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dicembre - (II dom Avvento C)
Vangelo:
Lc 1, 26-38
Commento del Patriarca di Gerusalemme,
Card. Pierbattista Pizzaballa
Il
primo elemento su cui ci soffermiamo è dato dal richiamo alla gravidanza della
cugina Elisabetta, e a tutto quanto era stato raccontato immediatamente prima
dell’annuncio a Maria.
Il
nostro brano, infatti, inizia con una precisazione temporale: siamo al sesto
mese (Lc 1,26), ed è il sesto mese proprio dal concepimento di Giovanni
battista. Il discorso dell’angelo Gabriele a Maria, poi, si conclude con il
richiamo esplicito ad Elisabetta e alla sua gravidanza (Lc 1,36-37); ed è
proprio in seguito a queste parole che Maria acconsente alla proposta del
Signore, per cui l’angelo può partire da lei (Lc 1,38).
L’evento
miracoloso della gravidanza di Elisabetta, dunque, apre e chiude l’episodio
dell’annunciazione e si rivela importante per la risposta di Maria.
Perché?
Cosa vuole dire?
Quanto
successo ad Elisabetta rivela qualcosa di fondamentale, su Dio e sulla nostra
relazione con Lui. Dice, cioè, che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).
L’esperienza
che spesso il popolo della salvezza si è trovato a fare è quella di trovarsi
davanti a qualcosa di impossibile: è impossibile che Dio salvi, che apra il
mare, è impossibile che Dio perdoni, è impossibile che Dio ritorni. È
impossibile che Dio nutra nel deserto, è impossibile che Dio continui ad
amarci.
La
storia della relazione tra Dio e l’uomo è fatta di tanti impossibili, una
litania di situazioni senza speranza, che però, ad un certo punto, diventati di
nuovo possibili.
E
questo fino a scoprire ogni volta che ciò che rende “impossibile” il cammino
dell’uomo verso Dio non è tanto la sua lontananza, quanto la nostra paura, come
abbiamo visto domenica scorsa: una paura che blocca la vita, la paura che non
sia più possibile accogliere il dono di Dio, che non sia più possibile
cominciare una cosa nuova.
Questa
è la grande paura che ci abita, che la nostra vita sterile, proprio come quella
di Elisabetta.
Lo
dice anche l’angelo Gabriele, con chiarezza: “Tutti dicevano sterile
Elisabetta”: l’uomo, da solo, non può se non constatare la propria sterilità,
ma la gravidanza di Elisabetta dice il contrario, dice che nulla è impossibile
a Dio.
È
questo il messaggio che ritorna dall’inizio alla fine del brano, è questo il
motivo per cui Maria può non avere più paura (Lc 1,30).
Il
secondo elemento riguarda il messaggero che Dio ha mandato a portare
l’annuncio, ovvero l’angelo Gabriele. Nel Libro di Daniele e nella tradizione
biblica, la presenza di questo angelo ha sempre un legame con gli ultimi tempi,
con i tempi della fine.
Anche
in questo caso lo è: un tempo si conclude, e ne inizia un altro. Si conclude il
tempo della preparazione e dell’attesa, e si apre il tempo del compimento, si
apre il tempo della pienezza.
Infine,
ci soffermiamo sul luogo dove la scena si svolge: Nazaret (Lc 1,26).
Nazaret
è un luogo piccolo, sconosciuto, marginale, da dove è difficile aspettarsi
qualcosa di buono (cfr Gv 1,46). Ebbene, proprio da lì hanno inizio i tempi
ultimi, quelli dove si compie ciò che è impossibile agli uomini.
Dio
sceglie un luogo insignificante, perché questo è il suo stile, lo stile del suo
Regno, che non viene nella potenza, non attira l’attenzione, ma si cala dentro
la quotidianità ordinaria di una giovane donna di un paesino sconosciuto.
Maria,
in tutto questo, entra in scena con una domanda: come (Lc 1,34)?
Come
può accadere che l’impossibile diventi possibile e che inizi una nuova fase
nella storia della relazione tra Dio e l’uomo?
Tutto
questo è possibile semplicemente perché il Signore è con lei (Lc 1,29), perché
Lui trova sempre nuovi modi per compiere quell’alleanza che da sempre ha
desiderato stabilire con le sue creature.
E
anche quando queste hanno cercato di rendere impossibile questa relazione, Lui
ha ricominciato, sempre in modo nuovo, sempre da capo.
Una
cosa ha sempre cercato: la collaborazione con l’uomo, la sinergia con le
creature.
Perché
la salvezza è impossibile all’uomo da solo, ma neanche Dio può realizzarla
senza la nostra collaborazione, ovvero senza la nostra fede, senza che qualcuno
apra lo spazio del corpo e del cuore per accogliere la presenza di Dio che
prende dimora nella storia degli uomini.
+
Pierbattista
Patriarcato
Latino di Gerusalemme
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