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La sorpresa tira fuori dalla prigione delle abitudini mortifere e dell'uguale, invitando a vedere e agire diversamente, perché nessun problema può essere risolto rimanendo al livello di ciò che l'ha creato.
di
Alessandro D’Avenia
Che
cosa c'è nei pacchi sotto l'albero? La prima cosa che vediamo è la carta
colorata che cela e rivela al contempo.
Quindi
prima di tutto sotto l'albero troviamo l'attesa. Se nelle altre occasioni i
regali appaiono alla consegna, a Natale li pre-vedi, ma devi attendere. Quante
ipotesi facevamo da bambini... se ancora ricordo regali tanto attesi (la pista
delle biglie, il castello medievale...) è perché l'attesa diventa memoria.
L'attesa ha infatti la stessa pasta dell'attenzione, «teso a» (ad-tendo): per
ricevere il mondo bisogna andargli incontro. «È in attesa» una donna che
prepara una vita e lo fa con mille attenzioni, cioè cure. In inglese «attento»
è «careful», cioè «pieno di cura», «accurato», e in fondo anche «curioso» viene
da «cura».
È
proprio la carta dei pacchi che quindi permette che ci sia una «sorpresa»».
Essere sorpresi è infatti l'unico modo di innamorarsi della vita. Sorpreso
viene da super-preso: preso in alto, sollevato. La sorpresa tira fuori dalla
prigione delle abitudini mortifere e dell'uguale, invitando a vedere e agire
diversamente, perché nessun problema può essere risolto rimanendo al livello di
ciò che l'ha creato, come l'atomica con altre atomiche o la noia con le
distrazioni. C'è bisogno di un livello superiore di realtà, qualcosa di nuovo.
Dove trovarlo?
La
nostra caccia al nuovo è spesso affidata all'ultimo modello di qualcosa (certe
code davanti ai negozi tradiscono il sacro secolarizzato e il suo rito: il
saldo), che però non basterà perché l'ultimo modello è solo il meno vecchio e
sarà presto superato, noi invece vorremmo il nuovo che non invecchia, il
modello per sempre ultimo. Perché noi vogliamo l'eterno, per non morire. Insomma,
nella carta dei pacchi, tra attesa e sorpresa, cerchiamo la vita eterna, cioè
la vita che non si rovina e non si ripete, che è nuova e si rinnova. Proviamo
ora ad aprirli «i pacchi» (la trasmissione televisiva più seguita non è
l'illusione di un Natale giornaliero?) per vedere se la contengono.
Si
dice che le persone ricche comprino tempo, quelle povere oggetti, quelle pigre
distrazioni, quelle intelligenti conoscenza. Senza dubbio una semplificazione,
che però mette sulla buona strada: in quei pacchi cerchiamo ciò che più
assomiglia alla vita eterna, tempo e spazio «materializzati», oggetti e
progetti che possano allungare e rinnovare la «solita» e «breve» vita. Non è un
caso che nella narrazione cristiana il Natale racconti l'inverso: l'eterno,
cioè tutto il tempo e lo spazio, vita sempre nuova, si incarna in uno
spazio-tempo limitato, colui che si dice il figlio di Dio nasce nella stalla di
uno sperduto paesino della Palestina. Insomma a Natale noi cerchiamo l'eterno e
l'eterno cerca noi. Ma possiamo noi mortali averlo l'eterno? Sì. La vita che si
rinnova sempre è proprio nel qui e ora con il suo limite: “presente” in
italiano significa anche regalo. E come? Proprio nella forma che l'eterno si è
dato entrando nel qui e ora, nel noi: Figlio e Fratello, amato e amante.
Un'utopia? No. L'umano nell'uomo, purché l'uomo se ne ricordi.
