A Roma in una giornata
di studio educatori ed esperti
hanno indagato
la complessità del mondo giovanile.
Per costruire insieme il futuro
-
-
Don
Giacomo Pompei, direttore dell’Ufficio per la pastorale della scuola della
diocesi di Macerata, vede una priorità nell’azione pastorale accanto ai
giovani: conoscerli nella loro realtà, mettendo da parte i pregiudizi o gli
schemi preconfezionati, superando gli aspetti problematici per aprirsi allo
stupore della novità. Don Giacomo, come aiutante di studio alla Cei, ha infatti
partecipato nei giorni scorsi a Roma al seminario “Come mi conosci?”, un
momento di ricerca e riflessione sulla realtà giovanile, organizzato
dall’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e dal
Servizio nazionale per la pastorale giovanile. Una collaborazione preziosa per
comprendere meglio il mondo dei giovani e costruire insieme nuove prospettive.
Uno sguardo appassionato che è arrivato attraverso un confronto con i
contributi di una decina di ricercatori in diverse materie (sociologia,
pedagogia, psicologia, teologia pastorale).
In
questa direzione è interessante un’indicazione che è emersa durante un
intervento. «Nei ragazzi e nelle ragazze del nostro paese, secondo la ricerca European
values studies, è forte la dimensione della ricerca di senso e anche il
tentativo di andare un po’ al di là di se stessi. È un dato molto importante -
commenta Vera Lomazzi, docente di sociologia generale all’ università di
Bergamo - perché lo vediamo in tante dimensioni valoriali, non solo nella
dimensione religiosa ma anche nella famiglia, nel lavoro e nell’impegno nella
solidarietà». Questa indicazione interpella gli educatori ad assumere uno
slancio rinnovato: «Credo sia importante cogliere questa forte richiesta
di guida - commenta Lomazzi - che c’è dietro alla ricerca di senso che emerge.
Oltre a essere testimoni credibili nei propri ruoli all’interno della comunità,
chi educa è fondamentale che proponga esperienze in cui sentirsi riconosciuti
come persona, protagonista non solo del proprio futuro ma che attivamente può
contribuire al futuro collettivo». La docente lombarda prova a ipotizzare delle
direzioni: «Penso in particolare a esperienze concrete di coinvolgimento,
informale, su temi significativi per i giovani, come la pace, l’ambiente, la
sostenibilità sociale e la lotta alle disuguaglianze, ma anche sperimentare
questa attribuzione di senso in forme più strutturate come nelle esperienze di
inserimento lavorativo e formazione professionale». Un percorso che
inevitabilmente richiede alla comunità educante il coraggio di mettersi in
discussione per poter comprendere i giovani con categorie spesso inedite.
«Si
può partire dall’offrire più spazio e più tempo ai ragazzi per dare loro
parola, far esporre le loro idee, i loro progetti - aggiunge Cecilia
Costa, docente di sociologia dei processi culturali all’università di Roma Tre -
perché li vediamo spesso bloccati nell’esprimersi. Possono così prendere
consapevolezza delle loro potenzialità e assumersi delle responsabiltà». Costa
vede nei giovani una carica creativa che si può concretizzare in tante
direzioni. « Agli adulti è chiesto - prosegue di offrire loro dei contenuti
sostanziosi che siano dei riferimenti certi nei loro percorsi, altrimenti in
questa società così frammentata il rischio è che i giovani si perdano. Regna
una cultura dell’eterno presente che non aiuta a costruire dei progetti. Si
agisce sulla contingenza, in base al sentire, ai
bisogni immediati». Giovani ripiegati «di fronte a
continue ansie da prestazione - dice don Pompei - però non
possiamo fermarci lì. Occorre vederli pieni di promesse. Queste
promesse ci impegnano e ci danno il senso della nostra responsabilità»
«Spesso - afferma Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione,
la scuola e l’università - guardando ai giovani ci fermiamo ai sintomi
delle tante manifestazioni di disagio, di dipendenza digitale e invece siamo
chiamati ad andare oltre per cercare di intervenire sulle cause, che sono, ad
esempio, la solitudine, la mancanza di trascendenza e l’assenza di adulti che
siano guide e maestri». Con questo desiderio di fermarsi per pensare e
ascoltare la complessità giovanile è stata individuata la collaborazione «tra
l’Ufficio della scuola, dell’università e dell’insegnamento della religione -
afferma Diaco - che sono luoghi in cui giochiamo fuori casa, nei quali la
Chiesa si trova in altri ambienti, in altri contesti e il servizio della
pastorale giovanile che a volte magari viene identificato con l’attività
interna della Chiesa per i giovani e con i giovani. Possiamo mostrare sempre di
più come questi due approcci siano complementari e si debbano integrare per
lavorare sempre di più insieme a favore del bene dei giovani».
Aggiunge
don Riccardo Pincerato, direttore del Servizio nazionale di pastorale
giovanile: «Un seminario che mette insieme più voci, che non per forza
sono concordanti, che possono avere anche delle differenze, ci può aiutare a
continuare a sognare, a continuare a costruire strade per le nuove generazioni.
“Come mi conosci”, scelto come titolo della giornata, rimane allora una domanda
aperta e rimane una possibilità che vogliamo offrirci come Chiesa nei nostri
territori per continuare a stare in dialogo con la realtà».
Il
Servizio nazionale durante l’anno sta offrendo alcune proposte di formazione.
Le diocesi sono interpellate a mettersi in movimento. «Serve iniziare a
studiare - afferma don Pompei - è fondamentale che anche nelle nostre diocesi
si attivino percorsi di ricerca, lasciandosi accompagnare in attività di
studio, di riflessione, senza aver paura di perdere tempo o di farsi prendere
dalla frenesia dell’organizzare. Coinvolgere persone esperte che ci mettano il
cuore, che si impegnino a conoscere la realtà delle nuove generazioni. Direi
che forse la ricaduta più grande che possiamo prendere dall’occasione offerta è
quella di attivare nelle esperienze locali dei percorsi di ricerca per
accompagnare la vita dei giovani».
Nessun commento:
Posta un commento