*Mi 5,1-4a; Sal 79 (80); Eb 10,5-10;
Lc 1,39-45*
Nel
racconto del Vangelo di Luca, che questa quarta e ultima domenica di Avvento ci
propone, assistiamo a un viaggio e a un incontro alquanto particolari.
Innanzitutto,
il viaggio. Il testo ci dice che Maria «si alzò e andò in fretta verso la
regione montuosa, in una città di Giuda». Non viene spiegata la ragione di
quella che sembra essere la decisione improvvisa e repentina di questo viaggio,
la cui meta non è precisata. Nella tradizione il villaggio di Zaccaria e
Elisabetta viene identificato con un sobborgo di Gerusalemme, distante circa 8
km dalla città vecchia, di nome Ein Karem, la cui possibile traduzione sarebbe
«fontana del vigneto».
La
stranezza di questo viaggio non è solo data da questa partenza repentina, ma
anche dal fatto che per raggiungere questo villaggio, partendo da Nazaret,
Maria deve fare diversi chilometri a piedi. Per avere un’idea del percorso, la
strada più breve – che però è quella meno probabile perché passa dalla Samaria
– sarebbe all’incirca di 140 km. È possibile che Maria abbia approfittato di un
«passaggio» da parte di qualche gruppo di pellegrini che si recavano a
Gerusalemme o di qualche carovana di mercanti.
Ciò
che spinge comunque Maria a intraprendere il viaggio è il desiderio di
incontrare la sua parente Elisabetta, il cui nome può significare «il (mio) Dio
è pienezza», oppure «Dio è un giuramento». Già il significato del nome di
questa donna ci riporta all’antefatto di questo incontro; infatti,
l’evangelista Luca ha già informato il lettore sul fatto che Zaccaria e sua
moglie Elisabetta erano avanti negli anni (Lc 1,7) e non avevano figli perché
la donna era sterile.
La
situazione però riceve un cambiamento attraverso l’annuncio dell’angelo
Gabriele a Zaccaria, che lo informa sulla futura gravidanza della moglie. Sei
mesi dopo qualcosa di simile avviene a Maria che, sempre per mezzo dell’angelo
Gabriele, riceve anche la notizia del fatto che Elisabetta è incinta di sei
mesi: «Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito
anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile:
nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,36-37).
Il
giuramento di Dio si è realizzato e ora Elisabetta può davvero proclamare «il
mio Dio è pienezza» e tutto questo, inoltre, crea un legame tra le due donne
ancora più forte. È proprio la visitazione dell’angelo Gabriele, che reca a
Maria la notizia riguardo Elisabetta, insieme a quanto è successo a lei stessa
«per opera dello Spirito Santo», che spinge questa giovane donna a voler
incontrare l’anziana parente. In comune non hanno solo un figlio che nascerà,
ma anche una «parola» che si è incarnata, una promessa che è diventata realtà.
Veniamo
ora al compimento del viaggio, ovvero all’incontro di Maria con Elisabetta. La
cosa che stupisce non è la gioia delle due madri nel ritrovarsi, ma quella dei
loro grembi, come se il ventre dell’una fosse trasparente al ventre dell’altra:
«Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo
grembo». C’è un midrash (un racconto della tradizione ebraica)
che può aiutarci a comprendere questa scena.
Il
racconto parla del passaggio del mar Rosso e di come il popolo, messo in salvo
dopo aver attraversato il mare all’asciutto, proruppe in un canto di gioia.
Eccone il testo in una versione riproposta da G. Limentani in Gli
uomini del libro, 147-148: «Il popolo contava seicentomila anime, ma le
voci che si fusero nell’inno furono innumerevoli come la sabbia del mare, come
le stelle del cielo. Tutte le generazioni di Israele, da quel momento fino alla
fine dei giorni, cantarono perché, quando i fuggiaschi si erano gettati in mare
fidando solo nell’Eterno, i ventri delle donne erano diventati cupole di
cristallo trasparente, attraverso le quali i figli a venire e i figli dei figli
e i figli dei figli dei figli poterono contemplare il miracolo».
Non
sappiamo quanto sia antico questo midrash, ma certamente ci può
aiutare a comprendere il senso del racconto lucano: Maria porta con sé il
Messia, l’incontro tra queste due donne si trasforma nella «visione» del
compimento, una visione non solo della madre, ma anche del figlio che porta in
grembo; un grembo che diventa trasparente. Così, ciò che non è ancora è già
visibile, è già pienezza, è già annuncio di salvezza.
Inoltre,
bisogna riconoscere, con amara ironia, che anche in questa pagina evangelica è
a una donna, Elisabetta, che viene affidato l’annuncio di colui che «sta per
nascere», dell’avvento del Messia, così come di nuovo sarà a una donna che
verrà affidato l’annuncio della risurrezione, della pienezza di vita e della
salvezza divenuta ormai realtà, promessa e futuro compimento.
Peccato
che a tutt’oggi, nell’assemblea dei fedeli riunita nel nome del Signore, alle
donne non sia ancora riconosciuto questo ruolo di «annunciatrici» del Vangelo.
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