È
accaduto a uomini che il 24 dicembre del 1914 si ammazzavano tra loro in piena
Guerra mondiale. Nelle trincee delle Fiandre, a sud di Ypres, in Belgio, alcuni
soldati tedeschi cominciano ad accendere delle candele sul bordo della trincea,
intonando canzoni natalizie. Sull'altro fronte gli inglesi rispondono unendosi
a un canto noto anche a loro che, intonato in lingue diverse (Stille Nacht,
Silent Night, Astro del ciel...), abbassa difese e fucili, spingendo i soldati
a incontrarsi proprio sulla linea del fronte. Si parlano, si stringono la mano,
si abbracciano. È la Vigilia di Natale e la prima cosa da fare è scambiarsi i
regali (vestiti, cibo, tabacco, dolci, grappa...) e racconti. Si celebra la
messa, si seppelliscono i morti. L'indomani si disputa anche una partita di
calcio. Uno dei presenti racconta in una lettera ai familiari la scoperta della
vita eterna nel qui e ora, nel noi, quello che tutti abbiamo in comune (essere
figli e fratelli) e che è più reale di ciò che ci separa: “Sono proprio come
noi: hanno madri, fidanzate, mogli che aspettano il nostro ritorno a casa” (in
La tregua di Natale – Lettere dal fronte, a cura di A.Del Bono). Quegli uomini
capiscono che l'amore per la vita, per la casa, per il proprio Paese,
manipolato (come racconta amaramente Remarque in Niente di nuovo sul fronte
occidentale) da menzogne, propaganda e avidità, era stato trasformato in
energia distruttiva contro presunti nemici, che invece erano «come noi», erano
«noi». Quell'unità profonda di tutte le cose che già un filosofo greco aveva
chiamato logos del cosmo, che Giovanni dice essersi incarnato all'inizio del
suo vangelo, e che Francesco d'Assisi tradurrà dando del fratello o sorella al
fuoco, all'acqua, alle stelle... e persino alla morte. Se tutto è «figlio» (se
il logos, la logica, della realtà è la filiazione), tutto è «fratello/sorella»,
chi non lo vede si muove in superficie o in malafede. Come i capi di Stato
maggiore di entrambi gli schieramenti che, chiusi nei loro palazzi e
ragionamenti, si affrettarono a sostituire quelle truppe con altre unità,
cercando di cancellare l'accaduto e la sua memoria, anche grazie alla stampa di
regime. Non mi pare che 110 anni dopo sia cambiato molto in alcune teste.
Bisogna
tornare a quel canto di Natale che provocò la tregua, come ha fatto nel
dicembre 1983 Paul McCartney pubblicando la canzone Pipes of Peace, nel cui
video mette in scena proprio la tregua natalizia del 1914, ed è lui stesso a
interpretare sia un soldato inglese sia un avversario, i quali cantano,
ciascuno dalla propria trincea, le stesse parole: «Help me to learn/ Songs of
joy instead of 'Burn, baby, burn'».
È
invece del 2005 il bel film di Cristian Carion che racconta quella tregua di
Natale: «Joieux Noël - Una verità dimenticata dalla storia», ricostruito
attraverso le testimonianze dei presenti, tra le quali quella del diario del
sergente inglese Bernard Joseph Brookes: «È stato un Natale ideale, lo spirito
di pace e buona volontà cozzava con l'odio e la morte dei mesi precedenti. È
stato sorprendente che un simile cambiamento nel comportamento dei due eserciti
opposti sia stato generato da un evento accaduto una notte di duemila anni fa».
Sorprendente lo è sempre la vita eterna, l'unica che dà pace agli uomini,
quella che non entra nei pacchi sotto l'albero, che però ci indicano dove
cercarla: in una stalla in cui l'eterno abbraccia la condizione umana nella
forma di un bambino che un giorno oserà dire “Sono venuto perché gli uomini
abbiano la vita e l'abbiano in sovrabbondanza” (Gv 10).
Chissà
che a star più «attenti» questa «incredibile sorpresa» non possa suggerirci una
forma nuova di vita, qualcosa di nuovo sul fronte occidentale, tirandoci fuori
da qualche trincea personale, familiare, sociale in cui ci siamo ficcati per
proteggerci da nemici creati dalle nostre paure o dalla nostra malafede.
Buona
tregua di Natale a tutti.
Alzogliocchiversoilcielo
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