e antropologi a confronto
contro l'imbarbarimento
dello stare a tavola.
Enzo Bianchi: "Non aggrediamo gli alimenti,
serve silenzio e calma"
Natale
è tempo di feste e grandi tavolate. Ma attenzione: “Mangiare cibi geneticamente
modificati o artefatti ci rende barbari”. A dirlo è Enzo
Bianchi, fondatore della comunità
monastica di Bose, nell’area del comune piemontese di Magnano, in
provincia di Biella.
La
“grammatica”
Il
religioso non si riferisce a ogm con dentro chissà quale forza vitale in grado
di rendere chi li mangia maleducato e rozzo nei modi. Semmai, però, a organismi
subdolamente capaci di provocare una inaspettata confusione a livello
spirituale. “Non credo – precisa - che questi alimenti nutrano allo stesso modo
la nostra umanità. Il cibo è frutto di cultura, lavoro, tradizione e,
soprattutto, di quel dono di amore che proviene da chi ha fatto da mangiare.
Invece, ultimamente – nota l’ex priore della comunità - una povertà si è
impossessata delle nuove generazioni, che non sanno più cos’è un peperone, un
sedano, non hanno più la grammatica elementare degli alimenti che servono al
nostro cibo. Tutto questo è un imbarbarimento, un impoverimento del modo di mangiare”.
Lo
stile
Rimedi?
In primis, Enzo
Bianchi raccomanda l’importanza dello stile di stare a tavola. E cita
quello dei monaci: “Non bisogna aggredire gli alimenti – suggerisce - ma
consumarli in silenzio e con calma. Benediciamo il Signore per i doni che ci ha
fatto – aggiunge - e prendiamo consapevolezza di quel che mangiamo, con gioia e
gratitudine. La tavola – sintetizza - è un grande magistero di vita: s’impara a
parlare, a stare insieme, a fare comunità; a mangiare, bere, gioire e soffrire
assieme”.
Per
il religioso, il massimo sarebbe di avvicinarsi allo stile orientale. “Lì –
spiega - c’è un senso dell’unità dell’uomo molto più forte che da noi. Si dice:
perché ci sia un uomo ben riuscito occorre che abbia accanto a sé un dietologo,
un medico e un padre spirituale. Dobbiamo imparare da questo”.
E
infatti, secondo le regole buddiste il cibo è proprio un canale privilegiato di
comunione con il divino. Come scrive il sacerdote Guidalberto
Bormolini nel libro "I vegetariani nelle tradizioni spirituali, “nelle
dottrine yogiche ogni cibo esercita un'influenza tanto fisica quanto mentale e
spirituale sulla natura dell'uomo”. Per lo yoga (e l’induismo) la pietanza è
impregnata di energia, il prana. E - continua il teologo - “può essere
assorbito dalla pelle, dalla respirazione e dalla nutrizione: più dalla lingua
che dallo stomaco e dall'intestino”.
La
condivisione
Quindi,
il dettaglio che rafforza le parole di Enzo
Bianchi: “I cuochi nelle comunità religiose – specifica l’autore - sono
generalmente sacerdoti della casta dei brahmani, che cucinano per i discepoli
con l'intenzione di benedirli attraverso il cibo”. Invece, nel cristianesimo
“il vero comandamento è la condivisione - illustra l’antropologo Marino
Niola in Mangiare come Dio comanda, scritto assieme a Elisabetta
Moro - e l’unico precetto è la temperanza. Il cristianesimo ha compiuto un
passo decisivo verso un’alimentazione libera da tabù e ha fatto della
convivialità un valore supremo”.
La
sobrietà
Tutto
confermato pure da Enzo
Bianchi: “Siamo liberi di mangiare quello che vogliamo – rassicura – ma
nella sobrietà e nella condivisione”. Ed è proprio sul concetto di comune
partecipazione, nello specifico sui banchetti in parrocchia per i meno
fortunati, che il religioso ha qualcosa da dire. “Secondo me – chiarisce - fare
queste mense in chiesa non è carità vera ma presbite: si ama, si fa del bene,
purché questi poveretti restino lontani da casa propria. Invece – sollecita –
ritengo sia molto più serio che nei giorni di Natale ogni famiglia cristiana
inviti a casa un emigrante, un povero, uno scarto della società e lo metta alla
tavola, gli dia quella dignità e mangi in piena comunione. Questo è uscire dal
regime, oserei dire, dell’elemosina per entrare in quello della
comunione”.
I
I
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