazione, visto che stiamo
parlando di sei-giornate-sei in un anno - Natale, Santo Stefano, Capodanno,
Pasqua, Ferragosto, il Primo Maggio - e una tipologia molto limitata di
esercizi commerciali (sono esclusi bar, ristoranti, pasticcerie…). Giornate
festive nelle quali sono invece chiamati a lavorare gli addetti del settore, un
tempo in grande espansione numerica, ora molto meno vista la sempre più spinta
automazione che caratterizza anche la Gdo. Con una progressiva
“proletarizzazione” del commercio tra addetti alla logistica sfruttati tramite
false cooperative, consegne a mezzo rider non tutelati e commesse a basso
salario.
Perché
il sistema economico si regge sulla continua e rutilante catena di
produzionevendita- consumo, sull’estrazione di valore dalle persone prima
ancora che dalla trasformazione delle cose. E affinché ciò avvenga, perché il
plusvalore possa generarsi in maniera continuativa – andando in minima parte a
remunerare il lavoro e per la maggior parte a valorizzare il capitale e
concentrarsi nelle mani di pochi – si deve “conquistare” il tempo delle
persone, poterlo in qualche modo indirizzare e concentrare appunto verso il
binomio produzione/ consumo. La festa, le domeniche in genere ma soprattutto le
grandi festività religiose o laiche, hanno invece questa funzione in
particolare: quella di sancire uno stop,
una cesura rispetto al tempo ordinario del lavoro. Le feste servono a
ri-sincronizzare le persone in un tempo che viene liberato per ognuno di noi
contemporaneamente. Possiamo fare festa assieme perché siamo tutti liberi e
siamo tutti liberi proprio perché possiamo fare festa assieme (è il senso della
liberazione nell’Esodo, dello shabbat e della domenica). Liberi di stare in
famiglia, liberi di incontrarsi con la propria comunità, liberi di impegnarsi
nel volontariato, di costruire bene comune, di pensare, liberi veramente in un
tempo sincrono.
Il
sistema economico, invece, persegue l’obiettivo di ricondurre tutto e solo alla
generazione di profitto, compresi i rapporti sociali. Basti pensare ai centri
commercia-li, quei non-luoghi che sono diventati le sedi privilegiate di una
socialità che non è mai gratuita ma sempre dominata dallo scambio economico. E
per farlo propone un modello di distrazione di massa disimpegnato, finalizzato
esclusivamente al consumo, basato sull’a-sincronia: alcuni devono sempre
lavorare perché altri a turno acquistino, e viceversa, lungo tutti i 365 giorni
dell’anno, a ciclo continuo senza fermate. Senza mai interrompere l’offerta di
beni spacciata come indispensabile. Come se la vera e unica urgenza per le
persone fosse acquistare anche il giorno di Pasqua, anche il Primo Maggio,
l’ennesima camicia, il nuovo telefonino o le uova che ci si è dimenticati di
comprare il giorno prima.
Ma
non è forse proprio questa idea della persona “a una sola dimensione” e della
libertà stessa ad essere, in maniera interessata, fortemente “anacronistica”?
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