La condivisione rafforza i legami sociali, accresce le conoscenze, felicita, feedback degli altri, permettendoci di conoscere meglio noi stessi.
La condivisione
rafforza i legami sociali, accresce le nostre conoscenze sul mondo e, fattore
forse più importante, elicita il feedback degli altri, permettendoci in qualche
modo di vedere e conoscere meglio parti di noi stessi.
Cosa
hanno in comune l’uso di Facebook,
il cibo e
l’attività
sessuale? Sembrerà strano, ma tutte e tre queste attività coinvolgono le
stesse aree del cervello, quelle legate al senso di gratificazione.
Diversi
studi hanno dimostrato che il 30-40% delle conversazioni umane ha come scopo
principale quello di fornire agli altri informazioni su di sé o condividere
esperienze vissute personalmente (Dunbar, Marriott & Duncan, 1997; Landis
& Burtt, 1924). Le ricerche condotte recentemente riguardo all’uso di
internet indicano che ben l’80% dei nostri aggiornamenti di stato su Facebook o
Twitter consistono in esperienze personali appena vissute (Naaman, Boase, &
Lai, 2010).
Questo
tasso così alto di “apertura agli altri” (self-disclosure), tipico della nostra
specie, deriverebbe da una motivazione molto forte negli esseri umani a
condividere i propri pensieri e convinzioni sul mondo: il motivo di questa
spinta alla condivisione è che questa viene da noi esperita come una potente
fonte di gratificazione personale. In altre parole, raccontiamo volentieri
qualcosa di noi perché questo, in qualche modo, ci soddisfa (Tamir &
Mitchell, 2012).
Nei
decenni precedenti, studi di neuroimaging hanno evidenziato i circuiti
cerebrali connessi proprio a questo senso di gratificazione. Sia negli animali
sia negli umani il sistema mesolimbico dopaminergico – che include il nucleus
accubens (NAcc) e l’area tegmentale ventrale (VTA) – risponde fortemente a
stimoli gratificanti primari, come il cibo o il sesso (Hernandez, & Hoebel,
1988), a stimoli secondari, come il denaro (Schott et al., 2008) e persino a
gratificazioni sociali come l’osservare come gli altri condividano le loro
opinioni, l’esperire l’humor, o ricevere lo sguardo interessato di un membro
del sesso opposto (Sabatinelli, Bradley, Lang, Costa, & Versace, 2007;
Aharon et al., 2001).
Tamir
e Mitchell, del dipartimento di psicologia di Harvard, hanno condotto una serie
di studi, combinando tecniche di neuroimaging e metodi comportamentali al fine
di testare l’ipotesi che le stesse aree cerebrali componenti il circuito della
gratificazione fossero coinvolte anche nel processo di self-disclosure.
Tramite
risonanza magnetica funzionale (fMRI) veniva analizzata l’attività cerebrale
dei partecipanti allo studio durante due fasi: una prima fase in cui veniva
chiesto ai soggetti di rivelare le proprie opinioni e i propri pensieri agli
altri, ed una seconda fase in cui si chiedeva invece di speculare su ipotetiche
opinioni o pensieri di un’altra persona.
Gli
autori hanno inoltre elaborato un metodo “comportamentale” per rilevare il
valore dato dai soggetti all’opportunità di parlare di sé: hanno sviluppato un
questionario composto da domande suddivise in tre classi (domande “self”,
“others” e “facts”). Ad ogni domanda è stato associato un piccolo guadagno in
denaro (variabile da $ 0.01 a $0.04) che i partecipanti ricevevano alla fine
dell’esperimento. Le domande di tipo “self” venivano associate ad un guadagno
minore. Basandosi sull’ipotesi che dare informazioni personali fosse
intrinsecamente gratificante, gli autori si aspettavano che i soggetti fossero
disposti a rinunciare a somme di denaro maggiori per rispondere a domande su di
sé (es. “Quanto ti piacciono gli sport invernali, come lo sci?”)
rispetto che per rispondere a domande “others” (es. “Quanto pensi che a
Barack Obama piacciano gli sport invernali, come lo sci?”) e a domande
“facts” (es. “Leonardo Da Vinci ha dipinto la Mona Lisa?”).
Gli
autori hanno così scoperto che non solo parlare di sé attivava il NAcc
bilaterale e la VTA in modo molto più marcato rispetto al parlare di altri, ma
anche che i soggetti erano disposti a rinunciare al 17% del guadagno che
potevano ottenere per rispondere a domande relative a se stessi.
Il
risultato forse più interessante è che il solo pensare introspettivamente a sé
stessi era sufficiente a far provare ai soggetti un senso di gratificazione e
ad attivare il loro sistema mesolimbico dopaminergico. Tuttavia, il comunicare
agli altri i propri pensieri piuttosto che il tenerli per sé ne magnificava
l’attivazione.
In
altre parole, condividere pensieri ed esperienze con gli altri è per noi tanto
importante quanto gratificante, molto più di quanto non accada quando, per
motivi di varia natura, non abbiamo l’opportunità di farlo. E questo non
dovrebbe sorprendere, dal momento che la condivisione rafforza i legami
sociali (Dindia, 2000; Collins & Miller, 1994), accresce le nostre
conoscenze sul mondo e, fattore forse più importante, elicita il feedback degli
altri, permettendoci in qualche modo di vedere e conoscere meglio parti di noi
stessi.
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